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Scrivere sul niente?

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cielo
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Scrivere sul niente?

Messaggio da cielo » 17/01/2020, 19:22

Ti narro di Itsuo Tsuda (1914-1984)

Non scrivere niente non è certo difficile.

Scrivere per non dire niente, è un mestiere.

Ma scrivere sul niente, non è cosa agevole.


Premadharma

Quaderno N. 068 - Zenkaisoo - Taki II




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Vi lascio una testimonianza per il 17 gennaio 2020.


Dopo tre anni dalla dipartita di quello che chiamavo Bodhananda, anzi Bo, o affettuosamente Grande Bo, vorrei riuscire a testimoniare gli attimi di gioia per la sua presenza, più che il dolore per la sua assenza, rapida e repentina.
Quel soffio di vento, quel suo sorriso allegro e aperto che rincuorava e sosteneva in ogni situazione, che arriva come una folata di brezza che ripulisce l'aria intorno.

Quei preziosi momenti in cui nel cuore si coagula una sintesi vivente di un insegnamento senza tempo che ho avuto la fortuna di poter ricevere da un vivente, da lui.
Poche parole: risolvi le upadhi, individua le tue priorità in questo momento, attenziona e calma la mente, lasciati cadere nel vuoto quando accade che non ci sia più un io a tenere il timone, senza paura. Caduta libera.

Non sono ricordi, bensì tracce che fanno respirare l'insegnamento, che gli danno una forma viva in quanto un ente, me, lo riconosce e lo rinnova nei passi che si compiono giorno dopo giorno.

Tutto nell'ambito di un’auto indagine che cerca di riconoscere la rete dei desideri e delle credenze che seducono e alimentano quel credersi un io separato dal tutto.

Quella presenza che si manifesta nello scorrere della giornata nella quale si diventa sempre più consapevoli di non essere gli artefici dell'azione che si va a compiere e che comunque accade nonostante tutti gli sforzi per deviarne il corso.

Che mostra come ogni azione non sia altro che lo sbocciare di semi che, crescendo ed innaffiati, potranno perfino ricamare alcuni punti su una trama più ampia di una stoffa senza tempo, la stessa dai tempi dei Veda.

L'insegnamento è così prezioso perchè in grado di triturare il dolore del vivere, rendendoci più consapevoli degli infiniti desideri che si autoriproducono nella mente, delle credenze a cui aderiamo senza neppure rendercene conto, delle aspettative.

Offrire l'amore alla presenza in sé consente di vedere tutti questi contenuti oscuranti e di distaccarsene progressivamente.

Però non bisogna dimenticare che l'insegnamento deve essere rapportato al momento presente, non cristallizzato in dogmi di abbellimento della propria visione filosofica, se risuona è uno strumento adeguato a ciò che si è, se non risuona occorrerà riprendere in mano in altro momento quello che oggi non si comprende ancora.

Il viaggio è lungo e faticoso. Ma il cuore è leggero, allegro, e tiene la mente come un cane al guinzaglio, cercando di evitare che vada sempre a zig zag, assorta e dimentica nei suoi stessi pensieri. Che irriducibile vagabonda.

Ci si affida alla Grazia e si rende omaggio a quell'insegnamento che è giunto fino a noi viandanti.

Che la nostra mente diventi della stessa consistenza di un fiocco di cotone sgranato, pronto a ricevere la scintilla della conoscenza e ad abbandonare, nella fiammata di un istante, le debolezze di esistenze.

Essere semplicemente ciò che si è.

Tanto ciò che si è, si è, questa è la realtà, non ce ne sono altre; tutte le altre sono realtà pensate, della mente.

Quella che brucia nel fuoco come cotone asciutto e ben sgranato. Si spera.

ortica
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da ortica » 19/01/2020, 16:02

Tanti e tanti anni fa c'era un cane stolto di nome Untenshu Chookarioo che era solito servire il the a tutti gli altri cani.
Nigai Ninniku se ne lamentava in tutti i modi, ringhiando:”Tu mettendo il the nella tazza non fai fare loro alcuna fatica: così è tutto semplice per loro”. Colpendolo col muso gli si metteva accanto, cercando di prendere la teiera di cui vedeva il the. Ogni giorno di the era la stessa storia, fu così che stanco un giorno, se ne andò lasciando loro in dono la pelle e a Nigai Ninniku quella teiera. Fu così che quel giorno Nigai Ninniku scoprì la teiera essere vuota1
.

