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Sforzo o non sforzo per il Sé?

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Fedro
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Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 17/12/2016, 16:05

Tratto da Pensiero del giorno - 15/12/2016, 11:37

48. Il Sè non diventa certamente puro con lo yoga in otto parti né diventa puro con la distruzione della mente né lo diventa con le istruzioni di un Maestro. Egli stesso è verità e illuminazione.

La purificazione che molte scuole propongono per raggiungere la realizzazione, non modifica o migliora in alcuna maniera il Sè. La realizzazione del Sè non è l'effetto di un cambiamento, di una serie di azioni o artifizi che modifichino qualcosa. Non esiste un Sè che necessiti di purificazione per essere realizzato. Il Sè o atman è ugualmente identico alla Realtà assoluta che pertanto non è migliorabile, modificabile o comunicabile.
Non esistono segreti, incantesimi o mantra che una volta bisbigliati sottovoce da un Maestro diano la realizzazione a chiunque li ascolti o li ripeta; altrimenti sarebbero false tutte le sacre scritture del mondo, poiché ognuna sostiene la propria veracità, ma nessuna ha mai comportato realizzazioni di massa, dopo il loro semplice ascolto o lettura. Ugualmente, dove sono coloro che si sono realizzati attraverso lo yoga o la meditazione? Milioni di persone praticano queste tecniche, seguono dei corsi, pagano degli istruttori, ma quanti di costoro si sono realizzati? E quanti di coloro che lo dichiarano lo sono realmente, invece di cercare solo riscontri materiali o psichici?

Avadhutagita. Commento di Bodhananda. Edizioni I Pitagorici

seva
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da seva » 17/12/2016, 16:06

D. Lei afferma che non occorre alcuno sforzo per realizzare il Sé.
R. Come può ciò che è l’Assoluto incausato essere determinato da altro? Esso non ha alcuna relazione con qualsiasi causa. Se lei chiude gli occhi, non sta cancellando il sole e quando li riapre non lo sta ricreando. Il sole è a prescindere da lei e da quello che lei può fare. Non deve fare nessuna fatica per vedere il sole, non è lei a crearlo. Ma se lei non ha alcuna intenzione di aprire gli occhi è chiaro che il sole non lo può vedere. Tutto lo “sforzo” è nel convincersi ad aprire gli occhi, ma se lei ha altro da immaginare, da sognare, etc. etc. ecco che prima di aprire gli occhi vorrà soddisfare i suoi desideri di altro. La realizzazione non duale del Sé, per come testimoniata dalla tradizione advaita, è la stessa cosa. La dualità fa sì che nell’ente ci siano contrapposizioni, da un lato si desidera l’assolutezza del sommo bene, dall’altro si desiderano soddisfazioni circostanziali. È solo una questione di urgenza, di importanza, di potenza... il desiderio più urgente, più importante, più potente è quello che prevale.

Premadharma, Vedanta Novembre 2016, Vidya Bharata

Mauro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 17/12/2016, 16:07

Quindi la soluzione è smettere di sforzarsi o sforzarsi di smettere (con le proiezioni credenze pensieri eccetera) ?

cielo
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da cielo » 17/12/2016, 16:52

Mauro ha scritto:Quindi la soluzione è smettere di sforzarsi o sforzarsi di smettere (con le proiezioni credenze pensieri eccetera) ?
Ho letto recentemente un passaggio dello Śiva sūtra che, secondo me, potrebbe rispondere alla tua domanda, dove spiega che nel caso di una ricerca sincera e spontanea del Sè, frutto cioè di una reale libertà di coscienza e non di una decisione, che sarebbe solo l'effetto di una "condizione" a monte, la sādhanā stessa è vero risveglio ed espansione coscienziale, e non un futile atteggiamento mentale, ma diretta espressione di quella stessa coscienza volta a comprendere il Tutto, a realizzare l'Unità indivisa. Quindi, per come la vedo io, agire in entrambe le direzioni che tu indichi è funzionale allo scopo, se questo è chiaro al ricercatore.

