Il dialogo è più serrato con l'utente A. che porge i propri punti di vista e perplessità con autorevoli citazioni, nell'interlocuzione Premadharma rimarca l'importanza di utilizzare un linguaggio condiviso per potersi capire sull'utilizzo di termini quali jiva, jivatma e atman.
(le note esplicative tra parentesi quadre sono nostre)
A. Ritengo che in questo brano Guenon descriva la tradizione del vedanta [sulla trasmigrazione] in modo quasi perfetto, tanto è vero che è lo stesso Raphael a citarlo, se non fosse per questo jivatman che sembra salire una scala ascendente senza mai potersi rimanifestare sullo stesso piano [che a me non torna].
Il ‘soffio vitale’ – scrive René Guénon parafrasando alcuni capitoli della Brhadaranyaka Upanisad, della Chandogya Upanisad e del Brahmasutra, che trattano del momento della morte – accompagnato similmente da tutte le altre funzioni e facoltà (già in esso riassorbite e non sussistendovi che come possibilità, poiché sono ormai ritornate allo stato di indifferenziazione da cui erano dovute uscire per manifestarsi effettivamente durante la vita), a sua volta, è riassorbito nell’ ’anima vivente’ (jivatma, manifestazione particolare del ‘Sé’ al centro dell’individualità umana, come precedentemente l’abbiamo spiegato, e distinguentesi dal ‘Sé’ finché questa individualità sussiste come tale, quantunque questa distinzione sia d’altronde del tutto illusoria in rapporto alla realtà assoluta, per la quale non vi è altro che il ‘Sé’); ed è appunto quest’ ’anima vivente’ (come riflesso del Sé e principio centrale dell’individualità) che governa l’insieme delle facoltà individuali (considerate nella loro integralità, e non soltanto in ciò che concerne la modalità corporea).
Come i servi d’un re si riuniscono intorno a lui quando egli è in procinto d’intraprendere un viaggio, così tutte le funzioni vitali e le facoltà (esterne e interne) dell’individuo si riuniscono intorno all’ ‘anima vivente’(o piuttosto proprio in essa, da cui procedono tutte e nella quale sono riassorbite) all’ultimo momento (della vita nel senso ordinario della parola, vale a dire dell’esistenza manifestata nello stato grossolano), quando quest’ ‘anima vivente’ sta per ritirarsi dalla sua forma corporea.
Così, accompagnata da tutte le sue facoltà (poiché le contiene e le conserva in sé a titolo di possibilità), essa si ritira in un’essenza individuale luminosa (vale a dire nella forma sottile, assimilata a un veicolo igneo, come abbiamo spiegato a proposito di taijasa, la seconda condizione di d’Atma), che è composta dei cinque tanmatra o essenze elementari soprasensibili (come la forma corporea è composta dei cinque bhuta o elementi corporei e sensibili), in uno stato sottile (in opposizione allo stato grossolano, che è quello della manifestazione esteriore o corporea, il cui ciclo è ormai compiuto per l’individuo considerato).
Per conseguenza (in virtù di questo passaggio nella forma sottile, descritta come luminosa), si dice che il ‘soffio vitale’ si ritira nella Luce intellegibile, riflesso la cui natura è in fondo la stessa di quella del ‘mentale’ durante la vita corporea, e che, d’altronde, implica come appoggio o veicolo una combinazione dei princìpi essenziali dei cinque elementi), e senza che questo ritrarsi si effettui necessariamente per una transizione immediata; infatti (per usare un paragone), si dice che un viaggiatore si reca da una città a un’altra, anche se si ferma successivamente ad una od a più città intermedie. Questo ritrarsi o quest’abbandono della forma corporea (quale fin qui è stato descritto) è d’altronde comune al popolo ignorante (avidvan) e al saggio contemplativo (vidvan), fin dove cominciano, per l’uno e per l’altro, le loro vie rispettive (e d’ora innanzi differenti)”.
(R. Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta. Edizioni Studi Tradizionali, Torino).
Premadharma: In questo riporto di Guenon, non sembra di vedere affermare la continuità di una individualità, quanto l'abbandono man mano delle diverse guaine, proseguendo la vita in quelle man mano più sottili.
