viviana ha scritto: ↑10/02/2019, 9:24
Non comprendendo la mia mente, non posso sperare di comprendere la tua.
Non volevo in alcun modo ferirti, mi spiace averlo fatto, mi sono impegnata per cercare di risponderti in modo da arricchire il nostro dialogo non per chiuderlo. Non capisco in che modo possa averti preso in giro, nè quali siano i giochi a cui ti riferisci.
La fallacia della mia comunicazione, aggravata dallo scritto e dalla non possibilità di vedersi e leggersi reciprocamente (parlo di quanto comunica il corpo) è un dato di fatto e nonostante mi sforzi altrimenti, riesco spesso a “creare fratture” non volute.
La mia insensibilità/ottusità verso certe modalità espressive non mi permette di percepire la possibile sensibilità altrui.
Sempre più spesso penso che essendo una neofita forse sarebbe bene limitarmi al silenzio per qualche anno, almeno finchè non sarò in grado di agire sufficientemente la retta parola, almeno fino a quando sarò in grado di non provocare grande sofferenza agendola, spesso dando per scontato ciò che scontato non è.
Benchè, come affermava Plotino “la visione è già tutta un’opera personale di colui che ha voluto contemplare” e quindi ben sappiamo che qs sia in qlc modo “individuale” e proprio per questo in qlc modo incomprensibile per colui che non ne ha vissuto diretta esperienza, è cmq presente la necessità di condividerla con altri viandanti per diversi motivi e pulsioni.
Al contempo ciò che afferma Platone:
“Ma io non ritengo che una discussione su questi argomenti possa essere un bene per gli uomini... alcuni si gonfierebbero di un ingiustificato disprezzo, ciò non è bene, altri di una superbia e vuota fiducia, come se avessero appreso qualcosa di sublime”
Ci mostra quanto pericoloso possa essere avvicinarsi e discutere di argomenti non avendo le qualifiche necessarie a farlo.
Ma noi siam disperati, o meglio, (ed è meglio che inizi ad imparare a parlare pere me:) io son disperata e allora, nonostante il pericolo di alimentare le mie prese di posizione (manifestate in funzione dei sankara che mi agiscono) lo faccio lo stesso, perchè sento di necessitare di un faro, o quantomeno di un confronto con chi, prprio grazie ad una differente visione, ad una maggiore esperienza o ad una differente maturità, potrebbe permettermi, magari dopo un primo momento di “strappo” di vivere quello stesso gioco (Lila) alla luce di uno sguardo più ampio.
Benchè io non senta di provare e manifestare disprezzo so che potrei inconsapevolmente farlo ed esprimerlo, per quanto riguarda invece la superbia e la vuota fiducia purtroppo so di esserci dentro: è il mio modello comunicativo a riflettermelo e sono talmente indietro da vergognarmene ancora. Più che vuota fiducia, per quanto mi riguarda, trovo più consono il termine disperata ostinazione.
Cmq sia, sappi, se mai leggerai qs parole, che ogni cosa che affermo mi comprende, che quello che dico a te non esclude me, mai. “Io sono noi.”
Sappi che credo che il termine proiezione non sia un dispregiativo e che qs “movimento percettivo” sia necessariamente legato ad ognuno di noi, per quanto mi riguarda la proiezione è la falsata percezione che ognuno di noi agisce in base ai propri sankara.
Psicologicamente parlando per proiezione s’intende:
“un trasferimento inconscio dei propri elementi psichici su un oggetto esterno.
L’individuo vede in questo oggetto qualcosa che non c’è, o c’è solo in piccola parte.
Talvolta nell’oggetto non è presente nulla di ciò che viene proiettato.
Non sono soltanto le qualità negative di una persona a essere proiettate all’esterno, ma anche quelle positive. La proiezione di queste ultime genera una valutazione e ammirazione eccessive, illusorie e inadeguate dell’oggetto.
Ovviamente c’è sempre un “aggancio” che ci invita a compiere la proiezione: una particolare qualità degli altri attiva alcuni aspetti del nostro io che rivendicano la nostra attenzione.
Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi. Carl Gustav Jung
Ciò che proiettiamo, se non lo possedessimo anche noi, non potremmo riconoscerlo nemmeno negli altri, infatti si riconosce solo ciò che si conosce”.