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Sai Baba - La morte

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cielo
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Sai Baba - La morte

Messaggio da cielo » 17/01/2017, 18:57

"Del loro benessere Io mi faccio carico ora e sempre"
Dopo che Arjuna fece l'esperienza della visione di Dio nell'Universo e di Dio come Universo e, piangendo di gioia, vide Brahma il creatore, tutti gli Dei, i saggi e i santi, le diverse varietà di esseri e di oggetti animati e inanimati emergere da quel "volto terrifico" le cui fiamme di splendore si diffondono fino alla più remota lontananza, Krishna comincia a parlare della morte.

"Hai visto Arjuna? Hai capito ora che Io sono il Creatore, il Sostenitore e il Distruttore di tutte le attività, di tutti gli esseri ed oggetti?
Comprendi che su questo campo di battaglia non puoi salvare nè uccidere nessuno?
Tu non hai il potere di uccidere, nè essi hanno il potere di morire, neppure se si sforzassero.
Vivere e morire sono entrambi diretti dalla mia volontà.
Io porto il peso della terra, Io creo il peso, Io lo reggo."


Così affermò Krishna, dando un colpetto affettuoso sulla schiena del cognato e parlandogli dolcemente per mitigare la sua estasiata eccitazione.

Arjuna aveva visto la forma cosmica che non aveva mai visto prima, nè l'aveva concepita, e comprende che è una Verità concreta.
Ma siccome non regge l'intensità dell'esperienza, prega Krishna di riprendere la sua forma ordinaria.
Nella sua Grazia, Krishna acconsente e spiega:

"Arjuna, tu ora hai visto questa mia Forma universale, una visione che non si può sperare di ottenere nè con l'ascetismo o le austerità e neppure con i più alti livelli di sapienza vedica.
Questa visione può essere conseguita solo da chi è devoto a Me, con una dedizione assoluta che non ammette la benchè minima distrazione.
(...)
Io chiedo solo questo: Ananyabhakti, devozione totale priva di qualsiasi distrazione, pensiero od emozione.
Avendo la mente fissa sul Divino, sulla personificazione stessa della Verità, eterna e pura, non può esistere l'identificazione del Sè con il corpo.

Ma la mente deve arrendersi completamente, altrimenti non ci sarà il passaggio tra il saguna nirakara e il nirguna nirakara: contemplazione del Divino con forma e senza forma (stadio atmico)
Se la mente si arrende il desiderio è estirpato e cessa la brama per i piaceri oggettivi, così l'individuo diventa come la polpa secca all'interno della noce di cocco che si libera e si stacca dal guscio e dalle fibre esterne, non germina più e può rimanere per sempre così senza alterarsi.

Analogamente l'individuo non avrà più nè nascita nè la morte che ne consegue, in altre parole sarà liberato.
Diventare come la noce secca dentro il guscio è lo stadio del Jivanmukti, libero mentre è ancora in vita.
Il mondo è visto come Paramatma, il Sè universale.
Comprende che l'effetto non può essere diverso dalla causa.
Gli esseri sono le foglioline tremolanti dell'albero della vita, Il mondo è soltanto una mutazione del brahman che lo costituisce.
Il brahman è' il seme dell'albero della vita: Ashvattha, le cui radici sono in alto ed i rami in basso. (BG 15.1)

Ci si esercita in questa "visione" del Paramatma, che dovrebbe diventare unico "oggetto" di meditazione e nella Gita sono contenute le istruzioni operative per mantenere questa pratica costante

Esserci, stare nel presente considerando anche che:

Gli uomini, riferendosi al sole dicono che sorge e tramonta, ma il Sole non si muove.

Il movimento del sole si riferisce unicamente alla loro visione e a nient'altro.

Di fatto il sole non sorge e non tramonta.
Anch'io sono così: non nasco e non muoio.

Prima o poi il corpo è destinato ad andare distrutto, tutti lo sanno, è un fatto elementare.
Pur tuttavia hanno tutti paura della morte. Nessuno le da il benvenuto, nè è desideroso di incontrarla.

