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Meditazione

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cannaminor
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Meditazione

Messaggio da cannaminor » 08/01/2020, 13:50

Daniele ha scritto:
07/01/2020, 16:05
Certo, non è una domanda banale sembra che abbia scritto effettivamente come se si trattasse di uno sport!

Intendo che ho praticato seguendo gli insegnamenti del satipatthana sutta, secondo la tradizione theravada.
Prendere coscienza così dei pensieri che passano nella propria mente, riconoscerli, vedere il loro inizio, proseguimento e fine e disidentificarsi con essi, evitando di vivere con l'autopilota ; guidati da oggetti esterni secondo le bipolarità attacco/fuga, attrazione/repulsione ma identificarli così come esperienze che di per sé non hanno un valore positivo/negativo ma solo tali sotto luce della nostra identificazione ed etichettamento.
Ti replico qui, aprendo un tread diverso dalla tua presentazione, così da non mescolare impropriamente argomenti con altri.

Grazie dell'avermi risposto, innanzitutto, e grazie d'avermi subito indicato il contesto degli insegnamenti in cui pratichi la meditazione.
Ti vorrei ora chiedere qualche ulteriore approfondimento su quanto hai detto e vorrei, se possibile, una tua risposta, per la tua esperienza-consapevolezza e non per quella letta, studiata, appresa e quant'altro sia pur da nobili insegnamenti etc.

Ovvero la prima cosa che ti chiedo è quanto segue: descrivi di pensieri che passano durante la meditazione (il che già per primo mi fa pensare che la "meditazione" che pratichi si svolga in un arco temporale che tu stesso definisci) nella propria mente, e che la mediatazione (che pratichi) consista nel "riconoscerli, vedere il loro inizio, proseguimento e fine e disidentificarsi con essi"...il che mi fa per primo (ancora) pensare, che i pensieri siano contenuti in un contenitore a nome "mente", quasi come vedere delle immagini scorrere su\in un televisore.
Nella mia esperienza, che non è nè vedanta, nè altro, semplicemente la mia esperienza e per tale te la porgo in libero scambio e condivisione di "esperienze di cammino", dicevo nella mia esperienza la mente non è un contenitore-scatola che contiene i pensieri che scorrono-passano, come gli uccelli o le nuvole in cielo, ma è e coincide esattamente con ciò che pensa. Ovvero la mente è i pensieri stessi (pensati). Quindi, sempre nella mia esperienza, vedere uno, dieci o centomila pensieri scorrere è sempre e solo vedere la una e sola mente. Di più, e qui mi avvicino e mi riconosco in almeno un insegnamento, quello di Ramana, che tra tutti i pensieri possibili che puoi vedere ce ne è uno ed uno solo che è testa a tutti gli altri ed è il pensiero "io". È il primo pensiero che sorge alla veglia e l'ultimo che se ne va, tutti gli altri pensieri seguono e si rifanno a lui come pensiero capostipite, senza di lui nessun altro pensiero sarebbe. Tutto ruota e fa riferimento a lui e solo lui, "io", quello è il primo e ultimo.

Da qui ne segue che se era vero che la mente è i pensieri che pensa, a maggior ragione la mente è l'"io" stesso, capostipite di tutti i pensieri pensabili.

Quindi ancora se disidentificazione deve essere e praticata, la prima (e anche l'ultima) da cui occore prendere distacco e disidentificazione è proprio l'"io", l'io mentale, l'io-pensieri-mente, perchè di fatto è un tutt'uno. Volendo spingersi anche un po' oltre si potrebbe dire che la coscienza stessa, è coscienza dell'io, della mente, dei pensieri pensati. Coscienza è pensare, coscienza è la mente, l'io, mente ed io e pensieri intesi come avere coscienza di. Certo, volendo stare in questi termini toccherebbe allora distinguere la coscienza dalla pura coscienza, o meglio la coscienza di, dalla pura coscienza. Ma là dove la coscienza è coscienza di qualcosa, qualcuno (fosse anche di me stesso-io-mente) sarebbe appunto coscienza di, quella di cui puoi paradossalmente avere coscienza nella meditazione, perchè nel qual caso non è più la coscienza ad essere in ballo, ma la consapevolezza, e là dove la stessa meditazione cambia nome e diventa consapevolezza, consapevolezza della coscienza (esistenza-esistere), consapevolezza dei pensieri pensati-mente-io, etc. E dove, aggiungo in ultimo, la consapevolezza (la meditazione di prima) non è più uno spazio-tempo definito, ma diventa atemporale aspaziale, quindi un samadhi praticamente.

Tornando alla meditazione, sempre secondo me, (della serie per chi non l'avesse ancora capito che qui ognuno parla per sè e per nessun'altro) la prima necessità di chi si pone in meditazione è quella di calmare la mente, ossia quello che dicevi lo scorrere-passare dei pensieri, e questo sempre secondo mia esperienza lo si può solo fare centrandosi su se stessi, sul senso e "sentimento" direi di se stessi. Può venir utile l'uso di centrasi per il tramite di un seme di meditazione, il respiro, una candela, la punta del naso, qualsiasi cosa in fondo va bene basta centrare la mente lì, puntarla lì, proprio dal termine punto, e puntuale. La si focalizza in un punto-seme e lei di solito lì sta, non generando altri pensieri etc etc. In quella condizione di stasi, di fermo mentale, la centratura di sè si ottimizza, ascende, trascende, quella "coscienza di" di cui si parlava prima, si interiorizza salendo verso una condizione più pura, meno "di", più consapevole, quella consapevolezza che fa appunto essere consapevoli della mente stessa, del suo essere i pensieri che pensa (quando li pensa) e dell'identificazione di tutto ciò con il senso dell'io, perchè l'io in effetti è un senso dell'io, è un sentire, è una coscienza dell'io. In fondo è tutto coscienza (pura), quella identificata e quella non, quella di (questo e quello) e quella non, tutto qui. Il filo di ascesa è centrale, è puntuale, è quella centratura-centro-punto che si cerca appunto nella meditazione e per il tramite di cui ci si distacca e si ascende dalla identificazione terrena e piana del piano orizzontale-grossolano-io-mente.

Questa più o meno la visione-esperienza (di visione) che ne ho e per tale te la porgevo, per condivisione di visioni ed esperienze, e per vedere esplorare insieme in cosa collimano ed in cosa no, senza alcuna pretesa di nessuno di voler convincere nessuno della rispettiva veridicità.

Che poi vedi anche qui sul discorso della veridicità delle esperienze che si vivono e si hanno (realizzano); in fondo non esiste un'esperienza che sia falsa in quanto tale e per cui nemmeno vera in quanto tale. Ognuno ha un suo vissuto che coincide, si spera sempre se davvero vissuto-realizzato, con ciò che è. E ciò che si è e\o ciò che si è sperimentato-conosciuto di sè essere, non è falso come non è vero, è sempre e solo ciò che si è.
Questo per cercare di dire che la "mia" visione delle cose non potrà mai essere più vera o meno vera (falsa?) di quella di chiunque altro. È vera per me, perchè ciò che sono (che conosco di me essere) ciò è, non altro, è quell'evidenza e concidenza di essere ciò che si è. Volendo anche per la mente ciò che pensa è (vero) infatti quella è la sua verità, peccato poi che perda tanto tempo ed energie e confrontarla-scontrarla con altre, a volerne avere supremazia, certezza, convincimento e convinzione, etc etc. Ad ogni grado coscienziale corrisponde la sua verità, che è indubitabilmente vera per quel grado coscienziale vissuto. Come si usa dire "ogni cosa è al suo giusto posto", anche le verità parziali e relative.