2. Il sādhaka è lo stesso impegno (II Capitolo).
(...)
"Così, ogni aspetto della sādhanā non va interpretato come causa o "mezzo" di realizzazione, bensì deve essere riconosciuto come effetto della realizzazione stessa o espressione dello stato coscienziale; la comprensione, sintesi di coscienza, non ammette deliberazioni o scelte, essa svela semplicemente la Realtà così qual Essa è."


Dunque la causa, il mezzo e il fine tramite i quali si realizza e si svela l'Essenza del Tutto, è la stessa attenzione coscienziale, l'impegno di colui che persegue tale meta "liberamente". Vista in questa ottica la sādhanā è l'unidirezionalità della coscienza che, liberandosi dall'identificazione con la forma, non trova più alcuna resistenza di sorta e viene attratta dal Sé.


"Quale altra meta, per cui valga l'esistere, se non la ricerca del Sé e la sua realizzazione, cioè l'Esperienza diretta della propria reale Identità?
Perciò, non sul conosciuto v'è da porre l'attenzione, né sul conoscente, bensì sulla Conoscenza in sé che, nelle sue varie forme e riflessi, è il loro tramite, il loro principio e la loro fine.
«Rispetto a questa verità che, cioè, la Coscienza è autoluminosa, che bisogno c'è di ragionamenti? Se essa, in effetti, tale non fosse,
il tutto sarebbe insenziente, e quindi senza luce»* (I Capitolo)



Le citazioni in corsivo sono tratte da Śiva-sūtra di Vasugupta. Edizioni Asram Vidya. La citazione interna è tratta da Abhinavagupta, Tantrāloka (Luce delle sacre Sacre scritture): II, 10. A cura di R. Gnoli, Utet

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Fedro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 17/12/2016, 17:14

Mauro ha scritto:Quindi la soluzione è smettere di sforzarsi o sforzarsi di smettere (con le proiezioni credenze pensieri eccetera) ?
beh, non credo sia possibile smettere di sforzarsi, anche perchè sarebbe allora comunque uno sforzo uguale e contrario per impedirlo.
Dunque la seconda, direi: sforzarsi di smettere (di proiettare.credere, pensare..) e se ci fai caso, la sadhana mira sempre e solo a quello: nel caso della bahkti, c'è piena adesione tra te e il divino, dunque è tutto suo..anche i pensieri, credenze e proiezioni che sorgono, fino ad essere inghiottiti dal Divino stesso (non conosco però questa via)
Nella via di conoscenza invece, osservando, si torna indietro dentro se stessi, sempre più a fondo, smettendo di puntare gli occhi fuori, e questo introiettamento, non produce altro che la fine della corsa, non producendone altre

Mauro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 17/12/2016, 20:13

Cielo, quello che scrivi è molto interessante perchè mi ricorda quanto affermava il maestro del buddhismo zen soto, Dogen, che diceva che pratica è illuminazione.

Mauro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 17/12/2016, 20:21

Mauro ha scritto:Cielo, quello che scrivi è molto interessante perchè mi ricorda quanto affermava il maestro del buddhismo zen soto, Dogen, che diceva che pratica è illuminazione.
Con la premessa che la pratica è proprio assenza di sforzo, perchè lo sforzo ad ottenere "qualcosa che già si è", di per sè distoglie proprio dalla consapevolezza di ciò che si è.

Leggo, sempre a proposito del pensiero di Dogen al riguardo:
"Sforzarsi di ottenere qualcosa che crediamo di non avere quando è invece, sempre nelle nostre mani è davvero perdersi nell'illusione. La concezione fondamentale di Dôgen rispetto alla pratica viene espressa concretamente attraverso la creazione di una nuova parola, shûshô, tradotta come "pratica/illuminazione" per significare che la pratica cessa di essere considerata un mezzo, ossia un "abile mezzo" (upaya) per identificarsi con l'illuminazione stessa. La pratica non è diversa dall'illuminazione e viceversa."