La visione del viaggio nelle varie città, può essere intesa sia come sopra, sia anche come l'Essere che sostiene ogni seme causale che si incarna.
Alcuni aspiranti discepoli quando si iniziano a presentare i vari "ricordi" hanno difficoltà a riconoscerli come propri, proprio perché non trovano una continuità causale fra le diverse incarnazioni. E' altresì vero che la continuità è propria di Isvara. In sostanza la Coscienza isvarica (sembra di ricordare che alcuni la chiamino a seconda della provenienza, Krishna o Coscienza Cristica), è la Pura Consapevolezza e in quanto tale absoluta, ma perfettamente in grado, in quanto Sé, di assistere-indossare i vari passaggi.
Quindi c'è consapevolezza del vagare dei semi causali e del loro raggrupparsi.
L'interrogativo che invece potrebbe sorgere è: "Cosa determina il ricordo?"
Sono dei semi causali rimasti irrisolti, o l'Essere in sé che indossando tutte le possibilità contempla anche quelle già verificatesi? Per fortuna non è affare di questa persona.
A. Ma secondo Ramana se noi ora moriamo con dei semi irrisolti, il nostro jiva prima si ritirerà in forma potenziale (come dice il brano di Guenon) per poi andare a rimanifestarsi laddove vasana e samskara [tendenze residue e semi causali] lo sospingono, senza alcun limite, dall'animale al deva, senza contare ovviamente la liberazione finale, è quel che dicono anche le upanishad, il libro tibetano dei morti ecc.
Ecco come la spiega Ramana Maharshi:
«Se i meriti e i demeriti si equivalgono, si rinasce immediatamente sulla terra; se i meriti prevalgono sui demeriti, il corpo sottile va in cielo; se prevalgono i demeriti, va all'inferno. Ma in entrambi i casi rinascerà più tardi sulla terra. Tutto ciò viene detto nelle Scritture, ma se si rimane semplicemente ciò che si è davvero, non c'è né nascita né morte».
E in modo se possibile ancor più chiaro:
«Alla morte del corpo materiale, la mente rimane inattiva per un certo intervallo, come quando è priva di corpo nel sonno senza sogni. Poi diventa di nuovo attiva in un nuovo corpo, il corpo astrale, sino a riassumere un altro corpo materiale in quella che viene chiamata 'rinascita'. Ma il jnanin, il realizzato la cui mente ha già cessato di agire, non è influenzato dalla morte. Per lui la catena delle illusioni si è spezzata per sempre»
Premadharma: La mente che rimane inattiva e che riassume un corpo, non è la medesima. E' la mente in quanto flusso causale attivo. La mente di Tizio, non avrà più a che fare con Tizio, perché essa era formata sia dai semi causali giunti in risoluzione, più le vrtti trasformatesi in vasana e, alla morte, nuovi semi causali. Quella mente, quella persona non c'è più.
A. Secondo Guenon invece se noi ora moriamo, ovviamente prendendo la via lunare [quella del ritorno, "come pioggia" alla terra, all'incarnazione], quindi con dei semi irrisolti, il nostro jiva prima si ritirerà in forma potenziale, per poi tornare alla manifestazione.
Premadharma: Cosa è jiva? Il jiva di per sé non esiste. Siamo noi che chiamiamo jiva, l'atma visto insieme al flusso causale dei samskara.
Alla morte del corpo grossolano l'atma si ritira da esso, mantenendo solo l'aspetto cellulare, man mano esaurendo gli altri veicoli (i mondi dei giusti), esauriti tutti i veicoli il jiva (nei vari loka) non può più tornare in essi. Infatti non si può più avere che l'essere torni in quei loka sfere, come prima. Guenon dice sostanzialmente le stesse cose. Temo che qualcuno abbia pasticciato con i termini atman, jivatman e jiva. Infatti vediamo che egli parla di condizione individuale, quel jiva, quell'individuo, quell'uomo non potrà più essere.
