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il retto sforzo e il dono della condivisione

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viviana
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il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da viviana » 16/09/2018, 19:22

Sono da poco tornata da un breve ritiro meditativo di 10gg.
Avendo l'opportunità di vivere nella qualità del silenzio, senza distrazioni esterne, è per me più facile dedicare l'attenzione all'autosservazione continua ma c'è un ma: ovviamente, anche nelle condizioni più favorevoli, la mia piccola mente tende a volgere il timone verso "luccicanti miraggi ed acque torbide".
In passato ho sempre teso a sprofondare più del dovuto nei "miei luoghi oscuri" per di più pensando fosse funzionale e fors'anche necessario; mi illudevo che accedere a ciò che più si celava alla mia coscienza ordinaria per poterlo osservare, potesse aiutarmi ad accettarne la realtà.
Purtroppo però, per quanto mi riguarda, la conoscenza non va di pari passo con la consapevolezza e l'equanimità e senza consapevolezza ed equanimità non può esservi accettazione ed integrazione e tutto ciò che rimane è una montante onda di sofferenza e confusione.
Talvolta talmente forte da lasciarmi in balia di qs orrifici moti per giorni e giorni, aggiungendo turbamento a turbamento, orrorre a orrore, tristezza a tristezza, paura a paura, "nessuna crescita", solo mostruose informazioni in più con cui dover consapevolmente convivere perchè ormai impossibili da ignorare; un mostruoso, impietoso specchio da cui non potermi celare...

Sapete da quanto tempo cercavo di capire cosa fosse il retto sforzo?
Anni.
Ed è anche per questo che ho pensato di condividere questa esperienza con voi, come ho raccontato ad Ortica:
"sorprendentemente, il primo giorno in sala, l'attenzione si è naturalmente raccolta in una concentrazione profonda come mai mi era successo, ero estremamente sensibile, centrata, attenta, calma.
E mentre ero lì mi son tornate in mente le parole di Raphael sulla pratica, sul fatto che dovesse essere "piacevole" e mi son venute in mente le parole del Buddha sul retto sforzo, il retto pensiero e la retta azione, sul perseguire la via di mezzo e per la prima volta ho "sentito cosa volesse significare".
Ho quindi deciso che non sarei andata oltre quanto ero in grado di "osservare equanimamente", sperimentando come lo "stare al centro tramite il retto sforzo calmi la mente", ho deciso di rispettare i miei limiti.
"Prendere le misure" è stato un grande passo, persino la mia successiva mancanza di concentrazione e la mia usuale insofferenza/tristezza/insonnia da corso/rabbia è stata formativa, per la prima volta sono riuscita ad osservare tutto questo senza scivolarci dentro completamente.
Mi auguro, con il tempo, di riuscire a stabilizzare qs modalità, di riuscire a lavorare senza scivolare nell'eccesso, rimanendo al centro"

Nel post in cui mi sono presentata avevamo discusso delle qualificazioni necessarie al cammino, avevamo parlato dell'umiltà e grazie a quello che da voi è emerso ho potuto meditarne le qualità, comprendendo che arrivare alla "maturità coscienziale" grazie a cui sarò in grado di percepire, riconoscere ed accettare i miei limiti sarà un grande traguardo a cui probabilmente non presterò attenzione e vs cui non posso interferire in alcun modo se non favorendone il terreno grazie all'autosservazione e all'agire cercando di non arrecare sofferenza.
E' una strada lunghissima ma inizia pur sempre con un primo passo.
E di questo non posso che essere grata e riconoscente.

E ringrazio voi, che grazie al vostro servizio e alla vostra generosità avete permesso che le parole della Tradizione arrivassero fino a me e vi ringrazio per la disponibilità, la pazienza e la generosità con cui mi avete accolta nel forum.
Sono presente quasi giornalmente ma non mi faccio sentire perchè oltre a criticità di tempo e linea, come già vi avevo accennato, lo scoglio più grande è una certa reticenza nel farlo, cercherò di lavorare anche su questa resistenza posto che abbia qualcosa da chiedervi e/o da condividere.

Certo, la mia mente ordinaria è piena di domande di se e di perchè ma se mi soffermo un attimo ad osservarla mi rendo conto che spesso non si tratta di "vere domande" ma di un brusio di sottofondo cui non mi interessa dar peso/corda.
Certo mi piacerebbe discutere inseme a voi delle nostre personali esperienze, della pratica quotidiana e degli strumenti che utilizziamo in questo cammino, degli errori e delle sviste più grandi che abbiamo incontrato e in cui siamo caduti perchè so che a volte l'esperienza di qualcuno può esser tesoro per qualcun altro, perchè so che per me potrebbe essere tale.
"Vado sul pratico/grossolano quotidiano" perchè è quello che ad oggi mi potrebbe aiutare di più, sento di aver bisogno di riniziare, ancora una volta, dalle basi/dal quotidiano e poter accedere alle esperienze di altri viandanti potrebbe aiutarmi a percepire ciò che penso di conoscere con occhi diversi e proprio grazie a questo favorire l'espansione del mio piccolo curioso sguardo.

Vi e ci auguro ogni bene.

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Fedro
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da Fedro » 16/09/2018, 19:40

Certo, il retto sforzo va adesso focalizzato sull'osservazione dell'aspettativa che ha prodotto rabbia, costernazione, delusione... e senza giudizio su ciò, o sul cercare di liberarsene, per ottenere di più o una perfettibilità che in fondo è intrinseca a noi stessi, quindi non da proiettare come modello, fuori da quel che si è, diversamente da questo che c'è.