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Fedro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 17/12/2016, 22:41

Mauro ha scritto:
la pratica è proprio assenza di sforzo, perchè lo sforzo ad ottenere "qualcosa che già si è", di per sè distoglie proprio dalla consapevolezza di ciò che si è
Nessuno sforzo conduce a ciò che si è, certo, ma questo non significa al contrario che vi conduce l'assenza di sforzo, se nemmeno sappiamo cos'è..
Dunque come si raggiunge l'assenza di sforzo?
Oppure: se accade da sé, che senso ha discuterne come pratica?
Forse invece la domanda reale da farsi è innanzitutto quella che poneva Premadharma:
qual'è il tuo desiderio più urgente, importante, prevalente, potente?
La risposta mi pare contenga la radice e la potenza della pratica stessa

Mauro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 18/12/2016, 7:34

Mah, personalmente non vedo grande differenza tra il lasciarsi travolgere da desideri circostanziali e lasciarsi travolgere da quelli spirituali/ esistenziali.
La chiave sta, imho, nella scoloratezza, nell' assenza di aspettative, nel depotenziamento, nella cessione dello sforzo.
Con una metafora vedantica (sebbene non ami molto le metafore ma questa è abbastanza incisiva), la nostra vera immagine riflessa nell'acqua è quella quando non vi sono più increspature.

cielo
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da cielo » 18/12/2016, 9:20

Mauro ha scritto:Mah, personalmente non vedo grande differenza tra il lasciarsi travolgere da desideri circostanziali e lasciarsi travolgere da quelli spirituali/ esistenziali.
La chiave sta, imho, nella scoloratezza, nell' assenza di aspettative, nel depotenziamento, nella cessione dello sforzo.
Con una metafora vedantica (sebbene non ami molto le metafore ma questa è abbastanza incisiva), la nostra vera immagine riflessa nell'acqua è quella quando non vi sono più increspature.
Del tutto condivisibile come riflessione, ma la chiave che espliciti: scoloratezza, depotenziamento, cessione dello sforzo è pratica, sadhana, visto che il sadhaka è l'impegno stesso.
Attraversare i colori delle emozioni, il loro erompere come lava, depotenziarle e cederle alla vita, espirarle, in quanto inevitabilmente connesse al processo di identificazione in una mente pensante, è sempre un "fare", ma, come si evince dalle testimonianze trasversali alle varie "tradizioni" sapienziali è un fare che avvicina all'Essere, pur nella consapevolezza dell'assioma fondante: nessun fare vi porterà mai all'Essere.
E' un calare, un immergersi in profondità dopo essere stati a lungo a sballottare sulle increspature del Lago, immergersi in esso: pura Coscienza, consapevolezza di essere.
Il non-sforzo è il non-moto, il distacco dagli inarrestabili mutamenti dell'Essere nel divenire per immergersi, dissolversi e sperimentare la conoscenza per identità, non per apprensione.
Vedo in me stessa l'esteriorizzazione, la mente che ancora cerca qualcosa a cui aderire, qualcosa che la consoli, che la plachi.
Ma le increspature, i riflessi, non si interrompono mai, nel loro cangiare, per quanto li si implori di non sorgere o si "faccia" qualcosa.
La consapevolezza di essere lago è la costante coscienza di sè che si osserva e si distacca continuamente dai fotogrammi dei pensieri in cui si è separata per agire come io con il tu.
Cerca lo sfondo, il bianco schermo. E la motivazione è placare quell'arsura, quel dolore sordo e dilaniante.
Allora in quegli attimi di pura attenzione focalizzata sul nucleo, sul "cuore" dell'Essere, si sciolgono le tensioni che hanno generato le increspature e la sofferenza della separazione in forma-onda separata si attenua un po'.
Per un essere che si sente illusoriamente separato dal Tutto e ad esso si contrappone cercando di agire per colmare la scissura, il coinvolgimento nei desideri circostanziali, nel caledoscopio del mondo o divenire fenomenico, è normale, naturale, necessario per la sopravvivenza della forma indossata
Ma tutto questo non è "liberazione", è legame.
Inutile illudersi che il "non fare" che alcuni propinano come soluzione finale, per via dell'assenza teorica del libero arbitrio: "....che tanto tutto andrà come doveva andare. Non si muove foglia che Dio non voglia. Tanto è il Sè che sta agendo, tu non devi fare nulla, abbandonati" serva. Solo parole, secondo me. Non mi serve a nulla teorizzare di mollare la presa, se so di essere attaccata come una cozza ai palcoscenici sui quali si dipana la mia relativa vita mondana. Qui presente, sempre, finchè il soffio non mi abbandonerà.
Occorre tornare al campo base: lo sforzo per essere consapevoli che sotto l'increspatura c'è l'immoto lago dalle insondabili profondità.
Così forse potremo godere pienamente e partecipare, finchè Dio vorrà, dell'espressione vitale di tutte le forme, compresa la nostra e condividerne l'essenza immortale. Il Sè non ha entrata, nè uscita. Increspature e lago sono uno.

