blue_scouter ha scritto: ↑17/10/2020, 14:54
Colgo l’occasione dell’uscita odierna dell’ultimo quaderno Advaita Vedanta in cui di dice che l’Advaita non si oppone a nessun punto di vista, essendo anzi totalmente inclusivo e trascendente, per porre un domanda che mi faccio spesso: è possibile leggere e – si spera – anche fare tesoro di insegnamenti Tradizionali come quelli Vedanta Advaita di Raphael o di altri autori ma, alto tempo stesso, rimanere in un percorso di fede cristiano-cattolica? In poche parole, le due cose (la Tradizione e il Cristianesimo cattolico) si escludono a vicenda oppure no? E, nella seconda ipotesi, il loro è un rapporto di separazione netta o esistono punti di contatto e, magari, di sintesi?
In primo luogo, mi permetto di proporre in questo forum una tale domanda, che ha valenza solo personale, cioè si riferisce al mio cammino di vita, perché spesso mi sento diviso tra queste due posizioni e sinceramente non vorrei – uso un tono scherzoso, ovviamente – né essere un sincretico né essere un “traditore”.
Secondariamente, se è vero che molte mani si sono alzate in nome di Cristo e non per benedire, ed è altresì vero che le tre grandi religioni monoteiste possono recare in aggiunta all’idea dell’unico Dio un’altra idea, assai più perniciosa: il “mio” Dio è “migliore” del tuo; è anche vero però che l’insegnamento di Gesù (degli altri, non conoscendoli bene, non ne parlo) come anche quello del Buddha ha un’eccezionale vicinanza alla condizione umana, tanto che uno degli appellativi di Gesù è quello di Emanuele, il Dio con noi.
A tale proposito, vorrei da ultimo segnalare un bel testo, edito dalla San Paolo, MENDICANTE DI LUCE scritto da Masterbee, nel quale, nel parlare dei rapporti tra induismo e cristianesimo, si dice semplificando parecchio che il primo è una via ascensionale dell’ente che s’innalza a Dio; nel secondo avviene il contrario, è Dio che va verso l’ente, cioè è la Verità, in veste di Amore, che si incarna nella persona di Gesù. Ho letto spesso nei testi di Raphel che l’Essere è e non diviene, però quella prospettiva, poc’anzi accennata, della Verità-Amore che viene presso di noi mi piacerebbe esplorarla. Davvero.
Porre coincidenza tra la Tradizione e l’Advaita Vedanta mi pare estrememente riduttivo, per la Tradizione. La sola filosofia indiana riconosce 6 darsana (tradizionalmente parlando) tra cui il Vedanta là dove il Vedanta non è certo e solo l’Advaita. L’Advaita stesso codificato da Sankara trova poi forti parallelismi con l’ajati vada di gaudapada, e ben cercando si trova anche dell’altro sempre sullo stesso filone. Questo poi stando e restando in ambito orientale, poi c’è tutto il filone occidentale, per non dimenticare in ultimo il medio orientale (o dovrei chiamarlo medio occidentale?), in cui ci includerei pure il cristianesimo, visto che è nato e sorto in palestina, che di occidentale allora (come oggi) ha ben poco, semmai molto più orientale che occidentale. C’è tutta la filosofia egizia, persiana, etc di cui abbiamo perso quasi tutto, ma che pure furono a tutto rigore Tradizione anche esse. E poi come tu stesso menzionavi il Buddhismo con le sue varie ramificazioni, chan, zen etc. Personalmente parlando il cristinesimo nella sua nuce originale secondo me era in tutto e per tutto Tradizione, che poi abbia subito degenerazioni ed altro, altro discorso, così come di molti altri rami tradizionali peraltro.
Certo, sempre a mio parere, resta vero quanto diceva Raphael (e non solo lui ma anche Sankara prima di lui) che l’advaita non si contrappone a nulla non avendo nulla con cui contrapporsi, ma permettimi di aggiungere che Raphael non è solo Advaita Vedanta, ma ha spaziato sia in ambito indiano, che orientale, che occidentale, come puoi ben evincere dai titoli dei libri pubblicati dalla collana asram vidya (ora Parmenides).
Non solo, ma aggiungerei che ha sempre avuto un occhio di riguardo verso il cristianesimo (non necessarimente cattolicesimo) come puoi ben vedere dai continui riferimenti e proponimenti nei vari libri, alcuni come per esempio per intero “Pensiero indiano e mistica carmelitana”, o l’intero capitolo nel libro “Essenza e scopo dello Yoga” relativo al bhakti yoga.
In ultimo comunque è la stessa filosofia indiana a proporre innumerevoli percorsi e cammini (come puoi leggere bene nel suddetto libro “Essenza e scopo dello yoga”) altri dall’Advaita Vedanta che ne resta un caso specifico e ultimo quanto per pochi.
Per certi versi si potrebbe dire che l’advaita vedanta sia il culmine, il rettilineo finale di un percorso non necessariamente diretto quali lo sono tutti gli altri. Ma comunque la si veda, i cammini che la stessa tradizione indiana propone, come per esempio la bhakti yoga (specie nel suo aspetto ultimo di parabhakti) non ha nulla in meno rispetto a tanta spiritualità cristiana dell’ultimo millennio.
Non hai da scegliere, nè ti viene chiesto da alcuno di dover scegliere tra advaita e cristianesimo e\o cattolicesimo, anche perchè in ambito cristiano persino cattolico trovi esempi di filosofi e santi che in parte o in toto l’hanno percorso questo cammino “advaita”, pagandone spesso un prezzo notevole (talvolta con la vita) rispetto alle istituzioni ecclesiali del momento.
