Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

Bodhananda

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cielo
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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 22/04/2017, 11:24

cielo ha scritto:
20/04/2017, 13:49
gli ambiti della Tradizione: Grandi misteri (dedicati a kama-moksha: desiderio per la liberazione) e i Piccoli misteri (dharma-artha: raggiungimento del benessere (gli scopi) attraverso il dharma).

Prima si costruisce (nel mondo di Cesare: piccoli misteri), ma poi per accedere ai grandi misteri, occorre costruire armonicamente, trasformando sè stessi attraverso i riti e le precrizioni e poi distruggendo tutte le adesioni a ciò che è stato costruito per scoprire di non essere l'artefice.
Vediamo anche come, in linea generale, i piccoli misteri possiamo considerarli propri alle prime due caste e ai primi due asrama (la vita nel mondo), i grandi alle ultime due caste e ai successivi asrama (la vita oltre il mondo). Il sudra costruisce e il vaisya commercia, essi costruiscono il mondo. Lo ksatriya distrugge-muore. Il brahmano rinasce, ricrea.

E' un paio di giorni che elaboro numerose "vritti" (modificazioni mentali) riguardo a quanto scritto qui sopra che ha suscitato un'interpretazione di collegamento tra il nome portatore dell'istruzione nell'ambito dei Grandi misteri (Bodhananda) e il nome (Premadharma) destinato a veicolare un'istruzione sui Piccoli misteri, alle qualifiche di "casta" delle persone che hanno avuto l'opportunità di incontrare il portatore dei nomi in unico corpo. (VDT)
Questo è accaduto riguardo al fatto che i piccoli e grandi misteri vengono collegati alle caste e agli asrama (stadi della vita), quindi è più che logico che applicando la ragione a quanto scritto si possa dedurre una semplice equazione: Bodhananda per i VIP delle caste "alte" e Premadharma e Teano per gli altri sfigati venuti dopo (dopo di cosa, visto che l'istruzione è immanente in quanto depositata in ogni Cuore vivente, indipendentemente dal nome indossato in quel momento da chi l'ha liberamente donata a tutti gli incontrati, qui o là).

Dice benissimo Cannaminor: "Volendo tagliare molto all'ingrosso diciamo che Bodhananda era un nome prevalentemente advaitin, quantomeno jnana, mentre i successivi ricadevano più nell'ottica e nella veste bhakti-karma-raja yoga. Sono sfumature, note, prassi e modalità, anche perchè ogni cammino ha in sè e veste in sè tutte le componenti tradizionali, sebbene, specie agli inizi alcune o pure una sola solo predominanti rispetto alle altre."
Difatti, dice Raphael (retro copertina del libro Vita di Vivekananda dei Pitagorici): "Il realizzato advaitin non rimane in una condizione passiva e sterile, ma, per puro amore, si dona a coloro che bussano per Essere".
Dunque è il dono di questo puro amore che aiuta a crescere il viandante, fino a portarlo ad uno stato di coscienza in cui si "realizza il dono" e si E' in unione col donatore, sulla cima della vetta a cui ci ha condotto. Ma dipende da noi la salita che è sempre in solitaria, pur se in cordata e con la mappa nello zaino. Lo sguardo verso la cima è fondamentale e pure la fiducia nelle istruzioni a cui dovremmo attenerci durante il percorso in noi stessi e verso noi stessi.

Cercherò quindi di rettificare, con le mie limitate conoscenze-esperienze dell'istruzione ricevuta nella speranza che distrugga in primis la mia erranza che non ha saputo veicolare bene, ma solo copia- incollare un insegnamento ricevuto ed evidentemente non assimilato sufficientemente per poterlo condividere senza suscitare deduzioni indubbiamente logiche su quanto scritto.

Ognuno di noi ha delle predisposizioni naturali, dei talenti e queste predisposizoni - coloriture (varna significa colore) sono le famose caste che in India si sono consolidate in qualcosa di alquanto deteriore.
Queste caste sono: la casta dei così detti prestatori d'opera (i sudra), la casta dei commercianti, la casta dei guerrieri e la casta degli ierofanti, dei sacerdoti, dei bramini.
Trasportandole al giorno d'oggi, la casta dei sudra sono le persone che hanno la predisposizione per la manualità, per l'azione, per la fisicità del lavoro della materia, quindi hanno con la natura un rapporto estremamente fisico, di intensità, di tatto.
La seconda casta, che chiamano dei commercianti, sono le persone che hanno invece una predisposizione per la comunicazione, la socialità, lo scambio, il confronto: un movimento orizzontale verso gli altri come, ad esempio, i comunicatori, i venditori, gli intermediari.
Poi abbiamo la casta dei guerrieri. Qui ci sono coloro che dirigono gli altri, gli amministratori, i governanti. Sono le persone con una forte energia, che contemporaneamente stimolano in una direzione piuttosto che in un'altra, sviluppano nuovi progetti, nuove cose sempre nell'ambito delle interazione e dell'organizzazione di altri esseri umani.
Nella quarta casta ci sono le persone che tendono invece verso l'introversione, verso la contemplazione, verso l'interiorità e quindi sono più ritirate rispetto al rapporto con gli altri. (Sono i monaci, i rinuncianti, i preti, ma anche gli studiosi)
La cosa importante è notare in queste caste il ripetersi degli asrama cioè degli stati della vita: una prima fase in cui abbiamo un rapporto di fisicità col mondo (impariamo a camminare, a danzare, a cantare, a fare a botte e poi conosciamoil mondo sempre meglio andando a scuola e imparando il linguaggio, la storia, la matematica, la geografia e anche altro - valori umani, religione...-).
Poi c'è una seconda fase in cui abbandoniamo la parte fisica e ci spostiamo più verso la parte diciamo emotiva, del sentire (ci sposiamo, mettiamo su famiglia, o partiamo per un viaggio, ci impegnamo in una causa al servizio di un ideale); nella terza casta arriviamo a dirigere gli altri nella causalità delle cose (pericoloso in questa fase credersi gli artefici dei cambiamenti e abusare del "potere") ed infine, nella quarta casta, si comincia il ritiro, il riassorbimento: torniamo nell'interiorità e contempliamo.
Dunque pensarsi - credersi un guerriero o un brahmana solo perchè abbiamo incontrato Bopdhananda dieci anni fa a un seminario sulla Bhagavadgita è da fessi che più fessi non si può.

La domanda che dovremmo farci non è, secondo me, a quale casta appartengo, ma piuttosto "“io (soggetto che vuole praticare un cammino) in che posizione sono, che predisposizioni ho attualmente, in quale ruolo mi ha posto la Vita?”.
E a questa domanda possiamo rispondere soltanto cercando in noi stessi.

Bodhananda ha sempre ribadito che varna e asrama devono essere collegati al dharma, al karma, e alle situazioni familiari.
Se uno ha la predisposizione alla vita contemplativa, ma si trova in una famiglia di otto persone (allargata a nonni e nipotini, ad esempio) che fa? Pianta baracca e burattini e si ritira in Himalaya? Poteva farlo Terzani buon'anima, visto il karma che affrontava.

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NowHere
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Re: Bodhananda

Messaggio da NowHere » 22/04/2017, 15:06

Del resto Nisargadatta Maharaj si è realizzato mandando avanti una famiglia numerosa, gestendo una tabaccheria e fumando come un turco :)

Mauro
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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 22/04/2017, 16:04

Quello che non amo dela tradizione indiana è questa mania di classificare, enumerare, mettere in categorie.
Ridurre i varna in classi di popolazione e gli stadi della vita in momenti prefissati anche cronologicamente, è, a mio avviso, fuorviante.
Ogni persona è un universo che racchiude in se molteplici varna ed ashrama.
Faccio l'esempio mio. Dovrei essere un "sudra", lavorando di manualità, a contatto con la terra e la materia. Sono anche "vasya" perchè faccio un lavoro che consiste nel "vendere" un prodotto/ servizio. Ma sono anche uno rivolto all'interiorità e all'isolamento, all'estrapolazione intellettuale e alle proiezioni oniriche.
In fatto di ashrama credo di viverne almeno tre in contemporanea: bramacharin in quanto celibe, capofamiglia in quanto responsabile diretto della vita di numerosi esseri viventi, e samnyasin o comunque rinunciante per le mie scelte di vita. Come la mettiamo?

Mauro
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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 22/04/2017, 16:14

Non credo Bo si rivolgesse ad un uditorio e Teano e Pd ad un altro in base ai rispettivi varna/ ashrama, ma alle capacità ricettive di ciascuno che corrispondono, per me, ai seguenti elementi: coscienziale diretto, intellettuale, corale.
Nato / iniziato come Bo, successivamente ha dovuto indossare maschere "più accessibili", perchè quella di Bo era troppo "metafisica", "ieratica", direi, quasi rivolta più a se stesso che all'esterno, perchè l'esterno avrebbe avuto difficoltà a "seguirlo".
L'Avadhuta Gita col commento di Bo è un testo ostico, la cui comprensione va oltre la sfera intellettuale, ma non è neanche rivolta ai cuori.
L' insegnamento advaita non si rivolge ai cuori ma direttamente alla Coscienza.
Così la vedo io.
Successivamente (o parallelamente, questo non lo so), Bo ha cominciato ad utilizzare maschere più accessibili, che parlassero all'intelletto (Teano) o al cuore (Pd).
Varna e ashrama, a mio avviso, non c'entrano.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 22/04/2017, 18:58

Mauro ha scritto:
22/04/2017, 16:14
Non credo Bo si rivolgesse ad un uditorio e Teano e Pd ad un altro in base ai rispettivi varna/ ashrama, ma alle capacità ricettive di ciascuno che corrispondono, per me, ai seguenti elementi: coscienziale diretto, intellettuale, corale.
Nato / iniziato come Bo, successivamente ha dovuto indossare maschere "più accessibili", perchè quella di Bo era troppo "metafisica", "ieratica", direi, quasi rivolta più a se stesso che all'esterno, perchè l'esterno avrebbe avuto difficoltà a "seguirlo".
L'Avadhuta Gita col commento di Bo è un testo ostico, la cui comprensione va oltre la sfera intellettuale, ma non è neanche rivolta ai cuori.
L' insegnamento advaita non si rivolge ai cuori ma direttamente alla Coscienza.
Così la vedo io.
Successivamente (o parallelamente, questo non lo so), Bo ha cominciato ad utilizzare maschere più accessibili, che parlassero all'intelletto (Teano) o al cuore (Pd).
Varna e ashrama, a mio avviso, non c'entrano.
Condivido quanto stai dicendo e lo condivido sopratutto su un punto: "L' insegnamento advaita non si rivolge ai cuori ma direttamente alla Coscienza."

