Mauro ha scritto:
Che l'azione, qualunque sia, è pratica, e quindi non è distinta dalla Realizzazione, purchè sia consapevole.
Mi sembra, negli interventi tuo e di cannaminor che distinguiate l'azione (vista come efficace solo dal lato psicofisico), dal processo di "gnosi realizzativa". Per me, invece, la gnosi si ha nella consapevolezza delle proprie azioni, anche nel pelare le patate, consapevolezza che si ha con la presenza costante. Quindi concordo essenzialmente col punto di vista di cielo.
Forse sarebbe opportuno dare un significato comune e condiviso a certi termini.
Cominciamo con "presenza costante"; per come la intendo io, è sinonimo di consapevolezza, ossia quella presenza-consapevolezza-coscienza di cui si parlava, ferma al centro, costante, sempre presente (o quasi, possibilmente) che è e osserva ogni cosa, ogni altro da lei, di cui comunque lei è centro, fonte e promotore-emanatore di azione.
Azione, l'azione: per me l'azione è esercizio e pratica di consapevolezza (quella di prima) ossia hai l'azione quando la consapevolezza si manifesta e trova manifestazione nel divenire. Più succintamente l'azione è consapevolezza in manifestazione, in azione, in divenire. È l'aspetto manifesto della consapevolezza-coscienza.
Da cui ne segue, sempre secondo la mia visione delle cose che non esiste azione che sia altro e diversa dalla consapevolezza da cui promana e trova fondamento. Quello che invece può essere diverso è che la consapevolezza, la coscienza, si identifichi, si canalizzi, si determini in quell'azione, ciò facendo venendo meno il distacco, e ciò facendo creando de facto un agente virtuale (il mitico "io") di azione che possibilmente ne vuole anche cogliere i frutti dell'azione stessa.
Quindi sempre secondo la mia visione delle cose, se l'azione in sè è sempre e comunque coscienza (coscienza in movimento, in divenire, in manifestazione) dall'altra possono verificarsi due situazioni. O quella coscienza in azione si individualizza, si identifica creando un agente di azione, un io che si crede agente e coglitore dei frutti dell'azione, oppure ciò non accade, la coscienza resta libera e distaccata e sopra le parti (leggasi presenza a se stessi) ovvero consapevole, e quindi non c'è alcun io agente, alcun frutto dell'azione da cogliere da parte di nessuno, alcuna identificazione, quindi una condizione di distacco, equanimità. L'azione si svolge, pelo le patate, ma non c'è nessuno a pelarle, nessun io a giudicarne e coglierne i frutti, l'azione si svolge di se stessa, per se stessa, naturalmente, per libero e naturale svolgimento, pratica, esercizio e manifestazione della consapevolezza in essere, della presenza di sè. È l'azione per l'azione, l'agire per l'agire.
Cioè quell'azione non richiede una particolare attenzione e mira e presenza di sè, perchè se la si lascia libera e sopratutto non la si carica con un agente, i frutti dell'azione e bla bla bla, quell'azione è già presenza di sè, è già libera azione consapevole, è già esercizio di coscienza, non serve nulla di più e alcuna attenzione in più della sola presenza costante di cui si parlava all'inizio.
Se sei presente a te stesso e lo rimani senza cadere in alcuna identificazione di parte, sei parimenti presente ad ogni possibile azione venga a svolgersi, pelare patate o altro che sia. La libertà ed il distacco dall'azione dipende solo dalla libertà della fonte da cui prende azione ed energia, dalla cosapevolezza di sè. L'essere è libero, la consapevolezza è libera, e libera è quindi anche la possibile azione che ne consegue.
Là dove parli di presenza mentale, se è mentale non è più libera, nè distaccata; se è mentale c'è di mezzo un io, un agente dell'azione, e quindi molto probabilmente uno che in qualche modo e maniera ne vuole cogliere i relativi frutti dell'azione compiuta, da una parte o dall'altra. La presenza mentale è presenza della mente, ma questa non ha nulla a che fare con la presenza di sè, con la consapevolezza, con la coscienza, la pura coscienza.
La presenza mentale è già una presenza determinata, identificata, individualizzata, con nome e cognome, una presenza il cui agire ha un fine ed uno scopo, legittimo, ma pur sempre portatore e fruitore di frutti.
Il discorso della realizzazione, della gnosi, della conoscenza (di sè) non è legata e non passa per l'azione, essendo l'azione una semplice manifestazione-esteriorizzazione-determinazione su questo piano della consapevolezza, coscienza, quella proprio che vogliamo conoscere in primis.
Per dirla altrimenti a me interessa conoscere chi sono e non cosa faccio, perchè il cosa faccio viene dopo il cosa sono, e quindi il cosa sono è prioritario rispetto al cosa faccio. Sapere cosa faccio non dice chi sono, mentre sapere chi sono dice sempre cosa faccio, essendone quest'ultima conseguenza della prima.
Essere presenti al pulire le patate vuol dire al mio sentire essere presenti a quell'azione, non esserne l'artefice e l'agente di tale azione, perchè nel momento che ne sono artefice e agente piombo nell'identificazione di ciò che faccio, cade ogni distacco, e non se sono più presente distaccato ma artefice identificato, che non è la stessa cosa. L'identificazione nell'azione, il sorgere dell'agente-artefice annulla ogni visione e presenza, confinandoti nell'agente e nei relativi frutti da cogliere. Essere presenti all'azione non vuol dire nulla se non c'è una distanza da cui vedere ed essere presenti. Vedi l'azione, ne sei presente se ne sei distaccato e altro dalla stessa, altrimenti essendoci dentro fino al collo non vedi nulla e non sei presente a a nulla, ma solo agente stesso dell'azione e coglitore dei relativi frutti.