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Filosofia dello... stare

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KaaRa
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Re: Filosofia dello... stare

Messaggio da KaaRa » 27/08/2018, 22:54

Il divenire è già relativo di suo, non mi sembra serva un particolare sforzo o filosofia per relativizzarlo.
Se con tutto il seguito potrei essere perlopiù d'accordo, questa parte iniziale mi stupisce non poco. Dal mio punto di vista tutti noi tendenzialmente assolutizziamo il relativo. Direi che è questa l'essenza dell'ignoranza metafisica: anche se concettualmente sappiamo (almeno noi umani) che il relativo è appunto relativo, in realtà crediamo profondamente e inconsciamente (e ci comportiamo di conseguenza) che "questo" è reale, tutto il reale: in pratica lo viviamo come se fosse l'assoluto. Non a caso cerchiamo di svegliarci da ciò tramite la filosofia dell'Essere. Ho detto tra parentesi "almeno noi umani" perché, per quanto riguarda gli esseri che non arrivano neanche concettualmente a comprendere la relatività, non è loro compito svegliarsi da questa ignoranza che porta anche loro ad assolutuzzare il relativo, mentre gli eventuali esseri di grado maggiore agli umani (si tratta degli Dei? Forse, ma potremmo essere anche noi nei nostri momenti mondanamente migliori) la relatività la capiscono perfettamente (e magari spontaneamente, intuitivamente, senza neanche ragionarci) ma la loro superiorità dà loro troppi vantaggi per avere le motivazioni per interessarsi veramente a ciò ed applicare veramente questa consapevolezza (e quindi anche loro continuano ad assolutuzzare il relativo). Noi umani, che siamo in una posizione mediana, siamo forse fatti apposta per vivere il relativo per quello che è: un'immagine di un assoluto inconoscibile. Dici che non ci vuole un particolare sforzo... cosa c'è però di più faticoso del considerare tutto relativo, impermanente, e comportarsi di conseguenza costantemente, sempre, in ogni istante?

latriplice
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Re: Filosofia dello... stare

Messaggio da latriplice » 29/08/2018, 14:48

KaaRa ha scritto:
27/08/2018, 22:54
Il divenire è già relativo di suo, non mi sembra serva un particolare sforzo o filosofia per relativizzarlo.
Se con tutto il seguito potrei essere perlopiù d'accordo, questa parte iniziale mi stupisce non poco. Dal mio punto di vista tutti noi tendenzialmente assolutizziamo il relativo. Direi che è questa l'essenza dell'ignoranza metafisica: anche se concettualmente sappiamo (almeno noi umani) che il relativo è appunto relativo, in realtà crediamo profondamente e inconsciamente (e ci comportiamo di conseguenza) che "questo" è reale, tutto il reale: in pratica lo viviamo come se fosse l'assoluto. Non a caso cerchiamo di svegliarci da ciò tramite la filosofia dell'Essere. Ho detto tra parentesi "almeno noi umani" perché, per quanto riguarda gli esseri che non arrivano neanche concettualmente a comprendere la relatività, non è loro compito svegliarsi da questa ignoranza che porta anche loro ad assolutuzzare il relativo, mentre gli eventuali esseri di grado maggiore agli umani (si tratta degli Dei? Forse, ma potremmo essere anche noi nei nostri momenti mondanamente migliori) la relatività la capiscono perfettamente (e magari spontaneamente, intuitivamente, senza neanche ragionarci) ma la loro superiorità dà loro troppi vantaggi per avere le motivazioni per interessarsi veramente a ciò ed applicare veramente questa consapevolezza (e quindi anche loro continuano ad assolutuzzare il relativo). Noi umani, che siamo in una posizione mediana, siamo forse fatti apposta per vivere il relativo per quello che è: un'immagine di un assoluto inconoscibile. Dici che non ci vuole un particolare sforzo... cosa c'è però di più faticoso del considerare tutto relativo, impermanente, e comportarsi di conseguenza costantemente, sempre, in ogni istante?
Ciò che è non ha bisogno di proferire parola. Ciò che non è invece, ha bisogno di pubblicizzarsi con quell' incessante dialogo interiore riferito ad un sedicente "me" per tenerlo in vita, in modo che ciò che è venga indotto, credendoci, all'acquisto.

Questo è in sintesi l'assolutizzare il relativo.

L'ignoranza metafisica appartiene al ciò che non è che vuole conoscere il ciò che è......restando però come ciò che non è.

Il ciò che è, è Verbo vivente nelle sue molteplici espressioni di consapevolezza, vedere, sentire, toccare, annusare, gustare, pensare, emozionare..., quello di un bimbo, permettimi la metafora, che conosce se stesso attraverso il suo gioco innocente.

Il ciò che non è, è vita apparente di un sostantivo che si appropria delle molteplici espressioni del verbo e ne reclama il possesso: io sono consapevole, io vedo, io sento, io tocco, io annuso, io penso, io mi emoziono...

Pertanto l'ignoranza metafisica non verte tanto sul disconoscere ciò che è, ma nell'alimentare la credenza in quella parodia di ciò che non è.

Tu vuoi conoscere e realizzare ciò che è dalla prospettiva di ciò che non è, restando però come quest'ultimo. Ma non funziona e mai funzionerà.

Il ciò che è, è sempre antecedente, il ciò che non è, è sempre, quando appare, conseguente.

Pertanto come fa un'effetto a cogliere ciò che le sta a priori?

Non è forse più semplice ed economico mettere in discussione colui che per conferirsi una parvenza di solidità (riferendo ad un me immaginario il Verbo) è onnipresente nei "tuoi" pensieri?

L'io?

Come? Nel non essere complici di una parodia schizofrenica conferendogli credibilità.

E ciò che è si palesa nel suo assoluto candore.

Renditi conto che quando usi l'espressione : "Dal mio punto di vista", non fai altro che rafforzare l'opinione scellerata che hai su di te, quella di un sostantivo, mentre in verità sei il VERBO, e quello che ne consegue è una visione distorta e schizofrenica della realtà.

Questa è la chiave di lettura del tuo intervento.

Conoscere Dio, è essere Dio.

Il passaggio non conosce soste intermedie, è immediato. E' nel senza tempo perché non compendia il divenire, che è la prospettiva di ciò che non è.

latriplice
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Re: Filosofia dello... stare

Messaggio da latriplice » 29/08/2018, 15:39

Il ciò che non è, è vita apparente di un sostantivo che si appropria delle molteplici espressioni del Verbo e ne reclama il possesso con la convinzione di poter esercitarne il controllo: io sono consapevole, io vedo, io sento, io tocco, io annuso, io penso, io mi emoziono, io vivo .... ponendosi alla sorgente del flusso naturale dell'espressione mentre in verità è un derivato di un processo mentale di appropriazione che dà vita all'identificazione come un me separato ed indipendente, e a proclamarsi per sostituzione, il Verbo.

In sintesi, la mente che gioca a fare Dio.

Cogliere il meccanismo mentale alla base dell'identificazione di me come referente dell'esperienza ne sancisce l'inconsistenza, premettendo all'attenzione o l'interesse di ricadere nella Sorgente.

E il non-due (advaita) "diventa" evidente.

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