Il punto è che qualsiasi insegnamento, di qualsiasi genere e tipo esso sia si rivolge alla coscienza; si rivolge alla coscienza essendo lui stesso coscienza, a chi altri o a cos'altro dovrebbe rivolgersi. Tutte le distinzione di destinazione, ashrama, varna, insegnamenti bhakti, jnana, karma, raja, etc etc, sono tutte distinzioni e distinguo nell'ambito della stessa una coscienza. C'è solo la coscienza che parla e solo la coscienza che comprende, non c'è altro.

Tutti i nomi in uso sono frutto del nostro (essere) molteplice, del nostro distinguere e dividere e separare e definire, ciò che in origine era\è Uno.

Anche il distinguo classico tra cuore e mente, nel dire di uso comune di "un rapporto, di un dialogo tra cuore e cuore..." sono solo distinguo che noi operiamo per nostra libera scelta di moltiplicare l'unità. Il cuore è coscienza, così come la mente, il mentale, il manas è coscienza, così come la volontà di un raja è coscienza, ogni aspetto, ogni nome che noi usiamo per definire e distinguere è coscienza, coscienza in uso, applicata ad un aspetto di nostra scelta.

Quante volte ho sentito parlare e dire e discorrere di istruzione ricevuta, di insegnamento (magari specificando di quello da "cuore a cuore"), di maestri che hanno istruito e detto e spiegato. Quale istruzione, quale maestro, quale insegnamento?

Quante volte vedo ripetere e copia-incollare le parole di colui\colei che noi riteniamo maestro, istruttore, come se quelle parole fossero da imparare, da memorizzare, da ripetere all'occorrenza. Quelle sono parole, sono coscienza verbale, ma se noi non la facciamo nostra e la parola comprendere (cum-prehendere) vuol dire proprio questo, se quella coscienza non diventa nostra, noi, identica ed in identità a noi (da cui la famosa e fin troppo nomata "filosofia realizzativa"), finchè non si "realizzano" (in-nella coscienza, la nostra coscienza) le parole che si stanno pronunciando per copia-incolla, tutto ciò resta solo fare appunto del copia-incolla e basta.

Vogliamo istruire gli altri forse, li vogliamo rendere partecipi (per un nobile principio di amore universale) dei grandi insegnamenti che crediamo di aver appreso dai nostri altrettanto grandi e nobili maestri? E allora testimoniamoci in prima persona, noi, diciamo con nostre parole a testimonianza della nostra coscienza che siamo, ciò che siamo e ciò che pensiamo e ciò che crediamo in riferimento ad un argomento che per un qualche motivo si vuole postare o su cui si vuol riflettere o altro.

Ma facciamolo noi, con la nostra di coscienza, con le nostre di parole, con le nostre di capacità (o incapacità), di limiti e quant'altro, ma noi, rigorosamente noi, e nessun'altro che noi. Almeno se non altro se magari poi qualcuno replica o contesta qualcosa almeno lo sta facendo alla nostra di coscienza a ciò che siamo e non alle parole altrui che noi abbiamo preso (indebitamente e inopportunamente) a prestito.

Noi non siamo i nostri maestri, se lo fossimo ci chiameremmo e firmeremmo come loro, noi siamo noi, ancora per adesso, abbiamo un nome, una firma, un'identità, definita appunto dai nostri stessi limiti e incapacità, dalla nostra stessa parziale coscienza che siamo, ma quello siamo e non possiamo pensare nè ne abbiamo autorità e mandato di parlare per nome e per conto dei nostri maestri che tanto abbiamo amato etc etc.

Nessuno di noi ha avuto un tale mandato, non ci è mai stato detto (come si dice per esempio di gesù ai suoi discepoli) di portare la buona novella a tutto il mondo, nessuno ce l'ha mai chiesto e nessuno ce ne ha mai dato mandato. Siamo noi che pensiamo e crediamo, in buona fede di dover per opera di bene e amore per il prossimo doverne divulgare il messaggio e quant'altro, ma questa è una nostra lettura ed interpretazione, non la realtà dei fatti. Si pensa e crede di essere in debito, in dovere di dover rendere partecipi i nostri fratelli e sorelle dei grandi insegnamenti ricevuti?
E allora si ha solo da renderli partecipi di ciò che siamo, come siamo e come agiamo, con le parole che abbiamo, le nostre, i nostri pensieri ed il nostro di cuore, se mai ne abbiamo uno, perchè tutto il resto sono chiacchere che non ci appartengono e di cui nessuno ci ha nominati custodi o altro.

Se ho da dire qualcosa, se ho da testimoniare qualcosa, la dico e la scrivo come sto facendo ora, non mi vado a parare dietro alle parole di qualcun'altro per poi addiritttura doverle dopo andare a spiegare chiarire in nome suo e pensiero suo e istruzione sua, di cosa volesse dire fare e pensare. Ma non è più semplice dire fare e pensare ciò che siamo diciamo e pensiamo e risponderne di conseguenza?

Sì ho conosciuto Bodhananda, visto che questo è il tema e tread, ma non mi sognerei mai di andare in giro a dire e riportare le sue parole con magari addirittura spiegazione e chiarimento al seguito quando richiesto. Quello che ha detto, ma sopratutto quello che ho compreso delle sue parole, del suo insegnamento, della sua testimonianza di vita, ora è me e lo posso dire, se lo voglio e trovo utile dirlo con mie parole, di cui posso altrettanto in identità risponderne visto che le penso, le credo, le sono in prima persona. Non ho bisogno di passare per terzi, per autorevoli che siano per dirle ed offrirle ai miei fratelli se lo ritengo per qualche ragione (di solito se richiesta) di dire. Non ne ho bisogno nè lo voglio, perchè non avrebbe alcun senso per me, sarebbe solo un modo per ancora tenerle fuori e altro da me a dimostrazione che ancora non le ho comprese e vissute in identità.

Se quelle parole sono me ho solo da dimostrarlo essendole e vivendole e testimoniandole, in prima persona, io non conosco altre vie da questa.
Testimonio il "conosci te stesso" ovvero "me", la coscienza che sono e che ho avuto modo di comprendere di essere, non le parole altrui, il pensiero altrui, l'istruzione altrui, per autorevole, vera e illuminante che possa essere.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 22/04/2017, 20:27

cannaminor ha scritto:
22/04/2017, 18:58
Mauro ha scritto:
22/04/2017, 16:14
Non credo Bo si rivolgesse ad un uditorio e Teano e Pd ad un altro in base ai rispettivi varna/ ashrama, ma alle capacità ricettive di ciascuno che corrispondono, per me, ai seguenti elementi: coscienziale diretto, intellettuale, corale.
Nato / iniziato come Bo, successivamente ha dovuto indossare maschere "più accessibili", perchè quella di Bo era troppo "metafisica", "ieratica", direi, quasi rivolta più a se stesso che all'esterno, perchè l'esterno avrebbe avuto difficoltà a "seguirlo".
L'Avadhuta Gita col commento di Bo è un testo ostico, la cui comprensione va oltre la sfera intellettuale, ma non è neanche rivolta ai cuori.
L' insegnamento advaita non si rivolge ai cuori ma direttamente alla Coscienza.
Così la vedo io.
Successivamente (o parallelamente, questo non lo so), Bo ha cominciato ad utilizzare maschere più accessibili, che parlassero all'intelletto (Teano) o al cuore (Pd).
Varna e ashrama, a mio avviso, non c'entrano.
Condivido quanto stai dicendo e lo condivido sopratutto su un punto: "L' insegnamento advaita non si rivolge ai cuori ma direttamente alla Coscienza."

Il punto è che qualsiasi insegnamento, di qualsiasi genere e tipo esso sia si rivolge alla coscienza; si rivolge alla coscienza essendo lui stesso coscienza, a chi altri o a cos'altro dovrebbe rivolgersi. Tutte le distinzione di destinazione, ashrama, varna, insegnamenti bhakti, jnana, karma, raja, etc etc, sono tutte distinzioni e distinguo nell'ambito della stessa una coscienza. C'è solo la coscienza che parla e solo la coscienza che comprende, non c'è altro.

Tutti i nomi in uso sono frutto del nostro (essere) molteplice, del nostro distinguere e dividere e separare e definire, ciò che in origine era\è Uno.

Anche il distinguo classico tra cuore e mente, nel dire di uso comune di "un rapporto, di un dialogo tra cuore e cuore..." sono solo distinguo che noi operiamo per nostra libera scelta di moltiplicare l'unità. Il cuore è coscienza, così come la mente, il mentale, il manas è coscienza, così come la volontà di un raja è coscienza, ogni aspetto, ogni nome che noi usiamo per definire e distinguere è coscienza, coscienza in uso, applicata ad un aspetto di nostra scelta.

Quante volte ho sentito parlare e dire e discorrere di istruzione ricevuta, di insegnamento (magari specificando di quello da "cuore a cuore"), di maestri che hanno istruito e detto e spiegato. Quale istruzione, quale maestro, quale insegnamento?

Quante volte vedo ripetere e copia-incollare le parole di colui\colei che noi riteniamo maestro, istruttore, come se quelle parole fossero da imparare, da memorizzare, da ripetere all'occorrenza. Quelle sono parole, sono coscienza verbale, ma se noi non la facciamo nostra e la parola comprendere (cum-prehendere) vuol dire proprio questo, se quella coscienza non diventa nostra, noi, identica ed in identità a noi (da cui la famosa e fin troppo nomata "filosofia realizzativa"), finchè non si "realizzano" (in-nella coscienza, la nostra coscienza) le parole che si stanno pronunciando per copia-incolla, tutto ciò resta solo fare appunto del copia-incolla e basta.