PS grazie per la condivisione :)

viviana
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da viviana » 18/09/2018, 8:01

Certo, caro Fedro, quello che descrivi è il fulcro dell'autosservazione,
autosservazione che necessita di consapevolezza ed equanimità sufficienti ad agirla.

E' proprio questo il punto che temo di non aver espresso chiaramente:

mentre si pratica l'autosservazione è necessario agire il retto sforzo unitamente al retto pensiero, è necessario osservare stando al centro, immobili, quando questo avviene, l'autosservazione (qualunque sia il fenomeno che si osserva/la corrente che si attraversa) diviene "piacevole" e tutto ciò accade soltanto a condizione che si sia in grado di riconoscere e rispettare i propri limiti, stando bene attenti a non superarli.
Infatti quando si va troppo a fondo emergono tali "profonde e violente istanze" che solo chi ha sviluppato una solida e persistente consapevolezza ed equanimità è in grado di gestire.

Quello che, pur essendo ovvio, solo ora ho compreso è che:

NON è il riuscire ad andare "sempre più a fondo nei nostri luoghi oscuri" che ci aiuta a percorrere un passo in più ma il riconoscere ed accettare i nostri limiti, rispettandoli. E' il capire fin dove siamo in grado di "osservare/scavare/lasciar emergere" senza essere travolti dall'emersione di profondi, violenti ed ingestibili moti di brama (raga) e avversione (dosa).

Come ben sai SE quando ci osserviamo risiediamo nel giudizio/brama di liberazione/brama di essere/proiezione di desideri, vuol dire che non lo stiamo facendo con equanimità e consapevolezza, vuol dire che siamo in balia delle correnti (raga-dosa) che siamo trascinati dalle istanze/dalle pulsioni della nostra "mente ordinaria".
Vuol dire che non c'è saggezza in quello che stiamo facendo, non stiamo meditando, stiamo semplicemente reagendo a brama ed avversione, accrescendo così la nostra ignoranza, la nostra sofferenza, vuol dire che ci siamo persi nella reazione.

Essere consapevoli dei nostri limiti qui ed ora, riconoscerli ed accettarli per quello che sono e non per quello che vorremmo fosssero, ci permette di non andare oltre ciò che siamo in grado di "elaborare/affrontare con distacco/equanimità e consapevolezza" ci permette di praticare rettamente, ci premette di lavorare il terreno in modo che abbia le condizioni atte a fruttificare.
Permette "a quel vuoto" che c'è tra uno stimolo e la sua elaborazione, di dilatarsi a sufficienza consentendoci così di osservare lo stimolo per quello che è, consentendoci di scegliere e agire consapevolmente, senza reagire allo stimolo, qualunque esso sia.
Consapevolezza ed equanimità ci permettono di dilatare il tempo/quell'attimo, fino ad arrivare, con la pratica, a "risiedervi consapevolmente"...

Ciò che tu descrivevi è una persona persa e trascinata da qs correnti e non importa quale delle due correnti sia ma solo quanto forte e profondo sia per lei il "contenuto emerso", perchè più esso è forte e profondo, più la corrente è violenta.
Da taluni queste "istanze" vengon anche chiamate "le tempeste" e su ciò i più ti san solo dire che sai quando iniziano ma non sai quando ne emergerai e che se sono troppo violente è bene "interrompere l'osservazione" e far altro finchè non passa.

Non è un caso che lunghi periodi di meditazione non siano consigliati a tutti, chi non ha un Io abbastanza integro, chi non ha maturato sufficienti consapevolezza ed equanimità non dovrebbe praticarli.
Mentre chi è "abbastanza integro" nel praticarli dovrebbe tener ben presente che il suo io potrebbe venire ulteriormente (e pericolosamente) frammentato se affronta correnti per lui troppo forti.
Per agire certe pratiche è necessario, in mancanza di un insegnante qualificato, aver maturato la saggezza sufficiente a capire fin dove potersi spingere, è necessario riconoscere ed accettare i propri limiti.

Penso che solo quando riusciremo ad integrare/accettare ogni più piccolo aspetto del nostro conscio ed inconscio potremo iniziare realmente ad affrontare la dissoluzione del nostro io. Penso che finchè il nostro io non sarà integro, finchè non ci Conosceremo non sarà possibile, nè auspicabile.
Penso che affrontare certe pratiche non rettamente potrebbe accrescere a dismisura la nostra sofferenza/illusione/confusione/ignoranza probabilmente fino ad essere travolti dalla follia e/o da istanze di suicidio per mettere fine a tutta la sofferenza e a tutto l'orrore che non celiamo più dentro di noi. Ho conosciuto diverse persone cadute in qs abisso dacui è così difficile riemergere.

Quando penso a questo mi viene sempre in mente Nietzsche:
"E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te"

E mi viene in mente il Buddha:
"Senza desistere e senza agitarmi ho superato l'onda montante del dolore,
quando desistetti, affondai,
quando mi agitai per la salvezza, venni travolto dalle acque. "

Quello di cui volevo discutere con voi è proprio il concetto del retto sforzo, di quanto "la scoperta di riconoscere e comprendere i propri limiti" sia importante per la pratica. In qs ritiro ho finalmente unito le due cose capendo che per lo più non conosco i miei limiti e comprendere questo è stato per me un passo importante, un passo che volevo condividere.

