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cielo
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Messaggio da cielo » 16/10/2016, 10:26

«L’Amore rappresenta la via unitiva per eccellenza. Esso implica il donarsi senza condizioni, senza resistenze, senza frapporre l’aritmicità subconscia. Per amare occorre morire all’io separativo, occorre essere totalmente e necessariamente disponibili. Nel vero Amore ogni desiderio è morto, ogni parvenza di vita egoica è cessata, ogni richiesta individuata è trascesa. Non c’è cosa più preziosa che donarsi, che dimenticarsi, che abbandonarsi all’ebbrezza dell’Unione. Il Principio è il coronamento del vero Amore».
(Raphael, La Triplice Via del Fuoco: II, 23 )


In questo sūtra si parla di Amore, di donazione, ed emerge che per poter amare e donarsi «occorre essere totalmente e necessariamente disponibili». La parola chiave diventa quindi la disponibilità.
Quante volte ci siamo dichiarati disponibili, pronti a tutto; ma questa disponibilità era alquanto limitata, ristretta e “meschina”: eravamo disponibili e pronti solo a ciò che ci avrebbe procurato una forma - anche minima - di gratificazione. La disponibilità alla quale pensavamo di sacrificare tutto non era che la disponibilità di un io, che da una parte si concedeva, ma dall’altra mendicava una ricompensa; ricompensa che poteva essere ben nascosta o mascherata, ma che a una indagine approfondita emergeva in tutto il suo squallore.

Siamo disponibili solo a ciò che ci gratifica perché nella disponibilità che siamo abituati a conoscere esiste sempre un io che si crea anche l’alibi della disponibilità ma non è che un mezzo per sentirsi buono e appagato. Non facciamoci perciò trarre in inganno. Compito di un discepolo è saper discriminare, saper distinguere la vera e totale disponibilità, che appartiene solo all’anima, dalla falsa e interessata disponibilità che è tipica dell’individualità. L’individualità, lo sappiamo, non può che mendicare; non conosce la posizione solare della donazione e perciò non va colpevolizzata; il dovere di ogni discepolo attento, onesto, volonteroso e che aspira al Vero è solo quello di smascherarla.
Che cosa significa essere disponibili? Possiamo dire che ci sono vari gradi di disponibilità i quali riguardano sia le caratteristiche psicologiche dell’individualità (caratteristiche che sono il risultato di un certo tipo di educazione, di certe tendenze e di quelle che sono le peculiarità del segno astrologico) che la maturità dell’anima.

La disponibilità dovrebbe essere una qualità del discepolo; diciamo che essere discepoli presuppone la capacità di obbedire (essere disponibili) al Maestro, all’insegnamento, alla Vita.

Un aspirante-discepolo, quando inizia una sādhanā, è spinto dalla fiamma dell’entusiasmo che è di per sé un’enorme forza; però questa forza viene espressa soprattutto a livello emozionale e se questa fiamma non viene alimentata può anche spegnersi (sebbene non del tutto perché rimane sempre del calore sotto la cenere pronto a riaccendersi). L’entusiasmo non solo ci sospinge ma ci fa anche “osare”. All’inizio ci sembra di non trovare ostacoli sulla Via. Ciò che sta avvenendo è il contatto con una Visione, per noi nuova, che ci inebria e ci esalta: è l’aspetto più bello dell’insegnamento. La nostra anima è stata toccata. Ci sentiamo degli eletti e dei privilegiati. Ci sentiamo dei cavalieri armati di sacro fuoco e pronti a conquistare la mèta combattendo i nemici esterni e interni.

In principio tutto ci sembra facile perché ci fermiamo all’aspetto più periferico e superficiale; è quando ci addentriamo nei nostri “abissi” che incontriamo i veri ostacoli e quella fiamma iniziale sembra abbandonarci proprio quando la difficoltà si fa più ardua e la soluzione più impellente: ci manca la forza. A questo punto cominciamo a misurarci, a confrontarci con quella bella disponibilità che sta venendo meno. Troviamo delle resistenze e cerchiamo di andare oltre, di aggirarle perché non siamo in grado di affrontarle, allora cerchiamo conforto nelle cose gratificanti.
Poiché tutto questo avviene in modo inconscio possiamo ancora illuderci di essere disponibili, in realtà stiamo solo seguendo la nostra linea di minor resistenza. Ciò nonostante continuiamo la nostra strada, il nostro tirocinio, la nostra sādhanā.