Vogliamo istruire gli altri forse, li vogliamo rendere partecipi (per un nobile principio di amore universale) dei grandi insegnamenti che crediamo di aver appreso dai nostri altrettanto grandi e nobili maestri? E allora testimoniamoci in prima persona, noi, diciamo con nostre parole a testimonianza della nostra coscienza che siamo, ciò che siamo e ciò che pensiamo e ciò che crediamo in riferimento ad un argomento che per un qualche motivo si vuole postare o su cui si vuol riflettere o altro.

Ma facciamolo noi, con la nostra di coscienza, con le nostre di parole, con le nostre di capacità (o incapacità), di limiti e quant'altro, ma noi, rigorosamente noi, e nessun'altro che noi. Almeno se non altro se magari poi qualcuno replica o contesta qualcosa almeno lo sta facendo alla nostra di coscienza a ciò che siamo e non alle parole altrui che noi abbiamo preso (indebitamente e inopportunamente) a prestito.

Noi non siamo i nostri maestri, se lo fossimo ci chiameremmo e firmeremmo come loro, noi siamo noi, ancora per adesso, abbiamo un nome, una firma, un'identità, definita appunto dai nostri stessi limiti e incapacità, dalla nostra stessa parziale coscienza che siamo, ma quello siamo e non possiamo pensare nè ne abbiamo autorità e mandato di parlare per nome e per conto dei nostri maestri che tanto abbiamo amato etc etc.

Nessuno di noi ha avuto un tale mandato, non ci è mai stato detto (come si dice per esempio di gesù ai suoi discepoli) di portare la buona novella a tutto il mondo, nessuno ce l'ha mai chiesto e nessuno ce ne ha mai dato mandato. Siamo noi che pensiamo e crediamo, in buona fede di dover per opera di bene e amore per il prossimo doverne divulgare il messaggio e quant'altro, ma questa è una nostra lettura ed interpretazione, non la realtà dei fatti. Si pensa e crede di essere in debito, in dovere di dover rendere partecipi i nostri fratelli e sorelle dei grandi insegnamenti ricevuti?
E allora si ha solo da renderli partecipi di ciò che siamo, come siamo e come agiamo, con le parole che abbiamo, le nostre, i nostri pensieri ed il nostro di cuore, se mai ne abbiamo uno, perchè tutto il resto sono chiacchere che non ci appartengono e di cui nessuno ci ha nominati custodi o altro.

Se ho da dire qualcosa, se ho da testimoniare qualcosa, la dico e la scrivo come sto facendo ora, non mi vado a parare dietro alle parole di qualcun'altro per poi addiritttura doverle dopo andare a spiegare chiarire in nome suo e pensiero suo e istruzione sua, di cosa volesse dire fare e pensare. Ma non è più semplice dire fare e pensare ciò che siamo diciamo e pensiamo e risponderne di conseguenza?

Sì ho conosciuto Bodhananda, visto che questo è il tema e tread, ma non mi sognerei mai di andare in giro a dire e riportare le sue parole con magari addirittura spiegazione e chiarimento al seguito quando richiesto. Quello che ha detto, ma sopratutto quello che ho compreso delle sue parole, del suo insegnamento, della sua testimonianza di vita, ora è me e lo posso dire, se lo voglio e trovo utile dirlo con mie parole, di cui posso altrettanto in identità risponderne visto che le penso, le credo, le sono in prima persona. Non ho bisogno di passare per terzi, per autorevoli che siano per dirle ed offrirle ai miei fratelli se lo ritengo per qualche ragione (di solito se richiesta) di dire. Non ne ho bisogno nè lo voglio, perchè non avrebbe alcun senso per me, sarebbe solo un modo per ancora tenerle fuori e altro da me a dimostrazione che ancora non le ho comprese e vissute in identità.

Se quelle parole sono me ho solo da dimostrarlo essendole e vivendole e testimoniandole, in prima persona, io non conosco altre vie da questa.
Testimonio il "conosci te stesso" ovvero "me", la coscienza che sono e che ho avuto modo di comprendere di essere, non le parole altrui, il pensiero altrui, l'istruzione altrui, per autorevole, vera e illuminante che possa essere.
vero verissimo. Stavo pensando, come sudra che manipola la materia delle parole altrui, la loro fisicità e attualità, che mi piace farlo e cerco di farlo con rispetto e cura. Un'azione che fa parte di me, del mio "filare" la trama di un mondo che scopro sempre nuovo. Un insegnamento senza tempo, scopo, forma, ma armonioso, come musica che si ascolta sempre volentieri. Prendo le parole, le leggo, le correggo, le incollo, ci metto pure delle immagini a volte. Lo faccio volentieri, nel tempo libero da altri impegni. Ora non so se per poter prestare in santa pace la mia umile opera dovrò rivolgermi al sindacato dei copia - incollatori, a sentire cosa mi dicono, se aprono una vertenza.
Vedremo. Oppure mi taccio, se prossima alla pensione. Pure quella sociale, va bene di questi tempi.
Riguardo alla sovrapposizione di caste (colori) e asrama, concordo con Mauro, mi sento un arcobaleno, ma la pentola dell'oro ancora la devo trovare.
Mi incammino nel bosco, nel frattempo.
Shanti

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 23/04/2017, 7:48

Se posso "spezzare una lancia" a favore dell'opera portata avanti da cielo, è che i suoi riporti sono sempre dialoghi e scambi tra Bo/ Pd e i suoi interlocutori. Domande e risposte.
Non sono citazioni vuote o unilaterali. Il pensiero di Bo/ Pd viene attualizzato e concretizzato proprio dalla presenza di colui che ha posto le domande in quel dialogo puntuale.
C'è parola viva in quello che cielo riporta.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 23/04/2017, 8:27

Mauro ha scritto:
23/04/2017, 7:48
Se posso "spezzare una lancia" a favore dell'opera portata avanti da cielo, è che i suoi riporti sono sempre dialoghi e scambi tra Bo/ Pd e i suoi interlocutori. Domande e risposte.
Non sono citazioni vuote o unilaterali. Il pensiero di Bo/ Pd viene attualizzato e concretizzato proprio dalla presenza di colui che ha posto le domande, al pari del pensiero Bo/ Pd che esce da quel dialogo puntuale.
C'è parola viva in quello che cielo riporta.
Le riflessioni riportate erano tali, riflessioni, considerazioni, osservazioni che ponevo sul piatto, non critiche e men che meno rivolte nello specifico a Cielo. Cielo è libera di postare e portare avanti qualsiasi azione lei ritenga utile e opportuna, non era questo in discussione, riflettevo soltanto, e sopratutto per quanto mi riguarda, quale era e da quali motivazioni e istanze nasceva il mio rapporto con il copia-incolla.

Anche io ne ho fatto ampio uso, se vedi nel vecchio forum, ho postato molti brani di Raphael per esempio, così come di Ramana anche, ma le mie osservazioni a riguardo del postare brani altrui, erano piuttosto rivolte all'uso che se ne faceva. Mi spiego. Nella mia pratica l'uso di postare brani altrui non ha mai sostituito o voluto sostituire il mio di dire e la mia di testimonianza in prima persona.

Se voglio dire qualcosa, se voglio testimonaire qualcosa, lo dico e lo esprimo e lo testimonio in prima persona, punto.

Non vado a cercare brani altrui per fargli dire al posto mio con parole altrui quello che io avrei voluto dire, esprimere, testimoniare.

Tutto qui. Il brano altrui, le parole altrui vanno anche bene, nessuno dice il contrario, ma non in sostituzione delle nostre, del nostro cuore e testimonianza di noi. È solo questo il punto. Si vuole copia-incollare un bel brano di Bodhananda, benissimo, lo si fa come lo si è fatto sino ad oggi, niente da dire. Ma non che questo copia-incollare diventi sostitutivo della nostra di testimonaianza, perchè non lo è. Ci si testimonia con le proprie di parole ed il proprio di cuore non con quelle altrui ed il cuore altrui. È tutto qui il discorso.

Sul fatto dei dialoghi interlocutori, del genere domanda-risposta, sì è vero sono e sembrano più vivi e attuali di un sermone dal pulpito rivolto a tutti, ma è anche vero che di solito un dialogo domanda-risposta risponde ad un intelocutore specifico, e quindi perde di universalità il discorso. Mi spiego meglio, un conto è quando un maestro parla a tutti (urbi et orbi) allora è un quid universale valido e buono per tutti, altro discorso quando risponde nello specifio ad un intelocutore ed alle sue specifiche domande. In quel caso le risposte sono mirate a quella domanda e sopratutto a quell'interlocutore e non sempre la risposta valida per quell'interlocutore è e sarebbe la stessa per altri.

Se la risposta è mirata, potrebbe anche variare ed essere diversa se posta da altro interlocutore, anche se è la medesima ed identica domanda.

Questo per dire che a differenza dei dialoghi rivolti a tutti quindi a carattere "universale", quelli a genere domanda-risposta spesso sono relativi all'interlocutore che ha posto la domanda, e quindi non sempre godono della stessa universalità di quelli rivolti a tutti. Ciò non toglie che posti i relativi distinguo restano comunque certamente interessanti da leggere.

Mauro
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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 23/04/2017, 8:59

Interessante quello che dici, cannaminor, e sai che lo condivido, avendo io offerto -più spesso "sciorinato" - me stesso al pubblico ludibrio... :)
Ma quello che mi colpisce (e che conferma quanto vado dicendo su questo thread sin dall' inizio, cioè l'insostituibilità del rapporto diretto nella veste fisica con la persona), è che sostanzialmente i fora non hanno utilità, perchè se un dato insegnamento è valido per una ed una sola persona in un dato contesto spazio temporale, che senso ha aprire un forum di confronto nei quali tali dialoghi vengono pubblicati (e non parlo solo dei dialoghi di Bo/ Pd con tizio e caio, ma anche dei numerosi dialoghi con Sai Baba, con Raphael, con Ramana, etc etc) ?
Se ogni contesto è valido (come riconosco che sia) per quell'interlocutore e solo per quello, perchè pubblicarne addirittura testi che lo rendono pubblico ed accessibile a tutti?

