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Raphael - Umiltà

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cielo
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Raphael - Umiltà

Messaggio da cielo » 30/05/2018, 20:27

Umiltà

La conoscenza insegna l'umiltà, anzi, la impone poiché l'Umiltà è condizione imprescindibile per la Conoscenza; l'Umiltà (bhumitva), nel senso più vasto del termine, è la Conoscenza stessa e questa è quella. Per cui, come avviene per la conoscenza, anche l'Umiltà è suscettibile di graduale comprensione e attuazione, e investe l'essere non solo in una delle sue modalità espressive periferiche, ma nella totalità delle sue possibilità essenziali.

Se la vera Conoscenza non si limita all'acquisizione concettuale di nozioni e rappresentazioni ma coinvolge l'essere integralmente in un moto autorisolutivo di trasformazione, riconversione e sublimazione (cio è la catarsi platonica, in cui non è solo il particolare veicolo-strumento ad appropriarsi di un dato concetto filosofico o metafisico, bensì è la coscienza stessa a nutrirsene assorbendolo essenzialmente e realizzandolo per immedesimazione-identità); all'apice di tale traiettoria parabolica, e di là da ogni vincolo inerziale (quindi di là da qualsiasi condizione contingente di carattere istintuale-sensoriale o emotivo-mentale), non può che svelarsi uno Stato stabile in sè, imperturbabile e inalterabile, privo di modificazioni in quanto puro Essere (sat) in cui ogni ente ed evento trova esistenza, manifestandosi ed esprimendo nel proprio ciclo una delle indefinite modalità di vita.

E' in tale acondizione, che sta al principio, nel mezzo e alla fine, la quale si svela soltanto al verificarsi della soluzione del proprio essere-conoscere nella pura Conoscenza-esistenza (sat-cit), che si può comprendere il valore dell'Umiltà in tutta la sua portata.

Essa non costituisce solo una virtù morale, benigna e vincolata al piano umano, quindi di carattere etico o religioso-sentimentale; nè può dirsi essere soltanto dote intellettuale, per quanto l'Umiltà di cui si è detto comprenda senz'altro tali qualità positive.

Essa rappresenta un simbolo spirituale e come tale racchiude un immenso, infinito valore poichè rappresenta il compimento della totale rinuncia ad ogni identificazione cioè, rinuncia verso l'intera capacità del contenuto mentale, dall'oggetto grossolano all'Essere universale (Isvara), ed è quindi l'essenza stessa della rinuncia (samnyasa) nella sua forma più elevata: l'autorinuncia; vale a dire, la rinuncia verso se stessi,la rinuncia del jiva-centro dell'autocoscienza ad "esistere" come entità separata, quindi la sua soluzione ed estinzione (nirvana) nel Sè-atman.

Umiltà è autorinuncia; e l'espressione vitale umile e comprensiva non solo prelude in certa misura alla propria elevazione spirituale, ma di fatto consegue alla Conoscenza-realizzazione completa; diremo che essa è il "chiaro segno" della Conoscenza onnipervadente la quale palesa l'Unità di Coscienza di colui che è pervenuto a vivere realmente e totalmente la propria visione onnicomprensiva.

Poichè comprendere è conoscere ed essere a un tempo, la totale e incondizionata rinuncia (parasamnyasa) rivela la propria disposizione coscienziale ed esistenziale a Essere, avendo compreso, e quindi trasceso, ogni aspetto del divenire.

Così, l'Umiltà è la naturale conseguenza della discriminazione (viveka) e del distacco (vairagya), quindi della non-identificazione limitante: la libertà che essa implica è privilegio solo di chi ha realizzato la propria Identità con l'assoluto Essere.
Da qui scompare qualsivoglia interpretazione sentimentalistica e restrittiva dell'Umiltà, svelandosi nel contempo la sua vastissima e illimitata accezione e implicanza.

L'autorinuncia-umiltà comporta, se integralmente vissuta, non uno svilimento o degradazione dell'essere, bensì un arricchimento senza limite, una sconfinata integrazione, vera e propria dilatazione onninclusiva, quindi una espansione della coscienza all'infinito sino a realizzare la coincidenza-identità con l'unità del Brahman priva di secondo.

Allora, è solo nel prendere atto del vero significato dell'Umiltà che si possono altresì riconoscere la rarefazione, la purezza, la risplendente eterogeneità di chi si è risolto, dileguato, dissolto come goccia nel mare del Sè, di Colui che più non c'è in quanto è.

Inoltre, è ponendosi umilmente in sintonia, in ascolto e in attesa che si può cogliere l'infinita presenza continua di Colui che, Uno senza secondo, sembra alla mente essere assente nel luogo, nella forma, nel dato e così via.