La morte è inevitabile, dovrete incontrarla un giorno o l'altro, anche se non la gradite o cercate di evitarla; infatti tutto ciò che è nato deve morire, ma nessuno vuol morire!
Qual'è la chiave di questo paradosso?
Prestate attenzione!
Cos'è che non accoglie volentieri la morte?
Che cosa muore?
Cos'è che se ne va e che cosa rimane?
Ciò che non muore è l'Atma, ma voi vi ingannate pensando che sia l'Atma o "Voi" a morire.
Il Sè non ha nulla a che vedere con la nascita e la morte. E' il corpo che sperimenta la morte; l'Atma, che è eterno, vero, puro, non muore.
Voi siete l'Atma a cui non piace morire. In altre parole voi siete Sat.
Il Sè è il "Figlio dell'immortalità", non il corpo. L'Atma è Sat, non il corpo.
Voi siete Sat, il Sè, l'Entità che non ha morte.
Poichè questo Sè si trova nella gabbia del corpo, tutti gli esseri sentono la forza di Sat nello forma di Esistenza eterna ed immutabile.
(...)
L'Attimo della morte non significa "qualche momento futuro", ma piuttosto "questo stesso istante".
Qualsiasi momento può essere quello della morte, perciò ogni istante è l'ultimo e deve essere colmato con il Pranava.


Krishna sta spiegando i sette aspetti del Divino in manifestazione, le sette entità/espressioni in cui si manifesta.

La settima è il Pranava, la sacra sillaba Om che se pronunciata al momento della morte conferisce la fusione nell'Akshara Parabrahman stesso, nel Brahman assoluto, imperituro e indistruttibile.

Invita alla pratica costante, a dedicare gli anni della vita alla disciplina spirituale in modo che nell'ultimo momento possa sorgere il pensiero del Supremo, o Pranava.

Nessun albero dà i frutti nel momento stesso in cui viene messo a dimora nel giardino, di conseguenza Krishna invita Arjuna a seguire meticolosamente e senza interruzione delle discipline preparatorie.

Come si muore: il desiderio dell'aspirante spirituale deve essere distolto dal "come si nasce" per essere indirizzato verso il "come si muore", poichè la nascita dipende da come avviene la morte, infatti prima viene la morte, poi segue la nascita.

La gente crede che l'uomo nasca per morire e che muoia per rinascere. Questo è sbagliato! Siete nati per non dover più rinascere; morite per non dover più morire, ovvero l'uomo che muore deve morire in modo tale da non avere un'altra nascita.
Quando morite non dovete rinascere per andare incontro ad un'altra morte: una volta nati, la morte è inevitabile; pertanto evitate la nascita e con essa eviterete la morte.
(...)
Se si mira ad ottenere una buona morte, si può quindi evitare il fastidioso inconveniente di rinascere per poi essere soggetti ancora a morire.
Ogni uomo che è nato deve tenere sempre d'occhio la sua fine.

La condizione che non conosce questo "va e vieni" è quella in cui si realizza il Brahman universale.
Poichè il Brahman pervade tutto, dove può essere altro luogo dal quale provenire o verso il quale andare?

Moksha: scomparsa dell'illusione dell'andirivieni.

Di solito al momento della morte, la gente comune non riesce a fissare con facilità la mente su Dio. Il processo presuppone un lungo allenamento.

Pertanto Krishna comincia a descrivere come il Divino debba essere visualizzato durante le fasi della disciplina spirituale e con quali sentimenti ed emozioni deve essere fissato nella mente, che dovrebbe essere domata ed allenata visto che se la mente si deteriora tutto il resto si degrada, difatti l'uomo si muove alla velocità della sua mente e nella direzione che la mente prende.

"Chiunque fra i devoti dedichi a Me tutte le sue azioni senza nessun altro pensiero, chiunque mediti su di me, mi serva, mi adori, mi ricordi, egli sa che Io sono sempre con lui e provvedo a lui in questo mondo e nell'aldilà. Io mi farò carico del suo benessere. Mi hai sentito?"

domandò Krishna, battendo nuovamente sulle spalle di Arjuna per infondere coraggio al suo cuore avvilito.

(brani tratti da Sai Baba, La divina canzone. Mother Sai publications)

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anam

Re: Sai Baba - La morte

Messaggio da anam » 17/01/2017, 23:25

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Se cercando un giorno i sorrisi delle nuvole, troverai il fiore dell'arcobaleno, chiamami figlio mio, il mio respiro sarà lì con te senza abbandonarti mai e quando nel dolore le tue orecchie udranno silenzi o clamori, essi saranno la mia pena per te. Puoi piangere, puoi urlare, ma ricorda che sono te, mentre tu che vivi in me per scelta o peccato o per altro che credi, sarai comunque me ed è questo 'te' che ti conferma il sole dopo le tempeste e i bui della notte dell'anima.
Siine certo.


Sigife Auslese
Et in arcadia ego animam recepi
Elogio dell'illusione d'essere
edizioni I Pitagorici

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