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 23/04/2017, 17:22

Mauro ha scritto:
23/04/2017, 8:59
Interessante quello che dici, cannaminor, e sai che lo condivido, avendo io offerto -più spesso "sciorinato" - me stesso al pubblico ludibrio... :)
Ma quello che mi colpisce (e che conferma quanto vado dicendo su questo thread sin dall' inizio, cioè l'insostituibilità del rapporto diretto nella veste fisica con la persona), è che sostanzialmente i fora non hanno utilità, perchè se un dato insegnamento è valido per una ed una sola persona in un dato contesto spazio temporale, che senso ha aprire un forum di confronto nei quali tali dialoghi vengono pubblicati (e non parlo solo dei dialoghi di Bo/ Pd con tizio e caio, ma anche dei numerosi dialoghi con Sai Baba, con Raphael, con Ramana, etc etc) ?
Se ogni contesto è valido (come riconosco che sia) per quell'interlocutore e solo per quello, perchè pubblicarne addirittura testi che lo rendono pubblico ed accessibile a tutti?
Sull'utilità dei forum, e nello specifico di questo e del precedente forum se ne è parlato a lungo specie prima di aprire questo.

Nell'idea dell'owner questo forum nasceva con una sorta di auspicata e sperata autogovernabilità, di autogestione da parte di coloro che ne avrebbero partecipato, responsabilmente si sperava. Nel senso che proprio all'atto della sua costituzione si era rinunciato alla moderazione di più parti in causa, come di solito avviene nei forum e come avveniva nel precedente, gestito, amministrato e moderato a più voci da uno staff di moderatori. Su questo forum si era puntato su una sorta di auspicata maturità degli iscritti e relativa autogestibilità e moderazione sempre degli stessi. Utopica come idea? Non lo so vedremo cosa ne dirà il tempo.

Per quanto riguarda invece il discorso del "rapporto diretto in veste fisica" col maestro o chi per lui, io non saprei bene risponderti in merito, nel senso che non ho ancora idee ben chiare a riguardo sul rapporto\rapporti che si instaurano tra aspiranti e tra questi e maestri o comunque con fratelli maggiori.

Se è vero che comunque qualsiasi sia il rapporto e la relazione che si instaura tra chi e chi, si svolga e abbia luogo nell'ambito e nel contesto della coscienza, quindi che tutta la partita si giochi nel campo della Una Coscienza tra le varie parziali, singole e individuali coscienze, allora chi siano poi queste e come volerle chiamare diventa meramente onomatopeico. Un rapporto tra aspiranti, un rapporto tra aspiranti "minori" e altri "maggiori", un rapporto tra aspirante e maestro, sono tutti generi di rapporti coscienziali, che si giocano nella\sulla coscienza.

Parli di rapporto diretto, ma in un certo senso sono tutti diretti, nel momento che due coscienze vengono in qualche modo in contatto l'un l'altra.

Io non credo che un rapporto de visu, di due persone che siedono l'una di fronte all'altra e si parlano come si usa dire "guardandosi negli occhi" sia necessariamente e obbligatoriamente più diretta di altre solitamente definite virtuali, tipo scriversi, o comunicando con modalità mediatiche.

Alle volte si è più alieni, pur stando a contatto di gomito con qualcuno, ed invece molto più prossimi e vicini nell'anima e nel cuore pur stando fisicamente ai due capi del mondo e comunicando con una chat, o delle e-mail. Certo una prossimità fisica favorisce, ma non è sinonimo e garanzia di un rapporto diretto per forza della sola prossimità.

Questo forum nello specifico nasceva con l'intento, almeno credo per come l'ho inteso e compreso io, di dare una opportunità a ricercatori-aspiranti vari di poter entrare in contatto (sia pur virtuale) tra di loro, così da poter "dialogare", intendendo il termine dialogo nella sua vera e originaria accezione, ossia di scambio e condivisione reciproca, da cuore a cuore. Scambio di sè, scambio di testimonianza di sè, che è l'unica cosa, per come la vedo io, che un aspirante abbia e possa offrire, ossia se stesso, la sua stessa e medesima testimonianza-esseità di sè.

E quando dico sè dico proprio Sè, quello con la maiuscola, per quanto uno possa esprimerlo e dargli voce. Che poi quel sè cui si dà voce sia o non sia perfettamente coincidente col Sè, altra storia e altro paio di maniche, diciamo che ognuno cerca e si sforza di offrire la maggior trasparenza che gli riesce in merito, il resto lo si lascia al divino e al sia fatta la Sua volontà secondo una certa (fra le altre) visione delle cose.

Di certo non si voleva proporre alcun "maestro" su questo forum, alcun maestro vivente e rispondente a battuta su domanda e risposta, semmai come nell'altro forum ci si era avvalsi di riferimenti scritti in forma di articoli e brani, da riportare come spunto di riflessione su vari temi di interesse. Ma a differenza dell'altro forum dove Premadharma rispondeva e interveniva spesso e volentieri a domande e argomenti del momento, qui tutto questo non accadeva più e non aveva più luogo. Qui c'eravamo solo noi a parlarne, confrontarci e condividerne riflessioni, domande e risposte tra di noi.

Qui nessuno è maestro, ed a nessuno è stato chiesto di esserlo e vestirne tale ruolo e mandato; qui ognuno è solo e semplicemente se stesso e vale la firma che ha voluto usare per farsi riconoscere tra le altre, niente di più niente di meno. Non ci sono maestri e possibilmente, come si diceva pochi post prima, e comunque questa è una mia idea e punto di vista, sarebbe preferibile che ciascuno parlasse per bocca sua e parole sue, piuttosto che avvalersi di quelle di maestri, sia pur autorevoli e universalmente riconosciuti, ma che non sono a tutta evidenza a cominciare dal nome e dalla firma dichiarata, loro.

Ma ripeto, questo, come tutto il resto detto è sempre e comunque mio pensiero e mia affermazione, e come si era detto dal bell'inzio negli intenti e premesse di questo forum, qui ognuno parla sempre e solo per se stesso e nessun altro, e quindi ovviamente questo vale a cominciare da me per primo che sto ora parlando. Lo ripeto, qui ognuno parla per la firma che pone all'inizio del post, la sua, quella con cui si è iscritto, punto. Nel mio caso "cannaminor", ovvero un perfetto sconosciuto.

cielo
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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 23/04/2017, 21:21

Riguardo a quanto in discussione, si può rilevare che in una certa ottica il Maestro non esiste, è l'allievo che crea il Maestro, ed è sempre l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità.
Vediamo come ad esempio Dattatreya trasformi in Maestri determinati animali o persone in specifici ruoli (il raccoglitore di miele, il fabbricante di frecce, la prostituta).
Siamo noi che mettendoci in una determinata posizione coscienziale di apertura permettiamo il travaso, così divengono nostri riferimenti, ma loro per loro stessi non sono certo limitati dall'essere degli istruttori per noi.

Nel brano che segue viene marcato un aspetto al mio sentire molto importante sull'essenza dell'insegnamento.
Teano » 15/05/2012, 11:01

Una determinata istruzione è tale quando detta dal Maestro all'allievo.

La stessa istruzione ripetuta dall'allievo - che non l'ha realizzata - a terzi, non è una istruzione è una inferenza, a meno che non la riporti come citazione.

La stessa istruzione ripetuta dall'allievo che l'ha realizzata è una testimonianza.

La stessa istruzione ripetuta dall'allievo che si è realizzato è una istruzione.

Certe volte leggo di stupendi panegirici che parlano del Sé, la cui essenza se esposti da un Maestro sarebbe splendida, esposti invece da un erudito non risplende perché la mancanza di consapevolezza mostra inferenze stridenti.

E' tanto bello riportare o dare ricette varie su diverse pietanze. Basta avere letto i libri di cucina. Ma questo non ci rende cuochi o maestri in tali pietanze.

Dopo averle cucinate potremo parlarne a proposito. Non saremo cuochi, ma almeno le avremo cucinate.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 24/04/2017, 11:21

cielo ha scritto:
23/04/2017, 21:21
Riguardo a quanto in discussione, si può rilevare che in una certa ottica il Maestro non esiste, è l'allievo che crea il Maestro,
Quando l'allievo è pronto compare il maestro; è l'esser pronti dell'allievo che determina il "comparire" del maestro, è l'allievo che crea di fatto il maestro. In un certo senso il maestro è sempre presente, è sempre stato lì, siamo noi a dargli vita con la nostra attenzione, apertura e forse "maturità".
cielo ha scritto: ed è sempre l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità.
Qui non so se ho compreso cosa si sta dicendo e se lo condivido; cosa vuol dire rendere vivo l'insegnamento praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità?

rendere vivo l'insegnamento? l'insegnamento è già vivo di suo, non abbisogna secondo me di alcun renderlo vivo, e se di renderlo vivo si vuol parlare, per me renderlo vivo vuol dire realizzarlo, comprenderlo, esserlo. Il che non è una pratica, non è un come andare a scuola di tennis e imparare a giocare a tennis, oppure ad un corso universitario ed imparare ciò che quel corso insegna quanto a pratica ed esercizio dello stesso, non si insegna, non si impara, lo si è, lo si comprende (là dove il comprendere non è esercizio di istruzione e insegnamento), lo si realizza.
Realizzare non è imparare, non è istruzione, non è insegnamento appreso, e ben altro e oltre i varnasrama, le predisposizioni e le possibilità.
Realizzare è Essere, non c'è altro modo di dirlo. E l'Essere non dipende da nulla se non da se stesso.
cielo ha scritto: Vediamo come ad esempio Dattatreya trasformi in Maestri determinati animali o persone in specifici ruoli (il raccoglitore di miele, il fabbricante di frecce, la prostituta).
Siamo noi che mettendoci in una determinata posizione coscienziale di apertura permettiamo il travaso, così divengono nostri riferimenti, ma loro per loro stessi non sono certo limitati dall'essere degli istruttori per noi.
Anche sul travaso avrei qualche obiezione; travaso implica un qualcosa che passa da a, il che mi suona male, mi stona, che ti devo dire.
Io non vedo nella realizzazione e nell'apertura (da cui il comprendere), alcun travaso di alcunchè.
Cosa ci sarebbe che travasa e da chi a chi? Dal maestro all'aspirante discepolo-allievo? Stiamo parlando dell'influsso spirituale, della grazia, di cosa stiamo parlando che travasi da un soggeto ad un altro? La prima cosa che mi viene da dire e pensare è che se qualcosa travasa per un verso, allora altrettanto potrebbe farlo per l'inverso e tornare indietro annullando ogni travaso precedente. Il che renderebbe tutta l'opera del "travaso" alquanto nel divenire e transuente, per non dire alquanto impermanente, visto che dipende da versi, direzioni e aperture varie.