Non ho conosciuto Untenshu perchè sono arrivata dopo, sebbene abbia ascoltato la sua storia e le molte storie che di lui si narrano qualche volta anche direttamente dalla sua voce, ma posso testimoniare che non ha mai smesso di versare il the, fino all'ultimo istante della sua vita terrena.
Come il pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli figli, semplicemente non poteva farne a meno perchè questa era la sua natura.
Non lo nego, questa sua natura mi ha reso la vita facile perchè lui c'era sempre, pronto a rispondere a qualsiasi domanda, dalle più trascendenti alle più profane, ad ascoltare ogni dubbio, a distruggere ogni credenza, a strappar via le illusioni suturando con l'amore ogni ferita, a ridere di ogni allegria e piangere di ogni dolore, di giorno e di notte, sempre, e non dovevo fare alcuna fatica per comprendere.
La comprensione passava da lui a me come la corrente elettrica accende una lampadina.
Era così e basta, non si può spiegare.

Forse anche per questo se n'è andato all'improvviso, senza avvertire, svenato, dissanguato, scarnificato ormai, perchè, oltre me, i pulcini insaziabili erano molti e lui era identicamente generoso con tutti coloro che chiedevano, anche se a volte le sue risposte non erano comprese, o non lo erano nell'immediato.
Equanime, sempre, perché anche questa era la sua natura.
A volte capitava che certe sue risposte suonassero fastidiose a orecchie impure e alcuni cani mordevano la mano che li aveva nutriti e poi se ne scappavano a gambe levate.
Alcuni tornavano, orecchie e coda basse, timorosi di essere scacciati, come se essere scacciati fosse possibile.
Lui, che era me, come avrebbe potuto scacciare sé stesso?

Ma ci sono perfino certi cani ignobili, rognosi e rabbiosi, che continuano ancor oggi a desiderare di mordere quella mano o di suggere le ultime gocce di the, senza accorgersi che i loro denti si chiudono sul nulla e che, per loro, la teiera è stata e sarà sempre vuota.


Tornando a noi, a ciò che conta, tocca faticare, perchè il pellicano non è più in questa dimensione, finalmente (per lui).
Ma, poi, sarà vero?
La teiera vuota è sempre piena, ma bere il the non è più tanto facile per chi è rimasto.



Ah, dimenticavo, non gli piacevano i santini, ci si sarebbe fatto delle gran risate, ma come evitare di usarli quando il repertorio è scarso?


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1. Quaderno Advaita & Vedanta nr. 091 - Zenkaisoo - Untenshudenki I
11 Febbraio 2014

cielo
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da cielo » 20/01/2020, 18:07

Mi sono sempre piaciute le fiabe, credo di avere letto tutti i dieci volumi della raccolta "Tutte le fiabe" che mio padre mi aveva fatto rilegare.
Ho ancora quei volumi, e ho letto qualcosa ai figli, a uno in particolare che amava le storie.
Chiaramente, come me, si faceva leggere e rileggeva sempre le stesse storie, anche se le sapeva a memoria.

A parole ho inventato pure una serie di storie con un preciso protagonista (un bambino orfano e vegetariano) e sua nonna (a cui era stato affidato). La serie piacque ma dovevo sempre ripetere la storia nel giusto modo, attenta a non cambiare i particolari altrimenti sarei stata ripresa.

Ma scrivere sul niente, non è cosa agevole.

Chissà che cosa sta cercando di ispirarci il Patriarca zen o il saggio cane stolto di nome Untenshu Chookarioo.

Scrivere sul niente?

Sarà come inventarsi le fiabe da raccontare ai bambini?

Io partirei dall'amore, che va sempre bene.

Ti narro dell'amore,

come le sponde del fiume che scorre con tutte le sue gocce d'acqua, e pure plastica e rifiuti, pesci, pietre....

trascinati dalla corrente, si diventa acqua anche se prima si era pietra, o forse plastica.

