Gruppo Vedanta Citra ha scritto:
Tu commetti un errore terminologico che è poi errore sostanziale.
Te lo indico, poi fanne ciò che vuoi.
Ricorrendo al paragone del film proiettato sullo schermo cinematografico sovente utilizzato da Ramana Maharshi, ciò che tu chiami consapevolezza ordinaria non è lo schermo ma la possibilità di essere cosciente del film (molteplicità dei nomi e delle forme) che in questo luogo - condividendo le indicazioni del riferimento - viene chiamata coscienza 'di' per distinguerla dalla consapevolezza.
Si usava e usa ancora distinguere, sempre in termini terminologici, la "coscienza di" dalla "coscienza in sè" o "pura coscienza" o ancora altrimenti detta consapevolezza.
Gruppo Vedanta Citra ha scritto:
Infatti esiste, dicono i Conoscitori, lo schermo, un livello più profondo che possiamo chiamare Consapevolezza, completamente slegato da ogni forma di coscienza, percezione e alterità, da cui emana la tua centralità.
Questo secondo livello - naturalmente usando le parole, il concetto stesso viene tradotto e quindi tradito nella sua essenza - è ciò che viene chiamato il Reale, l'Assoluto non duale, Brahman Nirguna, il Tao che non può essere detto.
Pur essendo ciò che È , sempre presente, inalterabile costante, è inaccessibile alla coscienza ordinaria così come all'ordinaria intelligenza umana.
Parlare di "livelli", di "secondo livello", in riferimento all'assoluto, credo che sia altrettanto errato, da un punto di vista terminologico.
L'assoluto non è un livello, perchè i livelli si distinguono l'un l'altro dai rispettivi limiti e confini, separazioni e alterità, tutte variabili inapplicabili all'assoluto. Ab-solutum senza legami, senza confini, senza relazioni. L'assoluto "sottende" (e già anche questo termine è fuorviante) il relativo il relato, il dipendente-qualificabile da-di, lo sottende nel senso che lo implica pur non essendone implicato.
La relazione, se relazione si può dire è di sola uscita, per un solo verso, uni-verso, dall'assoluto verso il relativo; l'assoluto implica il relativo, ma il relativo non implica l'assoluto. Non è una relazione duale e reciproca come nel mondo relativo dove ogni oggetto è relato ed esistente per duplice relazione, nei due versi, soggetto-oggetto, ovvero il soggetto implica l'oggetto, ma anche l'oggetto implica il soggetto, l'uno non c'è senza l'altro e viceversa. Se cade uno cade anche l'altro, perchè si sussistono-supportano entrambi a vicenda. Invece l'assoluto non dipende e non implica necessariamente un relativo, un "mondo", questo può esserci come no, ma lui resta "sempre presente, inalterabile, costante".
Gruppo Vedanta Citra ha scritto:
Il realizzato non duale, l'illuminato come dici tu, il Conoscitore, non si qualifica come tale perché semplicemente non sa di esserlo.
Mi devi scusare ma anche qui dissento sull'uso dei termini e significato che ne consegue.
Che il Conoscitore non si qualifichi al mondo per tutta una serie di (comprensibili e persino condivisibili) ragioni umane, ci può anche stare, ma che il Conoscitore "non sa di esserlo" questo sarebbe l'equivalente di dire che la consapevolezza non abbia coscienza di sè. Più correttamente sarebbe da dire, sempre per l'equivalenza posta, che (non) abbia coscienza in sè (invece che di sè), il che sarebbe illogico, visto che la consapevolezza è per (una delle possibili) definizione "coscienza in sè".
In un certo senso è il termine sapere ("non sa di esserlo") spesso equiparato all'altro termine conoscere, che crea l'ambiguità.
Sì è portati ad assimilare il sapere al conoscere, e quindi porre la sinomia sapere=conoscere. Se io so una cosa ergo la conosco.
Aristotele diceva che conoscere è essere ("L'anima è tutto ciò che essa conosce" - De Anima), esseità, ma questo, ammesso la veridicità dell'asserzione di Aristotele, non equivale a dire che sapere è essere.
Forse, sempre per restare nei termini e loro uso e significato si potrebbe dire che mentre il sapere è conoscenza di (questo e quello), quindi relativa e di relazione, il conoscere nella sua accezione più autentica è conoscenza in sè, esseità, e quindi essere, consapevolezza.
Quindi secondo me, se c'è proprio una conoscenza di cui il Conoscitore ha assoluta certezza è la conoscenza in sè-consapevolezza di chi e cosa sia, più succintamente di essere. Che poi questo non sia traducibile sui piani umani di relazione e sapere, altro discorso, questo è un nostro limite e ignoranza, del piano che noi viviamo, non suo.
Gruppo Vedanta Citra ha scritto:
Egli si vede umano, limitato, ordinario perché lo è: è anche umano, limitato, ordinario, proprio in questo sta la sua grandezza.
Anche qui, sul fatto che lui si veda "questo e quello" certo possibilissimo anzi è così certamente, ma vedersi questo e quello non vuol dire esserlo.
Io vedo benissimo l'abito che porto, ho coscienza di questo e quello, so e conosco questo e quello, ma non per questo lo sono, anche se ne vivo e accetto i limiti, ruolo, e quant'altro. Vedersi umani e limitati nell'abito e dell'abito che si indossa è proprio nella natura della coscienza, della consapevolezza; vedere lo schermo e ciò che vi scorre sopra, esserne coscienti e sopratutto consapevoli di quella "coscienza di" stessa che vede lo schermo, è appunto prerogativa e natura della consapevolezza, dell'essere consapevoli, il che è un sinonimo in termini, essere-consapevoli.
Lui non è "umano, limitato, ordinario", lui si vede, ne ha coscienza di, essere e vestire quei panni-schermo-film di "umano, limitato, ordinario", ma non lo è in esseità e consapevolezza, lui è pura coscienza, consapevolezza, è quello schermo bianco, libero di (essere come anche non essere) ogni proiezione, film, abito, "umano, limitato, ordinario" si voglia vestire e proiettare su questo piano spazio-temporale del momento. Non c'è nulla di grandioso nell' "umano, limitato, ordinario", nulla, solo e semplicemente tutto di accidentale, necessario, necessitato ed in ultimo mortale.
Cosa c'è di grandioso in qualcosa che non fa tempo a nascere e già sta morendo ed in ultimo, domani, se non prima ancora, muore?
Cosa c'è di grandioso in maya, nel divenire, nel mondo? Un battito di ciglia di brahma...
Pensi davvero che se domani un qualche pazzo di governante schiacci il bottone e ci annienti tutto e tutti col nuclere o altra arma ancora più recente, che d'improvviso non ci sia più alcun umano o essere vivente su questo pianeta a vestire alcun panno o abito di alcun genere, che per questo la consapevolezza, la pura coscienza venga meno o venga meno la sua consapevolezza di sè?
Questo mondo, qualsiasi mondo è un'accidentalità sulla\nella pura coscienza - consapevolezza, nient'altro che questo; un qualcosa che nasce e poi muore, che viene in esistenza e poi in cessazione di esistenza, cosa c'è di grandioso in tutto ciò? Cosa c'è di grandioso nel nascere e poi morire, nel transuente, nel divenire, nel dipendere ed esistenti in funzione e relativi a questo e quello, cosa c'è di grandioso?
Io non la colgo tutta sta grandiosità...solo una necessità esistenziale.