A mio vedere non c'è alcun travaso, solo un specchiarsi (permesso, dovuto e proporzionale all'apertura in atto di cui l'aspirante è stato capace di attuare) e nient'altro; specchiarsi nel "maestro", nell'altro da noi, da noi creato per nostro stesso diretto limite del momento, e di cui ci avvaliamo, come di uno specchio per vederci e conoscerci e comprenderci, noi. Il maestro è noi, è la nostra immagine riflessa, ma per nostro limite mentale lo vediamo ancora come altro da noi, da conoscere, da comprendere, da amare, etc. Quando tutto ciò sarà (realizzato) noi saremo il maestro, lo stesso identico nell'immagine allo specchio.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 24/04/2017, 17:57

cannaminor ha scritto:
24/04/2017, 11:21
cielo ha scritto:
23/04/2017, 21:21
Riguardo a quanto in discussione, si può rilevare che in una certa ottica il Maestro non esiste, è l'allievo che crea il Maestro,
Quando l'allievo è pronto compare il maestro; è l'esser pronti dell'allievo che determina il "comparire" del maestro, è l'allievo che crea di fatto il maestro. In un certo senso il maestro è sempre presente, è sempre stato lì, siamo noi a dargli vita con la nostra attenzione, apertura e forse "maturità".
cielo ha scritto: ed è sempre l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità.
Qui non so se ho compreso cosa si sta dicendo e se lo condivido; cosa vuol dire rendere vivo l'insegnamento praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità?

rendere vivo l'insegnamento? l'insegnamento è già vivo di suo, non abbisogna secondo me di alcun renderlo vivo, e se di renderlo vivo si vuol parlare, per me renderlo vivo vuol dire realizzarlo, comprenderlo, esserlo. Il che non è una pratica, non è un come andare a scuola di tennis e imparare a giocare a tennis, oppure ad un corso universitario ed imparare ciò che quel corso insegna quanto a pratica ed esercizio dello stesso, non si insegna, non si impara, lo si è, lo si comprende (là dove il comprendere non è esercizio di istruzione e insegnamento), lo si realizza.
Realizzare non è imparare, non è istruzione, non è insegnamento appreso, e ben altro e oltre i varnasrama, le predisposizioni e le possibilità.
Realizzare è Essere, non c'è altro modo di dirlo. E l'Essere non dipende da nulla se non da se stesso.
cielo ha scritto: Vediamo come ad esempio Dattatreya trasformi in Maestri determinati animali o persone in specifici ruoli (il raccoglitore di miele, il fabbricante di frecce, la prostituta).
Siamo noi che mettendoci in una determinata posizione coscienziale di apertura permettiamo il travaso, così divengono nostri riferimenti, ma loro per loro stessi non sono certo limitati dall'essere degli istruttori per noi.
Anche sul travaso avrei qualche obiezione; travaso implica un qualcosa che passa da a, il che mi suona male, mi stona, che ti devo dire.
Io non vedo nella realizzazione e nell'apertura (da cui il comprendere), alcun travaso di alcunchè.
Cosa ci sarebbe che travasa e da chi a chi? Dal maestro all'aspirante discepolo-allievo? Stiamo parlando dell'influsso spirituale, della grazia, di cosa stiamo parlando che travasi da un soggeto ad un altro? La prima cosa che mi viene da dire e pensare è che se qualcosa travasa per un verso, allora altrettanto potrebbe farlo per l'inverso e tornare indietro annullando ogni travaso precedente. Il che renderebbe tutta l'opera del "travaso" alquanto nel divenire e transuente, per non dire alquanto impermanente, visto che dipende da versi, direzioni e aperture varie.

A mio vedere non c'è alcun travaso, solo un specchiarsi (permesso, dovuto e proporzionale all'apertura in atto di cui l'aspirante è stato capace di attuare) e nient'altro; specchiarsi nel "maestro", nell'altro da noi, da noi creato per nostro stesso diretto limite del momento, e di cui ci avvaliamo, come di uno specchio per vederci e conoscerci e comprenderci, noi. Il maestro è noi, è la nostra immagine riflessa, ma per nostro limite mentale lo vediamo ancora come altro da noi, da conoscere, da comprendere, da amare, etc. Quando tutto ciò sarà (realizzato) noi saremo il maestro, lo stesso identico nell'immagine allo specchio.

Dove dico che è l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità, intendo dire che non è sufficiente ascoltare "saggezze" del tipo che non c'è niente che dobbiamo fare, che è sufficiente rimanere passivi, calmi, in uno stato di pura attenzione e consapevolezza del Sè, sperimentare la semplicità di rimanere testimoni del nostro presente, senza innescare paure, desideri, aspettative. Se ne fossimo in grado lo sapremmo, ma poichè non ne siamo in grado dobbiamo fare i conti con l'identificazione nella "persona" che continua a fare la sua parte nel mondo. Se siamo "inguaiati" in una vita dura e di responsabilità e non riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso, allora vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali, pratiche che possiamo scegliere secondo possibilità e inclinazioni. E una volta scelte portarle avanti con serietà e determnazione, per quanto ci è possibile.

Sul travaso mi riferivo all'istruzione. Arriva se c'è apertura, fiducia, sincera voglia di imparare e di ascoltare, senza far partire inferenze a raffica oscurando la purezza dell'insegnamento modificandolo per adattarlo alla nostra visione. Lo specchiarsi è concetto più elevato che, secondo me, presuppone che alcuni limiti (posti dalle credenze che ci accecano) siano stati almeno riconosciuti come tali.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 24/04/2017, 22:12

cielo ha scritto:
24/04/2017, 17:57
Dove dico che è l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità, intendo dire che non è sufficiente ascoltare "saggezze" del tipo che non c'è niente che dobbiamo fare, che è sufficiente rimanere passivi, calmi, in uno stato di pura attenzione e consapevolezza del Sè, sperimentare la semplicità di rimanere testimoni del nostro presente, senza innescare paure, desideri, aspettative. Se ne fossimo in grado lo sapremmo, ma poichè non ne siamo in grado dobbiamo fare i conti con l'identificazione nella "persona" che continua a fare la sua parte nel mondo. Se siamo "inguaiati" in una vita dura e di responsabilità e non riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso, allora vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali, pratiche che possiamo scegliere secondo possibilità e inclinazioni. E una volta scelte portarle avanti con serietà e determnazione, per quanto ci è possibile.
Non riesco a seguire un tale ragionamento. Vi sono affermazioni che non colgo, non comprendo, non vedo.
Partiamo dalla prima affermazione, quella di auspicio, quella che non (sempre) "riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso". Domanda: e chi l'avrebbe detto che dobbiamo riuscire in ciò? e comunque quale sarebbe il risultato di tale pratica; la consapevolezza?

Segue la constatazione che poichè non riusciamo in tale pratica metafisica di distacco, vigilanza e testimonianza allora "vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali". E quali sarebbero queste pratiche che vengono in aiuto ed in cosa e a cosa dovrebbero servire tali pratiche?
Tanto per essere chiari sono mai servite a qualcuno tali pratiche? C'è forse qualcuno che realizzato Brahman praticando tali pratiche?

Sono piene le biblioteche di testi relativi a tali pratiche, ma io vorrei sapere c'è forse qualcuno che ha colto l'illuminazione, la realizzazione, la liberazione con tali pratiche. C'è forse qualcuno che è arrivato ad Essere senza conoscersi, comprendersi, realizzarsi? E come pensi ci sia arrivato, stando seduto su uno stuoino e meditando contro un muro bianco? Oppure inchinandosi e prostrandosi al divino innanzi a sè in tutte le sue forme?
O forse agendo rinunciando al frutto dell'azione? Pensi davvero che basti? Pensi davvero che queste pratiche conducano da qualche parte a parte il divenire stesso, il mondo spazio-temporale?

Ma andiamo più nello specifico e nel concreto, a te, visto che ne menzioni e ne parli, dove ti hanno condotto tali pratiche di cui parli? ne puoi dare testimonianza? Perchè è bello dirlo, ma se poi ne segue anche esperienza e descrizione della stessa in prima persona allora ne ha anche maggior valore il proprio dire. Quali pratiche delle diverse vie spirituali hai tu percorso e dove ti hanno condotto portato. Ne puoi dare descrizione ed esempio così uno capisce di che si parla, sia nella pratica che nel risultato.

Si fanno tanti bei discorsi e si spendono belle parole, proprie e altrui, ma quanto sarebbe bello che queste parole spese, questi consigli dati, fraternamente, con amore e altruismo fossero anche supportati da una testimonianza di persona di chi li offre e da.

Io come ben sai da tante discussioni fatte nel passato non ho mai praticato alcuna pratica spirituale di quelle solite e conclamate come dici te nei diversi cammini spirituali, ne ho praticata-percorsa messa in atto una sola, il "conosci te stesso", l'"atmavichara", solo questo, solo ed unicamente questa pratica, questa attenzione, questo volgimento della mente, il più a lungo e constantemente che mi riusciva nelle 24 ore. Avevo (e ho) una sola regola, essere sempre presente a me stesso, tenere sempre e constantemente la mente rivolta a me stesso, a "me", a "io sono", sempre, il più a lungo possibile, il più costantemente possibile, fermamente, questo è quanto. Non ho praticato e seguito nient'altro che questo, e questo mi ha dato da un lato un distacco dalla mente, dal personaggio, dalla maschera o maschere quotidianamente vestite e indossate, quindi dall'identificazione che solitamente se ne vive, dall'altra, la consapevolezza che quel "io sono" cui costantemente miravo e puntavo, non era solo un punto, un apice come avevo creduto inizialmente, "la radice di tutti i pensieri" come diceva Ramana, ma era invece universale, l'intero, la coscienza tutta, nel suo insieme unitario.