E' una delle millemillioni di cose che nessuno mi ha mai detto, certo, è anche una delle millemillioni di cose a cui si può arrivare praticando...
E' di questo che parlavo quando scrivevo:

"Vado sul pratico/grossolano quotidiano" perchè è quello che ad oggi mi potrebbe aiutare di più, sento di aver bisogno di riniziare, ancora una volta, dalle basi/dal quotidiano e poter accedere alle esperienze di altri viandanti potrebbe aiutarmi a percepire ciò che penso di conoscere con occhi diversi e proprio grazie a questo favorire l'espansione del mio piccolo curioso sguardo."

Hai idea di quanta sofferenza avrei evitato se avessi potuto condividere certe istanze/esperienze con qualcuno in grado di accoglierle? Se avessi avuto un insegnante/compagno di viaggio/fratello con cui poter discutere della pratica anzichè sentirmi enunciare frasi fatte e/o risposte da manuale?

Ci sono informazioni molto pratiche che sono fondamentali affinchè gli strumenti che utilizziamo/il cammino che percorriamo diano frutti, cose che all'apparenza (quando le hai comprese) sono ovvie ma che allo stesso tempo, finchè non le comprendi/agisci, "non esistono".

Ti faccio un esempio pratico:
per alcuni anni non son più riuscita a praticare un tecnica di meditazione di "visione profonda" perchè, ogni volta che la praticavo, mi veniva una terribile emicrania con atroci fitte che duravano a lungo, dovevo stendermi al buio.
Nessuno era in grado di darmi un aiuto, finchè, dopo diversi anni, sono tornata a fare un ritiro e osservandomi ho capito che lo sforzo che mettevo nel "cercare di assorbire i miei sensi vs l'interno" era tale da farmi diventare un blocco di marmo: contraevo talmente tanto i muscoli, le spalle, il collo e i denti fra di loro, fino a provocarmi una forte infiammazione.
In quel ritiro ho compreso che se rilassavo i muscoli e tenevo sempre la mandibola leggermente aperta non cadevo in quel trappolone che la mia mente agiva.

Un'informazione molto semplice e pratica avrebbe potuto risparmiarmi anni di sofferenze, se qualcuno l'avesse provato e superato e/o ne avesse sentito parlare e me l'avesse raccontato avrei superato questo piccolo/grande scoglio "senza troppo colpo ferire".

Nel mio cammino ho incontrato molte persone, nella maggior parte dei casi viandanti che si identificano con le loro pratiche/idoli ripetendo "alla lettera" le parole dei loro idoli/insegnanti/Maestri pur non avedole comprese/vissute e/o avendole fraintese.
Dopotutto a chi di noi non è successo/succede di fare altrettanto?

Per quanto mi riguarda per potere discutere di qualcosa la devo prima esperire e magari, quando la saggezza mi accompagna, anche comprendere.
O meglio, mi interessa dialogare anche di ciò che non ho vissuto perchè cerco di capirlo ma non mi interessa discuterne, perchè so che non posso comprendere ciò che non ho vissuto.
Ad ognuno di noi è capitato di sentire qualcuno (compresi noi stessi) enunciare verità assolute su esperienze mai comprese nè vissute, a cosa porta questo?

E' anche per questo che per me conoscere altri viandanti è così prezioso: condividere reciprocamente i propri errori e ciò che si è appreso tramite l'esperienza puo' aiutarmi a maturare quel discernimento atto a comprendere ciò che ancora non ho esperito, puo' permettermi di alleviare un pochino la mia sofferenza e se pur fosse anche solo di un grammo per me sarebbe abbastanza.

Ogni bene a noi

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Fedro
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da Fedro » 18/09/2018, 10:32

ti chiedo scusa, hai ragione.
Quando hai scritto il post, non ho messo attenzione che in questa frase, dicevi di un tuo passato, piuttosto che di quest'ultima esperienza al ritiro:
In passato ho sempre teso a sprofondare più del dovuto nei "miei luoghi oscuri" per di più pensando fosse funzionale e fors'anche necessario; mi illudevo che accedere a ciò che più si celava alla mia coscienza ordinaria per poterlo osservare, potesse aiutarmi ad accettarne la realtà.
Purtroppo però, per quanto mi riguarda, la conoscenza non va di pari passo con la consapevolezza e l'equanimità e senza consapevolezza ed equanimità non può esservi accettazione ed integrazione e tutto ciò che rimane è una montante onda di sofferenza e confusione.
Talvolta talmente forte da lasciarmi in balia di qs orrifici moti per giorni e giorni, aggiungendo turbamento a turbamento, orrorre a orrore, tristezza a tristezza, paura a paura, "nessuna crescita", solo mostruose informazioni in più con cui dover consapevolmente convivere perchè ormai impossibili da ignorare; un mostruoso, impietoso specchio da cui non potermi celare...

ortica
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da ortica » 18/09/2018, 10:53

Innanzitutto grazie per la condivisione, Viviana.
C'è tanto bisogno, se mi permetti userei le parole 'fame' e 'sete', di esperienze concrete, di vita vissuta che concretizzi i nostri studi.