Comunque quanto sopra era solo uno spunto, un'occasione, anche per altri, oltre che me e te (daniele), di poter intervenire (se lo ritengono) e dire, testimoniare, condividere la loro esperienza in merito.

Daniele
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Re: Meditazione

Messaggio da Daniele » 08/01/2020, 23:43

Se seduto su cinema, si osserva il telone/mente, si osservano le varie immagini che passano. A questo proposito credo che l'Io
non può far altro che identificarsi con quelle immagini, totalmente parziali e soprattutto autoalimentate dalla personalità di
ognuno di noi in rapporto con altri e ambiente. In questo senso credo che l'Io, o meglio le idee e pensieri circa l'Io, sono proprio
l'Io dal quale bisogna distaccarsi. Riconoscersi come Testimoni senza nessun altro aggettivo o qualificazione.

I pensieri che come nuvole circolano, del resto non sono altro che eventi del tutto neutrali a cui viene assegnato un nome,
una definizione, un rapporto di odio/amore attrazione/repulsione e conseguenti reazioni di attacco, fuga o avvicinamento.
L'evento nasce nel momento in cui viene de-finito, estratto così da un mondo delle idee e diviene così un fatto a sé.
Una mente che percepisce così i pensieri autoprodotti a cui viene dato un significato arbitrario nato in rapporto ad esperienze,
ideali dell'io, conoscenze... a cui finisce per crederci, prenderli per realtà assoluta e a definire l'esistenza alla luce
di quelle determinate credenze autoimposte o eteroimposte (letture, amici, partiti politici, leader religiosi..)


Credo così che la meditazione, in questo senso agisca attraverso un percorso graduale, ma anziché procedere a piccoli passi,
va avanti a balzi e intuizioni, fino a "scomparire" nel substrato ideologico e di credenze a cui si è avuto continuamente fede.
Non è così advaita vedanta, theravada, alchimia... (quello che ti pare!) ma unicamente il testimone eterno che "guardava"
ogni aspetto del divenire.

Mi trovi d'accordo sulla meditazione che ha come necessità quello di calmare il corpo e la mente. Vedere così le cose come appaiono,
rallentare il caos fino a bloccarlo definitivamente.


Credo che però sia importante valutare anche la propria esperienza che, come dici tu, non è né vera né falsa ma è così
come ci appare: così credo che le prime esperienze possano essere di grande aiuto. Se spesso, totalmente alla ricerca di
chissà quale sensazione, siamo focalizzati solo su quanto siamo agitati, su "ma quanto inizia questa illuminazione?" o su
quanto ci stiamo annoiando, probabilmente proprio ricordandosi di esperire ANCHE noia, agitazione.. che siamo focalizzati
così su ciò che passa. Da qui tutto ciò che hai bene spiegato. E' come un blocco di marmo per un artista che avendo coscienza
così del blocco di marmo che si può vedere via via la creazione finale che non è dissimile dal marmo di prima, solo purificata
dal rumore di fondo che non la mostrava prima.


Certo, è un interessante punto di riflessione il considerare le esperienze né vere né false ma semplicemente esperienze.
Si cercano risposte, vincere dibattiti o scambiare idee per avere chissà cosa in più, ma è smeplicemente esperienza che è
definita dall'ideale dell'Io a cui diamo un senso di realtà/irrealtà.


Mentre scrivevo pensavo: "speriamo di rispondere bene" "spero di non fare brutte figure" e così via. Ecco, in questo modo si continua il ciclo infinito dell'identificazione con l'immagine che l'Io vuole avere.

cielo
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Re: Meditazione

Messaggio da cielo » 09/01/2020, 10:19

Daniele ha scritto:
08/01/2020, 23:43
Se seduto su cinema, si osserva il telone/mente, si osservano le varie immagini che passano. A questo proposito credo che l'Io
non può far altro che identificarsi con quelle immagini, totalmente parziali e soprattutto autoalimentate dalla personalità di
ognuno di noi in rapporto con altri e ambiente. In questo senso credo che l'Io, o meglio le idee e pensieri circa l'Io, sono proprio
l'Io dal quale bisogna distaccarsi. Riconoscersi come Testimoni senza nessun altro aggettivo o qualificazione.

I pensieri che come nuvole circolano, del resto non sono altro che eventi del tutto neutrali a cui viene assegnato un nome,
una definizione, un rapporto di odio/amore attrazione/repulsione e conseguenti reazioni di attacco, fuga o avvicinamento.
L'evento nasce nel momento in cui viene de-finito, estratto così da un mondo delle idee e diviene così un fatto a sé.
Una mente che percepisce così i pensieri autoprodotti a cui viene dato un significato arbitrario nato in rapporto ad esperienze,
ideali dell'io, conoscenze... a cui finisce per crederci, prenderli per realtà assoluta e a definire l'esistenza alla luce
di quelle determinate credenze autoimposte o eteroimposte (letture, amici, partiti politici, leader religiosi..)


Credo così che la meditazione, in questo senso agisca attraverso un percorso graduale, ma anziché procedere a piccoli passi,
va avanti a balzi e intuizioni, fino a "scomparire" nel substrato ideologico e di credenze a cui si è avuto continuamente fede.
Non è così advaita vedanta, theravada, alchimia... (quello che ti pare!) ma unicamente il testimone eterno che "guardava"
ogni aspetto del divenire.

Mi trovi d'accordo sulla meditazione che ha come necessità quello di calmare il corpo e la mente. Vedere così le cose come appaiono,
rallentare il caos fino a bloccarlo definitivamente.


Credo che però sia importante valutare anche la propria esperienza che, come dici tu, non è né vera né falsa ma è così
come ci appare: così credo che le prime esperienze possano essere di grande aiuto. Se spesso, totalmente alla ricerca di
chissà quale sensazione, siamo focalizzati solo su quanto siamo agitati, su "ma quanto inizia questa illuminazione?" o su
quanto ci stiamo annoiando, probabilmente proprio ricordandosi di esperire ANCHE noia, agitazione.. che siamo focalizzati
così su ciò che passa. Da qui tutto ciò che hai bene spiegato. E' come un blocco di marmo per un artista che avendo coscienza
così del blocco di marmo che si può vedere via via la creazione finale che non è dissimile dal marmo di prima, solo purificata
dal rumore di fondo che non la mostrava prima.


Certo, è un interessante punto di riflessione il considerare le esperienze né vere né false ma semplicemente esperienze.
Si cercano risposte, vincere dibattiti o scambiare idee per avere chissà cosa in più, ma è smeplicemente esperienza che è
definita dall'ideale dell'Io a cui diamo un senso di realtà/irrealtà.


Mentre scrivevo pensavo: "speriamo di rispondere bene" "spero di non fare brutte figure" e così via. Ecco, in questo modo si continua il ciclo infinito dell'identificazione con l'immagine che l'Io vuole avere.
Hai risposto più che bene, e poi non siamo ciò che crediamo di essere e neppure ciò che gli altri pensano che noi siamo, con conseguenti aspettative di performance scintillanti da parte nostra, o cadute rovinose.
Cosa siamo? Ogni tanto mi aggrappo alla corda delle definizioni: siamo il Sè, che non ha bisogno di vestire un io per percepirsi esistente. Lo veste come un vestito alla bisogna, a seconda del film che si va ad interpretare o di cui si è partecipi spettatori, possibilmente con un sacchetto di pop corn, giusto per ingannare i tempi lenti o attenuare la paura nelle scene più drammatiche e agghiaccianti.