Ma tutto ciò non ha richiesto asana, meditazioni, stuoini, discriminazioni, pensieri, ragionamenti, filosofia, istruzione, insegnamenti, e quant'altro, no niente di tutto ciò; tutto ciò ha solo richiesto una unica costante fissa e mirata attenzione rivolta a me stesso, all'"io sono", nient'altro. A ragione Aristotele diceva che conoscere è essere, ed era ed è tutt'ora vero. Conoscere è essere, sono sinonimi; conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, ed essere se stessi ha un solo senso e significato, essere in identità, ovvero realizzare se stessi, portare in attualità, in verità "se stessi".

Certi termini si rincorrono l'un l'altro, questo perchè sono descrizione, significato e facce del medesimo quid, del medesimo "soggetto", il Sè.

Tutto sto lungo discorso per dire che, a mio vedere e per mia esperienza, vissuto e testimonianza, c'è una sola via possibile e percorribile, ed è quella del "conosci te stesso", non ce ne sono altre e non ci sono altre vie alternative a questa; per questa devi sempre e comunque passare, alla fine, quindi se anche l'inizio si trova a passare per cammini spitituali alterni come percorso, alla fine sempre comunque lì vanno a confluire, nell'unica (a mio vedere) via possibile e ultimativa, quella dell'atmavichara, del conosci te stesso.

Per se stessi si deve passare, perchè ci siamo solo noi, ognuno di noi, di "io sono" è universo, e per tale si deve conoscere, essere e realizzarsi.

Capisco e comprendo benissimo che alla mente piace da matti baloccarsi con filosofie e cammini spirituali dei più vari e diversi, dove l'altro da noi, qualunque altro, qualunque alterità è messa sull'altare e percorsa nel divenire di un cammino, da cui tutti i vari yoga e tantra e chi più ne ha più ne metta. Ma tutti costoro giocano con lo stesso balocco, l'altro da noi, il mondo, il divenire delle cose, e per quella via mai e poi mai si giungerà a se stessi ed a ciò che si è. È tutto qui il discorso, prima ci si avvede di questo errore di direzione, prima lo si rettifica, invertendo la direzione (da indiretta a diretta) e prima si giungerà ad essere se stessi e ciò che si è. La meta è questa e solo questa, Essere (ciò che si è).

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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 24/04/2017, 22:57

cannaminor ha scritto:
24/04/2017, 22:12
cielo ha scritto:
24/04/2017, 17:57
Dove dico che è l'allievo che rende vivo l'insegnamento, praticandolo negli aspetti che si coniugano con il proprio varnasrama, ossia le proprie predisposizioni e possibilità, intendo dire che non è sufficiente ascoltare "saggezze" del tipo che non c'è niente che dobbiamo fare, che è sufficiente rimanere passivi, calmi, in uno stato di pura attenzione e consapevolezza del Sè, sperimentare la semplicità di rimanere testimoni del nostro presente, senza innescare paure, desideri, aspettative. Se ne fossimo in grado lo sapremmo, ma poichè non ne siamo in grado dobbiamo fare i conti con l'identificazione nella "persona" che continua a fare la sua parte nel mondo. Se siamo "inguaiati" in una vita dura e di responsabilità e non riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso, allora vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali, pratiche che possiamo scegliere secondo possibilità e inclinazioni. E una volta scelte portarle avanti con serietà e determnazione, per quanto ci è possibile.
Non riesco a seguire un tale ragionamento. Vi sono affermazioni che non colgo, non comprendo, non vedo.
Partiamo dalla prima affermazione, quella di auspicio, quella che non (sempre) "riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso". Domanda: e chi l'avrebbe detto che dobbiamo riuscire in ciò? e comunque quale sarebbe il risultato di tale pratica; la consapevolezza?

Segue la constatazione che poichè non riusciamo in tale pratica metafisica di distacco, vigilanza e testimonianza allora "vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali". E quali sarebbero queste pratiche che vengono in aiuto ed in cosa e a cosa dovrebbero servire tali pratiche?
Tanto per essere chiari sono mai servite a qualcuno tali pratiche? C'è forse qualcuno che realizzato Brahman praticando tali pratiche?

Sono piene le biblioteche di testi relativi a tali pratiche, ma io vorrei sapere c'è forse qualcuno che ha colto l'illuminazione, la realizzazione, la liberazione con tali pratiche. C'è forse qualcuno che è arrivato ad Essere senza conoscersi, comprendersi, realizzarsi? E come pensi ci sia arrivato, stando seduto su uno stuoino e meditando contro un muro bianco? Oppure inchinandosi e prostrandosi al divino innanzi a sè in tutte le sue forme?
O forse agendo rinunciando al frutto dell'azione? Pensi davvero che basti? Pensi davvero che queste pratiche conducano da qualche parte a parte il divenire stesso, il mondo spazio-temporale?

Ma andiamo più nello specifico e nel concreto, a te, visto che ne menzioni e ne parli, dove ti hanno condotto tali pratiche di cui parli? ne puoi dare testimonianza? Perchè è bello dirlo, ma se poi ne segue anche esperienza e descrizione della stessa in prima persona allora ne ha anche maggior valore il proprio dire. Quali pratiche delle diverse vie spirituali hai tu percorso e dove ti hanno condotto portato. Ne puoi dare descrizione ed esempio così uno capisce di che si parla, sia nella pratica che nel risultato.

Si fanno tanti bei discorsi e si spendono belle parole, proprie e altrui, ma quanto sarebbe bello che queste parole spese, questi consigli dati, fraternamente, con amore e altruismo fossero anche supportati da una testimonianza di persona di chi li offre e da.

Io come ben sai da tante discussioni fatte nel passato non ho mai praticato alcuna pratica spirituale di quelle solite e conclamate come dici te nei diversi cammini spirituali, ne ho praticata-percorsa messa in atto una sola, il "conosci te stesso", l'"atmavichara", solo questo, solo ed unicamente questa pratica, questa attenzione, questo volgimento della mente, il più a lungo e constantemente che mi riusciva nelle 24 ore. Avevo (e ho) una sola regola, essere sempre presente a me stesso, tenere sempre e constantemente la mente rivolta a me stesso, a "me", a "io sono", sempre, il più a lungo possibile, il più costantemente possibile, fermamente, questo è quanto. Non ho praticato e seguito nient'altro che questo, e questo mi ha dato da un lato un distacco dalla mente, dal personaggio, dalla maschera o maschere quotidianamente vestite e indossate, quindi dall'identificazione che solitamente se ne vive, dall'altra, la consapevolezza che quel "io sono" cui costantemente miravo e puntavo, non era solo un punto, un apice come avevo creduto inizialmente, "la radice di tutti i pensieri" come diceva Ramana, ma era invece universale, l'intero, la coscienza tutta, nel suo insieme unitario.

Ma tutto ciò non ha richiesto asana, meditazioni, stuoini, discriminazioni, pensieri, ragionamenti, filosofia, istruzione, insegnamenti, e quant'altro, no niente di tutto ciò; tutto ciò ha solo richiesto una unica costante fissa e mirata attenzione rivolta a me stesso, all'"io sono", nient'altro. A ragione Aristotele diceva che conoscere è essere, ed era ed è tutt'ora vero. Conoscere è essere, sono sinonimi; conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, ed essere se stessi ha un solo senso e significato, essere in identità, ovvero realizzare se stessi, portare in attualità, in verità "se stessi".

Certi termini si rincorrono l'un l'altro, questo perchè sono descrizione, significato e facce del medesimo quid, del medesimo "soggetto", il Sè.

Tutto sto lungo discorso per dire che, a mio vedere e per mia esperienza, vissuto e testimonianza, c'è una sola via possibile e percorribile, ed è quella del "conosci te stesso", non ce ne sono altre e non ci sono altre vie alternative a questa; per questa devi sempre e comunque passare, alla fine, quindi se anche l'inizio si trova a passare per cammini spitituali alterni come percorso, alla fine sempre comunque lì vanno a confluire, nell'unica (a mio vedere) via possibile e ultimativa, quella dell'atmavichara, del conosci te stesso.

Per se stessi si deve passare, perchè ci siamo solo noi, ognuno di noi, di "io sono" è universo, e per tale si deve conoscere, essere e realizzarsi.