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 18/12/2016, 9:30

Mauro ha scritto:Mah, personalmente non vedo grande differenza tra il lasciarsi travolgere da desideri circostanziali e lasciarsi travolgere da quelli spirituali/ esistenziali.
La chiave sta, imho, nella scoloratezza, nell' assenza di aspettative, nel depotenziamento, nella cessione dello sforzo.
Con una metafora vedantica (sebbene non ami molto le metafore ma questa è abbastanza incisiva), la nostra vera immagine riflessa nell'acqua è quella quando non vi sono più increspature.
Seguendo l'esempio proposto da PD, mi sembra che tu stia dicendo che, non vedi un gran differenza tra l'aprire gli occhi per vedere il sole, e il lasciarli chiusi per sognare questo e quello, o illusorie immagini del sole.
Se invece non la vedi così, bisogna vedere cosa intendi per desideri spirituali/esistenziali rispetto invece a quelli circostanziali

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 18/12/2016, 9:58

Mi dispiace ma quella di aprire gli occhi al sole etc etc è una metafora che non si attaglia al mio sentire

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 18/12/2016, 10:16

Mauro ha scritto:Mi dispiace ma quella di aprire gli occhi al sole etc etc è una metafora che non si attaglia al mio sentire
È una metafora, certo.
Se a te non risuona, puoi argomentare diversamente, descrivendo magari, come ti dicevo, cosa intendi per desideri spirituali/esistenziali

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 18/12/2016, 14:53

Cielo, sono persuaso che ogni sadhana implichi sforzo ma mi domando: durante la sadhana, non si può cominciare a sfrondare, destrutturare, scolorire, farci attraversare dai colori della vita e non passare noi attraverso essi?
La mia è peraltro la riflessione di uno che passa tutta la vita a sforzarsi per questo e quello e vorrebbe abbandonare questo fardello.

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da cielo » 18/12/2016, 18:57

Mauro ha scritto:Cielo, sono persuaso che ogni sadhana implichi sforzo ma mi domando: durante la sadhana, non si può cominciare a sfrondare, destrutturare, scolorire, farci attraversare dai colori della vita e non passare noi attraverso essi?
La mia è peraltro la riflessione di uno che passa tutta la vita a sforzarsi per questo e quello e vorrebbe abbandonare questo fardello.
Penso che la sadhana sia proprio cominciare a sfrondare, destrutturare, scolorire, farci attraversare dai colori della vita e non passare noi attraverso essi e per farlo, per focalizzare l'attenzione sulla consapevolezza del Sè, fermi nel moto e silenziosi nel turbinio di pensieri, parole e azioni che sorgono ininterrottamente, sia nella veglia che nel sogno (quando creiamo un corpo e un mondo in noi stessi e per noi stessi) che altro possiamo fare se non passare la vita esercitandoci a trovare pace dai moti e dalle tensioni che ci attanagliano attirandoci all'esterno?

