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Sai Baba - Nove sentieri della devozione

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cielo
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Sai Baba - Nove sentieri della devozione

Messaggio da cielo » 14/01/2022, 18:04

In questo discorso del 1986 dedicato ai "devoti immortali", Sai Baba spiega i nove sentieri della devozione collegando ogni forma devozionale ai grandi devoti dell'epica indiana: Hanumān, Prahlāda, Arjuna....

buona lettura

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Discorso dell'8 gennaio 1986

Gli immortali devoti

La devozione è il mezzo per la salvezza dell'uomo, e l'amore è la sua più alta espressione.

La devozione non si può descrivere a parole.

Fra tutte le forme di sādhana, la bhakti (devozione verso il Signore) è la più facile e la più santa.

"Bhakti" è una parola derivata dalla radice "bhaj" con il suffisso " ṭi" che vuol dire "sevā" (servizio).

Esso denota un sentimento d'amicizia unito ad un timore reverenziale.

La devozione richiede l'uso della mente, del corpo e della parola per adorare il Signore. Rappresenta l'amore totale.
La devozione e l'amore sono inseparabili ed interdipendenti. La devozione è il mezzo per la salvezza dell'uomo e l'amore è la sua più alta espressione.

Nārada dichiarò che adorare il Signore con amore illimitato è devozione.

Vyāsa ritenne che far culto con amore e adorazione è devozione.

Yājñavalkya affermò che la vera devozione è controllare la mente e rivolgerla verso l'interno e sperimentare la gioia ātmica della comunione con il Divino.

Un altro punto di vista sulla devozione è la concentrazione della mente su Dio e l'esperienza dell'unità con Lui.

Molti saggi hanno espresso differenti opinioni sulla natura della devozione la cui caratteristica di base è l'amore. L'amore è presente in ciascun essere umano in misura più o meno grande.

L'individuo o jīvā è un aspetto di Dio, la suprema incarnazione dell'amore, ma poiché viene diretto verso le cose del mondo ,si mescola e diviene incapace di avere la visione di Dio in tutta la sua magnificenza.

Normalmente la gente crede che adorare Dio recitando il suo nome e meditando sulla sua forma sia devozione, ma la vera devozione, in verità, vuol dire insediare il Divino nel proprio cuore e gioire di quell'esperienza.

E' la mistica unione dell'anima individuale con quella universale.
Quando il devoto prega ardentemente dal profondo del suo cuore, si manifesta la devozione.

Pregare non vuol dire chiamare Dio per ottenere dei favori, ma dare a Dio ogni desiderio, ogni guaio, ogni aspirazione e offrirgli tutti i meriti e i frutti delle nostre azioni.
La qualità di base della devozione è desiderare di realizzare l'unione con Dio.

La devozione è di due tipi

La prima è quella che permette di trasformare noi stessi ed acquisire la conoscenza di Dio. Questo è un processo naturale per il quale si inizia con il fisico, poi si coinvolge la mente per raggiungere l'obiettivo spirituale dell'unione.
Se si prende questa strada solo l'individuo che la percorre ne potrà beneficiare.

Nel secondo tipo di devozione, invece, il devoto ne beneficia condividendo con gli altri la sua esperienza. Un tale devoto, non solo salva se stesso, ma aiuta anche gli altri a salvarsi.

L'amore scorre senza fine attraverso l'umanità e quando questo amore viene indirizzato verso gli oggetti del mondo e verso i piaceri fugaci, l'uomo perde l'opportunità di rendere la sua vita significativa, con uno scopo vero, ed assicurarsi così la gioia ātmica.

L'uomo dovrebbe dirigere questo amore verso Dio per raggiungere il vero scopo della vita. L'amore per Dio non si sviluppa con l'educazione, né con gli studi delle scritture, ma si sviluppa dal cuore.
Colui che è colmo dell'amore per Dio non sarà attratto da niente altro al mondo, né si sottometterà a qualcosa di mortificante o inutile.

L'amore è assenza di egoismo.

Il devoto che sente amore per Dio accetta di buon grado tutto ciò che potrebbe sembrare una punizione come qualcosa che gli viene dato per il suo bene.
Persino quando il Signore sembra essere arrabbiato, la Sua compassione è evidente. La Sua gentilezza la vediamo anche nella punizione che rappresenta un mezzo per condurre una persona a Lui. L'ira divina è solo per proteggere i devoti, Il vero devoto è colui che evita l'interesse verso le cose mondane e si concentra soprattutto sui mezzi per realizzare il Divino.

