Trasmigrazione - Raphael
Inviato: 23/02/2018, 9:09
A chiarimento di alcune tematiche in discussione propongo questo dialogo con Raphael sul tema della Trasmigrazione tratto da "Tat Tvam Asi", Edizioni Asram Vidya, Raphael, pag 116.
TRASMIGRAZIONE
A - L'ultima volta che ci siamo incontrati le dicevo che sarei voluto uscire dal quadro di coordinate tridimensionale e non reincarnarmi più. Sono ulteriormente convinto che non ho niente a che fare con il mondo di maya, con il mondo dell'esaltazione e, quindi, di tutte le droghe psichiche e fisiche.
R - Quando parli di reincarnazione a che cosa ti riferisci esattamente ?
A - Alla teoria della reincarnazione di cui un tempo abbiamo parlato. Non mi sono incarnato in questo mondo d'incompiutezza ? Spesso mi ha parlato nel senso che devo uscire dal quadro nascita-morte. Non è così ?
R - Sarebbe bene riprendere il discorso perché temo che tu non abbia compreso questo problema nella sua vera essenza. Posto che il Sè è senza nascita e senza fine, senza tempo e incausato, in che senso e fino a che punto possiamo parlare di rinascita, oppure, il che è lo stesso, di morte ?
A - Dunque - avvalendomi di quello che per me ormai è riconoscimento - una costante se è tale non subisce mutamento, per cui non è soggetta a modificazioni di natura. Una costante non può avere origine perché, diversamente, non può dirsi infinita ed eterna.
Morte e nascita sono già qualificazioni inerenti a qualcosa di contingente. Il Sè è la costante, l'assoluto, l'universalmente valido, quindi non può nè nascere nè perire. Allora, chi si reincarna ?
R - Questo è il punto; chi si reincarna ?
A - Mesi addietro abbiamo parlato di un ente chiamato jiva. Possiamo attribuirgli la causa della reincarnazione ?
È esso la radice dei nostri travagli ?
R - In effetti ne è la causa. Il jiva è solo un nome che nasconde una certa verità sperimentale. Esso è il riverbero dell'atman-costante. Questo "riverbero coscienziale" potendosi esplicare in indefiniti modi, lungo il tempo acquista particolari qualificazioni che cristallizza intorno a sè fino a trovarsi condizionato dalle sue stesse esperienze materiate. Per esempio la mente, potendosi dirigere verso molteplici pensieri, a lungo andare ne cristallizza alcuni fino al punto da esserne aggiogata. I figli divorano il padre.
Quando il riverbero coscienziale rimane costretto e condizionato dalla tela che si è costruito non può non seguirne le direzioni qualitative. Tutto ciò l'abbiamo approfondito la volta scorsa. Quindi il jiva, costretto da certe esperienze che può recepire e vivere, per esempio sul piano fisico, è obbligato a seguire la via dell'incarnazione su tale piano di espressione vitale, impossessandosi del corpo ad esso inerente. Come puoi notare, sono le tendenze inconscie non risolte, sono le vasana, i samskara (impressioni subconscie) che, non trascesi, forzano a perpetuare uno stato di cose spesso indesiderabile. Sono sempre i samskara che forzano la mente a ripetere una stessa linea di pensiero, fino all'ossessione.
A - Ha detto che il jiva-riflesso può determinarsi lungo indefinite linee di espressioni vitali. Quindi può scegliere anche di provare uno stato di coscienza non umano ?
R - Esatto. Nell'universo ci sono indefinite - per quanto finite - espressioni di vita, e il jiva è libero di scegliere e trasmigrare, se naturalmente riesce a esperire senza imprigionarsi o legarsi ad una determinata
espressione di vita. Sarebbe la condizione ottimale sul piano del vivere mayahico.
A - Dovrebbe agire completamente distaccato dai frutti dell'azione ?
R - Certamente. Per tale jiva non esisterebbe accumulo di karma perché non sarebbe legato a niente.
A - Però lei parla del vivere mayahico.
R - Dobbiamo riconoscere che il jiva non è altro che un'ombra, un riflesso, una non-realtà; per quanto possa vivere senza karma, rimane sempre nell'ambito della sua natura e della natura del mondo dei nomi e delle forme. Per quanto possa esprimere tendenze non vincolanti molto elevate, come intelligenza, amore e volontà di bene, tuttavia rimane nell'ambito della maya-avidya.
A - Dunque, possiamo parlare di trasmigrazione in riferimento a queste tendenze, istanze, direzioni energetiche qualificate ?
R - È così. Prima di tutto il termine trasmigrazione è più esatto; poi quando le tendenze-desideri vengono a cessare, si risolve, altresì, la costrizione, la schiavitù e quindi la trasmigrazione dell'energia stessa. Per l'atman non vi è ne jiva nè trasmigrazione; come per il sole non vi è nè alba nè tramonto.
A - Comprendo meglio il problema della trasmigrazione. Il fine è quello di dissociarsi o risolvere la subcoscienza, persino la tendenza inconscia di pensarsi in termini di individuo umano?
