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La solitudine del ricercatore?

Inviato: 13/09/2021, 18:56
da cielo
Sono passati anni tanti anni, oltre dieci, da quanto mi affacciavo curiosa alle mailing list di cui era owner Bodhananda che funzionavano già da fine anni 90, in coincidenza con i primi libri pubblicati autonomamente e la predisposizione dei vari siti atti a testimoniare la tradizione unica metafisica universale (come la chiamava Bo).

Per me fu la possibilità di fare amicizia con molte persone e di partecipare a un sodalizio vivo con altri ricercatori che amavano leggere e studiare i miei argomenti filosofici preferiti. E con un Autista provetto a guidare la corriera.

Con alcuni si è rimasti in relazione, anche transitando in vari forum sempre attinenti al vedanta o allo yoga oppure mantenendo gruppi operativi per attività editoriali o per scambio qualsiasi. Altri non li sento da anni. A volte qualche fotografia che vedo da qualche parte me li mantiene vivi alla memoria.

Alcuni sono nel frattempo morti, come lampo, il respiro del vento e altri. Alcuni sono spariti senza lasciare tracce, altri sono potenzialmente rintracciabili.

In generale: ognuno perso per i fatti suoi. Restano amicizie che hanno resistito agli anni, e che "volendo" si potrebbero sempre riaccendere. Restano braci sotto la cenere? Forse.

Qualche volte si riaccendono per questioni operative: scambi brevi ed essenziali. Altro da dire sembra non esserci.
Prevalgono, al mio sentire, "virtù" quali il prudente riserbo, la riservatezza, la consapevolezza che "per dire tanto per dire" meglio tacere.
Nel silenzio sono racchiusi i più grandi segreti...o meglio: il segreto del Segreto.

Tra il 2005 e il 2015, circa, c'era un gran fermento creativo in noi aspiranti del vedanta e del raja yoga di Patanjali (su cui si concentravano alcuni), si dialogava molto, ci si confrontava anche animatamente, tutti un po' ubriachi dell'io pieno di aspettative e convinto di avere in mano le carte giuste per giocare su tutti i tavoli sapienziali.

C'erano "scontri" e "giochi al massacro", battaglie di parole, persone emotivamente ferite, offese, indignate...Sembrava una famiglia dove ogni tanto partono le valvole tra i fratelli e i cugini.

Però c'era anche la predisposizioni di note a commento di testi in corso di pubblicazione, articoli approntati per i siti, traduzioni, approfondimenti, collaborazioni costanti per aiutare il lavoro editoriale che ci rendevano capaci di superare le difficoltà per restare uniti a "fare". Dire che non avevamo la ricompensa è errato: quale più grande ricompensa di avere liberamente ricevuto e avere la possibilità di liberamente donare?
Nel complesso contenti di essere lì.
Ma...come diceva mia madre: "Troppa grazia Sant'Antonio!"*

Non durerà, niente è per sempre se in una forma. Prima o poi svanirà.

E poi, a quei bei tempi, soprattutto c'era il "confine" che veniva messo ad ognuno di noi quando andava fuori strada o si credeva già arrivato agli ultimi campi base in prossimità della vetta.

Quale vetta sembrava dirci, quella che ti sei messo in testa? Dove devi andare?
Qui c'è solo da "fare" se si vuol fare, altrimenti: aria e camminare...il mondo è grande e il web pure.
E si andava avanti, negli anni.

L'Autista, che era anche Giardiniere, sapeva sussurrare a tutti gli animali selvaggi che gli si affollavano intorno. Estirpare zizzanie e potare piante esagerate e invasive. Curare anche i cactus più spinosi era il suo forte.

Ad ognuno il suo recinto, la sua pappa quotidiana, le coccole, e se del caso la segregazione in cuccia separata...
Bei tempi..

Ma poi che cosa è successo? La forma fisica dell'amico preferito da tutti è svanita, eppure l'insegnamento ricevuto ci invita alla Presenza immutabile e immortale che transita, nella sua essenza, in una qualsiasi forma umana. Atma senza separazione. Il mistero della Cosa unica.

Solo che noi indossiamo occhiali colorati...altri se li sono tolti da quasi subito, già all'asilo avevano una certa chiarezza sull'inesistenza di un io che si crede e si sente il centro del mondo e che non è che un fantasma irreale e tenuto in piedi dalla paura.

Eppure ho l'impressione che continuiamo a pensarci e crederci un io, l'io che siamo e che pensiamo e crediamo di essere e in cui ci chiudiamo, pieni in noi stessi.

