tutto vero e condivisibile, ma qui:latriplice ha scritto: ↑25/03/2020, 12:02Da una prospettiva fenomenica le coppie di opposti, nella fattispecie schiavitù e liberazione, sono destinate a persistere finché non le si rifiuta comprendendo (da una prospettiva metafisica) l'irrealtà della manifestazione. La vita in sé (esperienza, mondo, universo) non porterà mai alla trascendenza perché è essa stessa il prodotto di quella mente che ci fa confondere il falso (l'io, il mondo manifesto) con il vero (il Sé).ortica ha scritto: ↑21/03/2020, 12:17esattamente.latriplice ha scritto:
Se poi mi dici che questa è fondamentalmente una realtà non duale, che tutto è il Sé, e che pertanto non può esserci diversità tra schiavitù e liberazione e alcuno che possa aspirare a liberarsi, sono d'accordo con te.
Ma una affermazione del genere la puoi fare solo dalla prospettiva dell'atman, non certo del jiva. Pertanto è meglio non saltare da una prospettiva fenomenica ad una metafisica senza la necessaria certezza della propria autentica statura.
Pertanto cercare di trovare una soluzione al problema esistenziale (samsara), che trova fondamento soltanto nella apparenza della dualità, attraverso mezzi (le varie pratiche) che danno per assodato tale apparenza, è uno sforzo vano.
Dal fenomenico non si giunge al metafisico, come è vero che non c'è un "Sé inferiore" che possa realizzare un "Sé superiore".
Non c'è una vera soluzione perché non c'è un vero problema. Il problema persiste soltanto da una prospettiva fenomenica e credere che da quest'ultima si possa giungere alla trascendenza della stessa per realizzare la prospettiva metafisica, quella del Brahman per intenderci, contribuisce soltanto a rafforzare l'apparenza della dualità e mantenerci nell'ignoranza.
P.S. Che poi per essere sinceri, da una prospettiva metafisica non ci sono ignoranti.
"Pertanto cercare di trovare una soluzione al problema esistenziale (samsara), che trova fondamento soltanto nella apparenza della dualità, attraverso mezzi (le varie pratiche) che danno per assodato tale apparenza, è uno sforzo vano."
dissento in quanto, non si tratta di uno sforzo "vano", ma di uno sforzo "necessario".
Se una persona nel suo percorso esistenziale si è rotta i legamenti del ginocchio e necessita di una stampella per continuare a camminare, la usa e strappargliela a poco serve.
Sta ad ognuno eliminare progressivamente i sostegni a cui si appoggia, mano a mano che ne riconosce la non necessità.
Ognuno usa i sostegni che ritiene funzionali al percorso non-percorso che tu ribadisci. Solo l'autoconoscenza di sè consente la spogliazione del superfluo per ritornare all'essenza, all'oceano in cui siamo immersi come pesci. Cadere nel vuoto, senza più alcuna certezza se non quella di essere, ora e nel per sempre.
Niente ci porterà a Quello, ma ci sono mezzi idonei per sviluppare la consapevolezza di Quello, per far sbocciare il seme che già c'è e gustare il fiore e la sua bellezza.
E ogni seme ha bisogno di acqua e di terra per diventare fiore, in questo stato di coscienza in cui volente o nolente un essente si trova a risvegliarsi ogni mattina e farsi carico, che lo voglia o no, del mondo di cui si vive la contemporaneità con altri essenti, anch'essi ancora su questo piano.
PS: chi sta decretando l'irrealtà della manifestazione? Quello che scrive come potrebbe farlo considerato che ha usato la manifestazione (la tastiera) per manifestarsi con la traccia delle sue parole?