PS: non sono mai riuscita a scrivere storie, solo un paio da minorenne. Però invecchiando mi piacerebbe provarci. Chiedo scusa dei goffi tentativi

ortica
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da ortica » 20/01/2020, 19:12

Una volta - quando ancora si contavano storie - si è scritta questa storia, ispirata a un'altra storia, perchè le storie sono come scatole cinesi, o come ciliege: una dentro l'altra, una tira l'altra.
Vedi com'è.
;)


ON FLYING



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C'erano una volta, nel tempo di chissaquando e nel paese di chissadove, due sapienti.
Ah, come erano belli!
Tutti i viandanti che si trovavano a capitare in quel remoto paese ne restavano ammaliati.
Non era solo questione di bellezza esteriore, benchè le loro zimarre fossero meravigliosamente rabescate e i loro turbanti intessuti d'oro e d'argento, quanto della luccicanza che da essi emanava, dell'armonia del fluire delle loro parole, dello splendore dello sguardo limpido.
Entrambi comprendevano molti linguaggi, avendo vissuto molte vite.
Entrambi erano esperti del volo.

Apparentemente simili, quei due sapienti erano, tuttavia, profondamente diversi.


L'uno si pavoneggiava nelle sue splendide vesti e amava a tal punto volare che non poteva sopportare di fermarsi; continuamente andava là ove lo portava il desiderio del suo cuore, sorvolava montagne e fiumi, pianure e laghi, isole e maree.
Nè voleva fermarsi, perchè, quando lo faceva, gli prudevano assai i nodi delle ali e lui, quel prurito, non riusciva a tollerarlo.
Gli sembrava uno spreco.
Aveva tentato di insegnare i rudimenti del volo ai suoi occasionali compagni ma la sua impazienza gli consentiva a malapena di osservarli di tanto in tanto, perchè gli piaceva volare a vista e non è che conoscesse poi tanto bene nè viaggio nè meta.
In realtà, non vedeva neppure i suoi compagni.
Per lui esisteva soltanto il volo.
Era, invero, un impostore.

L'altro sapiente era assai buffo, prima di tutto perchè non sembrava affatto un sapiente, soprattutto quando nascondeva la zimarra verde e il verde turbante (un poco scomodi in verità) per indossare abiti comuni, e poi perchè se lo chiamavi sapiente si metteva a ridere e si scherniva.

- no, non è un errore, c'è scritto proprio scherniva perchè quel buffo sapiente si prendeva in giro da solo -

Se ne stava, solitamente, chiuso in una gabbia d'oro.
Era una gabbia invisibile ai più, intendiamoci, la potevano vedere solo quei pochi che sapevano aguzzare la vista quanto necessario.
Però c'era, e gl'impediva di volare.
Quanto soffriva, povero sapiente, la sua condizione di recluso! Solo un sapiente suo pari avrebbe potuto comprenderlo, le genti no.
Quanto amava il volo di cui era uno straordinario esperto e quanto gli mancava il delizioso solletico dell'aria fra le piume caudali!
Il fatto è che gli era stato assegnato un compito e dunque non poteva scrollar via la gabbia come tanto avrebbe desiderato.
Sembra che, prima di poter tornare là donde era venuto, dovesse trovare qualcuno che lo sostituisse nel sostenere il compito.
Era, questa, impresa difficilissima, e certi giorni il sapiente era davvero tanto stanco perchè, per quanto si circondasse di certi aspiranti aspiranti aspiranti sapienti e sapientesse non riusciva mai a trovare qualcuno che potesse, ma soprattutto volesse, prendersi il suo peso sulle spalle.
Tutti sembravano aver voglia di tentare il volo, e basta.
Imparavano quelle quattro cosucce e se ne andavano, credendo di aver capito tutto e qualcheduno di loro si metteva pure ad insegnarle ad altri, perfino.
Talvolta lui sollevava lo sguardo a rimirar le giravolte, le cabrate, le picchiate e le planate lunghe degli aspiranti sapienti che gli stavano intorno, quelli a cui aveva sussurrato alcuni segreti in merito all'arte del volare, e sorrideva fra sè e sè.
Di che sorrideva, non è dato sapere.

Tuttavia, quando sorrideva, la gabbia d'oro risplendeva come il sole e, se avevi la ventura di passar là vicino, ne restavi abbagliato e non potevi dimenticarla, mai più.
Quel sorriso era come un assaggio dell'altrove.