Un io che non c'è, che non esiste.
Nessuno sale la vetta, nessuno migliora, nessuno raggiunge alcunchè, ma occorre realizzare che tutto ciò è solo mente e mentale all'opera. E' un limite, il limite vero e proprio che ci separa da ciò che siamo veramente.
Eppure giriamo come trottole, anche da soli.

A quei tempi ci prendevamo gusto a additare quel limite agli altri e a subirlo.
Solo che avevamo l'amico preferito e compassionevole che ci teneva il tempo e suonava la sveglia a ricordarci che siamo dietro le sbarre che ci siamo costruiti intorno da noi stessi.
Occorre sgretolare quelle sbarre in quanto non esistenti, parto della mente che sa costruire solo limiti e sbarre per esistere lei stessa.
E' dura, durissima.

Certo che se l'Autista non avesse lasciato il corpo durante uno dei suoi innumerevoli viaggi sarebbe stato meglio per tutti. Oltre a farci trasportare, ogni richiesta di indicazione operativa o esistenziale veniva prontamente soddisfatta.
Non avevamo che da chiedere per avere risposta.
E in più dovevamo per forza stare tutti insieme, visto che c'era lui a discorrere con noi tutti insieme in quelle stanze.
Ṅon aveva tempo da sprecare per pettinare le bambole (come noi).
*

A volte percorro in chiave storico-sociologica questo lento declino che ha ridotto al lumicino oramai i gruppi di ricercatori e silenziato i forum.
Facebook ha indubbiamente contribuito al declino, molte conversazioni si svolgono lì, ma resta un po' superficiale e aleatoria la comunicazione, al mio sentire. Poi vanno forte gli incontri on-line. Ci siamo abituati ai tempi della segregazione rossa.

La difficoltà dei tempi recenti ha difatti lavorato per farci apprezzzare anche l'isolamento (se in buona salute).
E quindi la solitudine alla fine della fiera non pesa, e poi potenzialmente gli svaghi sono tanti, perchè mai preferire il vedanta?

Però sono sincera, mi mancano quei tempi di fermento creativo.
Stavamo cercando la nostra strada, la nostra pratica-non pratica. Probabilmente ci siamo riusciti.
Me lo auguro e lo auguro ad ognuno che passa di qui.

*Da wiki:
Troppa grazia, sant'Antonio! è un'esclamazione, divenuta locuzione metaforica, che significa ottenere più di quanto si desidera, con risultati spesso non del tutto positivi.
Origine:
Si narra che un mercante, arricchitosi dopo una vita di stenti, realizzò finalmente il sogno della sua vita: comprare un cavallo (ma una variante parla di asino). Quando però si trattò di montare in groppa, il mercante non riusciva a prendere lo slancio necessario, a causa delle sue gambe troppo corte.
Dopo alcuni disperati tentativi, si rivolse a sant'Antonio - suo santo preferito - invocandone la grazia. Quindi, invaso da furor sacro, spiccò di nuovo il balzo, ma mise nell'operazione tanta forza che scavalcò addirittura la groppa dell'animale e cadde dall'altra parte a gambe all'aria.
L'uomo si rivolse allora al santo, lamentandosi perché la grazia che gli aveva concessa era stata troppa.
Si dice anche nei confronti di chi, per troppa munificenza, mette in imbarazzo il destinatario di un dono o di un beneficio, oppure con ironia o sarcasmo quando il beneficio è talmente insperato che la stessa prospettiva di riceverlo eccede le speranze (in quest'ultimo caso si tende ad omettere la seconda parte della locuzione).

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 16/09/2021, 10:28
da scriba
Grazie Cielo per questa riflessione.

Ecco che mi si presenta subito la difficoltà di scrivere: non saprei che altro dirti, se non che condivido quello che senti.
Non si possono che rimpiangere i tempi in cui avevamo una guida tra noi, in carne, ossa e viva voce.
Eppure ogni cosa è al suo posto, se "sia fatta la tua volontà" è una preghiera in cui crediamo davvero. Il suo percorso, il nostro percorso doveva essere questo. Compresa questa fase di silenzio e isolamento.

Visto che sono riuscita per un attimo a rompere il silenzio, proverò a condividere il mio stato. Dopo anni di parole, sento che hanno fatto il loro tempo. Sono faticose. Il pensiero stesso si stanca di ricorrere alle parole. Qui siamo stati dei maratoneti, si scriveva lunghi testi tutto il giorno, anche sotto forma di baruffe e scontri... quante pagine avremo scritto in quegli anni? Migliaia? A mio parere quello è stato un lungo, faticoso, meraviglioso apprendistato per arrivare qui, a questi tempi.

Tempi che richiedono un equilibrio straordinario.

