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Tradizione vivente - dialogo dIstruzione

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cielo
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Tradizione vivente - dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 29/03/2017, 10:31

Un altro dialogo tra Nio e Suomy Nona sul tema della Tradizione vivente tratto dal forum Matematici dei Pitagorici. Sottotitolo dei Matematici è: da Cuore a Cuore.
Si ricorda che il termine "matematici" è collegato alla suddivisione della scuola pitagorica al cui interno venivano distinti gli exoterici, o “quelli di fuori”, e gli esoterici, o “gruppo interno”. Nel primo gruppo venivano a loro volta distinti tre gradi: gli uditori (acusmatici), i parlatori, i matematici.
Per primo grado vigeva la disciplina del silenzio – la cosiddetta echemythia – che durava secondo alcuni due anni, secondo altri cinque anni. I discepoli dovevano astenersi dal criticare e dal discutere, dovevano apprendere l’arte di ascoltare, senza fare osservazioni o chiedere spiegazioni. Dovevano accettare ciò che veniva loro trasmesso in base alla sola autorità del maestro – donde la nota formula dell’ipse dixit (letteralmente: l’ha detto lui).
Qui l’idea fondamentale, poco accessibile per un intellettuale moderno, è che alcune verità in un primo tempo debbono essere semplicemente ammesse: in seguito, corrispondentemente ad una silenziosa maturazione, sarebbe stato dato di verificarle, di riconoscerle per esperienza personale, la sapienza basata sull’esperienza diretta, e non sulla dialettica, essendo il criterio fondamentale di ogni disciplina iniziatica.
Dopo questo periodo di maturazione silenziosa, unita all’osservanza di particolari norme di vita (quelle di cui si possono raccogliere le tracce nei Versi Aurei), si era ammessi al grado successivo dei “parlatori”. Allora al discepolo era concesso di esprimere il proprio punto di vista, di discutere, di chiedere chiarimenti. La partecipazione effettiva alla conoscenza- per trasmissione esclusivamente orale e con impiego della lingua dei simboli – aveva luogo nel terzo grado, in quello dei “matematici”, termine da prendersi nel senso antico. È vero che qui alla matematica in senso stretto veniva riconosciuto, come in Platone, il valore di una preparazione, e Porfirio (Vita, 47) riferisce che essa per i Pitagorici valeva come un avviamento, per adusare lo sguardo interiore, portandolo alla contemplazione delle cose materiali e mutevoli a quella di ciò che realmente esiste, sempre uguale a sé stesso.
( su Pitagora)
In sintesi, la suddivisione fra acusmatici e matematici era all'incirca quella fra discepoli laici e monastici (Vita Pitagorica o Summa Pitagorica, 88 di Giamblico), solo i secondi avevano accesso al Maestro,
Potremmo dunque considerare il pubblico silenzioso come acusmatici e i figuranti come matematici. Nio è la maschera utilizzata per produrre il dialogo.
Il dialogo necessita della volontà di comunicazione di entrambe le persone, e in esso le trascina; è nel confronto con l'altro che vengono fuori gli aspetti più reconditi. In esso la forma spesso diviene più istruttiva dei contenuti. Xuto » 20/12/2008



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02/05/2014

D. In oriente si parla di Sruti e Smrti con immediate correlazioni ai Rsi, ai Veda, alle Upanisad, mentre in occidente si usano termini, forse apparentemente più generici, quali Tradizione, Veggenti, Testi Sacri. Le domando quindi cos'è la Tradizione, e perchè talvolta viene addizionata del termine vivente, Tradizione Vivente?

R. Col termine "Tradizione" viene indicato l'insieme delle testimonianze di coloro che hanno realizzato e trasceso l'identità fra l'individuo, l'Essere e l'Assoluto; costoro liberi dall'apparenza del molteplice mondo dei nomi e delle forme, solitamente vengono considerati insieme espressione e fonte della Tradizione. È la loro presenza a rendere la Tradizione "Vivente", essendo loro stessi i "Viventi", liberi come sono dal continuo divenire del nascere e del morire dell'individualità.