Riguardo al discorso del “Dio” cui si sale o scende a seconda del cammino, già le filosofie indiane ne hanno sviluppato pari percorso con tutte le indicazioni del caso. In ambito indiano per esempio esiste il classico quanto famoso esempio dei cuccioli (aspiranti-fedeli) di tigre e di scimmia e della loro differente modalità di percorso.
I cuccioli di scimmia sono usi aggrapparsi ai peli della pelliccia della madre e arrampicarsi fino al dorso dove si tengono fortemente aggrappati portati in giro dalla madre che va in cerca di cibo o altro. I cuccioli di tigre a differenza non fanno nulla se non affidarsi alla madre che “scende” con le sue fauci per prenderli e portarli dove lei meglio crede giusto e opportuno. Così i primi facendo uso di volontà e azione salgono alla madre (Dio?) i secondi invece aspettano fiduciosi (e supplichevoli) in abbandono totale che la madre scenda e li prenda nelle sue fauci portandoli dove lei vuole. Queste due modalità vengono spesso attribuite ai due cammini principali della filosofia indiana, quello jnana e quello bhakti; l’jnana che con volontà e azione sale al divino e il bhakta che con supplica, invocazione e preghiera (abbandono?) fa scendere il divino a lui.
Come vedi nulla di nuovo sotto il sole, anche quello orientale oltre che occidentale.
Sul discorso dell’unicità di Dio etc sarebbe un discorso lungo (e forse anche tedioso) ma permettimi due brevi considerazioni.
In ambito orientale vi sono tre filoni principali di pensiero, chiamiamoli così: l’advaita ovvero non dualità, la dvaita ovvero dualità, ed il monismo ovvero l’uno, l’unico.
Quando noi parliamo di religioni monoteistiche, quali il cristianesimo, islam, ed ebraismo, parliamo di confessioni che sentenziano l’unicità di Dio, del suo essere unico e Uno, e quindi non due e ovviamente nemmeno tre, quattro etc.
L’essere uno-unico di Dio però, non spiega appieno il creato (noi inclusi quali “figli” di Dio) nel senso se questo creato sia parte integrante di Dio (e quindi in sostanza Dio stesso) o altro da Lui. Se si pone un’alterità qualsiasi rispetto all’unità, si cade nel molteplice (duale), ovvero nell’esistenza di in quid che sia altro dall’unità posta. Presupporre un’alterità è già dualità, infatti in matematica si pone distinzione tra l’uno matematico, inteso come l’inizio del molteplice quale sua moltiplicazione, due volte uno=2, tre volte uno=3, quattro volte uno=4, etc, e l’unità a sè stante, una e unica (senza secondo) nel qual caso siamo in quello che si chiama non-dualità, ovvero altrimenti detto uno senza secondo. in un certo senso a meno di escludere la condizione di uno senza secondo (advaita) l’uno è sempre sottinteso essere un uno matematico ovvero l’unità principiale del duale, e quindi del moteplice. L’uno diventa l’unità da cui promana il molteplice per sua stessa moltiplicazione. Per certi versi siamo nella condizione di panteismo così come intesa da Spinoza e non solo lui.
Quindi tornando al nostro Dio delle religioni monoteiste, in effetti è si Uno, matematicamente uno, ma di fatto è un uno che si contrappone all’alterità, al molteplice altro da lui (non-Dio), al creato stesso (sempre da Lui secondo genesi); di fatto tutto il creato è altro da Dio, ovvero non si può dire che sia Dio, così come non si può dire che noi siamo Dio, ma suoi figli (bene che vada) altrimenti altro.
Gesù nei vangeli viene definito figlio dell’uomo, nonostante tanta teologia dichiari essere figlio di Dio, se non Dio stesso.
Quindi alla fine una vera idea monista di dio non c’è, perchè o lo collochi un una condizione di uno (senza secondo) quindi più prossima all’assoluto che non all’uno, oppure lo definisci uno inquanto altro dal due (due unità) e altro dall’alterità (molteplice) che ricade comunque nella dualità ristretta di due uno (dualità).
A tutto rigore le religioni mono-teiste sono di fatto dualiste, perchè assimilano un Uno-Dio ed un altro da Dio (secondo) che di volta in volta è il creato, il mondo, il male, etc. comunque un’alterità rispetto a Dio uno e unico. Altrimenti tocca andare nel panteismo in cui si prefigura un tutto è dio e tutto e in Dio etc.
Per tornare al discorso del Dio che scende all’uomo (nelle vesti di un Cristo o altro) è certamente una bella immagine e un bel “collante teologico” all’alterità iniziale Dio-uomo insanabile per sua stessa definizione.
Non conosco e non so la tua posizione in merito, ma quale che sia io ho enormi difficoltà a comprendere il creato (origine, motivo, senso) pur non essendo dio ma un semplice uomo. Il che in termini orientali ed indiani è il discorso di maya, della sua stessa origine e motivazione d’essere, o la domanda di certa cosmologia “perchè qualcosa invece che il nulla?”. Penso siano domande che tutti prima o poi si trovano ad affrontare, quale che sia il cammino che percorrano, non credo ci sia nessuno che abbia potuto esimersi dal porsele, non dico a rispondere che è già ben oltre, ma solo dal porsele.
Si usa dire che ognuno ha le domande (o si pone le domande) che gli spettano e competono al suo cammino, oltre che al suo “grado” di maturità su quel cammino. Quando l’aspirante è pronto compare il maestro, dice un vecchio proverbio, ti auguro davvero di incontrarlo quanto prima (se già non è accaduto; alle volte capita anche di averlo già incontrato e di non averlo riconosciuto).