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 16/09/2021, 12:05
da cielo
scriba ha scritto:
16/09/2021, 10:28
Grazie Cielo per questa riflessione.

Ecco che mi si presenta subito la difficoltà di scrivere: non saprei che altro dirti, se non che condivido quello che senti.
Non si possono che rimpiangere i tempi in cui avevamo una guida tra noi, in carne, ossa e viva voce.
Eppure ogni cosa è al suo posto, se "sia fatta la tua volontà" è una preghiera in cui crediamo davvero. Il suo percorso, il nostro percorso doveva essere questo. Compresa questa fase di silenzio e isolamento.

Visto che sono riuscita per un attimo a rompere il silenzio, proverò a condividere il mio stato. Dopo anni di parole, sento che hanno fatto il loro tempo. Sono faticose. Il pensiero stesso si stanca di ricorrere alle parole. Qui siamo stati dei maratoneti, si scriveva lunghi testi tutto il giorno, anche sotto forma di baruffe e scontri... quante pagine avremo scritto in quegli anni? Migliaia? A mio parere quello è stato un lungo, faticoso, meraviglioso apprendistato per arrivare qui, a questi tempi.

Tempi che richiedono un equilibrio straordinario.
Condivido sui tempi e sulle valutazioni da fare sempre e solo sul nostro presente.
Come diceva spesso Sai Baba: "Il passato è morto, il futuro è immaginario, restate nel presente e se proprio non riuscite a fare a meno di pensare e aggrapparvi al passato, almeno evocate i bei ricordi".

Aggiungerei, nel nostro caso: avendo cura del processo di germogliazione dei semi che il Giardiniere ci ha lasciato. Se qualcosa germoglia e dà frutti potremo eventualmente condividerli in qualche agorà.

Concordo anche sulla fatica di mettere insieme parole, inutile sforzarsi.
I riflessi cangianti che siamo non si riconoscono facilmente in ciò che erano, ma il continuo mutamento è la natura di ciò che siamo su questo piano transeunte.

A volte le parole, se sono troppe e non servono allo svolgimento di un'azione "rituale"(oggettiva, incardinata nel dualismo e nel suo divenire) quale poteva essere lo scrivere (e anche leggere) migliaia di parole ai tempi in cui accadevano le maratone editoriali o di confronto-scontro, meglio lasciarle stare, ove inutili.
Alimentano solo una mente che resiste a morire alla sua inconsistente leggerezza.

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 17/10/2021, 14:23
da blue_scouter
Buona domenica a tutti gli utenti del forum e in particolare all’autrice del messaggio, Cielo,
ho letto con interesse il suo messaggio sulla «solitudine del ricercatore» e lo condivido in pieno perché anche io mi sento abbastanza «solo» nella mia ricerca di senso (chiamiamola così) e pensare che non ho avuto neppure la buona sorte di incontrare un maestro del calibro di un Bodhananda o di un Raphael. Ho solo letto dei libri. Eppure quando sei pronto il maestro arriva, e può essere qualunque cosa, anche quella che meno ti aspetti. Ho smesso di cercare un maestro, anche perché spesso quando si parte armati solamente di ingenuità e buona speranza si fanno incontri brutti o deludenti. Io, per mia parte, cerco di leggere molto (ora ho per le mani le Enneadi di Plotino) e di meditare su ciò che leggo. Alle volte mi concentro molto e mi sento sereno, altre sono ora molto filosofico ora più fideistico: l'eterno dilemma tra amore e conoscenza, tra fede e ragione, tra parte affettiva e lato cognitivo. In me, questi due aspetti sembrano alternarsi e magari potessero un giorno convivere armonicamente. Ti cito solo un passo di uno scritto eloquente sul tema (Fides et ratio) e poi taccio: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità. […]» Una buona serata e una buona ricerca a tutti!
P.S. avevo già inviato questo breve messaggio a Cielo in privato e lei mi ha fatto giustamente notare come, come qualche modifica da me apportata, poteva essere utile a tutti gli utenti (almeno lo spero).

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 17/10/2021, 17:13
da Fedro
ciao bluescooter
ma perché vi è, se vi è, questa divisione (, dilemma lo chiami tu) tra amore e conoscenza?
Non può l'amore essere conoscenza, e altrettanto la conoscenza essere amore tanto da far coincidere le due visioni, approcci, punti di vista, e a questo punto, apparenti dilemmi della mente?
Tu che ne pensi?