D. La testimonianza passa per il comunicare un’esperienza, quindi il termine di scambio tra chi testimonia e chi riceve la testimonianza è l’esperienza che viene comunicata suo tramite. Devo quindi desumere che la Tradizione si occupa di esperienze da comunicare? Oppure il tramite non è o non è solo l’esperienza e quindi l’esperire?

R. La testimonianza è un indirizzo di sviluppo, una possibilità per l'aspirante che può dirigere le proprie potenzialità individuali lungo una traccia esistente. L'esperienza non può essere trasmessa, viene trasmessa la possibilità di esperirla. Non è uno spaccio ove acquisire quanto si desidera, non si scelgono le esperienze, ci si indirizza verso il percorso più idoneo secondo le proprie predisposizioni e potenzialità.

D. L'esperienza non può essere trasmessa, sì, questo lo comprendo, ma pensavo che potesse essere almeno descritta e quindi confrontata e riconosciuta da chi, al pari di chi la testimonia, tale esperienza l'ha vissuta ed esperita. Comprendo anche, in questo esercizio della testimonianza, della possibilità di additare la via su cui tali esperienze possono avere luogo da parte di chi, percorrendola, le attua e realizza in identità. La domanda era piuttosto sull'uso del termine esperienza e quindi dell'esperire e sperimentare; L'Essere, di cui si parlava all'inizio è esperibile e sperimentabile? Ovvero l'esperienza di... è sinonimo di realizzazione o sono due cose diverse? Quindi per ricollegarla alla domanda sulla Tradizione e sulla Testimonianza, si testimonia una esperienza o una realizzazione?

R. Il concetto di esperienza implica un soggetto che esperisce e un oggetto che viene esperito. Se usiamo questo concetto e lo spingiamo all'estremo, ecco che l'Essere in realtà è l'unica esperienza possibile, poiché qualsiasi altra esperienza è irripetibile, poiché l'individualità si modifica con l'esperienza stessa. Scientificamente un qualcosa per essere provato necessita la ripetibilità. L'unica esperienza che l'ente può esperire liberamente e senza limiti di tempo è il suo stesso essere, qualsiasi altra esperienza è molteplice. Se parliamo di unica Tradizione metafisica universale, ecco che la Testimonianza non è relata ad un'esperienza già conclusa, passata; è la testimonianza del presente. Si testimonia uno stato di coscienza slegato da coordinate spazio-temporali.

D. (fratello S. domanda) Che relazione c'è tra la Tradizione vivente e le varie religioni o insegnamenti tradizionali?
Sembra che molti rami, delle varie religioni, che dovrebbero essere testimonianza della tradizione vivente, siano secchi, sterili.
Sembra mancare la lettera viva della tradizione, cioè chi ha realizzato [incarnato] quei principi universali spesso rimasti in "letteratura".
Sembra esserci stratificazione, opera concettuale fuorviante, più o meno velante, intorno ad ogni grande realizzato.
Per esempio dall'insegnamento del grande Dadu Dayal, maestro Sahajista non settario, dopo la sua dipartita, nacquero, dai suoi discepoli stessi, diverse sette affatto in buoni rapporti l'una con l'altra.....
Si può parlare di ego delle religioni?

R. Le religioni a vario titolo si rifanno alla Tradizione vivente, spesso hanno come riferimento proprio un appartenente ad essa. Solitamente la religione ha un intento salvifico della totalita degli esseri, pertanto stempera gli aspetti metafici attenzionando i Piccoli Misteri e lasciando i Grandi Misteri per coloro che sono pronti ad affrontarli. Talvolta si perde l'accesso ai Grandi Misteri e allora occorre ritrovarne l'accesso. Non dobbiamo credere che tutti i grandi santi e i saggi necessariamente facciano parte della Tradizione metafisica universale, spesso la loro opera era indirizzata a servizio di determinate categorie di persone, che l'avrebbero rifiutata se fosse stata universale. Ancora oggi troviamo chi contrappone la Non-dualità agli altri punti di vista, mentre caratteristica propria della Non-dualità è la non contrapposizione.

D. Se l'Essere è l'unica esperienza possibile e la testimonianza è testimonianza del presente, di uno stato di coscienza slegato da coordinate spazio-temporali, allora la testimonianza non può che essere la testimonianza dell'Essere stesso, della Presenza che è, della Realizzazione che vive, o come si diceva all'inizio della Tradizione Vivente.