Siamo l'Eterno temporaneamente parcheggiato in una forma di materia grossolana, ma senziente, dotata di sofisticati strumenti interni tra i quali il senso dell'io che si veste dell'autorevole tunica del Testimone, ultimo soggetto a testimoniare, per l'appunto, lo scorrere dell'Eterno nella forma mortale.
Un soggetto che prima o poi dovremo abbandonare. Anch'esso specchio di ciò che può farsi riflesso, ma non oggetto di conoscenza.
Riflesso di una Intelligente perfezione compiuta in sè stessa, luce autorisplendente senza alcuna oscurità separativa causata dalla forma. Fuori dalle coordinate spazio-temporali e fluente nel torrente della causalità in divenire.

Per me, negli anni, la pratica della meditazione "volontaria" (adesso mi metto qui, mi silenzio, mi raccolgo, mi centro, osservo i vari semi che balenano all'attenzione della coscienza: respiro, visioni, emozioni...) è stata sostituita da una meditazione più "spontanea", un tentativo di abbandonare il timoniere che programma le rotte per percepire-ascoltare lo svolgersi della vita senza mantenere un riferimento interno che affermi di vedere la giostra girare, perchè la giostra gira a prescindere e non si può scendere, a meno di alterare l'ordine che la mantiene in moto.
E nello stesso tempo, percorrere ogni raggio senza preoccuparsi di abbandonare il centro, la ruota sta girando.

La ruota del samsara è una per ogni jiva-fantasma, è il movimento stesso di colui che crede di poter raggiungere l'eterno immobile Essere - io sono, continuando a muoversi, girando su sè stesso e subendo il movimento della ruota.

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cannaminor
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Re: Meditazione

Messaggio da cannaminor » 09/01/2020, 12:42

Daniele ha scritto:
08/01/2020, 23:43
Se seduto su cinema, si osserva il telone/mente, si osservano le varie immagini che passano. A questo proposito credo che l'Io
non può far altro che identificarsi con quelle immagini, totalmente parziali e soprattutto autoalimentate dalla personalità di
ognuno di noi in rapporto con altri e ambiente. In questo senso credo che l'Io, o meglio le idee e pensieri circa l'Io, sono proprio
l'Io dal quale bisogna distaccarsi. Riconoscersi come Testimoni senza nessun altro aggettivo o qualificazione.
Il problema a mio vedere è ancora più radicale.Tu sembri porre un "io" altro ed esterno al telone/mente su cui scorrono le immagini, la cui "scelta", possibile scelta di cammino e\o esistenziale, sia quella di identificarsi (oppure no) in tali immagini/mente.

A mio vedere non c'è un "io" esterno alle immagini/mente/pensiero perchè l'io è coincidente con le immagini-mente-pensiero che pensa/vede scorrere sul telone. L'io non è esistente fuori dal contesto mente-pensieri-pensare perchè è esattamente ciò; sorge col tuo stesso pensare, sei ciò che pensi (di essere), sei inteso come "io" quid esistente, pensante, che crede ai suoi stessi pensieri e pensare, crede vuol dire identificarsi, nei tuoi stessi pensieri pensare. "Tu" credi a ciò che pensi e dici, ed è proprio in questo tuo crederci che esisti inquanto io, inquanto individualità, inquanto definizione di te. Sono proprio i pensieri pensare a definirti "io", ciò che tu sei, ciò che tu pensi, ciò che tu credi, etc. Sei definito-individuato dal tuo stesso pensiero pensare. Meglio ancora i due sono coincidenti; non c'è pensiero pensare senza una mente-io e viceversa. L'uno implica l'altro e viceversa. Non riuscirai mai a distaccarti dalla tua mente (io) finchè pensi che ci sia un io che possa farlo disidentificandosi dai pensieri, dalle immagini sul telone, perchè le immagini sul telone sono proprio le immagini dell'io, della mente che crede di essere.Se togli le immagini, se togli il pensare non c'è nessun io, nessuna mente, quello che accade peraltro nel sonno senza sogni. Quando sei nel sonno (senza sogni) dove sono le immagini sul telone, dove la mente, dove l'io, non c'è nulla di tutto ciò e questo perchè tutto ciò è coincidente quanto assente.
Daniele ha scritto:
08/01/2020, 23:43
I pensieri che come nuvole circolano, del resto non sono altro che eventi del tutto neutrali a cui viene assegnato un nome,
una definizione, un rapporto di odio/amore attrazione/repulsione e conseguenti reazioni di attacco, fuga o avvicinamento.
L'evento nasce nel momento in cui viene de-finito, estratto così da un mondo delle idee e diviene così un fatto a sé.
Una mente che percepisce così i pensieri autoprodotti a cui viene dato un significato arbitrario nato in rapporto ad esperienze,
ideali dell'io, conoscenze... a cui finisce per crederci, prenderli per realtà assoluta e a definire l'esistenza alla luce
di quelle determinate credenze autoimposte o eteroimposte (letture, amici, partiti politici, leader religiosi..)
Hai ragione a dire (hai ragione nel senso che ne condivido l'assunto) che i pensieri sono eventi neutrali (altri li chiamano fenomeni e questo piano grossolano/fenomenico), la manifestazione stessa è di fatto neutrale come dici, ma il problema di nuovo è che siamo "noi", inteso come io, individualità, fenomeni ed eventi noi stessi, ad infrangere tale neutralità (stavo per dire anche unità) con la nostra stessa identificazione nella parte, nel definito, nello specifico, nell'individuato, frammentandoci nel molteplice. È il nostro stesso identificarci nei "nostri" stessi pensieri, fra i tanti pensieri pensabili che si potrebbe pensare, a renderci "io" tra gli io, individuo tra gli individui, parte-molteplice dell'una unità. Della stessa mente dicono ce ne sia una ed una sola di universale, mahat, la mente universale, mente ontologica, la mente di dio, di isvara, etc. Dio è uno, isvara è uno, l'universo è uno, mahat è uno, tutto si riconduce all'uno; ma noi siamo molteplice, noi siamo "parte", siamo divisione, frammento, siamo persino pensiero parziale tra gli indefiniti-illimitati possibili pensieri di dio o dell'universo. Per tanti quanti individui che ci sono al mondo (ne avrai fatta esperienza immagino) vi sono altrettanti credo e pensieri pensati in merito, ogni mente è altra e diversa dalle altre, ogni mente crede in altro e diverso dalla sua prossima, ogni cristallo di neve è diverso dal suo simile, e così noi. È la "maledizione" del molteplice, dell'essere e credersi molteplice, o meglio parte del molteplice.

