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Raphael - Le qualificazioni del discepolo

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cielo
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Raphael - Le qualificazioni del discepolo

Messaggio da cielo » 01/12/2019, 9:42

Sul sito vedanta è stato inserito un nuovo articolo con un brano di Raphael a titolo "Le qualificazioni del discepolo" tratto da "Fuoco dei Filosofi".

Mette in evidenza come l'aspirante filosofo, dotato di "vocazione" alla ricerca della vidya (conoscenza sacra), debba imparare a trattenere l'attenzione dominante, spesso esclusiva, rivolta a sperimentare la vita formale, del sensibile corporeo.
Ciò aiuta a perdere l'identificazione con ciò che non si è, per progressivamente sganciare il desiderio di sperimentare l'esterno tramite la sincera aspirazione a riconoscere il Reale che si è.

Curioso come già ai tempi di Platone si conoscesse la corsa alle poltrone e alla visibilità, dove invece il filosofo aspira a sviluppare quell'attitudine-qualità di raccoglimento interiore (uparati) che consente di mettersi in contatto con la voce del silenzio.


«...fin da giovinetti (gli aspiranti filosofi) non conoscono la via che mena al foro...

Brighe di consorterie per acquisire cariche pubbliche, convegni, banchetti e festini...

sono tutte cose che nemmeno in sogno vien loro in mente di fare.»

(Platone, Teeteto XXIV, 173d).

cielo
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Re: Raphael - Le qualificazioni del discepolo 2

Messaggio da cielo » 24/05/2020, 12:11

L'argomento "le qualificazioni del discepolo" è un tema su cui la mia mente spesso si intrattiene, sia perchè spesso, aprendo i libri "preferiti", trovo segnalibri lasciati a quelle pagine dove se ne parla, sia perchè la mia tendenza è attivare il censore interno che mi giudica solitamente non dotata delle qualificazioni tradizionali del discepolo secondo il Vivekacudamani, tranne la fortuna di indossare in questo giro di giostra un corpo umano.*
Quando il censore è attivo c'è un certo senso di incompiutezza che mi allontana dall'accettazione di ciò che sono per avvicinarmi all'idea di come dovrei essere - e non sono -.

Che indosso un corpo umano almeno ne sono certa, e anche che è transitorio e in mano alle correnti del divenire, anche se è mio compito averne cura finchè c'è. Perciò, considerato che pare che sia una fortuna averlo,meglio che stia al meglio che riesce.

Anche questo mi è abbastanza chiaro (che il corpo è da rispettare), anche perchè l'integrazione e l'osservazione delle "dinamiche interne impulsate dall'io sono questo e quello" non può certo bypassare il corpo come se non esistesse e si fosse già "anime belle purificate dalla Luce autorisplendente del Puro Amore". Quella è solo immaginazione autogratificante.

Per me non funziona così, ogni giorno cado (non con il corpo!), mi scasso e mi rialzo, spesso con dei bei lividi che è dura fare riassorbire.
E poi si invecchia (qui è il corpo che è meno performante nello star dietro ai capricci mentali), il tempo su questo piano scorre in una direzione certa: decadimento e morte. Yama (il dio della Morte) ascolta solo la voce di chi trascende le tre dimensioni del tempo e ha risolto la paura.

Richiamando il brano di cui sopra è chiaro che da un lato, il Censore deve tacere, non giudicare la "dotazione" personale delle qualificazioni (quella è e quella resta, almeno fino a che l'ultimo frutto del prarabdhakarma sarà esaurito) e, dall'altro lato, occorre la costanza di proseguire la ricerca della vidyā (conoscenza sacra), trattenendo l'attenzione dominante che la mente impulsa, spesso esclusiva, rivolta a sperimentare la vita formale, del sensibile corporeo, nonchè a giudicare ciò che ancora si percepisce come "altro".

Ecco che nella separazione tra io e tu si va ad incrinare "il suono" personale naturale, armonico.
Si turba "l'armonia sonora interna" o pace interiore, creando conflitti, contrapposizioni, soprattutto permettendo alle emozioni affioranti dal subconscio di scatenarsi senza freno.