Le nove vie della devozione

Le nove vie della Devozione verso Dio sono state descritte dai Saggi e sono le seguenti:
1) śravaṇam: ascoltare le Glorie di Dio
2) kīrtanām : cantare le glorie del Signore
3) viṣṇusmaraṇam: ricordare sempre il Signore
4) pādasevanām: adorare i piedi del Signore
5) arcanam: offrirgli il culto quotidiano
6) vandanam: prostrazione
7) dāsyam: sevizio dedicato
8) sneham: amicizia
9) ātmanivedanam: totale resa.

I devoti che hanno seguito uno di questi metodi sono stati delle persone altamente spirituali. Fra di loro si annoverano anche degli imperatori.


śravaṇam

Il Re Parīkṣit , dal momento in cui seppe di essere stato maledetto da Śṛṅga e avrebbe dovuto morire in sette giorni, radunò tutti i Saggi per chiedere loro qual era il modo migliore per trascorrere il tempo di vita concessogli.

Poiché sentiva che perdere tempo è perdere la vita, chiese ai Saggi di consigliarlo come avrebbe potuto usare i sette giorni rimastigli.
Quando il Saggio Śuka [il figlio di Vyāsa] entrò nell'assemblea e chiese al Re di redimere la sua vita convertendo la maledizione ricevuta in benedizione. Śuka raccontò giorno e notte la storia del Signore Supremo, parlò delle Sue incarnazioni e delle Sue Glorie.
Ascoltando le sue parole, Parīkṣit si perse in un oceano di beatitudine.
Anche tutti i Saggi presenti andarono in estasi e si persero nella contemplazione e nell'amore verso il Signore.
Parīkṣit fu un esempio di come la devozione possa trovare la sua più alta espressione solamente attraverso l'ascolto delle Glorie del Signore.

viṣṇusmaraṇam

Prahlāda fu l'esempio classico del devoto sempre concentrato su Dio sia nel piacere, che nella pena.
Il nome di Dio fu la risposta a ogni prova. Egli lo ripeteva senza essere per nulla toccato dalle torture che gli infliggevano i demoni incaricati dal padre Hiraṇyakaśipu.
Egli non ebbe mai paura, né si disperò. Prahlāda era pienamente conscio che il corpo, composto di cinque elementi, era perituro, mentre l'abitante interiore era eterno: perciò non si preoccupava di ciò che poteva succedere al proprio corpo, ovvero tutti i suoi pensieri erano sempre concentrati su Dio.

pādasevanām

Non tutti i devoti hanno l'opportunità di adorare i piedi del Signore e anche quando questa opportunità viene data, molta gente la usa per scopi materiali. La dea Lakṣmī , la consorte di Viṣṇu, è l'esempio classico di colei che si dedica totalmente ad adorare i piedi del Signore, intesi come la sorgente stessa di tutta la creazione.
Supremamente sacri poiché sono lavati da Brahmā stesso e capaci di misurare l'intero cosmo.

arcanam

L'imperatore Prithu [l'Immenso] fu un esempio di questo tipo di devozione. In tutte le circostanze egli aderì al culto di Hari (Dio). Egli vedeva il Signore in ogni cosa dell'universo e gli dedicò tutti i suoi pensieri, parole e azioni.

vandanam

Akrūra fu un esempio di devoto che santificò la sua vita prostrandosi costantemente davanti al Signore, offrendoGli obbedienza umiltà e purezza.
"Vandanam" non vuol dire meramente congiungere le mani in segno di saluto [e inchinarsi], ma vuol dire offrire al Signore i sensi dell'azione in uno spirito di totale resa.
Akrūra adorò il Signore con una totale sottomissione alla volontà divina e, quindi, poté ottenere la visione dell'onnipresenza di Dio.

dāsyam

Hanumān fu il più grande esempio di questo tipo di devozione. Concentrarsi su Rāma e servirlo erano le sue principali occupazioni. Hanumān non era un essere ordinario, bensì un maestro di 64 arti e scienze. Rāma lo descrisse come un eroe che possedeva immensa forza e saggezza. In ogni cosa che intraprendeva, Hanumān indagava se il Nome di Rāma era presente. Se non c'era, gettava anche la gemma più preziosa che considerava inutile.
Mentre si costruiva il ponte di Laṅkā, Hanumān gettò i massi nel mare pronunciando il Nome di Rāma.
Le lettere "ra" e "ma" erano scritte su quei massi, così quando risalirono composero il Suo Nome.

Ogni capello di Hanumān faceva eco al nome di Rāma. Egli non aveva il senso dell'io, avendo abbandonato tutti i sentimenti di proprietà. Quando i demoni di Laṅkā gli chiesero chi fosse, dichiarò: "lo sono un servo del Signore di Kosala (Rāma) ".