Io non sono te, tu non sei me, io non penso come te e tu non pensi come me e se anche vi possono essere coincidenze (sia pure significative) di pensiero, io continuo a pensarmi e identificarmi in una individualità-io altra e diversa da te e questo a motivo proprio del nostro stesso pensare e identificarci rispettivamente nei rispettivi pensieri di ciascuno di noi due. Questa è la dualità, nient'altro che questo. La nostra possibile unificazione, la nostra sintesi, non può essere cercata e trovata nella parte tra le parti, nel molteplice, ma solo abbandonando la parte (stavo per dire morendo alla parte, all'io) per l'unità. Quando dici di volerti disidentificarti dai pensieri, colui che si sta disidentificando sta parimenti morendo a se stesso. La mente muore a se stessa, l'io muore a se stesso, la parte muore a se stessa, ma paradossalmente (per l'io e per la mente individuata) rinasce all'universale, all'Uno, all'unità. Il seme (molteplice) muore e rinasce pianta (unità) se vogliamo porre questa analogia. Il molteplice deve morire, inquanto (parte del) molteplice per riconoscersi ed essere uno-unità.
Daniele ha scritto:
08/01/2020, 23:43
Mi trovi d'accordo sulla meditazione che ha come necessità quello di calmare il corpo e la mente. Vedere così le cose come appaiono,
rallentare il caos fino a bloccarlo definitivamente.
Quanto dicevo che inizialmente, per poter "distaccar-ci" dai pensieri (pensare-mente), occorre centrarsi e ciò facendo calmare il flusso mentale pensativo della mente. Inizialmente per "vedere" la mente devi calmarla e metterla al palo, calma e placida senza che più corra e scorrazzi in giro per il prato. Poi quando la "centratura", l'attenzione, la concentrazione-meditazione sarà sufficientemente stabile e ferma, allora la mente si potrà anche sciogliere dal palo (seme meditativo) e così tornare a pensare, che è poi la sua natura, senza che ci sia più o quasi identificazione e quindi sorgere di un "io" (individualità-individuato). La mente in fondo (e qui riprendo quanto cercavo di dire la volta scorsa sulla coscienza e che forse non è risultato del tutto chiaro), la mente è coscienza, tutto è coscienza, anche il telo su cui scorrono le immagini è coscienza. Se non ci fosse coscienza a vari gradi identificativi della stessa, non avremmo grossolano, sottile e causale nemmeno.

L'io, la mente, il pensiero pensare pensato stesso è coscienza, se non ci fosse lei non ci sarebbe nulla di tutto ciò. Il causale, il piano causale germinale (sonno-prajna) stesso è coscienza allo stato potenziale, non ancora manifesto-manifestato (si potrebbe anche dire non ancora pensato).

La mente, l'io, il pensiero-pensare-pensato è coscienza individuata, identificata, definita, parziale e parte (della uno-uni-versale). Ma sempre coscienza è, così sopra così sotto. È grazie proprio alla coscienza ed alla sua "verticalità" rispetto ai piani che attraversa e illumina che possiamo ascendere e trascendere i piani stessi. Ogni dis-identificazione è ascesa e morte a quel piano, ma non morte del piano, così come il noto aforisma "essere nel mondo ma non del mondo", qui è uguale essere nel piano ma non del piano, essere se stessi ma non di se stessi, essere nell'io ma non dell'io, essere nei pensieri che si pensa ma non dei pensieri che si pensa, nella mente ma non della mente, etc. È in questo senso ed in questa visione vedo la coscienza che ho cercato di descrivere. Noi siamo coscienza tanto quanto lo è dio, solo a gradi diversi di identificazione, nella considerazione che anche l'uno-universale sia un grado, sia pure l'ultimo (o il primo a seconda).

Più o meno questo si rifletteva (e condivideva) in merito alle parole lette di cui sopra.

Daniele
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Re: Meditazione

Messaggio da Daniele » 09/01/2020, 18:54

Leggevo nel pomeriggio il libro Iniziazione alla Filosofia di Platone di Raphael e mi ha proprio colpito la citazione di Plotino che riporto:

"Ma la via d'uscita ci è preclusa soprattutto perché l'Intelligenza di Lui non si ottiene né sulla via della scienza né su quella del pensiero, come per i restanti oggetti dello Spirito, ma solo per via di una presenza che vale ben più della scienza. Eppure l'Anima sperimenta un allontanamento dalla sua unità e non resta completamente una, allorché acquista la conoscenza scientifica di qualche cosa; la scienza difatti, è un processo logico ma il processo logico è molteplice. [...] è necessario allontanarsi sia dalla scienza sia dallo scibile sia da ogni altro spettacolo per quanto bello, poiché ogni bellezza è posteriore a Lui, e da Lui deriva come la luce diurna deriva tutta quanta dal Sole."

Verissimo, ciò che ho descritto io è nuovamente la "trappola" del molteplice, in cui tra lo spettatore io travestito da Testimone e telone del cinema si suddivide così lo sperimentato dallo sperimentatore.
Ma penso sia un passaggio necessario, in cui anzitutto vale un percorso graduale in cui riconosco così come i pensieri possano essere caotici e possano bloccarci. Da qui il senso di un Io costruito alla luce di quei pensieri, esperienze, eventi... è il momento in cui acquisti la conoscenza scientifica di qualcosa, in cui empiricamente hai modo dire che il sole illumina gli oggetti.
Penso che la meditazione formale sia così quel passaggio in cui si nota che la luce illumina gli oggetti, ma che illumina anche noi e come tale noi stessi non potremmo vivere senza quella luce perché siamo letteralmente quella luce, muore il meditante e il meditato.

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Re: Meditazione

Messaggio da Fedro » 10/01/2020, 7:03

"solo per via di una presenza, che vale ben più di una scienza"
(Plotino)
Ho colto questo bellissimo passaggio perché potrei vedervi l'essenza di ciò che definisco "mia sadhana" (e per quanto rimanga sempre più stupito di cosa consta, nell'impossibilità di descrivere una sadhana dell'essere presenti a se stessi.)
Se guardo indietro d'altronde, non vedo un me stesso applicato a fare qualcosa in proposito.
Né posso dire che avrei potuto fare diversamente, ma neanche in fondo, stabilire un soggetto postosi verso "una pratica di sé stesso".
Deduco quindi che sia una forma semplificata del linguaggio verso "qualcosa" impossibile da scegliere o rifiutare. In altre parole, fuori da questa dinamica, dall'idea di un controllo personale o mentale che delimiti un fare qualcosa in proposito di qualcos'altro, prendo atto di uno svolgersi di eventi, più o meno apparenti (dipende dai gusti del momento) e tentare di descriverli temporalmente, come effetti di una causa determinata. In ogni caso, non saprei quanto tutto ciò sia reale, se non determinando un dove in cui pormi in questa visione.

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Re: Meditazione

Messaggio da cannaminor » 10/01/2020, 10:15

Daniele ha scritto:
09/01/2020, 18:54
Leggevo nel pomeriggio il libro Iniziazione alla Filosofia di Platone di Raphael e mi ha proprio colpito la citazione di Plotino che riporto:

"Ma la via d'uscita ci è preclusa soprattutto perché l'Intelligenza di Lui non si ottiene né sulla via della scienza né su quella del pensiero, come per i restanti oggetti dello Spirito, ma solo per via di una presenza che vale ben più della scienza. Eppure l'Anima sperimenta un allontanamento dalla sua unità e non resta completamente una, allorché acquista la conoscenza scientifica di qualche cosa; la scienza difatti, è un processo logico ma il processo logico è molteplice. [...] è necessario allontanarsi sia dalla scienza sia dallo scibile sia da ogni altro spettacolo per quanto bello, poiché ogni bellezza è posteriore a Lui, e da Lui deriva come la luce diurna deriva tutta quanta dal Sole."

Verissimo, ciò che ho descritto io è nuovamente la "trappola" del molteplice, in cui tra lo spettatore io travestito da Testimone e telone del cinema si suddivide così lo sperimentato dallo sperimentatore.
Ma penso sia un passaggio necessario, in cui anzitutto vale un percorso graduale in cui riconosco così come i pensieri possano essere caotici e possano bloccarci. Da qui il senso di un Io costruito alla luce di quei pensieri, esperienze, eventi... è il momento in cui acquisti la conoscenza scientifica di qualcosa, in cui empiricamente hai modo dire che il sole illumina gli oggetti.
Penso che la meditazione formale sia così quel passaggio in cui si nota che la luce illumina gli oggetti, ma che illumina anche noi e come tale noi stessi non potremmo vivere senza quella luce perché siamo letteralmente quella luce, muore il meditante e il meditato.
Muore il meditante e muore il meditato, vero quanto scrivi, e aggiungo, resta solo la meditazione; meditazione che era già, prima che il meditante e meditato nascessero e sarà pure dopo che il meditante e meditato saranno morti. Perchè la meditazione è un modo altro di chiamare l'essere, la condizione dell'essere, la sua stessa natura.