Dopo anni e anni di conflitti non solo interiori, sto imparando a mantenere l'attenzione sul dolore che le emozioni scatenate mi suscitano e so che se le riconosco in fretta e non ci presto attenzione cavalcandole se non per il tempo necessario a che si manifestano pienamente e intensamente, se ne vanno come nuvole nel cielo.

Certo che qui ci vuole un po' di vento, occorre che il "ventilatore" dell'anelito ardente agisca, si attivi. L'aria condizionata ahimè non è in dotazione nel mio kit di incarnazione attuale.

L'osservazione costante dei moti di citta,la sostanza mentale che è come un mare sempre lievemente o potentemente increspato su cui corre la nostra onda mentale, aiuta ed è una pratica che a me serve.

Per essere meno infelice e intrappolata nel groviglio emotivo. Finchè non riusciamo ad essere la ragnatela, almeno dovremmo essere come il ragno che cattura le mosche intrappolate e se ne nutre per proseguire la sua tessitura con costanza e aderenza alla propria natura di ragno.

Accettando l'errare e integrandolo senza censure o giudizi, o peggio dichiarazioni di incapacità e di non essere degni alla conoscenza sacra e qualificati per cercarla, il censore a volte la smette di lamentarsi e focalizzarsi costantemente sul limite, sul sogno di come si dovrebbe essere e non si è.

Perdendo progressivamente l'identificazione con ciò che non si è, per a poco a poco sganciare il desiderio di sperimentare l'esterno come se fosse quello a sostanziarci, a farci esistere, si tiene accesa la sincera aspirazione a riconoscere il Reale che si è.

Su quel piano di Coscienza, dove a volte si accede casualmente, trovandosi nello spazio "tra un pensiero" e l'altro, non c'è dolore, la paura si placa e il desiderio di prevaricare l'altro è, almeno momentaneamente, sparito.
Si gode del senso di fratellanza, di unità della Vita, e anche i sensi si ritraggono per ascoltare la "Musica delle Sfere" che solo nel silenzio si può percepire.

Vi lascio un brano sulle qualificazioni del discepolo tratto da Tat Tvam Asi (edizioni Aśram Vidyā) che Raphael stesso (a pag 93) suggerisce come il "primo" da leggere....(e da rileggere).

R - Parliamo delle qualificazioni. La prima è l'intensa aspirazione alla Liberazione. Dev'essere così forte da condizionare tutto il patrimonio psichico. Quando il fuoco aspirazionale è portato al giusto sviluppo, allora ogni ostacolo viene bruciato senza difficoltà. La Realizzazione si concede a chi sa amarla. L'asparsa yoga non è per i deboli, per tiepidi o per coloro che vogliono acquisire poteri psichici o virtù missionarie. Se c'è un'ardente sete d' integrale soluzione della problematica esistenziale ad ogni livello e grado, allora si è pronti a percorrere la via senza ritorno.

La seconda qualificazione è quella che consiste nel saper rientrare in se stessi, creando un adeguato raccoglimento interiore suscettibile di ulteriori possibilità.

La terza è saper trovare l'ardire ad essere sordi a tutto ciò che il mondo e la società possono offrire sul piano delle consuetudini, della morale sociale, della letteratura, della politica e di ogni altra espressione che si riferisce alla condizione associativa dell'uomo. In un secondo tempo si può rientrare in tale orbita, ma con la coscienza cambiata.

La quarta riguarda l'istanza di ricerca caratterizzata dalla discriminazione mentale tra reale e non-reale. Ciò implica un'istanza di conoscenza.

La quinta qualificazione è quella di aderire alla Verità percepita.

Per l'asparsa yoga la Realizzazione si assimila alla Verità ultima, alla Realtà. La Liberazione si consegue quando la coscienza si svela quale Realtà; sotto questa prospettiva la conoscenza diventa coscienza.
L'amore è verso la Liberazione, è quindi amore per la pura Realtà.