“Bene. Possiamo cominciare a occuparci del fattore tempo, se ti va” gli disse Ciang. “E ci si lavora su finché
non arrivi al punto che sei in grado di volare nel passato e nel futuro. E, poi dopo, uno è pronto per la parte più
difficile, più forte, ma anche più piacevole di tutte.
Uno è pronto per volare verso le alte sfere, e arrivare a capire il segreto della bontà e dell’amore.”
Trascorse un mese, o qualcosa che sembrò durare un mese, durante il quale Jonathan fece progressi sorprendenti. Aveva sempre avuto facilità d’apprendimento, ma adesso, come discepolo prediletto dell’Anziano, assimilava le nozioni alla velocità di un computer, un cervello elettronico piumato.
Ma poi un giorno arrivò la scomparsa di Ciang.
Era lì insieme a loro che parlava, con calma, a tutti quanti, esortandoli a non desistere mai dallo studio, a perseverare nelle esercitazioni, ad approfondire la loro conoscenza di quel perfetto invisibile principio che governa la vita dell’universo.
Quand’ecco, mentre parla così, le sue penne si fanno più splendenti, sempre più, finché alla fine nessuno dei gabbiani riesce a sostenerne più la vista.
“Jonathan,” disse Ciang, e queste furono le sue ultime parole, “tu séguita a istruirti sull’amore.”
Quando gli occhi abbagliati tornarono a vedere, Ciang non c’era più.

- Il gabbiano Jonathan Livingston -
- Richard Bach -

cielo
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da cielo » 21/01/2020, 18:46

Un giorno di quelli in cui il cane stolto Untenshu Chookaryoo era solito servire il the a tutti gli altri cani, Nigai Ninniku se ne lamentava in
tutti i modi, ringhiando:”Tu mettendo il the nella tazza non fai fare loro alcuna fatica: così è tutto semplice per loro”.
Colpendolo col muso gli si metteva accanto, cercando di prendere la teiera di cui vedeva il the. Ogni giorno di the era la stessa storia, fu così che stanco un giorno, se ne andò lasciando loro in dono la pelle e a Nigai Ninniku quella teiera.
Fu così che quel giorno Nigai Ninniku scoprì la teiera essere vuota.



Servire il the da una teiera vuota?

Forse è come quando muore qualcuno?

Presenza nell'assenza, sempre che si riesca a bere il the che cala da una teiera vuota in una tazza vuota.

Non è facile, è quasi come scrivere sul niente, che non è certo agevole.

Quasi come svuotare una tazza piena di the, soprattutto se è calato da una teiera vuota che noi pensiamo piena, proprio come la nostra tazza.

Forse che fuori dalla teiera il the non è più the, che lo è solo dentro le nostre tazze?

E' davvero un mistero come mai la teiera di Untenshu possa mescere il the pur se vuota.

E noi berlo, consapevoli del suo sapore, aromatico e lievemente astringente.

Che buon the che versa quel cane stolto di Untenshu Chookaryoo.

cielo
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da cielo » 25/10/2020, 11:43

cielo ha scritto:
21/01/2020, 18:46

Un giorno di quelli in cui il cane stolto Untenshu Chookaryoo era solito servire il the a tutti gli altri cani, Nigai Ninniku se ne lamentava in
tutti i modi, ringhiando:”Tu mettendo il the nella tazza non fai fare loro alcuna fatica: così è tutto semplice per loro”.

Colpendolo col muso gli si metteva accanto, cercando di prendere la teiera di cui vedeva il the. Ogni giorno di the era la stessa storia, fu così che stanco un giorno, se ne andò lasciando loro in dono la pelle e a Nigai Ninniku quella teiera.

Fu così che quel giorno Nigai Ninniku scoprì la teiera essere vuota.



Servire il the da una teiera vuota?

Forse è come quando muore qualcuno?

Presenza nell'assenza, sempre che si riesca a bere il the che cala da una teiera vuota in una tazza vuota.

Non è facile, è quasi come scrivere sul niente, che non è certo agevole.

Quasi come svuotare una tazza piena di the, soprattutto se è calato da una teiera vuota che noi pensiamo piena, proprio come la nostra tazza.

Forse che fuori dalla teiera il the non è più the, che lo è solo dentro le nostre tazze?

E' davvero un mistero come mai la teiera di Untenshu possa mescere il the pur se vuota.

E noi berlo, consapevoli del suo sapore, aromatico e lievemente astringente.

Che buon the che versa quel cane stolto di Untenshu Chookaryoo.