C'è un momento sul cammino dell'aspirante in cui improvvisamente, con stupore e meraviglia, primancora con paura se non terrore, realizza che non c'è nessun soggetto al pari dell'oggetto, alcuna causa al pari dell'effetto, alcun agente di azione al pari dell'agire mentre prima con tutta naturalezza e ovvietà dava per scontato, evidente se non autoevidente la possibilità che ciò fosse. Sembrava ovvio che là dove c'era un agire, un'azione qualsivoglia ci fosse parimenti un "agente-soggetto" di quell'agire, di quell'azione; se c'era un effetto ovvio evidente che ci doveva essere una causa.
Non poteva sussistere un effetto senza una causa, un oggetto senza un soggetto, un'agire senza un agente dell'agire.

È "illuminante" (realizzare) che invece, sussiste da sempre la relazione ma non i relanti.
Esiste l'azione, la libera azione (vogliamo chiamarla così? la gita la chiama l'agire senza agire l'azione senza azione) ma non l'agente-causa di azione e nemmeno l'effetto-oggetto d'azione, è un'azione senza causa e senza effetto, senza soggetto e oggetto, è libera, libera azione, libero essere, libera manifestazione...

Come se ne ebbe già occasione di parlarne qui e come riferito in quel post, un caro amico ebbe a dire-dirmi "La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza".

Non c'è alcun meditante così come non c'è alcuna meditato, c'è solo la meditazione, sulla quale, per il tramite della quale, sottesa dalla quale occasionalmente, temerariamente, accidentalmente, nasce, vive e muore un meditante-meditato, un testimone-testimoniato.

L'azione, l'agire di cui si parla (in riferimento ad un soggetto di azione e di un oggetto di azione) non è altro che il "movimento", il "divenire", il fenomeno stesso. Il fenomeno inteso come evento (spazio-temporale) è movimento, è l'azione, l'agire del soggetto in relazione l'oggetto (in un'ottica spazio-temporale, duale, soggetto-oggetto). È l'unità-punto che si scinde e sdoppia nel due, la linea, e questa nel piano e questo nel volume e "crea-nasce" porta in esistenza lo spazio ed il tempo (di compierlo-si). È il big-bang cosmologico, l'espansione dell'universo, uni-verso, uni-tempo, uni-spazio, parte tuttto dal punto (per definizione a-dimensionale e aggiungo a-temporale).

Siamo andati fuori tema (off topic)? Forse, eppure ai miei occhi tutto ciò si ricollega meravigliosamente...

Daniele
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Re: Meditazione

Messaggio da Daniele » 11/01/2020, 22:09

mi viene così da pensare che anche la meditazione può essere una delle trappole separative. Mossi dal desiderio e dall'intelletto e dalle necessità empiriche (lasciatemi passare queste parole :lol: ) anziché essere meditazione sì è il personaggio a gambe incrociate che sta svolgendo una pratica formale. Si verifica che si continua ad osservare lavorando attivamente affinché si possa non aggrapparsi ai pensieri, svolgere le istruzioni e ricordarsi di vedere il respiro.

Daniele
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Re: Meditazione

Messaggio da Daniele » 26/01/2020, 23:59

Lascio qui un passo di Platone molto interessante circa le questioni dibattute nel Thread

– E con altro senso del corpo sei riuscito mai a percepirle? Bada, io
intendo dire di tutte le cose, per esempio, della grandezza, della sanità,
della forza e, in una parola, di tutte quante nella loro realtà ultima, cioè,
che cosa sia realmente ciascuna di esse; e domando: si scopre in esse coi
sensi del corpo la verità assoluta, o invece è così, che solo chi di noi più
intensamente e più acutamente si appresti a penetrare col pensiero ogni
oggetto di cui faccia ricerca nella sua intima realtà, solo costui andrà più
vicino di ogni altro alla conoscenza di codesto oggetto? – Precisamente.
– Potrà dunque far questo con purità perfetta chi massimamente si
adopri di avvicinarsi a ciascun oggetto col suo solo pensiero, senza né
aiutarsi, nel suo meditare, della vista, né trarsi dietro alcun altro senso
insieme col suo raziocinio; bensì cerchi, valendosi esclusivamente del
suo pensiero in se stesso, mondo da ogni impurità, di rintracciare
esclusivamente in se stesso, mondo da ogni impurità, ogni oggetto,
astraendo, per quanto può, e da occhi e da orecchi e insomma da tutto il
corpo, come quello che perturba l’anima e non le permette di acquistare
verità e intelligenza quando abbia comunanza con esso.

Platone, Fedone

cielo
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Re: Meditazione

Messaggio da cielo » 27/01/2020, 18:28

Daniele ha scritto:
26/01/2020, 23:59
Lascio qui un passo di Platone molto interessante circa le questioni dibattute nel Thread

– E con altro senso del corpo sei riuscito mai a percepirle? Bada, io
intendo dire di tutte le cose, per esempio, della grandezza, della sanità,
della forza e, in una parola, di tutte quante nella loro realtà ultima, cioè,
che cosa sia realmente ciascuna di esse; e domando: si scopre in esse coi
sensi del corpo la verità assoluta, o invece è così, che solo chi di noi più
intensamente e più acutamente si appresti a penetrare col pensiero ogni
oggetto di cui faccia ricerca nella sua intima realtà, solo costui andrà più
vicino di ogni altro alla conoscenza di codesto oggetto? – Precisamente.
– Potrà dunque far questo con purità perfetta chi massimamente si
adopri di avvicinarsi a ciascun oggetto col suo solo pensiero, senza né
aiutarsi, nel suo meditare, della vista, né trarsi dietro alcun altro senso
insieme col suo raziocinio; bensì cerchi, valendosi esclusivamente del
suo pensiero in se stesso, mondo da ogni impurità, di rintracciare
esclusivamente in se stesso, mondo da ogni impurità, ogni oggetto,
astraendo, per quanto può, e da occhi e da orecchi e insomma da tutto il
corpo, come quello che perturba l’anima e non le permette di acquistare
verità e intelligenza quando abbia comunanza con esso.

Platone, Fedone

Normalmente la meditazione (nelle sperimentazioni tipiche dell'aspirante, indipendentemente dal lignaggio a cui aderisce) ha un seme, in quanto la dispersione della mente che rincorre, zigzagando, viene ancorata a uno specifico oggetto di percezione.
Come il fiocco di cotone attaccato al seme che dopo aver a lungo svolazzato nelle correnti del vento, col peso del seme finalmente atterra nella terra.

La mente, come marca Platone, rincorre gli stimoli sensoriali e si aggrappa alle percezioni (buone o cattive, piacevoli o respingenti), perciò, una volta "vista" e a lungo osservata nel suo frenetico vorticare, deve essere riparata, orientata alla percezione dell'essere interiore, del "cuore-centro", del centro di gravità permanente, di quello che viene chiamato lo stato naturale dell'ente che è il puro Sè (sono) o atman. Puro Essere o pura Realtà.

Lo stato naturale dell'essere, quindi la pura Realtà, viene offuscata dal movimento (adesione alle percezioni, azioni, pensieri, riflessioni, considerazioni, opinioni, concetti...).