Arriva quindi il momento in cui ci vediamo allo specchio, così come siamo veramente; non c’è più la Bellezza della Visione, per il momento ci ha abbandonato. A questo punto dovremmo avere il coraggio di affrontare il passaggio che la Vita ci sta prospettando. Questa fase è priva di supporti, conforti o gratificazioni: vi è solo il passaggio da compiere e vediamo che vorremmo sfuggirlo, rimandarlo. Non siamo affatto disponibili ad affrontare quella fase e l’individualità si sente perduta, incomincia ad annaspare e disperatamente vorrebbe “imporre” le sue condizioni. E un momento di tensione e contrapposizione; è un’onda vibratoria discordante e disarmonica, l’Armonia ci ha abbandonato. Tuttavia, ciò che conta è sopravvivere a quel momento, a quell’abisso che si è aperto sotto di noi e che ci vorrebbe inghiottire. Per sopravvivere ci sono due possibilità: o continuare a farsi “imporre” dall’io le sue condizioni, perdendo però l’enorme opportunità che ci viene offerta, oppure trovare la forza di vedere l’io nella sua totale debolezza e meschinità e decidere di lasciarlo alla sua disperazione scegliendo di abbandonarci totalmente a ciò che ci viene chiesto in quel momento.

È una grande opportunità e la scelta dipende dalla maturità del discepolo. In quel momento si comprende se si è veramente un discepolo oppure un aspirante che ancora non ha trovato la sua strada; in questo momento di verità il discepolo, se è tale, raccoglie i frutti del suo tirocinio, dei semi che ha saputo piantare e far germogliare. Se abbiamo vinto la battaglia sapremo valicare l’abisso e proseguire lungo la Via; ora siamo più forti perché abbiamo vinto una delle resistenze più tenaci: l’esigenza dell’individualità di porre le sue condizioni. Ci sentiremo più sicuri e sapremo di poter contare sulle nostre forze. La Via è ora libera dai grossi ostacoli, la mèta ormai non è molto lontana. Non ci saranno più sogni che ci parlano di macigni che bloccano la nostra strada: anche a livello sottile le resistenze sono vinte.

Da quanto detto finora si può arrivare a questa conclusione: si può essere disponibili se l’individualità, anche se non del tutto risolta, è perlomeno tenuta sotto controllo. Per arrivare a questo c’è da compiere una lunga e costante sādhanā, ci deve essere un lungo e proficuo dialogo con il Fratello Maggiore, ci deve essere una profonda aspirazione a vivere l’Armonia. A questo punto abbiamo imparato a rispettare i fratelli di cordata, abbiamo imparato a non aspettarci nulla dagli altri e, soprattutto, abbiamo saputo trovare il nostro giusto posto e siamo in grado di svelare l’Accordo con noi stessi, con gli altri e con la grande Vita.

Il discepolo va oltre l’entusiasmo iniziale che è caratteristica propria del neofita in quanto, anche quando la spinta emotiva è scemata, sa trovare in sé, nella Dottrina e nel rapporto con il Maestro la forza per proseguire. Questa forza ci sospinge ad andare avanti anche quando le difficoltà sembrano insormontabili. Impariamo che le cose si conquistano gradualmente, un po’ per volta. Abbiamo parlato di misurarci, di confrontarci con le nostre incompiutezze; è questo il momento più bello della sādhanā di un discepolo: comincia a conoscersi e quindi ad accettarsi. Accetta le sue incompiutezze e scopre un po’ per volta cosa vuol dire essere disponibili. Comprende che per arrivare alla vera disponibilità, non quella che si era illuso di vivere inizialmente, deve lasciarsi dietro tanti brandelli di carne, deve, in pratica, morire ogni giorno a qualche sua incompiutezza.
È questa graduale morte quotidiana quella che prepara l’evento finale. Per essere «totalmente e necessariamente disponibili» non ci sono posizioni intermedie, vi è solo la morte dell’individualità. Gli altri tipi di disponibilità che possiamo conoscere e vivere sono forme di una certa apertura verso gli altri e verso la Vita, ma se in essa scopriamo la pur minima traccia di gratificazione o di richiesta di qualcosa ricordiamoci che non siamo disponibili: stiamo solo vivendo uno dei tanti alibi dell’io, stiamo esprimendo una delle tante esigenze che fanno sì che l'individualità continui a campare.

(Senza autore, tratto dal Periodico Vidya, Ottobre 1995)

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