R - Certo. E, per l'advaita, non solo di individuo umano, ma di ogni possibile espressione vitale formale, grossolana o sottile. Per l'advaita, poi, non v'è nè jiva nè trasmigrazione.
TRASMIGRAZIONE
A - L'ultima volta che ci siamo incontrati le dicevo che sarei voluto uscire dal quadro di coordinate tridimensionale e non reincarnarmi più. Sono ulteriormente convinto che non ho niente a che fare con il mondo di maya, con il mondo dell'esaltazione e, quindi, di tutte le droghe psichiche e fisiche.
R - Quando parli di reincarnazione a che cosa ti riferisci esattamente ?
A - Alla teoria della reincarnazione di cui un tempo abbiamo parlato. Non mi sono incarnato in questo mondo d'incompiutezza ? Spesso mi ha parlato nel senso che devo uscire dal quadro nascita-morte. Non è così ?
R - Sarebbe bene riprendere il discorso perché temo che tu non abbia compreso questo problema nella sua vera essenza. Posto che il Sè è senza nascita e senza fine, senza tempo e incausato, in che senso e fino a che punto possiamo parlare di rinascita, oppure, il che è lo stesso, di morte ?
A - Dunque - avvalendomi di quello che per me ormai è riconoscimento - una costante se è tale non subisce mutamento, per cui non è soggetta a modificazioni di natura. Una costante non può avere origine perché, diversamente, non può dirsi infinita ed eterna.
Morte e nascita sono già qualificazioni inerenti a qualcosa di contingente. Il Sè è la costante, l'assoluto, l'universalmente valido, quindi non può nè nascere nè perire. Allora, chi si reincarna ?
R - Questo è il punto; chi si reincarna ?
A - Mesi addietro abbiamo parlato di un ente chiamato jiva. Possiamo attribuirgli la causa della reincarnazione ?
È esso la radice dei nostri travagli ?
R - In effetti ne è la causa. Il jiva è solo un nome che nasconde una certa verità sperimentale. Esso è il riverbero dell'atman-costante. Questo "riverbero coscienziale" potendosi esplicare in indefiniti modi, lungo il tempo acquista particolari qualificazioni che cristallizza intorno a sè fino a trovarsi condizionato dalle sue stesse esperienze materiate. Per esempio la mente, potendosi dirigere verso molteplici pensieri, a lungo andare ne cristallizza alcuni fino al punto da esserne aggiogata. I figli divorano il padre.
Quando il riverbero coscienziale rimane costretto e condizionato dalla tela che si è costruito non può non seguirne le direzioni qualitative. Tutto ciò l'abbiamo approfondito la volta scorsa. Quindi il jiva, costretto da certe esperienze che può recepire e vivere, per esempio sul piano fisico, è obbligato a seguire la via dell'incarnazione su tale piano di espressione vitale, impossessandosi del corpo ad esso inerente. Come puoi notare, sono le tendenze inconscie non risolte, sono le vasana, i samskara (impressioni subconscie) che, non trascesi, forzano a perpetuare uno stato di cose spesso indesiderabile. Sono sempre i samskara che forzano la mente a ripetere una stessa linea di pensiero, fino all'ossessione.
A - Ha detto che il jiva-riflesso può determinarsi lungo indefinite linee di espressioni vitali. Quindi può scegliere anche di provare uno stato di coscienza non umano ?
R - Esatto. Nell'universo ci sono indefinite - per quanto finite - espressioni di vita, e il jiva è libero di scegliere e trasmigrare, se naturalmente riesce a esperire senza imprigionarsi o legarsi ad una determinata
espressione di vita. Sarebbe la condizione ottimale sul piano del vivere mayahico.
A - Dovrebbe agire completamente distaccato dai frutti dell'azione ?
R - Certamente. Per tale jiva non esisterebbe accumulo di karma perché non sarebbe legato a niente.
A - Però lei parla del vivere mayahico.
R - Dobbiamo riconoscere che il jiva non è altro che un'ombra, un riflesso, una non-realtà; per quanto possa vivere senza karma, rimane sempre nell'ambito della sua natura e della natura del mondo dei nomi e delle forme. Per quanto possa esprimere tendenze non vincolanti molto elevate, come intelligenza, amore e volontà di bene, tuttavia rimane nell'ambito della maya-avidya.
A - Dunque, possiamo parlare di trasmigrazione in riferimento a queste tendenze, istanze, direzioni energetiche qualificate ?
R - È così. Prima di tutto il termine trasmigrazione è più esatto; poi quando le tendenze-desideri vengono a cessare, si risolve, altresì, la costrizione, la schiavitù e quindi la trasmigrazione dell'energia stessa. Per l'atman non vi è ne jiva nè trasmigrazione; come per il sole non vi è nè alba nè tramonto.
A - Comprendo meglio il problema della trasmigrazione. Il fine è quello di dissociarsi o risolvere la subcoscienza, persino la tendenza inconscia di pensarsi in termini di individuo umano?
R - Certo. E, per l'advaita, non solo di individuo umano, ma di ogni possibile espressione vitale formale, grossolana o sottile. Per l'advaita, poi, non v'è nè jiva nè trasmigrazione.