Siamo ciò che pensiamo e pensiamo tanto, visto che la nostra mente non ha limiti di tempo e spazio e si muove (tramite il potere dell'immaginazione) nel passato più remoto (i ricordi, le reminescenze, le visioni...) e nel futuro, e spazia in ogni dove, soprattutto nello stato di sogno quando, sedimentate le percezioni proveniente dai sensi fisici, la mente è libera nel suo fantasticare e si muove in ogni dove creando meravigliosi film in luoghi dove "dal vero" non si giunge così rapidamente.

E' quel fenomeno di aderenza al mondo che viene chiamata Maya, è l'ignoranza, l'avidya. La parte si separa e crea il suo mondo.

Forse è da osservare la percezione che passa solo attraverso il fantasmagorico mondo mentale a cui ci invita Platone?

Percepire la mente è forse l'ultimo seme?

Vedere il suo gioco, il suo farsi strumento del movimento e dell'azione?
Senza percezione non c'è pensiero, non c'è mondo, non c'è agente.
Nella condizione causale (sonno profondo, in analogia) in cui è assente ogni percezione, non c'è pensare, non c'è soggetto pensante, non c'è nessun mondo, bello o brutto che sia, nulla di nulla.
Accendi la telecamera della mente e si avvia la percezione ed ecco il mondo, ecco il soggetto percepiente e pensante, ecco tutto ed il contrario di tutto...

Ognuno torna nel mondo creato dalla propria mente. Lo abita e lo popola di "altri".

La meditazione sul seme serve ad acquisire le capacità di concentrazione, a sentire il peso del seme attaccato al fiocco di cotone che svolazza. Acquisite questa capacità di concentrazione, si aspira ad una pratica meditativa "senza seme" che serve a rimanere "fissi" in una posizione non partecipante, non giudicante. Il tutto accade ancora a livello mentale, il salto quantico è accidentale, ma l'idea sostiene "l'aspirazione dell'aspirante".

La mente viene addestrata, abituata a rallentare, a non esteriorizzare l'attenzione, a tenersi come una scimmietta alla mamma.
Non possiamo eliminarla in quanto esiste, nella veglia e nel sogno. Si muove con la vita che fluisce in noi.

Una pratica meditativa "corretta", secondo me, prima permette di raggiungere la concentrazione usando un seme e iniziare un processo di riconoscimento di ciò che c'è (ciò che sono, io-me), poi serve a smettere di alimentare i pensieri. E questo, mi par chiaro il dire di Platone, accade nel momento in cui si riconosce che l'attenzione corre dietro ai sensi, di solito (quasi sempre).

Dato che l'atman, lo stato naturale dell'ente, si manifesta al cessare del movimento, occorre che il pensiero (auto indotto) cessi.
E per farlo è necessario che si esaurisca la spinta a correre dietro alle percezioni. Occorre spegnere la fiamma eliminando la cera, o il legno che la alimenta. Solo così il sè autorisplendente si potrà manifestare. Dissolta ogni oscurità, e senza più aver bisogno della candelina.

Questo in realtà accade ogni notte, nel sonno profondo, quando la mente si spegne.

Più a lungo si spegne e più al mattino l'io di veglia afferma: "stanotte ho dormito bene, a lungo senza interruzioni (che bello che non c'ero!)"

Accade quasi ogni notte...ci sei ma non ci sei...Chi è che c'è?
Qualcuno (?) che c'è, ma non c'è, che vive senza vivere con un punto di riferimento che dica "io sto vivendo", lo dice solo dopo...al risveglio: io ho dormito. C'ero,ma non c'ero.
Per estensione è l'agire senza agire, l'azione senza azione.

In quella condizione - situazione, dove è la morte del mondo stesso e delle persone amate, e di ogni testimone del mondo nel tempo-spazio?
Dove è finito tutto ciò?
E' mai stato, è mai esistito?

Belle domande....
Se mi do una risposta da sola non c'è altra strada che essere presenti in ogni istante, con la mente al guinzaglio in modo da evitare che corra tra passato e futuro.
Presente a sè stessa, in consapevolezza del vagare e dell'errare.

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Re: Meditazione

Messaggio da cielo » 01/02/2020, 11:14

Si parlava di seme che atterra, portandosi dietro il fiocco di cotone: la mente, apparente e priva di consistenza se non implapabile, impulsata dai venti dei pensieri, zigzacante, instabile, velocissima, anche nell'alternare le maschere indossate secondo tempo luogo e circostanza.

La materia solida del corpo fisico denso nel vedanta è riconosciuta come "consistente di terra", la parte liquida e fluida proviene invece dall'acqua, mentre il colore, la mobilità e l'estensione spaziale derivano rispettivamente dagli elementi fuoco, aria e etere-spazio.

Le qualità degli elementi generano i sensi e relativi oggetti di percezione. Organi di percezione e organi di azione, non mi dilungo (sono dieci).
Tutti i sensi si riassorbono nella mente (manas), che è l'undicesimo organo e la sua funzione è quella di rappresentare gli oggetti di percezione.
Questa mente, conosciuta nel suo ruolo, può essere riassorbita nell'intelletto discriminante, nella determinazione intuitiva.

Gran comandante in capo dell'assemblamento dell'individuo incarnato e dotato di nama e ruopa: nome e forma, è il Sè, il jivatma, che grazie alla propria natura di puro splendore incausato illumina costantemente colui [l'intelletto] che percepisce tutti gli oggetti. Il Conoscitore.

L'intelletto lo vedo come un magazziniere che tenta di mettere in ordine una schiera di scatoloni assemblati a casaccio.

I sensi creano confusione e la mente spesso si trova in difficoltà nella decodifica dei diversi stimoli (uditivi, visivi, portati con l'aria del web e della cronaca...).

La meditazione, secondo la mia esperienza, è quel riuscire a raccogliersi e riassorbirsi nell'intelletto testimone degli eventi e degli stati emotivi che la mente come un giocoliere fa saltare più o meno senza cadute rovinose delle palline lanciate in aria. Piacere e dispiacere, paura e coraggio, fiducia e sconforto si alternano nel gioco duale degli opposti.

La mente corre dietro al piacere e alle altre sensazioni e il gioco è fatto: la mente si è identificata con l'insieme formato dal corpo e dai sensi, dimenticando di esere essa stessa illuminata dalla luce dell'eterno Sè.
Dove mai potrebbe essere o dove andare?
Solo in un castello fatto apparire dal potere di un mago, un sogno, un'apparenza della stessa consistenza di nuvola e di fiocco di cotone senza seme attaccato.

Viene insegnato che la pura Coscienza, inscindibile dall'Essere quali aspetti della stessa ed unica Realtà priva di secondo, è sempre cosciente di sè e, quindi, di tutto.

Per un jiva ben connesso alla propria forma (io sono questo) è difficile non "deformare" questo flusso ininterrotto e sempre esistente.
Ci sto lavorando.

cielo
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Re: Meditazione

Messaggio da cielo » 09/04/2020, 10:46

blue_scouter ha scritto:
08/04/2020, 20:47
Per quanto riguarda la meditazione, dalle informazioni teoriche che ho trovato, sia dal mio amico appassionato di Advaita Vedanta (che ora non vedo più, purtroppo) che da testi (in particolare La triplice via del Fuoco di Raphael) dovrebbe essere una “tecnica” che, attraverso la focalizzazione dell’attenzione su un oggetto specifico (con seme) o senza focalizzare l’attenzione su alcunché (senza seme), dovrebbe portare chi la pratica ad una fase preliminare di forte concentrazione, poi (si spera) ad un’altra fase più profonda, di “non-mente”. Personalmente io penso che questa tecnica, se ben praticata, potrebbe (per me) essere un modo per trovare alcune risposte che purtroppo non sono ancora riuscito ad incontrare. Mi riferisco sia a risposte esistenziali, sul perché del dolore, dell’ingiustizia, della solitudine, delle disparità sociali, ecc., ma anche ad aspetti più personali che riguardano la mia esperienza vissuta. Amo molto leggere, ma tutte queste cose non le ho trovate né sui libri né nelle persone che ho conosciuto finora, anche in quelle che mi sono sembrate più spirituali o “realizzate”. Solo il mio amico dell’Advaita mi ripeteva che cercavo nella direzione sbagliata, fuori, mentre invero avrei dovuto cercare dentro di me, così – mi disse ancora - avrei avuto in dono anche la pace del cuore. Vorrei molto mettere alla prova le sue
Intanto benvenuto Blue_scouter, ho spostato qui il tuo post visto che in questo 3d si parla specificatamente di esperienze personali nell'ambito della meditazione, scalino successivo dopo la concentraione, secondo la visione dello yoga di Patanjali.