Se osservo la tazza che ho davanti, vedo che il the è scuro, nero, forte e amaro.

A gennaio scorso, con quel freddo, lo gustavo aromatico e lievemente astringente.

Forse quella stolta anticipava il futuro isolamento dei tradizionali quaranta giorni (e anche di più) che avrebbe afflitto tutti gli stolti che contestualmente stavano bevendo goduti quel the, senza neppure ringraziare la mano che lo aveva offerto, certi di potere averne ancora e di migliore?

Di biscotti da inzuppare nel the (sciapo e di incerta provenienza) nei mesi a seguire ben pochi.

Poi, dopo la calda estate, anche pane duro, ma non per tutti, per qualcuno ancora biscotti burrosi e brioches e divertimento senza limiti, ma così è la vita degli stolti: un desiderio tira l'altro e non tutti hanno la fortuna di vederli esauditi, almeno gli essenziali, quelli che hanno tutti gli stolti cani del mondo: la ciotola piena o almeno non vuota, acqua fresca, una cuccia riparata e al sicuro dai predatori, qualche amico e amica per scondinzolare in allegria...cose semplici.

Ora gli amici di Nigai Ninniku, quello che pretendeva che gli altri dovessero fare fatica e lamentava che le cose non dovessero essere rese semplici per cani sfaticati, ma, appunto guadagnate, li sento latrare spaventati a darsi spintoni col muso l'un con l'altro.

"Dovete fare più fatica! Complicare ancora di più le cose perchè altrimenti se fossero semplici avreste meno da fare! Spostati di lì, che io al posto tuo saprei bene che cosa fare!"

Per fortuna che il saggio Untenshu Chookaryoo ha lasciato qualche traccia del suo passaggio nei boschi verso la sacra Montagna e qualche tana abbandonata e ben nascosta.

Chissà se Nigai Ninniku a cui fu donata la teiera (così fu lui a dover servire il the agli altri) avrà compreso che il the migliore e più corroborante è quello servito da una teiera vuota.

Se poi lo accoglie una tazza senza fondo è ancor meglio, il flusso delle acque avrà modo di scorrere senza soluzione di continuità.

Torno a sorgeggiare il the.

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cannaminor
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Re: Scrivere sul niente?

Messaggio da cannaminor » 28/10/2020, 10:46

cielo ha scritto:
17/01/2020, 19:22
Ti narro di Itsuo Tsuda (1914-1984)

Non scrivere niente non è certo difficile.

Scrivere per non dire niente, è un mestiere.

Ma scrivere sul niente, non è cosa agevole.


Premadharma

Quaderno Advaita&Vedanta N. 068 - Zenkaisoo - Taki II
Quanto sopra, ed eventuali altri riporti e citazioni a seguire, sono state tutte tratte dal Quaderno Advaita&Vedanta N. 068 - Zenkaisoo - Taki II di cui si fa menzione sopra.

«Un giorno di quelli in cui il cane stolto Untenshu Chookaryoo era solito servire il the a tutti gli altri cani, Nigai Ninniku se ne lamentava in tutti i modi, ringhiando:”Tu mettendo il the nella tazza non fai fare loro alcuna fatica: così è tutto semplice per loro”.

Colpendolo col muso gli si metteva accanto, cercando di prendere la teiera di cui vedeva il the. Ogni giorno di the era la stessa storia, fu così che stanco un giorno, se ne andò lasciando loro in dono la pelle e a Nigai Ninniku quella teiera.

Fu così che quel giorno Nigai Ninniku scoprì la teiera essere vuota.»

Scrivere sul niente è come mescere il the da una teiera vuota, la stessa identica cosa.

Il niente di cui si parla è il nulla, il vuoto, il silenzio, nir-guna, senza attributi, senza forma, senza nome, assenza, neti-neti.

La teiera era vuota, come "vuoto" è il maestro da cui sgorgano le parole di verità. Non c'era alcuna individualità cui attribuirle, da cui possano sgorgare le parole del suo scrivere, del suo parlare, del suo dialogare. Teiera vuota, Presenza vuota, vuota di ogni attributo, di ogni guna, di ogni qualificazione. Il Maestro non ha nome, non ha origine, non è attribuibile, semplicemente è, sempre è stato e sempre sarà in continuità, fermo e costante.