R. Così dovrebbe essere.

D. Sempre relativamente alla Tradizione desideravo chiederle chi e cosa è l'iniziato\iniziazione ? E come vanno letti ed intesi i vari segni, sogni, premonizioni e quant'altro che spesso vengono relate all'iniziato\iniziazione?

R. Un inizio di trasformazione, di introspezione: un seme. L'aspirante dovrà farlo fruttificare. Un albero necessita del terreno in cui fondare le radici (le qualifiche del discepolo), della pioggia dalle nubi del cielo (l'influsso che discende), del letame per nutrire le radici (il lavoro interiore, la sadhana). L'apertura di un seme è un'esplosione di vita. La fenomenologia che si presenta sono strumenti che aiutano a comprendere a tempo debito il percorso e le sue gradazioni, nonché la meta che può solo essere metafisica.

D. Perché la donna non è contemplata nella tradizione universale?

R. Osservando il Codice Pali veda che non è così: il primo allievo del Buddha, poi la moglie e le altre donne di corte. Leggendo le storie della tradizione Zen giapponese osservi che non è così. Leggendo la vita di Ramakrishna veda che chi lo proclamò Avatara era la sua istruttrice ed era una donna. Se legge i Veda troverà che molti rishi avevano mogli parimenti versate nella conoscenza, dato che quella tradizione assimilava all'unità la coppia marito e moglie. Sempre nei Veda si trova anche l'elenco di rishi di genere femminile. E' come quando si dice che il Vedanta afferma che l'apparenza sia una illusione non esistente, mentre è chiaro che la distinzione è nell'ambito metafisico fra permanenza e impermanenza. Le affermazioni di chi non ha consapevolezza di quanto dice sono opinoni e non ha senso il confronto con esse: ciascuno percorra la propria via. Si lavori sulle proprie vasana se si ritiene, si nutrano, se si ritiene.

D. Perchè sorgono opinioni come questa?

R. La mente cristallizza più facilmente le opininoni condivise, osserva come talvolta si esaltino superstizione e ignoranza chiamandole "fede". Se osserviamo la storia troveremo che molti mutamenti sono nati a seguito dello stimolo di singole individualità, ma anche da eventi di ordine macroscopico. L'emancipazione femminile nasce dalla combinazione di aumento della popolazione femminile e dalla possibilità di mantenersi, quindi dall'indipendenza economica; eventi causati in alcune nazioni dalle varie guerre e dalla rivoluzione industriale. Prima della rivoluzione industriale occorrevano anni per acquisire l'abilità di un artigiano necessaria alla produzione di un manufatto. Dopo la rivoluzione industriale chiunque, previo un addestramento, poteva lavorare alla catena di montaggio. In ambito intellettuale notiamo anche qui come spesso donne indipendenti economicamente siano riuscite a primeggiare in ambiti dominati da consuetudini maschili. Non confondiamo comunque l'ambito tradizionale con quelli profani. Non dimentichiamo che i riferimenti tradizionali sono rari, spesso nascosti o non accessibili, proprio perché spesso travisati o addirittura usati a fini diversi.
Falsi guru, sirene di ogni genere, falsi aspiranti... nel mondo c'è di tutto e di più, comprese persone che in buona fede travisano l'insegnamento tradizionale. Infine teniamo conto dell'assonanza di un insegnamento con l'epoca in cui viene espresso, come il linguaggio viene "ribaltato" e come termini sacri quali "filosofo", "filosofia", "avatara", "apparenza", "gnosi", etc. siano stati completamente trasformati nella conoscenza comune. Per questo sarebbe opportuno accostarsi ad una tradizione vivente che aiuti la comprensione di certi insegnamenti. Narrano che Shankara stesso in una delle dispute filosofiche fu quasi sconfitto da una donna, perché non in possesso a quel momento di determinate conoscenze. Vediamo come Raphael nelle sue traduzioni di Shankara metta fra i requisiti del discepolo "il temperamente maschile" dove altri hanno tradotto "il genere maschile".