A. Guenon dice letteralmente che "Vi è un ritorno al "mondo dell'uomo" , dire che torni uomo è un "sinonimo" per dire in una forma individuale: "vale a dire ad una condizione individuale, così designata in analogia alla condizione umana", secondo me è solo una analogia, non torni davvero uomo, ma solo in condizione individuale "poiché l’essere non può ritornare ad uno stato per il quale è già passato. Guenon nel testo "Errore dello spiritismo" dice che se uno ricorda una vita passata ha solo ricordi di un altro, ma il jiva sarà diverso, il jiva sarà passato ad un nuovo loka lasciando sparsi i ricordi "umani" o "egoici" che entreranno in un altro...
Premadharma: Di alcuni esseri intuiamo una conoscenza diretta, questa conoscenza diretta può differire nella testimonianza per il linguaggio o per le modalità al contorno dell'esperienza o samadhi testimoniata. Quando poi le visioni iniziano a coincidere, non sono le piccole discrepanze a far desistere la profondità di più visioni sovrapposte.
Quelle di cui stiamo parlando sono esperienze che un aspirante anziano ha già modo di riscontrare, sarebbe strano che Guenon manchi questa visione abbastanza iniziale, quando ha colto aspetti ben più profondi. Ma certo tutto può essere, volgiamoci allora altrove verso visioni più stabili. Gli altri esempi che hai proposto sono più limpidi nella rispondenza.
A. Continuo a non capire perché c’è l'idea che il jiva non possa manifestarsi nello stesso loka [luogo, stato]
Premadharma. Un jiva non può manifestarsi due volte nello stesso loka per il semplice fatto che il jiva muore, svanisce, non ha continuità, una volta che i semi causali si sono dispersi e l'atman non è più concettualizzabile in quel flusso causale. Poi quando i semi si aggregano, ecco che nuovamente l'atman "riempie" la nuova aggregazione causale (non necessariamente umana) che nasce, vive, muore - mantenendo una consapevolezza parziale di sé; esperienza che tutti conosciamo: il non essere sempre pienamente consapevoli di Sé.
Quindi l'idea che il jiva non possa manifestarsi nello stesso loka sembra avere una sua ragione di essere.
[A chiarimento dei partecipanti al dialogo Premadharma successivamente precisa che: “Quanto intendevo come jiva in realtà è l'insieme fra jiva e ahamkara, il jiva è sempre e comunque atman, visto nell'individuazione.
Richiama, relativamente al corretto uso dei termini, il Glossario Sanscrito, dell'Edizioni Parmenides, 2011:
Jivatman: l'atman vivente, il riflesso dell'atman nella buddhi: il jiva.
Jivatman e jiva sono praticamente sinonimi.
Jıva: essere vivente (jıvin), anima individuata. È un riflesso coscienziale, un raggio di pura coscienza. Il jıva-riflesso produce movimento e attività entro di sé‚ ingenerando, attraverso la funzione dell’ahamkara, tanto il soggetto (io-aham) quanto l’oggetto (mondo-idam) dell’esperienza, della conoscenza, e così via. Il jıva, illuminando a sua volta la mente (citta, manas) e i veicoli inferiori, determina il proprio vincolo alla sua stessa “proiezione interna” trovandosi sottoposto alla legge della dualità, quanto dire del tempo-spazio. Il jıva è la particolare infinitesima di Isvara, ed è solo riconducendosi ad Esso che può, infine, risolversi nel Brahman. L’identità tra jıva e Brahman alla quale si riferiscono le sentenze vediche, è sempre presente ed attuale (jıva-brahma-aikya). Estinto il moto interno, il jıva stesso, in quanto tale, non ha più ragione d'essere e si risolve nell’åtman.]
B .Tra legge di causalita, negazione del libero arbitrio, ed ora, da come mi sembra di capire, assenza di ogni principio retributivo, davvero si fa fatica a comprendere il perchè dell'esistenza del soggetto individuale esperiente...
Premadharma. Una risposta potrebbe essere che appare l'individuazione per esperire, fruire dell'esistenza duale. E' l'individuazione dell'essere che permette la fruizione.
C. Certo, ma è come dire che un fiore sboccia e profuma: non c'è un "perchè". Gioco di Isvara?
Premadharma: Se per gioco intendi la consapevolezza di non essere gli artefici, certamente...
D'altra parte i semi causali di questa vita non erano giunti mai in "essere" (mai sbocciati). E tornando a Guenon, "l'essere non passa due volte dallo stesso posto", l'affermazione è vera nella misura in cui si definisce posto o vita.