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 20/12/2016, 2:44

Come la troviamo la pace dai questi moti, cielo?
Rifiutandoli o accettandoli?
Da quello che scrivi credo che tu opti per la seconda ipotesi, anche se molto spesso ci è consigliato di lasciarli fuori dalla porta e confinarli al di fuori della nostra esistenza, invece che farli entrare e farci passare attraverso, con le relative conseguenze, però.
In entrambi i casi è sempre una scommessa con l'ignoto: sia che poniamo la barriera, sia che facciamo crollare la diga, non possiamo conoscere cosa ci capiterà, e forse è quello il motivo del mio atteggiamento un pò schizofrenico rispetto agli accadimenti della vita.

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 20/12/2016, 8:41

Mauro ha scritto:Come la troviamo la pace dai questi moti, cielo?
Rifiutandoli o accettandoli?
Da quello che scrivi credo che tu opti per la seconda ipotesi, anche se molto spesso ci è consigliato di lasciarli fuori dalla porta e confinarli al di fuori della nostra esistenza, invece che farli entrare e farci passare attraverso, con le relative conseguenze, però.
In entrambi i casi è sempre una scommessa con l'ignoto: sia che poniamo la barriera, sia che facciamo crollare la diga, non possiamo conoscere cosa ci capiterà, e forse è quello il motivo del mio atteggiamento un pò schizofrenico rispetto agli accadimenti della vita.
Mauro, mi ha lasciato molto perplesso la descrizione della prima modalità operativa rispetto ai "moti", e cioè quando dici: molto spesso ci è consigliato di lasciarli fuori dalla porta e confinarli al di fuori della nostra esistenza.
Ecco, non ricordo niente del genere tra le modalità operative, e anche per la semplice psicologia, sappiamo quanto ciò sia devastante: separarli da noi, cioè: ignorarli, reprimerli e quindi anche non lasciarli emergere per riconoscerli (o donarli al Divino)?
Non è piuttosto la condizione ordinaria da cui scongiuriamo di uscire, per liberarci dal dannoso e inutile fardello del mondo soppresso, e che ci impedisce di vivere più lucidi e aperti alla realtà?

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 20/12/2016, 9:43

Ho letto di maestri (soprattutto asceti ed eremiti) che intimano di "mettere al confino" certi atteggiamenti e desideri, ed il controllo dei moti dell'anima è pratica comune di quasi tutte le tradizioni.
Esempio: yoga- yug (soggiogare, mettere le redini: quindi confinare).

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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Fedro » 20/12/2016, 9:52

Mauro ha scritto:Ho letto di maestri (soprattutto asceti ed eremiti) che intimano di "mettere al confino" certi atteggiamenti e desideri, ed il controllo dei moti dell'anima è pratica comune di quasi tutte le tradizioni.
controllo sta per repressione, a mio vedere.
Ovvio che se sono tentato di aggredire qualcuno mi controllo..ma anche reprimere la rabbia fa alquanto male per il nostro equilibrio psicofisico. Francamente non ho ancora capito di che si parla.
Cioè: una cosa è dire che devo cercare di non essere vittima, nè di giustificare i miei impulsi, altro è il controllo delle emozioni e sentimenti, a mio vedere: cosa significa quindi per te "metterli al confino"?

Mauro
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Re: Sforzo o non sforzo per il Sé?

Messaggio da Mauro » 20/12/2016, 10:40

Dal vocabolario Treccani:

Confinare [...]
2. tr. a. Obbligare a risiedere in un luogo determinato, relegare; soprattutto come pena, mandare al confino: fu confinato nell’isola di Pantelleria. In senso fig.: appena vinto il concorso, fu confinato in un paesino di montagna; rifl.: dove ti sei confinato, che non ti si vede più in giro? b. non com. C. da un luogo, sbandire, scacciare: la carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo palazzo (Manzoni). 3. tr., ant. C. un luogo, limitarlo, stabilirne o tracciarne i confini. ◆

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