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 17/10/2021, 19:06
da blue_scouter
Ciao Fedro, a me - se devo essere sincero - le due funzioni, amore e conoscenza, sembrano essere complementari e bisognose l'una dell'altra. Ciò detto, in un testo che mi piace molto, Tat tvam asi. Tu sei quello di Raphael, ed. Parmenides, c'è una parte - la fine per essere precisi, pag. 156 - in cui il protagonista, Antonio, racconta la conclusione della sua sadhana con Rapahel e dice al maestro queste parole:

« Sono in uno stato di imponderabilità; il mondo degli uomini mi appare sfocato, sfumato, molto lontano; mi guardo attorno e mi sento straniero. Mi chiedo, come mai sono qui?
Nessuna cosa mi suscita reazione. Sono un fantasma che cammina in mezzo ai morti. Tempo fa le avevo detto che avevo paura di morire; oggi mi domando come potevo dire una simile cosa se, in fondo, mi trovavo già a vivere da defunto. Un morto può mai temere la morte? Solo adesso incomincio a comprendere che io non devo morire a niente, ma devo semplicemente Essere.»

Trovo stupende queste parole e auguro ad ogni ricercatore sincero, me e te compresi, di realizzare prima o poi questo stato coscienziale. Tali parole mi ricordano però una delle mie poesie preferite (arcinota) che, alla fine, dopo aver constatato nelle varie forme il «male di vivere», dice: «Bene non seppi, fuori dal prodigio/ che schiude la divina Indifferenza [...].» Quella stessa divina Indifferenza di cui parla - mi pare - il protagonista Antonio alla fine della sua sadhana . Però come si accorda l'indifferenza, pur se divina, con l'amore? CIao, Fedro.

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 17/10/2021, 20:44
da Fedro
come si accorda l'indifferenza, pur se divina, con l'amore?

e come poter rispondere senza conoscere cos'è la "divina indifferenza"?
E diversa dall'amore o forse allora ci si riferisce a quell'attaccamento che chiamiamo ancora amore?
Forse per questo l'amore che non si manifesta come conoscenza, non è ancora realmente amore.
Dante lo indica pure, da qualche parte

Re: La solitudine del ricercatore?

Inviato: 18/10/2021, 9:10
da cielo
blue_scouter ha scritto:
17/10/2021, 19:06
Ciao Fedro, a me - se devo essere sincero - le due funzioni, amore e conoscenza, sembrano essere complementari e bisognose l'una dell'altra. Ciò detto, in un testo che mi piace molto, Tat tvam asi. Tu sei quello di Raphael, ed. Parmenides, c'è una parte - la fine per essere precisi, pag. 156 - in cui il protagonista, Antonio, racconta la conclusione della sua sadhana con Rapahel e dice al maestro queste parole:

« Sono in uno stato di imponderabilità; il mondo degli uomini mi appare sfocato, sfumato, molto lontano; mi guardo attorno e mi sento straniero. Mi chiedo, come mai sono qui?
Nessuna cosa mi suscita reazione. Sono un fantasma che cammina in mezzo ai morti. Tempo fa le avevo detto che avevo paura di morire; oggi mi domando come potevo dire una simile cosa se, in fondo, mi trovavo già a vivere da defunto. Un morto può mai temere la morte? Solo adesso incomincio a comprendere che io non devo morire a niente, ma devo semplicemente Essere.»

Trovo stupende queste parole e auguro ad ogni ricercatore sincero, me e te compresi, di realizzare prima o poi questo stato coscienziale. Tali parole mi ricordano però una delle mie poesie preferite (arcinota) che, alla fine, dopo aver constatato nelle varie forme il «male di vivere», dice: «Bene non seppi, fuori dal prodigio/ che schiude la divina Indifferenza [...].» Quella stessa divina Indifferenza di cui parla - mi pare - il protagonista Antonio alla fine della sua sadhana . Però come si accorda l'indifferenza, pur se divina, con l'amore? CIao, Fedro.
L'indifferenza e il distacco non significano, secondo me, disinteresse e guardare l'altro "dall'alto" del proprio sapere, ma non privilegiare più l'oggetto esclusivo del proprio amore, che sia una persona o un'idea o un ideale caricandolo di desideri e aspettative.
Senza un oggetto resta l'Amore?
Dovendo auto rispondermi direi che tutto il "secondo" è oggetto d'amore: quando c'è, c'è, senza più scelta, e quando non c'è non c'è.
Poi certo che in noi c'è una stratificazione di sentimenti ed emotività che rende spesso difficile mantenersi in uno stato di imponderabilità (o equanimità) che accoglie ogni "altro" come secondo e dunque potenziale oggetto di interesse e di amore incondizionato, ma non dimenticando mai che il secondo è disponibile solo nel tempo, nel divenire e dunque transitorio ed effimero, proprio come il soggetto che lo sta osservando nello specchio.