Come la scienza afferma che non esistono al mondo due cristalli di acqua identici e a pensarci è strano assai, così non esistono due semi causali identici, pertanto mai è dato all'essere di ripetere quella specifica esperienza, perché i semi saranno diversi.
Quanto alla diversità dei semi causali, è insito nella causalità che li differenzia.
Il ‘soffio vitale’ – scrive René Guénon parafrasando alcuni capitoli della Brhadaranyaka Upanisad, della Chandogya Upanisad e del Brahmasutra, che trattano del momento della morte – accompagnato similmente da tutte le altre funzioni e facoltà (già in esso riassorbite e non sussistendovi che come possibilità, poiché sono ormai ritornate allo stato di indifferenziazione da cui erano dovute uscire per manifestarsi effettivamente durante la vita), a sua volta, è riassorbito nell’ ’anima vivente’ (jivatma, manifestazione particolare del ‘Sé’ al centro dell’individualità umana, come precedentemente l’abbiamo spiegato, e distinguentesi dal ‘Sé’ finché questa individualità sussiste come tale, quantunque questa distinzione sia d’altronde del tutto illusoria in rapporto alla realtà assoluta, per la quale non vi è altro che il ‘Sé’); ed è appunto quest’ ’anima vivente’ (come riflesso del Sé e principio centrale dell’individualità) che governa l’insieme delle facoltà individuali (considerate nella loro integralità, e non soltanto in ciò che concerne la modalità corporea).
Come i servi d’un re si riuniscono intorno a lui quando egli è in procinto d’intraprendere un viaggio, così tutte le funzioni vitali e le facoltà (esterne e interne) dell’individuo si riuniscono intorno all’ ‘anima vivente’(o piuttosto proprio in essa, da cui procedono tutte e nella quale sono riassorbite) all’ultimo momento (della vita nel senso ordinario della parola, vale a dire dell’esistenza manifestata nello stato grossolano), quando quest’ ‘anima vivente’ sta per ritirarsi dalla sua forma corporea.
Così, accompagnata da tutte le sue facoltà (poiché le contiene e le conserva in sé a titolo di possibilità), essa si ritira in un’essenza individuale luminosa (vale a dire nella forma sottile, assimilata a un veicolo igneo, come abbiamo spiegato a proposito di taijasa, la seconda condizione di d’Atma), che è composta dei cinque tanmatra o essenze elementari soprasensibili (come la forma corporea è composta dei cinque bhuta o elementi corporei e sensibili), in uno stato sottile (in opposizione allo stato grossolano, che è quello della manifestazione esteriore o corporea, il cui ciclo è ormai compiuto per l’individuo considerato).
Per conseguenza (in virtù di questo passaggio nella forma sottile, descritta come luminosa), si dice che il ‘soffio vitale’ si ritira nella Luce intellegibile, riflesso la cui natura è in fondo la stessa di quella del ‘mentale’ durante la vita corporea, e che, d’altronde, implica come appoggio o veicolo una combinazione dei princìpi essenziali dei cinque elementi), e senza che questo ritrarsi si effettui necessariamente per una transizione immediata; infatti (per usare un paragone), si dice che un viaggiatore si reca da una città a un’altra, anche se si ferma successivamente ad una od a più città intermedie. Questo ritrarsi o quest’abbandono della forma corporea (quale fin qui è stato descritto) è d’altronde comune al popolo ignorante (avidvan) e al saggio contemplativo (vidvan), fin dove cominciano, per l’uno e per l’altro, le loro vie rispettive (e d’ora innanzi differenti)”.
(R. Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta. Edizioni Studi Tradizionali, Torino).
Premadharma: In questo riporto di Guenon, non sembra di vedere affermare la continuità di una individualità, quanto l'abbandono man mano delle diverse guaine, proseguendo la vita in quelle man mano più sottili.
La visione del viaggio nelle varie città, può essere intesa sia come sopra, sia anche come l'Essere che sostiene ogni seme causale che si incarna.