Inoltre, sarebbe opportuno non porsi problemi di tempo, nè pensare che la Realizzazione debba avvenire secondo le proprie preconcette opinioni emotive, nè tenere in gran conto la propria educazione culturale-sociale.




*[Vivekacudamani: 03. I più rari presupposti (per la liberazione) sono tre e sono dovuti all'influsso del grande Signore (mahapuruṣa): la nascita in un corpo umano, l'ardente volontà di liberazione (mumuksutvam), la protezione di un Saggio già realizzato.]

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cannaminor
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Re: Raphael - Le qualificazioni del discepolo

Messaggio da cannaminor » 01/06/2020, 20:39

Raphael - Parliamo delle qualificazioni. (testo tratto da Tat Tvam Asi, per le edizioni Aśram Vidyā, di Raphael, pag 93)

1 - La prima è l'intensa aspirazione alla Liberazione. Dev'essere così forte da condizionare tutto il patrimonio psichico. Quando il fuoco aspirazionale è portato al giusto sviluppo, allora ogni ostacolo viene bruciato senza difficoltà. La Realizzazione si concede a chi sa amarla. L'asparsa yoga non è per i deboli, per tiepidi o per coloro che vogliono acquisire poteri psichici o virtù missionarie. Se c'è un'ardente sete d' integrale soluzione della problematica esistenziale ad ogni livello e grado, allora si è pronti a percorrere la via senza ritorno.

2 - La seconda qualificazione è quella che consiste nel saper rientrare in se stessi, creando un adeguato raccoglimento interiore suscettibile di ulteriori possibilità.

3 - La terza è saper trovare l'ardire ad essere sordi a tutto ciò che il mondo e la società possono offrire sul piano delle consuetudini, della morale sociale, della letteratura, della politica e di ogni altra espressione che si riferisce alla condizione associativa dell'uomo. In un secondo tempo si può rientrare in tale orbita, ma con la coscienza cambiata.

4 - La quarta riguarda l'istanza di ricerca caratterizzata dalla discriminazione mentale tra reale e non-reale. Ciò implica un'istanza di conoscenza.

5 - La quinta qualificazione è quella di aderire alla Verità percepita.


Vorrei provare questo esercizio di commento, meglio di chiosa, alle poche righe di cui sopra, che sono a tutti gli effetti dei sutra...

1 - Intensa aspirazione alla liberazione; intensa quanto? C’è forse un grado ed una misura per valutare tale intensità dell’aspirazione alla liberazione? Alle volte si è sostenuto che tale intensità deve essere tale da porre in secondo piano ogni altra scelta, desiderio, persino anelito.
Quando ogni altro possibile fare, desiderio, anelito passa in secondo piano rispetto all’ardente anelito alla Liberazione, allora tutto trova coincidenza e si concentra-focalizza in quell’unica aspirazione, la Liberazione.

2 - Rientrare in se stessi; perchè ri-entrare e non semplicemente entrare (le parole dei sutra non sono mai poste a “caso”). Evidentemente si fa riferimento ad un moto-direzione che deve trovare inversione, conversione, ri-entro per l’appunto rispetto alla direzione ordinaria di marcia.

Qual’è la direzione ordinaria di marcia del divenire? Quella del soggetto verso l’oggetto, quella dell’io (aham) verso l’altro da sè (idam), quella estroversa, quella essoterica, quella verso “fuori”, verso il mondo...

Parlare di ri-entro ha allora significato, quanto meno inizialmente, di dirigersi verso l’io, il soggetto individuato, pensante e agente di tutte le azioni che trovano di solito luogo ed esplicazione nel mondo, nell’oggetto, nell’idam (alterità).

Rientare è quindi una inversione di marcia, di direzione, quella che i greci chiamavano periagoghè-metanoia, è il conosci te stesso, il domandarsi “chi sono io” di Ramana memoria.

3 - La terza credo non richieda alcuna chiosa, si spiega chiaramente da se stessa.