D. Come deve comportarsi un aspirante nei confronti dell'opinione?

R. Immagino che possa comportarsi conformemente la propria indole e potenzialità, secondo la via che segue. Ci sono vie che stimolano una opinione indirizzata secondo certi canoni come strumento di conoscenza; altri aspiranti invece, compresa l'aleatorietà dell'opinione, la lasciano cadere per cercare di vivere il proprio presente, quale esso sia.

D. Come considerare l'opinione, il guru e la sruti? O meglio, quale peso e\o ruolo riveste la fede, o la fiducia nel maestro o gli scritti tradizionali? Sempre che ne abbia uno.

R. Non è domanda che può prescindere da "chi" la pone. In funzione delle predisposizioni personali, abbiamo chi trova indicazioni nella Bhagavadgita, chi nell'Uttaragita, chi nell'Avadhutagita... Indicazioni anche contraddittorie per l'aspirante discepolo che non coltivi la Consapevolezza o Conoscenza di Sé.
In Occidente il bimbo che voglia apprendere l'arte della bici, inizialmente avrà il supporto delle rotelle laterali. Poi quando inutili, verranno tolte. Il Maestro e/o le scritture man mano diverranno di minor supporto, solo non necessariamente vengono tolte anche se non più necessarie. Abbiamo esempi di jivanmukta che hanno continuato a venerare il Maestro e/o l'Isthadevata. Il Maestro (e l'Isthadevata) è il semplice simulacro del Sé, l'Unico Maestro.
E' l'unico posto ove l'aspirante può vedere sé stesso nella propria reale manifestazione, sino a quando non avrà più veli che coprono la realtà.
Ciò che è veramente importante è la modalità di approccio al Sacro e l'uso della mente in tale approccio. La mente deve esaminare ogni elemento e, una volta esaminatili tutti, deve porli ai piedi del Cuore. Sarà Questi a comprendere.
Di un testo sacro che mostri un percorso, vanno studiati con attenzione tutti i passi che conosciamo perché già percorsi, ma occorre meditare profondamente e praticare quel passo che riconosciamo presente, ma ancora non compiuto. Andare oltre, a parte lo studio, è inutile perché daremmo semplicemente agio alla nostra mente di inferire su aspetti di cui non abbiamo alcuna esperienza. Lo stesso con le parole del Maestro o del Divino, ove esse appaiono oscure vanno contemplate nella luce, evitando che la mente empirica se ne impadronisca per interpretarle; semplici fatti, senza sovrapposizioni.
Ove le parole si mostrino in contrapposizione con la nostra esperienza, le si riponga con attenzione sospendendo ogni valutazione, saranno il tempo e la mutata consapevolezza a mostrare se esse erano adeguate o meno.
Non so ricordare nulla di più importante del Maestro e/o dell'Isthadevata (Divino personale) e dell'adesione dell'aspirante al Suo dharma. Ci sono momenti in cui Esso si mostra come unica realtà nel mare del continuo divenire. Ci sarà poi il momento in cui anch'Essi scompariranno, perché divenuti pura identità, per poi ricomparire ove esista la necessità della forma.

D. Ci sono persone che l'hanno frequentata che si propongono in giro come istruttori o maestri, proponendo incontri, seminari e corsi, tutto a pagamento. Lei invece non gradisce anche il solo chiamarla Maestro. Non capisco.

R. Molto semplice: il sottoscritto non è un maestro. Non ha studiato un qualcosa da insegnare, non possiede alcuna didattica o titolo riconosciuto dallo Stato Italiano per insegnare. Né ha alcunché da vendere, non maestrie, informazioni, segreti o tecniche. E' un semplice aspirante discepolo che testimonia come il "prendere" non determini alcuna trascendenza, pertanto cosa potrebbe dare?
Non ha una strada da proporre in luogo di altre. Qualsiasi strada va bene in questa visione, purché vissuta secondo i proponimenti dei saggi secondo le potenzialità e possibilità di ciascuno. Quindi non c'è nulla da proporre. Le testimonianze di Sri Shankara, di Sri Gaudapada, di Sri Ramakrishna e di Sri Ramana sono pubblicate a disposizione di chi abbia delle istanze di trascendenza, rappresentano la completezza e non necessitano di chissà quali istruttori, basta solo metterle in pratica. E certamente si troveranno altri aspiranti cui accompagnarsi.

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