Alcuni aspiranti discepoli quando si iniziano a presentare i vari "ricordi" hanno difficoltà a riconoscerli come propri, proprio perché non trovano una continuità causale fra le diverse incarnazioni. E' altresì vero che la continuità è propria di Isvara. In sostanza la Coscienza isvarica (sembra di ricordare che alcuni la chiamino a seconda della provenienza, Krishna o Coscienza Cristica), è la Pura Consapevolezza e in quanto tale absoluta, ma perfettamente in grado, in quanto Sé, di assistere-indossare i vari passaggi.
Quindi c'è consapevolezza del vagare dei semi causali e del loro raggrupparsi.
L'interrogativo che invece potrebbe sorgere è: "Cosa determina il ricordo?"
Sono dei semi causali rimasti irrisolti, o l'Essere in sé che indossando tutte le possibilità contempla anche quelle già verificatesi? Per fortuna non è affare di questa persona.
A. Ma secondo Ramana se noi ora moriamo con dei semi irrisolti, il nostro jiva prima si ritirerà in forma potenziale (come dice il brano di Guenon) per poi andare a rimanifestarsi laddove vasana e samskara [tendenze residue e semi causali] lo sospingono, senza alcun limite, dall'animale al deva, senza contare ovviamente la liberazione finale, è quel che dicono anche le upanishad, il libro tibetano dei morti ecc.
Ecco come la spiega Ramana Maharshi:
«Se i meriti e i demeriti si equivalgono, si rinasce immediatamente sulla terra; se i meriti prevalgono sui demeriti, il corpo sottile va in cielo; se prevalgono i demeriti, va all'inferno. Ma in entrambi i casi rinascerà più tardi sulla terra. Tutto ciò viene detto nelle Scritture, ma se si rimane semplicemente ciò che si è davvero, non c'è né nascita né morte».
E in modo se possibile ancor più chiaro:
«Alla morte del corpo materiale, la mente rimane inattiva per un certo intervallo, come quando è priva di corpo nel sonno senza sogni. Poi diventa di nuovo attiva in un nuovo corpo, il corpo astrale, sino a riassumere un altro corpo materiale in quella che viene chiamata 'rinascita'. Ma il jnanin, il realizzato la cui mente ha già cessato di agire, non è influenzato dalla morte. Per lui la catena delle illusioni si è spezzata per sempre»
Premadharma: La mente che rimane inattiva e che riassume un corpo, non è la medesima. E' la mente in quanto flusso causale attivo. La mente di Tizio, non avrà più a che fare con Tizio, perché essa era formata sia dai semi causali giunti in risoluzione, più le vrtti trasformatesi in vasana e, alla morte, nuovi semi causali. Quella mente, quella persona non c'è più.
A. Secondo Guenon invece se noi ora moriamo, ovviamente prendendo la via lunare [quella del ritorno, "come pioggia" alla terra, all'incarnazione], quindi con dei semi irrisolti, il nostro jiva prima si ritirerà in forma potenziale, per poi tornare alla manifestazione.
Premadharma: Cosa è jiva? Il jiva di per sé non esiste. Siamo noi che chiamiamo jiva, l'atma visto insieme al flusso causale dei samskara.
Alla morte del corpo grossolano l'atma si ritira da esso, mantenendo solo l'aspetto cellulare, man mano esaurendo gli altri veicoli (i mondi dei giusti), esauriti tutti i veicoli il jiva (nei vari loka) non può più tornare in essi. Infatti non si può più avere che l'essere torni in quei loka sfere, come prima. Guenon dice sostanzialmente le stesse cose. Temo che qualcuno abbia pasticciato con i termini atman, jivatman e jiva. Infatti vediamo che egli parla di condizione individuale, quel jiva, quell'individuo, quell'uomo non potrà più essere.
A. Guenon dice letteralmente che "Vi è un ritorno al "mondo dell'uomo" , dire che torni uomo è un "sinonimo" per dire in una forma individuale: "vale a dire ad una condizione individuale, così designata in analogia alla condizione umana", secondo me è solo una analogia, non torni davvero uomo, ma solo in condizione individuale "poiché l’essere non può ritornare ad uno stato per il quale è già passato. Guenon nel testo "Errore dello spiritismo" dice che se uno ricorda una vita passata ha solo ricordi di un altro, ma il jiva sarà diverso, il jiva sarà passato ad un nuovo loka lasciando sparsi i ricordi "umani" o "egoici" che entreranno in un altro...