Se l'humilitas del corpo e della mente appartiene a coloro che operano la giusta azione nel giusto posto (dharmika karma), l'humilitas dello Spirito compete a colui che, mansueto, pacificato e sottomesso a tutto, si è posto coscienzialmente di là da ogni manifestazione esteriore, da ogni espressione formale o informale, manifesta o immanifesta, da qualsiasi contenuto mentale e persino dalla propria Idea principiale e si è ritrovato, in quanto puro e assoluto Essere-conoscere, come il Sostrato e il sostegno di ogni conoscenza ed esistenza e, in quanto Assoluto, àmbito e luogo di ogni relatività, così come la terra (humus) è il supporto per la creatura vivente.

L'Umiltà, dunque, non può rispondere a un atteggiamento esteriore che si esaurisce in una posizione mentale, soggetta a nascere e a dissolversi; essa deve invece costituire un preciso stato coscienziale da cui ogni cosa emana e fiorisce spontaneamente.
Umiltà è "essere il sostrato di tutto", essere Brahman, o semplicemente essere senza secondo.

Pertanto, vera Umiltà è espressione di identità con il Sostrato e più che una condizione procurata e transitoria o comunque relativa, è lo Stato per eccellenza, ove regna l'Equilibrio perenne e stabile (sanatana-dharma) trascendente e presente sia nel movimento che nella stasi e, infine, dove si svela l'Essere assoluto e non qualificato, fondamento metafisico di ogni possibile qualificazione, conseguente esistenza relativa e divenire stesso; quindi la pura Realtà metafisica come Coscienza non duale (advaita-caitanya).

Il Regno dei cieli è dei "poveri in spirito", poichè è nel non-attaccamento, nella non-adesione dello spirito agli oggetti del mondo della maya che l'Anima (jiva) si risolve nell'atman, svelando la Libertà (moksa) che è la sua stessa natura e che è propria di Quello che è unico e privo di dualità.

Se il jiva è riflesso dell'atman nell'atman stesso, la consapevolezza che esso esprime è riflesso di coscienza nella Coscienza, "spirito nello spirito", ed è per questo che esso può risolversi nel Sè riconoscendosi Sè non duale.

E tale riconoscimento può coincidere con una vera "presa di consapevolezza" solo a patto di aver rinunciato a tutto, compreso se stessi in quanto io empirico, ossia a condizione di aver compiuto un estremo atto di Umiltà totale e integrale.

Si può ben dire, allora, che l'Umiltà sia il supporto della sadhana oltre la caratteristica di colui che è già pervenuto alla Mèta: essa solo concede a quell'infinitesima scintilla che è il jiva di ritrovarsi infinita Luce del Sè, la quale illumina enti ed eventi.

E' questa Umiltà che trasfigura nella sovranità di chi, avendo rinunciato a tutto, possiede realmente tutto quanto in quanto è il Tutto; essa è l'infinita, radiosa chiarezza consapevole di Colui che ha realizzato l'Unità di Coscienza, cioè di Colui che, risvegliato alla piena consapevolezza della Realtà non duale, vive da spettatore (saksin) l'immensa rappresentazione dell'esistenza e degli esistenti.

L'Umiltà, infine è la Dignità di Colui che "riconoscendo tutte le cose nel Sè e il Sè in tutte le cose" è pronto e disposto a tutto accogliere, abbracciare, comprendere, condividere; insomma, a essere uno con tutto.

Beato è Colui che "umile tra gli umili" ha compiuto la vera autorinuncia a livello di coscienza e quindi di esistenza e, nella totale pacificazione che consegue al supremo distacco, ha risolto la dualità soggetto-oggetto e la stessa unità della autocoscienza jiva-Isvara assorbendosi nella Realtà non duale come Conoscenza pura, fondamento di ogni conoscenza-esistenza.

Vi è dunque una sola, vera Umiltà ed è quella che si riflette nella pax profunda di chi ha compreso in sè ogni cosa, di chi, riconosciuta la necessità di realizzare in prima persona la non-dualità del Sè, si è immerso nell'atman e si è ritrovato Pienezza infinita di Coscienza e Beatitudine.

Quando la nota dell'Umiltà si è fusa all'unisono con quella della Conoscenza, quando questo intimo connubio avrà conformato a sè l'intera spazialità dell'essere, risolvendo quella che è semplice metamorfosi (divenire) in una vera trasmutazione, e quella che è invenzione immaginativa in pura Coscienza senza contenuto, allora, e soltanto allora, potrà instaurarsi il Silenzio perfetto dell'Uno-Bene, del Non-qualificato (Nirguna), del Quarto (Turya) come chiara, silente Consapevolezza, onnipervadente come l'etere.


Raphael - Fuoco di Risveglio – Unità nel cambiamento - Umiltà. Edizioni Asram Vidya, pag. 87 -92

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