cielo ha scritto: ↑19/04/2019, 13:03
Ci si accorge quando arriva il momento del silenzio.
Non è più quell'assorbimento che l'aspirante vive saltuariamente, non è più quel pacifico e pieno vuoto in cui certe volte taluni indulgono: non è manolaya. Oh, ci sono molti silenzi, potremmo dire che essi sono una costante, anzi Esso è la costante che inizia a mostrarsi sempre più, sino a divenire l'unico stato, come un'amante che non ammetta concorrenti, cessano i moti mentali, cessano le istanze, etc.
Esiste però un silenzio fatto di opere, che non determina il ritiro dal mondo, ma ottempera il dharma al suo interno, è un silenzio operativo, quello dell'aspirante che ha smesso di indulgere nel superfluo.
Ci si ritira da ciò che è inutile. È inutile dar perle ai cani, è inutile annaffiare una pianta finta, ma se sono entrambi nel nostro dharma, ai primi si darà cibo e ricovero e alla seconda un bel vaso nel luogo più adatto. E se la pianta fosse vera, daremo acqua a tutti, ma la carne solo ai cani.
In quel silenzio si vive il Reale all'interno di maya, consapevoli d'entrambi i domini, con attenzione a non confonderli, pur essendo l'uno il sostrato dell'altro e praticamente uno, per coloro che vivono vedendo il velo di maya, non è tale l'esperienza e così traspongono le intuizioni di un dominio nell'altro. Così verità divengono non appena affermate opinioni se non falsità, perché concettualizzate.
Maya vela la ragion pura e la trasforma nell'assertivo manas, un empirismo che vede in sé le basi della sua esistenza apparente: è il potere velante che fa dire "è questo". Si trasforma una conoscenza indiretta in ignoranza. L'ascolto o sravana è seguito da manana, non dall'asserzione, ma prima di arrivare all'ascolto occorre essersi impadroniti di viveka e vairagya (discriminazione e distacco), attraverso questi raggiungere l'uparati, quel raccoglimento interiore alla base di ogni progresso negli yoga: è da lì che il mumuksutva o anelito muove l'aspirante.
La vita intera è una sadhana, la vita intera è da considerarsi come un'unica azione che percorre quattro fasi o asrama, la preparazione, l'esecuzione, la valutazione e il ritiro. Questa azione può svolgersi entro certi indirizzi o fini o purushartha, affermano i principali esponenti del Vedanta: artha-dharma, il conseguimento del benessere attraverso l'equanimità o onore e il desiderio della realizzazione, kama-moksha.
Qual'è il motore, l'energia che si estrinseca in questo processo? Per l'aspirante discepolo nella tradizione è mumuksutva: l'anelito per l'Ordine, per l'Universale, per il Divino, per la Conoscenza, per l'Uno senza secondo.
È rettificando i guna che il discepolo può intervenire fattivamente nei purushartha e questa rettificazione avviene secondo le predisposizioni individuali o varna.
Rilancio questo brano "storico" perchè sempre attuale, al mio sentire.
Dopo averlo riletto, constato che ultimamente ci siamo ritirati tutti da ciò che evidentemente abbiamo percepito come inutile e superfluo, disertando spazi di dialogo un tempo vivaci.
Parlo del forum dove nessuno scrive più, neppure io notoriamente appassionata di spazi web collettivi dove poter scambiare.
Un amico mi diceva: "è il format forum che è fallito (...) manca l'interesse di base, credo".
Interesse di base per cosa? Mi sono chiesta.
La pianta finta da innaffiare?
Probabile. La pianta finta non si trasforma, è lì. Fa parte del "pacchetto".
Però, se è nel nostro dharma, dovremmo trovarle un bel vaso e collocarla in un luogo dove possa catturare lo sguardo annoiato dei passanti, forse.
In attesa di eventuali piante non di plastica, da contemplare e innaffiare, mi limito a spolverare le foglie di quella finta a disposizione che con un piccolo sforzo e la giusta luce visualizzo non così brutta e finta.
Buona Pasqua, con l'augurio che sia non cruenta.
Sono passati tre anni e qualche mese e mi sono resa conto che condivido le riflessioni di allora, e quel rilancio del brano sul silenzio lo volevo fare stamattina, per questo sono capitata in questa stanza, e ho riletto, coscienziosamente tutto quanto il 3D: amarcord, come eravamo. Dibattiti vivaci e interessanti.
"La vita è una commedia tragicomica a lieto fine", dice Raphael, non me ne dimentico e combatto la tendenza alla tragedia, sorridevo rileggendo, tutto è in costante mutamento, chissà come è oggi la visione degli amici di forum d'allora
Pure mi rifaccio la stessa domanda di allora:
"Perchè siamo qui, a leggere quello che un altro ha scritto? Io scrivo tu leggi.
La pianta finta da innaffiare? Probabile. La pianta finta non si trasforma, è lì. Fa parte del "pacchetto".
Però, se è nel nostro dharma, come dice Bo: "dovremmo trovarle un bel vaso nel luogo più adatto", e, aggiungo io, e collocarla in un luogo dove possa catturare lo sguardo annoiato dei passanti, forse.
Cosa ci ha mosso verso questa spiaggia sul web tra le tante?