Per quanto riguarda in particolare il retto sforzo posso dirti che ho seguito fin dall'inizio una via graduale in cui mi è stata mostrata per prima cosa l'importanza dell'attenzione al corpo fisico denso. Non ti nascondo di aver provato una certa insofferenza per questi passi iniziali che apparivano alla mia presuntuosa arroganza una perdita di tempo. Nonostante queste ribellioni interiori, ho seguito quanto mostratomi comprendendone l'effettiva saggezza soltanto dopo.
Se non si conosce l'involucro non è possibile andare in profondità e se lo si fa comunque s'incontrano tali e tanti ostacoli da obbligare il praticante a desistere, o peggio.

Concordo con te sulla necessità di una certa stabilità interiore, potremmo anche chiamarla salute mentale, prima di intraprendere una via di ricerca spirituale. Questo per tanti motivi, fra i primi metterei il fatto incontestabile che la ricerca non è per nulla un'amena passeggiata e l'incontro inevitabile con i demoni interiori richiede saldezza per essere sostenuto senza farsene travolgere.
Già, perché prima o poi con questi demoni bisogna fare i conti, ma bisogna arrivarci preparati e una mente ferma è il nostro primo alleato.
Questo dicono tutte le vie, Advaita Vedanta compreso.
Se non c'è purificazione della mente (inteso questo termine nel senso più ampio) non si può intraprendere una via di conoscenza, e se lo si fa, nonostante gli avvisi ben chiari all'inizio del cammino, ci si sta soltanto illudendo e si corre il rischio del nichilismo, in primis, quando non della follia.
La purificazione della mente solitamente si consegue, salvo eccezioni che confermano la regola, tramite karma e bhakti yoga, comunque li i voglia chiamare.
Non ci sono altri modi indicati dalla Tradizione Universale.
Il riferimento comune ad alcuni di noi, Premadharma, soleva dire che se per spaccare una pietra ci vogliono 108 colpi e qualcuno la rompe con un colpo solo significa soltanto che gli altri 107 sono stati dati "prima".

Dal canto mio non posso che ringraziare la saggia guida degli istruttori anziani incontrati lungo la strada, la loro pazienza e perseveranza, la loro amorevole fermezza.

Come giustamente asserisci, intraprendere il cammino senza una guida è ben difficile, perché una vera guida di alta montagna conosce burroni e dirupi, caverne, crepacci e tempeste di ghiaccio, creste e pianure, e pure qualche scorciatoia. Li conosce non per sentito dire o per aver letto dei libri, ma avendoli incontrati e superati sul suo cammino, sulla sua pelle, e con generosa compassione, ci offre la sua esperienza diretta affinché possiamo procedere più speditamente e senza errori.
Un capocordata è questo e molto di più, e non ci saranno mai nel Triplice Mondo parole e azioni sufficienti per mostrargli la nostra gratitudine.
Tutto ciò che si può fare è servire con tutto il cuore la Tradizione di cui egli si è fatto servo e possibilmente realizzare il suo stato.
Incontrare un Vivente è una Grazia incommensurabile.

Questo è stato ed è, perchè la morte non ha potere alcuno sull'Amore, Premadharma per alcuni di noi.

Benvenuta, dunque, intorno al fuoco.

cielo
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da cielo » 18/09/2018, 19:19

viviana ha scritto:
16/09/2018, 19:22
"sorprendentemente, il primo giorno in sala, l'attenzione si è naturalmente raccolta in una concentrazione profonda come mai mi era successo, ero estremamente sensibile, centrata, attenta, calma.
E mentre ero lì mi son tornate in mente le parole di Raphael sulla pratica, sul fatto che dovesse essere "piacevole" e mi son venute in mente le parole del Buddha sul retto sforzo, il retto pensiero e la retta azione, sul perseguire la via di mezzo e per la prima volta ho "sentito cosa volesse significare".
Ho quindi deciso che non sarei andata oltre quanto ero in grado di "osservare equanimamente", sperimentando come lo "stare al centro tramite il retto sforzo calmi la mente", ho deciso di rispettare i miei limiti.
"Prendere le misure" è stato un grande passo, persino la mia successiva mancanza di concentrazione e la mia usuale insofferenza/tristezza/insonnia da corso/rabbia è stata formativa, per la prima volta sono riuscita ad osservare tutto questo senza scivolarci dentro completamente.
Mi auguro, con il tempo, di riuscire a stabilizzare qs modalità, di riuscire a lavorare senza scivolare nell'eccesso, rimanendo al centro"

(...)

Certo, la mia mente ordinaria è piena di domande di se e di perchè ma se mi soffermo un attimo ad osservarla mi rendo conto che spesso non si tratta di "vere domande" ma di un brusio di sottofondo cui non mi interessa dar peso/corda.
Certo mi piacerebbe discutere inseme a voi delle nostre personali esperienze, della pratica quotidiana e degli strumenti che utilizziamo in questo cammino, degli errori e delle sviste più grandi che abbiamo incontrato e in cui siamo caduti perchè so che a volte l'esperienza di qualcuno può esser tesoro per qualcun altro, perchè so che per me potrebbe essere tale.
"Vado sul pratico/grossolano quotidiano" perchè è quello che ad oggi mi potrebbe aiutare di più, sento di aver bisogno di riniziare, ancora una volta, dalle basi/dal quotidiano e poter accedere alle esperienze di altri viandanti potrebbe aiutarmi a percepire ciò che penso di conoscere con occhi diversi e proprio grazie a questo favorire l'espansione del mio piccolo curioso sguardo.

