Mauro ha scritto:Come la troviamo la pace dai questi moti, cielo?
Rifiutandoli o accettandoli?
Da quello che scrivi credo che tu opti per la seconda ipotesi, anche se molto spesso ci è consigliato di lasciarli fuori dalla porta e confinarli al di fuori della nostra esistenza, invece che farli entrare e farci passare attraverso, con le relative conseguenze, però.
In entrambi i casi è sempre una scommessa con l'ignoto: sia che poniamo la barriera, sia che facciamo crollare la diga, non possiamo conoscere cosa ci capiterà, e forse è quello il motivo del mio atteggiamento un po' schizofrenico rispetto agli accadimenti della vita.
Rifiutandoli o accettandoli?
Direi entrambi. La mente è uno strumento adeguato per conoscere e sperimentare il relativo, il mondo transitorio delle esperienze subite dall'"io sono tal dei tali", creduto vero e assolutizzato, l'esterno , il divenire fenomenico: quello che penso di essere e quello che gli altri pensano che io sia. Non quello che "sono", a prescindere dall'apparenza del me-fenomeno.
Dirigere la mente all'interno e focalizzare l'attenzione sul puro Essere, sulla consapevolezza di esistere come centro di percezione dell'esistenza a cui questa "forma" condensata in materia partecipa, è, in sintesi, la sadhana che ognuno dovrebbe compiere (per come l'ho capita io che scrivo, naturalmente), secondo le proprie particolarità e tendenze, uniche ed irripetibili. Chi ha sperimentato quello stato di non moto, di Puro Essere consapevole di sè, non ha certo bisogno di parole per descriverlo (pur usandole con parsimonia, come Ramana, ad esempio), basta la sua sola presenza silenziosa a trasmettere la beatitudine del ri-trovarsi in quello stato oltre il relativo: satcitananda. Nel Sole, non sul raggio che illumina una particella di esistenza transitoria, insieme ad infiniti altri raggi che illuminano l'altrove per il singolo raggio.
La mente si serve dei sensi per esplorare, durante lo stato di veglia, il mondo che conosce, a cui dà vita proprio pensandolo, credendolo esistente a sè stante, separato, dotato di esistenza autonoma, in contrapposizione al soggetto che lo percepisce e si percepisce autonomo.
"Tu" però esisti nel momento in cui "Io" ti faccio esistere, ti creo, nel mio pensiero, altrimenti non esisti.
Interessante come nello stato di sogno, deposti gli strumenti sensoriali insieme al corpo grossolano "disattivato" dall'azione, la mente crei un corpo di sogno in cui identificarsi e tramite il quale sperimentare altri oggetti da lei stessa creati e percepiti tramite sensi "sottili", non fisici.
Dunque, per come la vedo io, rifiuto e accettazione dei moti mentali ed emozionali vanno di pari passo. Vedo la mia mente partire per la tangente e partorire pensieri ed emozioni che mi destabilizzano avendo portato in esistenza, nel ricordo, uno scenario con dei personaggi che mi creano problemi nella relazione, ad esempio.
Utilizzo uno strumento, una spina, per togliere la spina che sento penetrare nella mia "carne mentale". Io uso il mantra e il namasmarana essenzialmente, oppure la meditazione sul respiro che entra e che esce: so ham; sono lo spillo con cui cerco di togliere la spina che sta penetrando.
Rifiuto quei pensieri, pur accettandoli in quanto sempre "miei" figli, mie creature, credenze, proiezioni, modelli, vasana.
Vedo e rifiuto il mio cristallizzarmi in quell'"io sono questo e quello" che basa la propria inconsistente esistenza non sulla consapevolezza di essere (quell'atma che non entra e che non esce, ma sempre è), ma sul ricordo del passato e la proiezione in un futuro immaginato.
Rifiuto che la mia mente creda in quello che pensa, che lo assolutizzi, ma accetto di non riuscire h24 a non essere travolta dal suo moto, dalla sua fame mai placata.