Possibile risposta: "Condividiamo un interesse di base comune: il vedanta, per la filosofia che ha radici nei Veda e nelle Upaniṣad".
Di cosa si interessa il vedanta che condivido come pietanza nel ristorante etnico a tema "Vedanta tradizione filosofica d'oriente e d'occidente"?
Ok. Da queste parti, d'occidente, abbiamo, pare, parecchi rami secchi, andranno bene per la stufa questo inverno.
A parte quanto salta fuori dai casetti dell'archivio e viene condiviso sul quaderno vedanta mensile. Ma quello è solo un taglia- incolla di parole altrui, sistemate sul sanscrito e l'italiano.
E' frutto del rispetto e della gratitudine per chi ce le ha lasciate, che per anni le ha liberamente donate, a tutti, aprendo spazi sul web accessibili e rispondendo sempre alle domande dei viandanti.
E' il minimo che mi sento spontaneamente e liberamente di poter fare in sua assenza (a parte il continuare fermamente a credere che dimora nel cuore di chi lo ama, non è altrove).
Meglio un taglia incolla che parole a vanvera (pure le mie), sciorinamento di opinioni e visioni personali, polemiche e ping pong concettuali con per racchetta brani degli shastra.
Come dice un mio amico, è sempre possibile che a domanda si risponda, fa parte della ritualità in uso tra i ricercatori.
Quando, in assenza del Maestro o del Riferimento, si ritrovano nel saṇga per dibattere, confrontarsi, discutere e trovare (insieme) soluzioni se qualcuno espone dei problemi. A volte si resta solo sul piano del discutere e se ci sono problemi, prudentemente non se ne parla, anche qui le solite storie.
Mancando il Maestro che, al nostro sentire, incarna la consapevolezza piena e non duale del Puro Essere (in cui siamo senza saperlo, avendo gli occhiali schermanti con lenti rosa, o verdi, o gialle...viva la diversità della visione, che è sempre un'opera personale) ecco che, come ricercatori, iniziamo a farci domande e andiamo da qualche parte a confrontarci sulla testimonianza ricevuta che stiamo tentando di incarnare, per "risvegliare" il dormiente pisolante che c'è in noi e, naturalmente, far morire sto benedetto io che ci angustia con i suoi desideri senza fine e domare la mente capricciosa...solite cose.
Nella tradizione orientale e occidentale si esprime la "tradizione metafisica unica universale" che tradizionalmente si estrinseca anche nei dibattiti tra "studiosi" (tutti rimandati, riparandi e bocciati? Io sempre in riparazione, rimandata ab aeterno).
Se manca incarnato o si aspira al principio del Puro Amore e Pura Intelligenza e Armonia, alla Realtà unica, ecco che ci si rivolge al consesso dei "fratelli maggiori", se è possibile.
Questa è l'usanza tradizionale.
Scherzandoci su, se uno dei fratelli maggiori se la tira aspetta che la domanda venga posta tre volte, com'è da usanza tradizionale.
Repetite iuvat.
Cosa ci ha mosso verso questa spiaggia sul web tra le tante? Perchè leggere qui? Ti interessa il vedanta e se sì, come (tradizione orientale o occidentale) e in che termini ti interessa: approfondimento dottrinario, acquisire nozioni, imparare nuove tecniche per l'armonia mente-corpo? Non sai cosa altro fare?
Fratelli maggiori potrebbero essere anche minori.
Ma chi domanda bene fa a riconoscere che nel mondo c'è sempre qualcuno che "ne sa più di noi", è bene accettarlo e riconoscerlo. In questo senso è maggiore: salendo sulla montagna, sbucciandosi le ginocchia e rompendosi qualche osso durante l'arrampicata,mano a mano che si sale la visione si allarga, il panorama è più ampio.
Questo (di riconoscere che c'è sempre qualcuno che ne sa più di noi) è un insegnamento diretto che ho ricevuto da Bodhananda ai tempi che furono, quando gli dissi che inizialmente non avevo riconosciuto il suo travestimento su un forum su cui ero capitata e su cui venne anche lui (poi mi disse, "per non lasciarti sola"), ma io non lo sapevo.
Così fu una sorpresa da cadere giù dal ramo impattare in qualcuno "che ne sapeva molto, molto più di me" anche in quel luogo web un po' notturno e sconosciuto. Dopo qualche post che scambiò con altri galletti, finalmente lo riconobbi. Chiaramente rimasi in silenzio e poi mi dileguai, quando lui si dileguò.
Fu una importante lezione di umiltà: finchè non riconosciamo l'altro, il suo "saperne di più", non riconosciamo noi stessi, chi siamo, cosa comprendiamo e cosa invece è mera credenza e opinione, limite concettuale, cristallizzazione di concetti mentali infilati per una collana. Legami e vincoli, altro che neti neti.
Spero che la pianta finta abbia catturato lo sguardo annoiato dei passanti.
Ai tempi si augurò: Buona Pasqua, con l'augurio che sia non cruenta. Rinnovo l'augurio correttamente modificato:
Buona vita, con l'augurio che sia non cruenta, sotto tutti gli aspetti, interiori ed esteriori.
Che ogni volontà di nuocere si dissolva e si possa dimorare tutti e insieme, nella pace duratura.
shanti