«Ti narro di Kodo Sawaki (1880-1965)
Fare la meditazione (zazen) non serve a niente.
E finché non si impara a fare la meditazione che non serve a niente,
non serve a niente fare la meditazione.»

Come ebbe a commentare lo stesso Bodhananda delle righe di cui sopra; «La frase è di Kodo Sawasaki ed è di una linearità e purezza a dir poco estasiante... da contemplare per ore... per mesi... per anni... è piena... è gioia... è una porta alla Conoscenza di sé.
"Fare la meditazione non serve a niente". Non ci può essere e non c'è alcun fine nella meditazione.
perché la meditazione è lo stato naturale dell'essente consapevole in sé. L'essere non ha scopi, non ha fini, non ha causa e non ha effetti.
Meditare è essere. Quindi non ha alcun fine, scopo, non serve "altro". È bastevole in sé.
Quindi non serve a niente.
Meditare non serve, perché non porta ad alcuna alterità. Meditare è meditare, non è asservito ad alcun scopo, ottenimento, effetto, nè può essere causato da alcuna volontà, istanza, movimento.
Quindi, sino a quando non si ha questa posizione coscienziale (ove sia possibile la meditazione pura, che non serve a niente) è del tutto inutile meditare.»

Imparare, insegnare a fare la meditazione che non serve a niente è come mescere il the da una teiera vuota. E finchè non si impara a mescere il the da una teiera vuota non serve a niente (credere di) mescere il the.

Nigai Ninniku pensava che occorresse un lavoro, uno sforzo, una fatica per poter fare e mescere il the dalla teiera, salvo poi scoprire con suo grande stupore che la teiera era vuota. La meditazione non sorge da nulla e non giunge a nulla, nel nulla nel vuoto è e resta tutto il tempo in cui si crede di fare meditazione o di mescere del the. La teiera è vuota, è sempre stata vuota, e sempre lo sarà, sono solo i nostri pensieri e pensare a riempirla, le nostre paure e desideri, I nostri attaccamenti e adesioni. Il serpente sul viottolo è sempre stato (corda), non è mai stato serpente, salvo nella nostra immaginazione, pensiero, credenza, etc. Non c’è nessun serpente da calpestare, nessun the da mescere, nessuna meditazione da meditare, tutto è origine (originale) e tale resta, originale; non si è mai mosso da lì, salvo nel nostro divenire pensativo, nel nostro rincorrersi di pensieri e credenze, di paure e desideri, di adesioni e attaccamenti.

«Ti narro di Haruchika Noguchi (1911-1976)

Ci sono coloro che vivono ad ogni istante, e altri che muoiono ad ogni istante,
Coloro che si accaniscono ad acquisire vantaggi materiali stanno morendo, sono i vantaggi materiali che vivono al loro posto.
e lo stesso è per coloro che sono prigionieri della loro conoscenza, schiavi delle regole imposte o coloro che troppo preoccupati di elogi o critiche, si curano dello sguardo altrui.
Vivere pienamente questa vita in cui si sta morendo è la via della vita piena: zen sei Kun»

«Il coraggio può esistere solo con la paura, altrimenti come chiamarlo coraggio. Il bodhisattva è divino solo perché umano, se non fosse umano, non potrebbe essere divino.
Sono le sue azioni nonostante la sua umanità a renderlo divino. Così è per gli eroi, per i cavalieri, per i samurai. Essi tutti non sono senza paura, la usano per crescere.
Vedi, non so se il Maestro abbia o meno bisogno, so che non può esistere alcun discepolo senza la dedizione e il servizio al Maestro. Chiamare qualcuno Maestro implica una relazione…la relazione che ha un Realizzato col mondo è equanime nei confronti di ogni ente manifesto, se voglio una relazione speciale al punto di chiamarlo Maestro, sta a me costruirla e ho solo due possibilità o realizzo il suo stesso stato o lo servo con tutto me stesso. Solitamente le due cose non si escludono.»

“se voglio una relazione speciale al punto di chiamarlo Maestro, sta a me costruirla e ho solo due possibilità o realizzo il suo stesso stato o lo servo con tutto me stesso. Solitamente le due cose non si escludono.”

questo ultimo brano continua a colpirmi tutt’oggi, perchè racchiude nell’essenza l’insegnamento rivevuto da Bodhananda, così come da lui stesso vissuto e testimoniato in relazione a Raphael.

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