4 - discriminazione mentale tra reale e non-reale … istanza di conoscenza

Qui cominciano a svilupparsi quelle ulteriori possibilità relative ad un raccoglimento interiore così come descritte al punto secondo. La discriminazione mentale tra reale e non reale altro non è che il neti – neti. Discriminare la realtà di in oggetto (perchè è questo che di fatto si sta discriminando) vuol dire discriminare la realtà del “questo e quello” nella proposizione esistenziale “io sono questo e quello”. Ovvero la realtà del questo e quello in relazione all’io.
Detto altrimenti si discrimina quanto il “questo e quello” sia (realmente) “io” oppure no. Si scoprirà purtroppo che non c’è nessun “questo e quello” che soddisfi la condizione di realtà di essere “io”, ovvero l’io non è mai ciò che ha da sempre creduto-pensato essere. “Si diventa ciò che si pensa”, questo è l’attestato di direzione della proposizione “io sono questo e quello” che potrebbe anche diventare in un’ottica di movimento e divenire, “io divento (pensandolo) questo e quello). Cogito ergo sum ha una sua ragion d’essere là dove il pensare trovi coincidenza col diventare ciò che si pensa (sono).

Operando invece nella direzione opposta al diventare ciò che si pensa (io -> sono -> questo e quello), si scopre non senza una certa amarezza e poi paura, che venendo meno (non reali) gli oggetti viene meno parimenti il soggetto “io” che si credeva di esserli\lo nel divenire pensare credere di esserli\lo. Questo sfrondare, denudare l’io degli abiti-vestiti di cui si era vestito fino a poco innanzi è l’istanza conoscitiva di cui si parlava prima. È proprio per conoscere l’io che lo si spoglia e denuda di ciò che io non è. Peccato che come per le cipolle, l’io sia di fatto tutte “sfoglie” una sopra l’altra e difatti a forza di sfogliarlo si comincia a temere “via sfogliando” che non rimanga nulla di che sfogliarlo e questa è proprio quella paura di cui menziona Samkara quando dice:

<<Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da comprendere per molti yogi, perché essi, che sentono la paura (dell'annichilimento) laddove non esiste, ne hanno timore>>. (Mandukya Upanisad III, 39).

5 - aderire alla Verità percepita l’aderire alla verità percepita ha varie “chiavi di lettura”; una di queste potrebbe essere che la protratta opera di denudazione-spogliazione dell’io di ciò che non è (i vari vestiti e rivestimenti indossati in identificazione) leggasi depurazione, purificazione, calcinazione direbbe l’alchimia, etc, sortisce un accentrarsi, un portarsi al centro del disco coscienziale in perenne movimento rotatorio divenire. Dal moto, dal movimento, dal divenire periferico ci si porta per spogliazione dei movimenti stessi verso il centro, ovvero si rallenta il moto fino a fermarsi nel centro stesso della ruota-disco. È solo da qui, dal centro di questo disco-piano orizzontale in rotazione che si può ascendere e prendere una via verticale rispetto all’orizzontale nel quale ci siamo mossi sino ad ora. Volendola vedere ancora in un modo diverso si ascende, si trascende il piano sul quale siamo, man mano che ci spostiamo verso il centro, man mano, visto in un’ottica tridimensionale di ascesa del monte-cono, saliamo e ciò facendo ci spostiamo sia verso il centro e sia verso l’alto. Arrivati in cima saremo comunque al centro e fermi privi di moto (non ci sarà altro verso cui muoversi) e trascesi rispetto alla circonferenza di base del cono da cui eravamo partiti. Come la si vede si vede c’è un fissarsi (il coagula del “solve et coagula” alchemico, così come il solve trova coincidenza nel precedente quarto passaggio della purificazione, depurazione, calcinazione) che ha significato sia spazio\temporale che di moto (i cui due parametri che lo descrivono sono per l’appunto lo spazio ed il tempo).

La verità cui si aderisce è un aderire e fissarsi nel centro, nel non-moto, non-divenire, nella costante e continuo essere, fermo e centro “osservatore-testimone” di ogni divenire movimento.

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