Oltre la meditazione è il samadhi, lo stato in cui ogni separazione si è dissolta e l'essere contempla sè stesso nell'Essere, senza soluzione di continuità.

Penso che il tuo amico aspirante advaitin sia stato saggio nell'indicarti la via del ritorno, la rinuncia consapevole (per quel che si riesce) all'avidità della mente che dirige la sua attenzione verso il mondo esterno, patisce nel divenire cercando ragioni e soluzioni, non smette mai di desiderare e di barattare per avere ciò che vuole.

Incollo sotto un passaggio di Cannaminor, che ha aperto il 3d meditazione, perchè secondo me sintetizza egregiamente il percorso di ritorno al centro interiore dell'aspirante meditante.
cannaminor ha scritto:
08/01/2020, 13:50
Tornando alla meditazione, sempre secondo me, (della serie per chi non l'avesse ancora capito che qui ognuno parla per sè e per nessun'altro) la prima necessità di chi si pone in meditazione è quella di calmare la mente, ossia quello che dicevi lo scorrere-passare dei pensieri, e questo sempre secondo mia esperienza lo si può solo fare centrandosi su se stessi, sul senso e "sentimento" direi di se stessi.

Può venir utile l'uso di centrasi per il tramite di un seme di meditazione, il respiro, una candela, la punta del naso, qualsiasi cosa in fondo va bene basta centrare la mente lì, puntarla lì, proprio dal termine punto, e puntuale. La si focalizza in un punto-seme e lei di solito lì sta, non generando altri pensieri etc etc.

In quella condizione di stasi, di fermo mentale, la centratura di sè si ottimizza, ascende, trascende, quella "coscienza di" di cui si parlava prima, si interiorizza salendo verso una condizione più pura, meno "di", più consapevole, quella consapevolezza che fa appunto essere consapevoli della mente stessa, del suo essere i pensieri che pensa (quando li pensa) e dell'identificazione di tutto ciò con il senso dell'io, perchè l'io in effetti è un senso dell'io, è un sentire, è una coscienza dell'io.

In fondo è tutto coscienza (pura), quella identificata e quella non, quella di (questo e quello) e quella non, tutto qui.

Il filo di ascesa è centrale, è puntuale, è quella centratura-centro-punto che si cerca appunto nella meditazione e per il tramite di cui ci si distacca e si ascende dalla identificazione terrena e piana del piano orizzontale-grossolano-io-mente.

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Re: Meditazione

Messaggio da cielo » 18/04/2020, 10:09

latriplice ha scritto:
15/04/2020, 18:40

Per "non mente" intendi forse la realizzazione?

Il fatto è che il Sè è sempre realizzato e l'idea che la " non mente" è realizzazione implica la dualità tra la consapevolezza-Se' e il pensiero.

Nell'affermare che il Sè non è sperimentabile quando la mente funziona significa che la mente ed il Sè condividono lo stesso ordine di realtà, come una pera e una banana.

Ma la tua diretta esperienza ti mostra che questa affermazione è falsa per il semplice fatto che tu non cessi di esistere quando la mente pensa. È possibile che ci sia pensiero senza la consapevolezza?

Mettiamo il caso che tu sia sveglio e la mente improvvisamente si arresti. Per sapere che è ferma devi esserne consapevole. Ora mettiamo il caso che la mente riprendi a pensare. E anche in questo caso tu devi esserne consapevole che la mente si è attivata.

In entrambi i casi, con o senza pensiero, Io consapevolezza sono presente.

Se sono consapevole dell'assenza di pensiero come della sua presenza, significa che non vengo occultato quando la mente è attiva o rivelato quando la mente si arresta.

Che i pensieri siano presenti o meno, tu sei sempre la libera e costante consapevolezza.

Vero, ma finchè la mente non sarà ricondotta alla sua funzione strumentale e non ci sarà più un io che si percepisce entrare ed uscire, instabile e mutevole, dalla nuvola dei pensieri, la consapevolezza non sarà costante, nè tanto meno totale e integrata. L'io riprenderà vigore, pensandosi morto.

In una nota di Bodhananda all'Advaita bodha diphika si legge:

"La negazione del Reale avviene quotidianamente quando al risveglio decretiamo non reale il sogno e reale la veglia, quando è altresì evidente dalla coesistenza di entrambi, che né l’uno né l’altro sono Reali in sé. La negazione dell’evidenza del Reale in favore dell’apparenza, non è un concetto lontano dalla normale quotidianità dell’ente. Nonostante si sappia che il cielo in quanto entità in sé non esista (è un semplice spazio colmo di aria e vapor acqueo, attraversato dai raggi solari), lo si ritiene esistente.
Si nega quindi la sua realtà di non essere qualcosa.


Possiamo perciò dire che la consapevolezza ordinaria non è consapevolezza piena (libera) e costante, che è indistruttibile, non può essere sezionata e non possiede punti di congiunzione da dividere. Non è la Caitanya shakti di cui insegnano i Veda, il potere della consapevolezza che è comprensione piena e totale della natura dell'ātma tattvam, il Principio del Sè.

Quella consapevolezza è “costante ”, ossia è sempre lì. La Contemplazione della Presenza dell'Essere, che è sempre, in ogni momento, in ogni luogo.
Non fa differenze fra giorno e notte; non dorme e non è sveglia. Trascende i tre stati, perchè non sperimenta i tre stadi (veglia, sogno, sonno profondo) ne è testimone consapevole, trascende le tre dimensioni del tempo (passato, presente, futuro), che per essa sono uno dimorando nell'eterno presente, immobile. Pieno e vuoto coesistono nell'attimo, non c'è un io a coagulare, a farsi parte del Tutto, a marcare la sua traccia, non c'è un filo della ragnatela a cui ancora aggrapparsi.
Non può essere riconosciuta da un soggetto e oggettivata, non sarebbe più integrata.

Chiudo con un passaggio di Premadharma trovato casualmente nell'archivio che ben evidenzia un pericolo del percorso:

Anche ove l'essere sia una pura consapevolezza reale, se si permette alla mente di pensarlo, per quanto il pensiero sia rispondente esattamente al vero, non sarà più la realtà, sarà divenuta una inferenza.

Per questo certi esseri parlano di eterno presente o di non mente, o mancanza di individuazione o di io maturo o di mondo delle idee o di Io sono Dio o Quello... ciò che parla in loro non è mediato dalla mente se non in funzione strumentale del linguaggio, senza che ci sia un descrizione di una memoria.

Non si descrive un qualcosa che è stato, non è la mente a ricordare una passata realizzazione.