Capisco e comprendo benissimo che alla mente piace da matti baloccarsi con filosofie e cammini spirituali dei più vari e diversi, dove l'altro da noi, qualunque altro, qualunque alterità è messa sull'altare e percorsa nel divenire di un cammino, da cui tutti i vari yoga e tantra e chi più ne ha più ne metta. Ma tutti costoro giocano con lo stesso balocco, l'altro da noi, il mondo, il divenire delle cose, e per quella via mai e poi mai si giungerà a se stessi ed a ciò che si è. È tutto qui il discorso, prima ci si avvede di questo errore di direzione, prima lo si rettifica, invertendo la direzione (da indiretta a diretta) e prima si giungerà ad essere se stessi e ciò che si è. La meta è questa e solo questa, Essere (ciò che si è).
Sulla prima affermazione "contestata" che non (sempre) "riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso" è adattamento personalizzato di frase tipica degli sfaticati neo advaitin (quelli che per le due o tre ore del satsang sono sempre sorridenti, pacati, luminosi, fluttuanti, con lo sguardo intenso e la voce suadente): "c'è solo il Sè, tu sei Quello, nessun luogo da raggiungere, pura presenza che testimonia l'Essenza...." tutto vero, ma è sufficiente al viandante?
Quello che tribola con equitalia, pure quello è scintilla dell'Essenza, se gli parla Cannaminor sul "conosci te stesso" e gli dice che deve al più presto inverire la direzione, da indiretta a diretta, non oso pensare come reagirebbe. Ma se gli suggerisci o meglio lo mandi (gratis) a fare un massaggio energetico ayurvedico con oli medicati e profumati, secondo me ne trae beneficio. O se gli mostri gli esercizi di stiramento da fare durante le otto ore al pc con le scartoffie magari pure. Che dici? Vabbè che pure la tua pratica è gratuita, ma secondo me sceglie il massaggio energetico, lì per lì.
Secondo me no, al viandante non sono sufficienti i mahāvākya vedantici (i grandi detti vedici) così nudi e crudi e neppure la lettura di tanti libri sulle diverse pratiche di cui sono piene le biblioteche. Serve praticare, provare, sperimentare, altrimenti cosa si conosce di sè stessi? Solo una mente che chiacchiera e soppesa cose che non conosce traendone bilanci immaginari?
Indubbiamente ci sono persone, ad esempio come te, che stante le qualificazioni, predisposizioni e possibilità (di tempo spazio) hanno potuto bypassare le varie pratiche spirituali di quelle solite e conclamate nei diversi cammini spirituali. Se riesci a mantenere l'attenione focalizzata sull'"io sono" senza che la mente schizzi via in mille modificazioni, sei fortunato. L'importante è farlo, ognuno a suo modo, anche sferruzzando.
Io invece non sono così fortunata da avere una mente focalizzata, mercurio vivo piuttosto. Scappa da tutte le parti.
Stante le qualificazioni e la predominanza di guna poco satvici, ne ho praticate tante di pratiche per sostenermi nel viaggio di ritorno al sè, e concordo con te sul fatto che l'unica pratica fondante di tutte le pratiche sia "conosci te stesso", "stai con te" che così come sei vai benissimo. E aggiungerei pure: "se c'è c'è, se non c'è non c'è". Semplice ed essenziale.
Ma questo "stare con sè stessi", per me, ha risvolti oggettivi che richiedono pratiche oggettive, adatte a me che passo lo stato di veglia in un corpo visibile con gli occhi altrui o tramite specchio e ho imparato a conoscermi dentro questo corpo che sta scrivendo.
Personalmente evito qualsiasi pratica che mi procuri stress, se non ho voglia di praticare un qualcosa non pratico. Punto finito.
Nello specifico trovo beneficio da pratiche mantriche e dalla musica in generale (praticata con strumenti, non ascoltata solamente), di hatha yoga o tai chi chuan, dalla cucina, anche se mi stanca molto se mi lancio nell'impastare e stirare le sfoglie solo col matterello o faccio manicaretti più complessi che le fave o le cicerchie bollite. Mi piace molto praticare con la mezzaluna sul tagliere, mi dà soddisfazione, taglio di tutto, faccio a pezzettini piccoli piccoli i pensieri insieme al prezzemolo...e ne vengono certe volte anche di censurabili da affettare con cura e energia. Evito però di tagliare troppe "teste d'aglio" durante la pratica. Ogni tanto affilo la mezzaluna con la pietra apposita. Divertente.
Conoscendo me stessa so che ho il respiro corto e il cuore turbolento, quindi focalizzo sul respiro e spesso mi dico: "Respira sei viva" e mi allargo un po' nello spazio circostante, mi raddrizzo invece che star curva e strisciare lungo i muri cittadini, in semi coma la mattina. Lì sono testimone, un buon momento per la meditazione profonda, sui bus strapieni è molto formativa come pratica.
Oppure tento di portare la Presenza dell'"io sono" nel cuore e di lì cerco di essere un centro radiante e non un lombrico sotto terra che teme di essere spiaccicato dal primo stivale che passa.
Qualcosa del genere, un mix di pratiche, balocchi che ingannano il tempo.
Focalizzarsi sulla presenza ventiquattro ore e oltre, non è mica facile.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 2:18

Mi piace molto praticare con la mezzaluna sul tagliere, mi dà soddisfazione, taglio di tutto, faccio a pezzettini piccoli piccolii pensieri insieme al prezzemolo...e ne vengono certe volte anche di censurabili da affettare con cura e energia.
Questa è interessante! :)
Lo stesso effetto provo quando uso il decespugliatore in giardino. Atterrare le erbacce, soprattutto quelle erte ed alte, pareggiando il livello, talvolta arrivando fino al terreno, è un esercizio mentale di sfrondamento del superfluo, dei picchi di pensiero che infastidiscono il mio precario equilibrio mentale.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 25/04/2017, 9:07

cielo ha scritto: Sulla prima affermazione "contestata" che non (sempre) "riusciamo a rimanere costantemente vigili, distaccati e testimoni della recita in corso" è adattamento personalizzato di frase tipica degli sfaticati neo advaitin (quelli che per le due o tre ore del satsang sono sempre sorridenti, pacati, luminosi, fluttuanti, con lo sguardo intenso e la voce suadente): "c'è solo il Sè, tu sei Quello, nessun luogo da raggiungere, pura presenza che testimonia l'Essenza...." tutto vero, ma è sufficiente al viandante?
Di persone "sorridenti, pacati, luminosi, fluttuanti, con lo sguardo intenso e la voce suadente..." ne ho vista parecchia in giro e mica solo in ambiti "neo advaita", anzi, ce nè in ogni dove e ogni quando; non mi sembra una prerogativa di uno specifico contesto. Invece piuttosto chi sarebbe il viandante? Ti domandi se sia sufficiente al viandante? quale viandante, il viandante inteso come colui che percorre una sadhana, il sadhaka, l'aspirante? Immagino ti riferissi a questo per "viandante", e quindi chiedere se sia sufficiente pone a sua volta la domanda; sufficiente a cosa?

Dipende dalla meta, dal fine, da ciò che si va mirando. Se è vero che siamo ciò che pensiamo, allora ciò che pensiamo siamo. Là dove va il pensiero, là va anche la meta ed il fine di tale pensare così come il soggetto pensante. Ripetere a litania "c'è solo il Sè, tu sei Quello, nessun luogo da raggiungere, pura presenza che testimonia l'Essenza..." etc, che io sappia non ha mai portato nessuno alla meta, se non il pensiero stesso ed il soggetto pensante.
cielo ha scritto: Quello che tribola con equitalia, pure quello è scintilla dell'Essenza, se gli parla Cannaminor sul "conosci te stesso" e gli dice che deve al più presto inverire la direzione, da indiretta a diretta, non oso pensare come reagirebbe. Ma se gli suggerisci o meglio lo mandi (gratis) a fare un massaggio energetico ayurvedico con oli medicati e profumati, secondo me ne trae beneficio. O se gli mostri gli esercizi di stiramento da fare durante le otto ore al pc con le scartoffie magari pure. Che dici? Vabbè che pure la tua pratica è gratuita, ma secondo me sceglie il massaggio energetico, lì per lì.
Premesso che non direi mai a nessuno quanto mi stai addebitando, tutto quanto da me detto era inteso come mia esperienza e mia testimonianza, ovvero il cammino che sto percorrendo, il che non vuol dire che lo debba essere di tutto e tutti, per carità! ognuno ha da scegliere il suo, liberamente il suo, così come ad ognuno compare il maestro (sempre liberamente e se e quando) l'allievo è pronto. Nessuno può rendere nessuno "pronto" è questo il punto che sfugge. Non c'è maestro in terra che possa liberare ipso facto nessuno, senza che questo lo voglia per primo e lo desideri e lo attui di suo.
Conosci te stesso non vuol dire fai conoscere se stessi agli altri, non esiste. Nessuno fa conoscere un bel nulla a nessuno, la conoscenza, la realizzazione, la liberazione è l'atto più personale che ci possa essere; è un atto in\di identità, quindi quale istruzione, quale insegnamento, quale travaso, quale relazione e dipendenza? Non dipende da nulla non è relato a nulla dipende solo ed unicamente da se stesso, in se stesso, di se stesso, per se stesso. Cos'è che non è chiaro di quanto si sta dicendo? Perchè si continua a cercare una dipendenza, una relazione, un divenire, uno sazio tempo là dove nulla di tutto ciò è e ha luogo e serve ad alcunchè. Mukta non dipende da, non è relata a, moksa è (o non è).

Nell'altro forum capeggiava una massima di Plotino che tutti ricorderanno e più volte citata. "Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè, la via ed il viaggio; ma la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare"

Te la ricorderai? Il magistero, ovvero l'istruzione, l'insegnamento, non va oltre il limite di additare, la via ed il viaggio. Additare, non vuol dire travasare, non vuol dire che qualcosa passa da a, vuol dire additare, indicare, ma la visione che si insegue e persegue è tutta un'opera personale, opera personale, ovvero del soggetto ricercatore. Colui che contempla, che ha voluto e perseguito la contemplazione, la visione che ha colto e realizzato è tutta opera personale, è tutto conosci te stesso, da se stesso per se stesso di sè medesimo. Nessuno ti fa vedere o può far vedere nulla di nulla che tu stesso\a abbia voluto contemplare con le tue forze, con le tue capacità, col tuo cammino e la tua di sadhana diretta ed interiore.

Tuo è l'atto di contemplare, tua la visione, tua la moksa, tu sei Quello...cos'è che non è chiaro in questo discorso?

Mi porti l'esempio ed il confronto di un massaggio energetico ayurvedico con oli medicati e profumati. Sì e allora ? Ne trae beneficio? Certo che ne trae benficio, il corpo, la mente, persino la psiche ne trae beneficio, ma ripeto e allora cosa centra tutto ciò con moksa? Ci sono un'infinità di cose che relativamente al piano di applicazione trovano beneficio; quanto ne abbiamo parlato e se ne parlava anche con Bodhananda dello yoga e di come oggi viene inteso, vissuto e sopratutto praticato specie qui in occidente. Porta beneficio? Sì certo, come il pilates, come tante "ginnastiche" di vario genere etc etc, perchè questo è oggi nella maggior parte dei casi. Non voglio riaprire il discorso, ognuno ha e avrà le sue idee in merito, il punto da focalizzare è solo la pratica in riferimento al risultato che si cerca e si vuole ottenere. Si cerca un beneficio fisico, una rilassatezza, una serenità psico-fisica, allora tante sono le vie e le pratiche. Cosa si cerca cosa si vuole è questo il punto da avere chiaro. Ardente anelito alla liberazione, moksa? allora è altra la meta altro il fine altro lo scopo che non una condizione di serenità e benessere psico-fisico. Si vuole camminare sull'acqua, diventare invisibili, viaggiare nell'etere, dipende da cosa si vuole e cosa si cerca e cosa si anela e si troverà sicuramente qualcuno che ci ha già provato e forse anche riuscito in tale ambito e contesto e allora se ne seguono gli insegnamenti e si raggiunge (forse) gli stessi risultati.
cielo ha scritto: Secondo me no, al viandante non sono sufficienti i mahāvākya vedantici (i grandi detti vedici) così nudi e crudi e neppure la lettura di tanti libri sulle diverse pratiche di cui sono piene le biblioteche. Serve praticare, provare, sperimentare, altrimenti cosa si conosce di sè stessi? Solo una mente che chiacchiera e soppesa cose che non conosce traendone bilanci immaginari?
Qui ritengo che sbagli nella tua interpretazione delle cose ed anche di alcuni termini, quali per primo "conoscere".

