Stai forse dicendo che il tuo "spaesamento" nasce dal non aver trovato un "ottuplice sentiero" in versione vedanta?jbj89 ha scritto: ↑22/10/2019, 21:30Grazie a voi per il benvenuto..proprio di questo mi piacerebbe comprendere meglio..nel Vedanta non si medita ..ma si deve essere costantemente presenti senza incedere nell'identificazione samsarica con alcunché..credo che per comprendere esistenzialmente e non solo capire le Verità trasmesseci nella Sruti la dovuta intercessione di Fratelli e Sorelle più avanti nel cammino o addirittura, se possibile ,di un Maestro sia per questo essenziale...al momento mi sento però spaesato dal fatto che ad esempio nel buddhismo theravada il percorso a livello operativo di ciascun aspirante sia bene delineato nelle sue svariate espressioni per il tramite dell'ottuplice sentiero..qui invece la percezione è quella di un sentiero privo del sentiero stesso..come praticare dunque?
Eppure il vedanta propone vari sentieri-marga-vada-yoga, ognuno con le sue codifiche etc; i più noti l'jnana, il karma, il bhakti, il raja con a seguire tutta una serie di sotto-cammini (sotto solo nel solo senso di diramazione a seguire), altrettanto validi anche se meno noti dei precedenti.
L'unico sentiero del quale magari si può dire non essere un sentiero è l'asparsa (senza sostegno) il marga dell'advaita.
Vero che tutti i sentieri passano per il deserto, e nel deserto non è esattamente facile riconoscere il sentiero che si stava percorrendo, ma quel deserto che ad un certo punto sopravviene e che per buona parte (del cammino) resta e si fa ancora più deserto (se mai possibile) è il deserto dell'adesione.
Vedi tutti i cammini, quali che siano, anche quelli non codificati nel vedanta, tutti dicevo devono fare (prima o poi) i conti con un soggetto, "io".
Ci si può girare attorno finchè si vuole ma prima o poi ci si deve fare i conti. Non per nulla una delle massime dell'antichità recitava "conosci te stesso...".
Dico "io" per dire l'individuaione, l'ente, il jiva, ossia colui\colei che si identifica quale agente dell'azione, agente del pensiero (siamo\si diventa ciò che pensiamo), agente dell'emozione-amore, l'agente di volontà, da cui i rispettivi cammini e yoga, karmayoga, jnanayoga, bhaktiyoga, rajayoga, etc.
L'esistere, l'esistenza stessa dell'agente nasce dall'identificazione-adesione al fenomenico, al divenire, al molteplice. Più precisamente è proprio quell'adesione-identificazione. Voglio dire, non c'è un agente preesistente al fenomenico che vi aderisce successivamente. No l'agente, l'individuo, l'io viene in esistenza nell'identificazione stessa, nell'adesione stessa.
Per esempio l'agente dell'azione, dell'agire, non è lui\lei che agisce e poi, a posteriori si identifica con l'azione svolta. No, l'azione è esistente di suo, l'azione è a prescindere da un agente; costui\costei semplicemente nasce nel momento che se ne vuole prendere i frutti (dell'azione) e quindi trova identità e individuazione proprio nel credersi agente della tale azione. Ma l'azione ha vita propria, la vita in generale ha vita propria, vive di suo e non ha bisogno per essere (tale) di agenti che ne agiscano l'azione di vivere.
Noi, oppure diciamo l'individuo, si crede l'artefice di tutto, di qualsiasi cosa, l'agente di ciò che pensa, che fa, che prova etc. L'individuo è quell'adesione, quel "credersi", quell'identificazione e appropriazione di ciò che di sua natura è libero, incondizionato, unico, universale.
Il molteplice, la molteplicità (degli individui) nasce da questa separazione e spartizione (nonchè appropriamento e identificazione della parte), dell'uno universale.
Il cammino, i cammini sono il cammino di queste parti che tornano all'uno e lo possono fare in un solo modo, rinunciando alla parte, morendo a se stesse come si usa dire. È solo nella risoluzione dell'individualità che si svela e scopre l'universale, poi c'è ancora tanto cammino da fare, ma quello viene dopo.
Quindi tornando al discorso meditazione, il vedanta una meditazione ce l'ha ed è molto semplice (non necessariamente facile) quella di osservarsi, tutto il tempo che si riesce a farlo. Un'osservazione di sè, ovvero della vita che si vive nel suo svolgersi, e dove dico vita voglio dire sia quella esteriore che interiore. Osservazione e non giudizio, non pensiero, non analisi o altro, semplcemente constata, osserva, testimonia gli accadimenti. Mi verrebbe da dire come al cinema, siediti e osserva la vita ( la "tua" vita ") scorrere cercando il più possibile di non farti risucchiare dall'essere l'agente di ciò che pensi, dici, credi, agisci, etc.
Si possono dire le cose senza per questo crederci (in una certa misura almeno inizialmente) così come fare le cose senza per questo altrettanto credere di esserne l'agente e fruitore, e così via tutto il vivere e ciò che ne comporta e che "tu" vivi non ha necessariamente te come agente di tale vita. Tu esisti nel momento che ci\ti credi di esistere altrimenti non ci sei, e la vita va avanti benissimo (forse anche meglio) senza la tua presenza di agente che crede di essere colui che la vive.
Parafrasando l'affermazione di un caro amico che ebbe a dire...
La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza.
si potrebbe parimenti dire che...
La pratica del meditante non serve a trovare il meditante (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la meditazione.
oppure anche...
La pratica dell'azione-agire non serve a trovare l'agente (di azione, per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare l'azione-agire.
C'è un passo della Bhagavad-Gita, nel Quarto capitolo sutra 18 che recita:
18. Colui che vede il non-agire (akarma) nell'agire (karma) e l'agire nel non-agire, quegli è il più savio fra gli uomini, è uno che la realizzato lo yoga, che ha tutto compiuto."
credo sia pertinente a ciò che si stava dicendo...