Vi e ci auguro ogni bene.
Grazie Viviana per la tua condivisione di "pratica vera", una testimonianza che si sente scaturita da un lavoro di autoindagine sincero e purificato dagli aspetti emotivi e sentimentali.
Ti chiedo scusa se ho quotato solo due parti del tuo post iniziale (il secondo poi me lo medito con calma quando ho un po' di tempo).
Il tempo...quello sconosciuto....quello che sembra sempre mancare, oppure che si ha la sensazione di sprecare in distrazioni (che lasciano il tempo che trovano, per l'appunto).
Sono proprio i ritiri che tu ti concedi o le mie ore dedicate al tai chi chuan che ci mettono di fronte al non-tempo.
Quando c'è l'ansia di usare il tempo per un fine in attesa di un risultato, c'è ancora una mente ordinaria che cerca, si agita, vuole conoscere, rggiungere, possedere, trasformare, migliorare, perdendo di vista ciò che c'è.
Una mente che sovrappone idee e proietta sogni e speranze creando un futuro immaginario.
Quegli stati, luce che entra improvvisamente a rischiarare e pacificare, sono in-causatim senza tempo. Sono e basta e la percezione rallenta permettendo di gustare la profondità di quel silenzio e quelllla inusitata pace, della mente e del corpo.
Questi stati accadono a volte, quando la pratica si svolge con accettazione e consapevolezza dei propri limiti, mentali o fisici.
Accade che lo "stare al centro tramite il retto sforzo calmi la mente".

Posso testimoniarlo quando improvvisamente durante la pratica del tai chi, il movimento di ognuno si coniuga in un silenzio di gruppo, che cala "per moto proprio". E' un mutamento nella percezione. Personalmente resto in osservazione, ancora sorpresa di questo "miracolo".

Lì, mi verrebbe da dire, si coglie una sfumatura energetica che non è più "mia" o "tua". Semplicemente é. Energia che si manifesta e placa i moti individuali, tacita i pensieri che fanno come un brusio, riuscendo ad ascoltarli, cominciando dai propri.
Da più giovane praticavo la meditazione in gruppo, e anche in quelle circostanze a volte capitava che giungesse il silenzio, la quiete.
Una quiete che calava come una coperta sul gruppo. Che riscaldava e leniva.

Ora preferisco una pratica di movimento nella quiete.
La meditazione "tradizionale" me la smazzo per i fatti miei. Nel buio della notte, con i rumori della giungla metropolitana.
In presenza di dolore fisico affondo più facilmente nel cuore del mio essere e per fortuna uso il neti neti: io non sono questo corpo, non sono questa mente dai pensieri spaventati e frenetici.
Chi sono io?

Condivido la necessità di andare sul pratico/grossolano quotidiano" perchè è quello che, se siamo sinceri con noi stessi, ci aiuta di più, più della lettura. Anche se leggere un passo di Shankara che qualcuno mi ripropone, fa sempre piacere. Come mangiarsi un buon gelato.
Resta il fatto che conoscere le basi/dal quotidiano e poter accedere alle esperienze di altri viandanti è utile e ci aiuta a superare i nostri limiti, ma non per essere "migliori", semplicemente più felici, con un cuore aperto e disponibili alla condivisione nell'armonia.

cielo
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da cielo » 19/09/2018, 20:15

viviana ha scritto:
18/09/2018, 8:01
Certo, caro Fedro, quello che descrivi è il fulcro dell'autosservazione,
autosservazione che necessita di consapevolezza ed equanimità sufficienti ad agirla.

E' proprio questo il punto che temo di non aver espresso chiaramente:

mentre si pratica l'autosservazione è necessario agire il retto sforzo unitamente al retto pensiero, è necessario osservare stando al centro, immobili, quando questo avviene, l'autosservazione (qualunque sia il fenomeno che si osserva/la corrente che si attraversa) diviene "piacevole" e tutto ciò accade soltanto a condizione che si sia in grado di riconoscere e rispettare i propri limiti, stando bene attenti a non superarli.
Infatti quando si va troppo a fondo emergono tali "profonde e violente istanze" che solo chi ha sviluppato una solida e persistente consapevolezza ed equanimità è in grado di gestire.

Quello che, pur essendo ovvio, solo ora ho compreso è che:

NON è il riuscire ad andare "sempre più a fondo nei nostri luoghi oscuri" che ci aiuta a percorrere un passo in più ma il riconoscere ed accettare i nostri limiti, rispettandoli. E' il capire fin dove siamo in grado di "osservare/scavare/lasciar emergere" senza essere travolti dall'emersione di profondi, violenti ed ingestibili moti di brama (raga) e avversione (dosa).

Come ben sai se quando ci osserviamo risiediamo nel giudizio/brama di liberazione/brama di essere/proiezione di desideri, vuol dire che non lo stiamo facendo con equanimità e consapevolezza, vuol dire che siamo in balia delle correnti (raga-dosa) che siamo trascinati dalle istanze/dalle pulsioni della nostra "mente ordinaria".
Vuol dire che non c'è saggezza in quello che stiamo facendo, non stiamo meditando, stiamo semplicemente reagendo a brama ed avversione, accrescendo così la nostra ignoranza, la nostra sofferenza, vuol dire che ci siamo persi nella reazione.