La conoscenza di cui si parla, in riferimento a se stessi, non è conoscenza intellettuale, non è mente, non si sta dicendo questo. Nessuno ha detto che si debba andare e rincorrere tutte le paturnie e le chiacchere che la mente sforna di continuo. Per carità non arriveresti mai in fondo, tanto lei è molto più brava e veloce a sfornarle che tu a riconoscerle. No, appunto, no. Si sta dicendo, anzi sto dicendo perchè te ne descrivo il mio di percorso vissuto, sto dicendo che si deve mirare alla costante, al punto fermo che c'è nella mente, l'unico punto fermo che c'è, tu, te stessa. Te stessa intesa come essere, come esseità, come "io sono", anzi forse persino solo "sono" quel senso quella fermezza quella costante che ti fa dire sono.

C'è nella mente un punto, un singolo e solo punto che tu sei, per il quale tu sei, sei ed esisti, il senso di essere (che non è esattamente coincidente col senso di esistere, ma sorvoliamo su questo) il senso di essere di sono, io sono, quello devi agganciare e tenere fermo e costante nella mente, sempre sotto mira e visione interiore. Tieni fermo quello, anzi per invero sta fermo già di suo ed è proprio il tuo agganciarsi a lui\lei , alla sua "fermità" che ti permette di stare fermo, di fermare la mente e tutti i pensieri che comuque e quantunque girano e ruotano attorno. Quelli, i pensieri, se ti collochi nel punto fermo del "io sono" possono continuare a ruotare attorno, a turbinare, così come no, alle volte proprio svaniscono, e non ci sono proprio, altre volte li senti e li vedi, ma non interferiscono, non hanno attrazione, non ti trascinano, come invece di solito accade nella disattenzione di sè.

Quel punto fermo, quella centro della ruota mentale, quello è l'io sono, quello è il punto da mirare e tenere fermo sotto visione, sotto contemplazione. Quello è il conosci te stesso, perchè quello è te stesso. Conoscere che vuol dire come già detto essere, non conoscere mentalmente per via mentale e intellettuale, non c'è nulla da conoscere in quel senso, anzi semmai da lasciare andare per il suo turbunio e rotazione, non è quello che sei, tu sei quello che è al centro di tutto ciò, che ne alimenta ed è perno fermo e fisso di tutto ciò. Conoscere ha questo senso e significato, essere, essere ciò che sei, essere quel punto al centro, quel "io sono" che tutti siamo e sentiamo in noi, perseguirlo, e l'unico modo che conosco di perseguirlo è attenzionarlo, mirarlo, meditarlo, contemplarlo. Punta tutto lì, ferma tutto lì, ed il resto svanisce e perde di ogni consistenza e attrazione e trascinamento.

Il neti neti di cui tante volte si è parlato in fondo è questo, è quest'opera di mira e focalizzazione di ciò che è reale (l'io sono) rispetto a ciò che non lo è e da cui appunto distogli attenzione e mira. Nella giungla dei pensieri, devi mirare, trovare e attenzionare solo l'io sono, nient'altro che quello. È come una preda col cacciatore, punta e mira solo quella, quando l'ha vista ed attenzionata a quel punto tutto il resto svanisce, c'è solo quella, la preda, tutto il resto, tutto ciò che è altro dalla preda non esiste più non c'è più tutta la sua attenzione è rivolta lì, è lì. Qui succede lo stesso, devi mirare te stessa, la tua esseità, il tuo senso di essere (di esistere) quel solo e unico punto nella mente, quello e nient'altro e starci attaccato tutto il tempo che puoi. La mia pratica ed esperienza è questa.
cielo ha scritto: Indubbiamente ci sono persone, ad esempio come te, che stante le qualificazioni, predisposizioni e possibilità (di tempo spazio) hanno potuto bypassare le varie pratiche spirituali di quelle solite e conclamate nei diversi cammini spirituali. Se riesci a mantenere l'attenione focalizzata sull'"io sono" senza che la mente schizzi via in mille modificazioni, sei fortunato. L'importante è farlo, ognuno a suo modo, anche sferruzzando.
Io invece non sono così fortunata da avere una mente focalizzata, mercurio vivo piuttosto. Scappa da tutte le parti.
Cielo non è questione di fortuna, è solo questione di volontà, almeno all'inizio, di volerlo, e sopratutto di sapere cosa si vuole e cosa si cerca.
La mente di suo e di chiunque scappa da ogni parte, questa è la sua natura. Quanto al mantenere l'attenzione focalizzata sull'"io sono", questo non dipende dal cosa stia facendo o non facendo, nè dalla natura della mente che di suo scappa da ogni parte. Certo che lei scappa da ogni parte, e tu lasciala scappare, che ti frega, l'importante è che tu ti focalizzi sull'io sono, poi che lei scappi o non scappi a te non riguarda più. E comunque ti assicuro che uno volta che hai l'io sono fermo nell'attenzione, nessuno scappa più da nessuna parte, perchè tutto il turbinio mentale dipende da quel centro, se hai il centro hai anche l'eventuale turbinio di pensieri ad esso legati e dipendenti. Se stai ferma nel centro anche i pensieri a quel punto stanno fermi e non ti portano da nessuna parte, sempre che ancora ce ne siano di attivi e in movimento. E comuque stando nel centro i pensieri divengono poi funzionali, cioè utili se e quando servono e richiesti, altrimenti taciti e solo potenziali, ma non attuali.
cielo ha scritto: Focalizzarsi sulla presenza ventiquattro ore e oltre, non è mica facile.
Infatti non va pensato, men che meno in termini e confronti temporali; io non mi sono mai posto la domanda e l'interrogativo quanto tempo delle 24 ore stavo o non stavo nell'io sono. Sarebbe come dire quanto tempo delle 24 ore sei te stesso e quante qualcun'altro o qualcos'altro? L'unica cosa che so è che anelavo all'identità, all'identità di me stesso, anelavo a moksa, e per tale l'ho cercata, cercandola nell'unico posto dove aveva senso e comunque possibilità di cercarla: me stesso. Dove altro avrei dovuto mai cercarla? in un massaggio profumato ayurvedico? Non conosco altre strade, non conosco non solo perchè non le ho mai praticate, ma non conosco anche nel senso che non le ho trovate (pur cercandole) in alcun altro dove che non fosse dentro di me. Poi domani qualcuno potrà anche venire a dirmi che facendo massaggi profumati ayurvedici ha trovato l'io sono-se stesso, e vi ci si è stabilizzato con il profumo dei fiori e tutto il resto, possibile, non rigetto a priori alcuna possibilità, ma per il momento non ne ho menzione, nè presente, nè storica e passata. E comunque io non posso che testimoniare la mia di esperienza, ho solo quella di autentica.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 10:09

cannaminor ha scritto:
25/04/2017, 9:07

La mente di suo e di chiunque scappa da ogni parte, questa è la sua natura. Quanto al mantenere l'attenzione focalizzata sull'"io sono", questo non dipende dal cosa stia facendo o non facendo, nè dalla natura della mente che di suo scappa da ogni parte. Certo che lei scappa da ogni parte, e tu lasciala scappare, che ti frega, l'importante è che tu ti focalizzi sull'io sono, poi che lei scappi o non scappi a te non riguarda più. E comunque ti assicuro che uno volta che hai l'io sono fermo nell'attenzione, nessuno scappa più da nessuna parte, perchè tutto il turbinio mentale dipende da quel centro, se hai il centro hai anche l'eventuale turbinio di pensieri ad esso legati e dipendenti. Se stai ferma nel centro anche i pensieri a quel punto stanno fermi e non ti portano da nessuna parte, sempre che ancora ce ne siano di attivi e in movimento. E comuque stando nel centro i pensieri divengono poi funzionali, cioè utili se e quando servono e richiesti, altrimenti taciti e solo potenziali, ma non attuali.
Non so dove mi aggrappo (quindi se è all'io sono, ma così sarà) ma è certo che osservo anch'io la mente che scappa e che non faccio niente per rincorrerla nè fermarla.
D'altronde perchè dovrei farlo, o perchè calmarla?
Se lo faccio è evidentemente per ottenere calma mentale piuttosto che turbinio, e le onde calme, si sa, consentono una visione più chiara degli eventi (interiori o esteriori che siano) ma sempre di mente stiamo parlando...
Dunque, infine, l'unica cosa che ormai mi sembra di aver capito di tutta questa faccenda, è che, non importa quello che faccio o non faccio,o se son io o meno l'agente, ma il come e dove mi pongo in questo fare: ad esempio, anche l'essere attratto dal dipingere (che sgombra i miei pensieri, così come fa cielo col suo affettar foglie sul tagliere) piuttosto che dal lavorare, pone semplicemente un attrazione della mente contrapposta ad una sua repulsione.
L'importante quindi, per me, è non vederci la pratica solo laddove trovo attrazione e relax, perchè sarebbe una trappola, ma è il dove mi pongo (e che quindi risulta corrispondere al dove sono in quel preciso istante) in qualsiasi situazione mi trovi: più ampia è la prospettiva in cui riesco a pormi, maggiore è il distacco possibile piuttosto che l'adesione, perchè il problema in fondo è sempre è solo quello: l'adesione a questo o a quello, laddove ci proiettiamo, rappresentando la "nostra realtà".

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 10:28

Invece, secondo il mio vedere zen, la pratica è Realizzazione, e la pratica è azione consapevole.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 10:29

Mauro ha scritto:
25/04/2017, 10:28
Invece, secondo il mio vedere zen, la pratica è Realizzazione, e la pratica è azione consapevole.
E cioè in pratica, "invece" rispetto a cosa?
Cosa vuol dire di diverso in pratica?

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