Coloro che oggi si autodefiniscono devoti mettono la cenere sacra sulla testa quando vanno al tempio e se la levano quando tornano a casa. Quando sono vicini a Bhagavān, si comportano come devoti, ma quando vanno in luoghi dove la religione è denigrata, raccontano la loro visita a Puttaparthi in modo casuale e dicono di non essere devoti.
Quale valore si deve dare alla devozione di tali pusillanimi?

La vera devozione consiste nel sostenere la propria fede in ogni luogo e in ogni circostanza. Hanumān era un devoto pieno di coraggio e di fermezza. Con il suo servizio dedicato al Signore egli poté redimere la sua vita e divenire immortale.

sneham

Amicizia: il più grande esempio di questo tipo di devozione è Arjuna. Arjuna e Kṛṣṇa vivevano insieme. L'uno era l'ombra dell'altro. Arjuna fu oggetto di molte calunnie e abusi, ma nonostante queste prove non perse mai la fede, né mai tentennò.
Egli pregava sempre: " Kṛṣṇa, Tu sei la mia sola speranza e il mio solo rifugio. Nessun altro può proteggermi!". In questo modo, considerava Kṛṣṇa come un amico, parente e "alter ego".

Arjuna confidò in Lui per ogni cosa. Kṛṣṇa, da parte Sua era sempre pronto ad agire in battaglia come auriga di Arjuna. Arjuna fece di Kṛṣṇa l'auriga della sua vita così Kṛṣṇa acquisì l'appellativo di "Pārthāsaratha", l'auriga di Pārtha (Arjuna).

ātmanivedanam (resa del sé)

L'imperatore Bali, il nipote di Prahlāda, fu un esempio di devoto che diede completamente se stesso al Signore offrendoGli ogni cosa posseduta e santificando così la sua vita. Egli era totalmente dedicato al Signore e pronto ad offrire la sua testa e andare persino negli "inferi". Nessun sacrificio era considerato troppo grande per vincere la Grazia del Signore.
Quando il suo guru Śukrācārya lo consigliò di ritirare il dono promesso a Vāmana, Bali si rifiutò dichiarando che tutta la sua vita, il suo corpo e tutto ciò che egli possedeva erano del Signore.

Molte anime elevate e grandi condottieri praticarono queste differenti vie della devozione nel passato e si proposero come esempi di fronte al mondo.

La devozione, asserivano i saggi del passato, non doveva essere soltanto finalizzata ad acquisire la salvezza individuale, ma doveva trovare espressione in azioni collettive. Quei saggi sentivano che il Signore non poteva essere raggiunto da una persona egocentrica.
Offrire culto o preghiere in ritiro e per se stessi dimostra solo egoismo.

kīrtanām : cantare le glorie del Signore

Nell'anno 1459 Guru Nanak, il primo dei guru sikh, iniziò la pratica di cantare bhajana [canti devozionali] in comunità.
Questa pratica durò per lungo tempo, e nel 1798 il grande santo compositore indiano Tyāgarāja iniziò ad accompagnare i bhajan con "rāga" e "tāla" cioè con il ritmo di strumenti musicali. Da allora i bhajan sono diventati in voga in ogni parte del paese.

Il bhajan non deve essere considerato come un modo per passare il tempo. I canti devono essere intesi come mezzi per esprimere i sentimenti dei partecipanti affinché sperimentino l'unità con Dio.
Tali canti sono considerati spiritualmente efficaci e dovrebbero essere carichi di amore. Quando i bhajan furono per la prima volta introdotti nei villaggi, Tyāgarāja iniziò con la canzone: "Venite o benedetti. Venite e uniamoci per cantare la gloria di Sri Rāma".
Egli disse pure che se avessero avuto dalla loro parte Rāma, non avrebbero dovuto temere la morte.
Questo fu il clima di devozione nel quale si iniziò a cantare i bhajan. Ma oggi quello spirito di santità è assente, si dà più importanza al tono e al ritmo che non al sentimento e alla melodia. Si pone maggiore attenzione e sforzo per piacere agli ascoltatori invece che per promuovere in loro sentimenti più sacri.
I sentimenti espressi nei canti dovrebbero sciogliere il cuore dei partecipanti ed entrare nel loro profondo.
L'essenza della devozione è l'amore e non esercizi formali di vario tipo. Il culto andrebbe dedicato al Divino che dimora in ciascuno.

L'amore è Dio e Dio è Amore.

Vivete questo sentimento! Dovete svilupparlo per poterlo ricevere, perché è il mezzo per realizzare la "gioia del Sé" che è in voi.
Quando tutti i pensieri vengono controllati e la mente è rivolta verso l'interno non occorre cercare Dio in altri luoghi.

Dedicate tutte le azioni al Signore, questa è la più alta devozione, la più elevata conoscenza: è il "summum bonum" dell'esistenza.

L'amore dovrebbe diventare la via per vivere: questa è vera devozione...

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