Essere consapevoli dei nostri limiti qui ed ora, riconoscerli ed accettarli per quello che sono e non per quello che vorremmo fosssero, ci permette di non andare oltre ciò che siamo in grado di "elaborare/affrontare con distacco/equanimità e consapevolezza" ci permette di praticare rettamente, ci premette di lavorare il terreno in modo che abbia le condizioni atte a fruttificare.
Permette "a quel vuoto" che c'è tra uno stimolo e la sua elaborazione, di dilatarsi a sufficienza consentendoci così di osservare lo stimolo per quello che è, consentendoci di scegliere e agire consapevolmente, senza reagire allo stimolo, qualunque esso sia.
Consapevolezza ed equanimità ci permettono di dilatare il tempo/quell'attimo, fino ad arrivare, con la pratica, a "risiedervi consapevolmente"...
(..)

Per quanto mi riguarda per potere discutere di qualcosa la devo prima esperire e magari, quando la saggezza mi accompagna, anche comprendere.
O meglio, mi interessa dialogare anche di ciò che non ho vissuto perchè cerco di capirlo ma non mi interessa discuterne, perchè so che non posso comprendere ciò che non ho vissuto.
Ad ognuno di noi è capitato di sentire qualcuno (compresi noi stessi) enunciare verità assolute su esperienze mai comprese nè vissute, a cosa porta questo?

E' anche per questo che per me conoscere altri viandanti è così prezioso: condividere reciprocamente i propri errori e ciò che si è appreso tramite l'esperienza puo' aiutarmi a maturare quel discernimento atto a comprendere ciò che ancora non ho esperito, puo' permettermi di alleviare un pochino la mia sofferenza e se pur fosse anche solo di un grammo per me sarebbe abbastanza.

Ogni bene a noi
La tua saggezza è preziosa, Viviana, ci hai donato delle riflessioni profonde e vere, al mio sentire.
Hai focalizzato come rāga: l'amore-attaccamento e dveṣa- la repulsione-disgusto siano i due pesi del bilanciere appoggiato sulle nostre spalle che dobbiamo cercare di tenere in equilibrio, camminando.
Quando prevale l'uno o l'altro dei due pesi, l'inevitabile frutto sarà la sofferenza, figlia dell'ignoranza che non riesce ad andare oltre l'oscillare dei contrari. E' evidente che siamo immersi nell'avidyā: la madre di tutti i dolori.
Rāga e dveṣa sono tra le cause di afflizione (kleśa) nel rāja yoga di Patanjali.

Essere consapevoli dei contrari che, oscillando, caratterizzano il nostro vivere nel duale, ci aiuta a rimanere al centro, nel distacco e nella discriminazione tra permanente e transitorio.
In fondo questo è il nostro compito quotidiano da svolgere possibilmente h. 24, o almeno per abbastanza tempo per renderci conto quando siamo distratti e preda dell'oscillare, mentre l'acqua dei secchi che la pertica trasporta si rovescia.

Rimanere consapevoli che tutto quello a cui ci attacchiamo e bramiamo di ottenere, pur se ottenuto, è destinato prima o poi a svanire e mutare e tutto quello che respingiamo e rifiutiamo con disgusto si ripresenterà con altra forma.
Noi stessi siamo transitori, prima o poi Morte ci strapperà dal ramo come un cetriolo maturo. Meglio sentirsi pronti.

Essere consapevoli dei propri limiti, secondo me, non vuol dire autocolpevolizzarsi per un risultato non raggiunto che ci eravamo immaginati e prefissati, ma rimanere saldi nell'affrontare i propri compiti nel qui ed ora, al meglio delle nostre capacità, offrendo i frutti alla Vita che ci dà la possibilità di agire e, tramite l'azione, conoscere noi stessi.

viviana
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Re: il retto sforzo e il dono della condivisione

Messaggio da viviana » 24/09/2018, 17:13

Caro Fedro, non c'è nulla di cui scusarsi tranne forse della mia mancante chiarezza comunicativa ma non entriamo nel tunnel dei convenevoli :)
Ho percepito quali siano le qualità di consapevolezza ed equanimità diversi anni fa (anche se come ben sai questo non equivale ad agirle), ciò che ho realizzato in qs ultimo ritiro è che, affinchè queste qualità permangano stabilmente durante la pratica di autosservazione, è necessario sviluppare anche la capacità di riconoscere e rispettare i propri limiti non superandoli oltre ciò che siamo in grado di gestire rettamente.

E affinchè qs "propensione divenga consuetudine", come ben sai, ci vogliono tempo, pazienza e soprattutto una costante pratica quotidiana.
Quando risiedo nel Silenzio per un periodo sufficientemente lungo (che per me in qs momento vuol dire ritiro meditativo), l'opportunità di non essere distratta e cadere in balia di forti stimoli esterni facilita enormemente il lavoro, permettendomi (potenzialmente) di praticare ininterrottamente per un periodo sufficientemente lungo da favorire l'emersione della qualità del discernimento, qualità che per chi come me non ha ricevuto la Grazia di incontrare un Maestro in carne e ossa, mi indica il cammino nella "vera pratica" che è poi la vita di tutti i giorni.