L'essere "entra", "richiama", "è" in quello stato di presenza ed è da lì che brilla, emana, presenzia. La mente, ove necessario, viene usata solo per dare suono alla voce eterna.




Nel cuore della Vita che sboccia. Col polline in viaggio nell'altrove.


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Re: Meditazione

Messaggio da blue_scouter » 02/06/2020, 16:45

Grazie dei preziosi consigli, io come seme per la meditazione sto usando il respiro. Mi sono accorto solo ora che la conversazione era stata spostata in questa stanza e ho scritto (prima) anche nella precedente.

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seme di meditazione

Messaggio da blue_scouter » 27/08/2020, 10:20

Scrivo nuovamente in questa discussione (sperando di non essere inopportuno) nella speranza che qualcuno di Voi possa chiarirmi un dubbio. Posto che, com'è stato qui detto precedentemente, <<può venir utile l'uso di centrasi per il tramite di un seme di meditazione, il respiro, una candela, la punta del naso, qualsiasi cosa in fondo va bene>>, mi chiedo (e vi chiedo): concentrarsi sull'ascolto di una musica che piace può essere un buon espediente da usare come "seme" di meditazione. Faccio questa domanda sia perché ho una predilezione speciale per quest'arte (la musica) anche se purtroppo non sono un musicista (sic!) sia perché ho molta difficoltà nel concentrarmi e quando ci provo mi viene spesso da addormentarmi, forse anche a causa del fatto che soffro ormai da anni di insonnia cronica. Grazie a chi vorrà rispondermi!

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Re: seme di meditazione

Messaggio da cielo » 28/08/2020, 11:23

blue_scouter ha scritto:
27/08/2020, 10:20
Scrivo nuovamente in questa discussione (sperando di non essere inopportuno) nella speranza che qualcuno di Voi possa chiarirmi un dubbio. Posto che, com'è stato qui detto precedentemente, <<può venir utile l'uso di centrasi per il tramite di un seme di meditazione, il respiro, una candela, la punta del naso, qualsiasi cosa in fondo va bene>>, mi chiedo (e vi chiedo): concentrarsi sull'ascolto di una musica che piace può essere un buon espediente da usare come "seme" di meditazione. Faccio questa domanda sia perché ho una predilezione speciale per quest'arte (la musica) anche se purtroppo non sono un musicista (sic!) sia perché ho molta difficoltà nel concentrarmi e quando ci provo mi viene spesso da addormentarmi, forse anche a causa del fatto che soffro ormai da anni di insonnia cronica. Grazie a chi vorrà rispondermi!
Ciao, Blue scouter, ben rientrato, a volte il silenzio pare più inopportuno degli interventi (trattandosi di un forum di "discussione").

Per tentare di rispondere alla tua domanda, io partirei dallo "scopo" della pratica di centratura che comprende l'osservazione silenziosa di "ciò che c'è", di ciò che siamo, comprese ansie, paure, dolori corporali, fluttuazioni di pensieri inconcludenti e senza capo nè coda...

Secondo lo yoga tradizionale di Patanjali si procede per gradi: risolta la tendenza a vivere focalizzati sul "mio e sull'io", che ci può anche portare a scompensarci tramite azioni "non virtuose" (yama e niyama: azioni da fare e da non fare, i primi due gradini della scala di otto gradini di Patanjali), si procede ponendo il corpo in una postura stabile e comoda, si attenziona il respiro calmandolo, si impara a trattenere i sensi nel "guscio" come fa la tartaruga, e poi si procede con concentrazione, meditazione, fino ad arrivare alla pura contemplazione dell'esistere in noi: samadhi (con seme e senza seme, il nirvikalpa samadhi (senza seme) corrisponde alla realizzazione dell'Assoluto).

Ecco che si è tornati al centro della giostra che gira, dove l'aspirante assapora in sè stesso la saggezza e la beatitudine suprema, la pace immutabile che non deriva da oggetti esterni o dai frutti delle azioni compiute.

Questo stato, se eventualmente sperimentato tramite una pratica seria e costante, di solito si perde, non è stabile, per questo si pratica, per stabilizzarlo, per rendere operativa questa centratura anche nella vita quotidiana e perfino nel sogno e nel sonno: sono ciò che sono, esisto come momento coscienziale di Quello, ma non separato da Quello, se non nell'apparenza di un'incarnazione temporanea di un centro di percezione (un jiva o io) in un corpo di materia grossolana, destinato al decadimento e alla morte.

Pratichiamo per gustare una pace davvero appagante, aldilà degli opposti che ci fanno vagare come nuvole nel vento.
Piacere e dolore, bene e male non possono toccare il conoscitore del brahman che ha spezzato le catene di tutte le schiavitù e si è realizzato come reale atman.
Non è il mio caso, aderisco al moto del mondo, mi faccio ancora possedere dalle cose, vagabondo nel passato, mi immagino il futuro, mi attacco. E' la mente che aderisce, che si crede artefice dell'azione che cerca di orientare secondo il desiderio, ma che subisce il karma.

Il fine delle pratiche "meditative" è dunque il riassorbimento in sè stessi di tutti gli impulsi mentali che aderiscono al mondo con desiderio di possedere o di allontanarsi da altro da sè. Non c'è "altro da sè" per il conoscitore del brahman. L'attenzione è sempre diretta all'interno, non più dispersa nel divenire.

Consideriamo che noi invece stiamo nella periferia del mentale dove si ricevono prepotentemente i messaggi dei sensi e ciò determina un comportamento psichico oscillante tra benessere e malessere.

Il tornare "al centro di sè stessi" è azione che può essere condotta con vari ausili, perciò può aiutare la meditazione con seme, il namasmarana (ripetizione interiore di un nome divino), l'ascolto e la recitazione di mantra, bhajana o l'ascolto di musica rilassante, perchè no.

Personalmente ritengo che la mente che aderisce agli oggetti (compreso mantra o musica) debba essere ritratta all'interno, "purificata" , sganciata dall'esterno e da tutti i sostegni. Per questo uso come seme preferibilmente il respiro, a cui cerco di tornare quando sperimento il vagare della mente all'esterno.

La mente è poliedrica, trasporta in sè, nella propria sostanza-stoffa, il mondo fenomenico e lo proietta in ogni direzione creando nuovi scenari e nuove emozioni, solitamente sulla base del ricordo.

Stare soli con sè stessi senza più sostegni esterni sarebbe preferibile, ma indubbiamente l'adesione consapevole della mente a un seme trattiene la produzione di pensieri e di sovrapposizioni e aiuta a riacquistare una certa stabilità.

Stiamo però ancora roteando intorno al nostro seme, ne siamo assorbiti e potremmo perdere quell'intelligente attenzione necessaria per rimanere centrati, in ascolto del Sè, immersi simbolicamente nella contemplazione del cielo, rimanendo nello spazio infinito e non a cavallo delle nuvole.

Per ciò che riguarda lo sprofondamento nel sonno durante la pratica meditativa e soprattutto durante la pratica di yoga nidra (rilassamento profondo o sonno yoga che si svolge nella posizione "savasana", del cadavere) si usa impartire a sè stessi l'ordine interiore: "io non dormirò" che è un sankalpa (intento) da ripetere a sè stessi per tre volte e con convinzione e che aiuta a non cadere nel sonno inconsapevole.

Di solito questo ordine fa sì che si riacquisti l'osservazione sul senso di esistere nel riposo del rilassamento profondo evitando di piombare in un sonno profondo, ma inconsapevole.
Se però capita, pazienza. Viene insegnato che 8 minuti di "sonno yogico" equivalgono a molte ore di sonno rem, quindi ben venga anche il profondo pisolino yogico.

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