Premadharma: Di alcuni esseri intuiamo una conoscenza diretta, questa conoscenza diretta può differire nella testimonianza per il linguaggio o per le modalità al contorno dell'esperienza o samadhi testimoniata. Quando poi le visioni iniziano a coincidere, non sono le piccole discrepanze a far desistere la profondità di più visioni sovrapposte.
Quelle di cui stiamo parlando sono esperienze che un aspirante anziano ha già modo di riscontrare, sarebbe strano che Guenon manchi questa visione abbastanza iniziale, quando ha colto aspetti ben più profondi. Ma certo tutto può essere, volgiamoci allora altrove verso visioni più stabili. Gli altri esempi che hai proposto sono più limpidi nella rispondenza.
A. Continuo a non capire perché c’è l'idea che il jiva non possa manifestarsi nello stesso loka [luogo, stato]
Premadharma. Un jiva non può manifestarsi due volte nello stesso loka per il semplice fatto che il jiva muore, svanisce, non ha continuità, una volta che i semi causali si sono dispersi e l'atman non è più concettualizzabile in quel flusso causale. Poi quando i semi si aggregano, ecco che nuovamente l'atman "riempie" la nuova aggregazione causale (non necessariamente umana) che nasce, vive, muore - mantenendo una consapevolezza parziale di sé; esperienza che tutti conosciamo: il non essere sempre pienamente consapevoli di Sé.
Quindi l'idea che il jiva non possa manifestarsi nello stesso loka sembra avere una sua ragione di essere.
[A chiarimento dei partecipanti al dialogo Premadharma successivamente precisa che: “Quanto intendevo come jiva in realtà è l'insieme fra jiva e ahamkara, il jiva è sempre e comunque atman, visto nell'individuazione.
Richiama, relativamente al corretto uso dei termini, il Glossario Sanscrito, dell'Edizioni Parmenides, 2011:
Jivatman: l'atman vivente, il riflesso dell'atman nella buddhi: il jiva.
Jivatman e jiva sono praticamente sinonimi.
Jıva: essere vivente (jıvin), anima individuata. È un riflesso coscienziale, un raggio di pura coscienza. Il jıva-riflesso produce movimento e attività entro di sé‚ ingenerando, attraverso la funzione dell’ahamkara, tanto il soggetto (io-aham) quanto l’oggetto (mondo-idam) dell’esperienza, della conoscenza, e così via. Il jıva, illuminando a sua volta la mente (citta, manas) e i veicoli inferiori, determina il proprio vincolo alla sua stessa “proiezione interna” trovandosi sottoposto alla legge della dualità, quanto dire del tempo-spazio. Il jıva è la particolare infinitesima di Isvara, ed è solo riconducendosi ad Esso che può, infine, risolversi nel Brahman. L’identità tra jıva e Brahman alla quale si riferiscono le sentenze vediche, è sempre presente ed attuale (jıva-brahma-aikya). Estinto il moto interno, il jıva stesso, in quanto tale, non ha più ragione d'essere e si risolve nell’åtman.]
B .Tra legge di causalita, negazione del libero arbitrio, ed ora, da come mi sembra di capire, assenza di ogni principio retributivo, davvero si fa fatica a comprendere il perchè dell'esistenza del soggetto individuale esperiente...
Premadharma. Una risposta potrebbe essere che appare l'individuazione per esperire, fruire dell'esistenza duale. E' l'individuazione dell'essere che permette la fruizione.
C. Certo, ma è come dire che un fiore sboccia e profuma: non c'è un "perchè". Gioco di Isvara?
Premadharma: Se per gioco intendi la consapevolezza di non essere gli artefici, certamente...
D'altra parte i semi causali di questa vita non erano giunti mai in "essere" (mai sbocciati). E tornando a Guenon, "l'essere non passa due volte dallo stesso posto", l'affermazione è vera nella misura in cui si definisce posto o vita.
Come la scienza afferma che non esistono al mondo due cristalli di acqua identici e a pensarci è strano assai, così non esistono due semi causali identici, pertanto mai è dato all'essere di ripetere quella specifica esperienza, perché i semi saranno diversi.
Quanto alla diversità dei semi causali, è insito nella causalità che li differenzia.