Cara Ortica, grazie: è una bellissima immagine, come sai amo sedere attorno al fuoco, possibilmente nei boschi :)

Condivido pienamente ciò che dici sul karma yoga e sul bhakti yoga, se non erro Fedro ne aveva parlato in un post poco tempo fa: se non pratichiamo nella quotidianità allora tutto è vano, riducendosi ad un alternarsi fra alti e bassi che non solo non porta ad alcun discernimento ma accresce la nostra ignoranza ed illusione di star camminando quando invece siam ben piantati nello stesso, identico punto.
Per quanto mi riguarda le pratiche di studio/meditazione/contemplazione, di karma e bhakti yoga sono un tutt'uno indivisibile, è un tripode che necessita di tutte e tre gli arti per poter rimanere in stabile e costante equilibrio.
Di equilibrio non ne ho sviluppato molto ma ci lavoro, nonostante i periodi in cui mi accorgo di sopravvivere reagendo/aderendo completamente alle più "basse inclinazioni", prime fra tutte "ottusità e volontà di affermazione".
La differenza è che ora, qualche volta (se e quando me ne accorgo), provo a cercare di bilanciare questo reagire con azioni consapevoli che vanno in direzione opposta e contraria, so che è un lunghissimo cammino e va bene così.

Due mesi fa ho letto la splendida traduzione della Bhagavad Gita con i commenti di Raphael e benchè, prima di partire per il ritiro, abbia acquistato diverse altre pubblicazioni delle vs edizioni sento che è li che voglio tornare e rimanere. Sento di non poter leggere neanche una parola in più e penso che la Bhagavad Gita, unitamente a qualche vostro suggerimento pratico possa aiutarmi a procedere.
Ho bisogno di riniziare dalle basi, di renderle più solide, quest'anno "vorrei stabilizzarmi maggiormente proprio nel karma yoga" che, dal punto di vista "formale", non conosco, non con questa veste.
E' anche per questo motivo che sento il bisogno di elaborare, quanto letto nell'ultimo anno, ciò che quei sacri Testi racchiudono è immenso.
Sento il bisogno di cercare di radicare, per quanto mi è possibile, almeno una piccola parte di quegli insegnamenti nel quotidiano.
Infatti benchè il mio lavoro in qs ultimi due anni sia proprio (e non a caso) quello di servire una persona, sento di essermi allontanata dal retto servizio, di "rendermi meno accessibile", più reattiva, la mia mente è meno stabile, meno consapevole ed equanime, meno compassionevole, è come se "giocassi in difensiva"...

Tu hai scritto:
"Per quanto riguarda in particolare il retto sforzo posso dirti che ho seguito fin dall'inizio una via graduale in cui mi è stata mostrata per prima cosa l'importanza dell'attenzione al corpo fisico denso. Non ti nascondo di aver provato una certa insofferenza......
Nonostante queste ribellioni interiori, ho seguito quanto mostratomi comprendendone l'effettiva saggezza soltanto dopo.
Se non si conosce l'involucro non è possibile andare in profondità e se lo si fa comunque s'incontrano tali e tanti ostacoli da obbligare il praticante a desistere, o peggio."

Non penso di aver frainteso ma, se possibile, mi piacerebbe sapere qualcosa in più di rispetto a queste pratiche.

Quando scrivi della Grazia di incontrare ed essere accolti da un Maestro, dalle tue parole trasuda una percepibile sensazione di Amore e Benevolenza, non indugio su ciò che non posso comprendere ma ti ringrazio per averlo condiviso ancora una volta perchè quel "Benessere" arriva fin qui ed è un balsamo.

Concordo con te anche sull'importanza del Servizio:
l'anno dedicato al servizio presso il centro di meditazione mi ha aiutato tantissimo a stabilizzarmi nella pratica quotidiana, aiutandomi a purificare la mente.
Vivere in un setting dedicato al servizio ha facilitato il ricordare quotidianamente che la mente puo' stabilmente "focalizzarsi sull'agire compassionevole/per il bene comune" e che ogni atto, persino il più semplice può favorire la purificazione della mente stessa.
L'amore compassionevole che scaturisce dal retto servizio è un dono che stabilizza nel retto agire, che svela quanto il focalizzare la nostra energia nel nutrire desideri/cercare di affermare la nostra volontà/ragione abbia come unico risultato la sofferenza.

Penso che forse sia proprio la qualità/vibrazione dell'Amore che scaturisce dal retto servizio (che non puo' prescindere da solide basi etico/morali) a purificare la nostra mente e che da questa, a sua volta, scaturisca la "naturale amorevole volontà" di porsi al servizio.
E' un loop a cui, ho sperimentato, quasi tutti vogliono aderire consapevolmente se il setting lo facilita e non importa cosa si faccia, ogni azione ha la possibilità di diventare un atto di gioia e amore/un atto di purificazione della mente e di comunione.

E anche qui son d'accordo con te:
non solo servire pulendo i cessi e lavando i piatti puo' aiutare a purificare la mente del servitore ma puo' essere un potente balsamo per chi ne usufruisce.
Ho avuto l'opportunità di vivere personalmente dozzine e dozzine di volte esperienze di questo tipo, ritrovandomi meravigliata sia da una parte che dall'altra.
Certo, anche durante il servizio è importante essere supportati da qualcuno che ci indichi la strada e ci mostri come percorrere questo cammino evitando di scivolare e cadere in burroni e crepacci disseminati un po' ovunque perchè, ovviamente, anche chi "serve in un setting ideale" può esser preda di violente correnti e in questo, il servizio, non differisce in alcun modo "dall'immersione nella visione profonda" di chi medita, è pratica e così come la vita stessa è pratica, anche il servizio puo' essere vissuto come una preziosa opportunità o un enorme peso.

E' necessario apprendere a servire e provarci con perseveranza puo' aiutarci ad apprendere a vivere e magari anche a morire. Il rimanere al centro, il riconoscere i nostri limiti e rispettarli/il retto sforzo ci permette di non perdere quell'equilibrio e quella lucidità necessari a "comprendere" ed agire compassionevolmente verso noi stessi e gli altri, ci permette di evitare di agire come se fossimo una sorgente illimitata mentre non siamo che una piccola pozza.

Se sei troppo stanco, se hai offerto troppo (e non sei un realizzato in terra), se non hai dormito da troppo tempo, se sei malato, se ti sei lasciato ferire ripetutamente, così come se non hai di che vivere o mangiare o se non hai una famiglia che ti sostenga o una casa in cui vivere, è difficile trovare l'equilibrio, l'energia/la forza sufficiente a dirigere, autodisciplinare la mente e l'agire, men che meno per servire se stessi o chiunque altro.

Ed è in questi casi, proprio quando ti trovi al buio in un profondo burrone, che è così prezioso il supporto di una guida che possa indicarti "la via più salutare per la risalita".
Nel mio anno di servizio son sprofondata in diversi crepacci e ciò che mi ha aiutato a riveder la luce son state proprio le parole del Buddha sul "karma yoga e bhakti yoga" da me conosicuti nelle vesti di "retto agire e amore compassionevole."

Cara Cielo, anch'io vorrei poter praticare il tai chi chuan, qualche anno fa ne ho avuto un assaggio, giusto quel tanto da poterne gustare le potenzialità e la bellezza. Purtroppo il tutto si è limitato ad un assaggio, mi auguro, un giorno di avere l'opportunità di apprenderne le basi per poterne benficiare come pratica quotidiana.
Come pratica "in movimento" sento più vicino a me il tai chi chuan delle asana e del dao yin (benchè abbia veramente amato la pratica di dao yin).

Mi ritrovo pienamente nelle tue parole quando parli del non-tempo, quando descrivi "il beneficio della condivisione di un movimento/di un agire in assenza di volontà individuale" è ciò che accade nel servizio comune, è ciò che si prova quando "si è uniti" ed è bello e ci si sente bene e fa bene e ci fa diventare belli.

Vorrei tanto potervi girare la foto fatta l'ultimo gg di corso da un gruppo di servitori di cucina (inizio servizio 5.30, fine servizio la sera x 10gg consecutivi, con tanto di ispezione dell'ASL alle cucine), me l'hanno spedita via mail un anno e mezzo fa. Quegli sguardi: sembrano tutti sotto effetto di potenti stupefacenti, occhi enormi e luccicanti, così sereni e sorridenti, quel corso benchè molto stancante (come servizio) è stato pieno di amore compassionevole, persino gli ispettori l'hanno percepita beneficiandone (e l'ispezione è andata benissimo).
Ogni volta che qlc mi espone il suo scetticismo sul servizio, mostro loro qs foto, non ci sono possibili obiezioni, quella foto trasuda serenità e amore e sono tutti indiscutibilmente bellissimi...

Questa tua frase x me racchiude una grande verità:

"Rimanere consapevoli che tutto quello a cui ci attacchiamo e bramiamo di ottenere, pur se ottenuto, è destinato prima o poi a svanire e mutare e tutto quello che respingiamo e rifiutiamo con disgusto si ripresenterà con altra forma"

se solo riuscissi a ricordarmelo quando la bilancia pende tutta da un lato...
Superare i limiti del duale per ritrovarci finalmente a casa, nell'Unità di cui facciamo parte, questo è l'anelito più forte, probabilmente l'ultimo che dovremo lasciar andare...

Ho sorriso a lungo pensando al cetriolo maturo, attraverso un'immagine hai descritto il percorso di una vita, è proprio così che la vedo anch'io:
cercare di stabilizzarci quotidianamente nella pratica, di apprendere a vivere, di prepararsi a morire, di prepararsi ad affrontare quell'ultimo attimo consapevolmente ed equanimamente, pieni di compassione, senza paura.

Molti hanno fa avevo visto un film poco conosciuto e poco apprezzato che parlava proprio di questo, "my life" con Micheal Keaton, lui è un malato terminale che deve affrontare la nascita del suo primo figlio in concomitanza della sua fine, è un uomo pieno di rabbia verso il mondo e la sua famiglia d'origine, pieno di paura verso il destino che sta per affrontare. Nel film un medico percependo la sua sofferenza gli dice:

"Tu trattieni troppa rabbia dentro di te. Ti sta avvelenando."
"Io non sto trattenendo niente"
"Vuoi portare tutto quel dolore nella tua prossima vita?"
"La mia prossima vita?"
"L'ultimo secondo della tua vita è il momento più importante di tutta la tua vita, è tutto ciò che sei, tutto ciò che hai mai detto, pensato, il tutto racchiuso in un unico seme.
Quello è il seme della tua prossima vita.
Fino a quell'ultimo momento hai ancora tempo, puoi cambiare ogni cosa.
Puoi lasciar andare la tua paura. Puoi lasciar andare la tua rabbia."

Questo dialogo, più di una ventina di anni fa, mi aveva molto colpito nella sua semplicità.
Quando penso a quell'attimo riaffiora qs ricordo, così come riaffiora l'ultima splendida immagine di "Waking life", altro film (in qs caso di animazione) poco conosciuto e apprezzato, è il momento in cui il protagonista sceglie di lasciare la maniglia dell'auto, di lasciarsi andare, di dire sì a tutto, ad ogni cosa, mi commuove sempre.
E mi piace l'idea di condividere quella sensazione con voi.

Ogni bene a noi

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