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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 10:41

Fedro ha scritto:
25/04/2017, 10:29
Mauro ha scritto:
25/04/2017, 10:28
Invece, secondo il mio vedere zen, la pratica è Realizzazione, e la pratica è azione consapevole.
E cioè in pratica, "invece" rispetto a cosa?
Cosa vuol dire di diverso in pratica?
Che l'azione, qualunque sia, è pratica, e quindi non è distinta dalla Realizzazione, purchè sia consapevole.
Mi sembra, negli interventi tuo e di cannaminor che distinguiate l'azione (vista come efficace solo dal lato psicofisico), dal processo di "gnosi realizzativa". Per me, invece, la gnosi si ha nella consapevolezza delle proprie azioni, anche nel pelare le patate, consapevolezza che si ha con la presenza costante. Quindi concordo essenzialmente col punto di vista di cielo.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 10:49

Mauro ha scritto:
25/04/2017, 10:41


Che l'azione, qualunque sia, è pratica, e quindi non è distinta dalla Realizzazione, purchè sia consapevole.
Mi sembra, negli interventi tuo e di cannaminor che distinguiate l'azione (vista come efficace solo dal lato psicofisico), dal processo di "gnosi realizzativa". Per me, invece, la gnosi si ha nella consapevolezza delle proprie azioni, anche nel pelare le patate, consapevolezza che si ha con la presenza costante. Quindi concordo essenzialmente col punto di vista di cielo.
forse allora mi sarò spiegato male, eppure ho specificato bene che non si tratta per niente da quel che si fa (quindi anche il pelar patate) ma dal "come":
è nell'ampiezza di questo "come" che si può osservare il limite di (quindi pure in quale ambito accade) ciò che chiamiamo azione o fare.
Quindi non vi è divisione di "questo" da "quello": il punto (di osservazione) è sempre uno solo (Conoscenza ovvero essere), cambia la profondità, l'ampiezza; e questo comporta un porsi, volgersi verso dentro innanzitutto, senza però escludere niente (casomai discriminare), quindi è comunque un includere tutto quello che c'è, anche i contenuti che non siamo.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 11:29

Premesso che non ho capito in toto il tuo discorso, ho l'impressione che siano distinti proprio i punti di vista sul "come" esercitare un'azione.
A me pare che tu parli di "distacco" nello svolgere l'azione, io parlo di "presenza costante".
Vedi, il "distacco" (dai frutti dell'azione), non presuppone "presenza costante".
Anzi, è più facile svolgere un'azione "distaccata" in completa assenza di presenza mentale (cosa che possiamo testimoniare tutti), piuttosto che con la presenza mentale costante.
Differentemente, la "presenza mentale" costante è sempre caratterizzata dal "distacco" (dal frutto delle azioni), perchè se sei presente ad ogni azione in ogni suo atto, è impossibile pensare alle sue conseguenze/ frutti, perchè stai sempre e consapevolmente, nel "qui ed ora".

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 11:39

Mauro ha scritto:
25/04/2017, 11:29

Vedi, il "distacco" (dai frutti dell'azione), non presuppone "presenza costante".
invece direi proprio il contrario, se parliamo di reale distacco, e quindi non di: azione "distaccata" in completa assenza di presenza mentale, e che non ho ben capito cosa sia
Anzi, è più facile svolgere un'azione "distaccata" in completa assenza di presenza mentale (cosa che possiamo testimoniare tutti), piuttosto che con la presenza mentale costante.
Differentemente, la "presenza mentale" costante è sempre caratterizzata dal "distacco" (dal frutto delle azioni), perchè se sei presente ad ogni azione in ogni suo atto, è impossibile pensare alle sue conseguenze/ frutti, perchè stai sempre e consapevolmente, nel "qui ed ora".
appunto, i due aspetti (apparentemente diversi o staccati) vanno sempre insieme

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 12:01

Non per me.
Se dico che sono in presenza mentale sono de facto distaccato dai frutti, perchè costantemente presente all'azione.
Se invece dico che sono distaccato dai frutti, non vuol necessariamente significare che l'azione da me effettuata sia stata svolta in presenza mentale, anzi la mia esperienza personale mi racconta che è più vero l'opposto.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 12:09

Mauro ha scritto:
25/04/2017, 12:01
Non per me.
Se dico che sono in presenza mentale sono de facto distaccato dai frutti, perchè costantemente presente all'azione.
Se invece dico che sono distaccato dai frutti, non vuol necessariamente significare che l'azione da me effettuata sia stata svolta in presenza mentale, anzi la mia esperienza personale mi racconta che è più vero l'opposto.
Ripeto, come dicevo sopra, non vedo come poter essere distaccato dai frutti senza consapevolezza di ciò

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 12:12

"Vi può essere distacco dei frutti dell'azione senza consapevolezza della medesima?"

È questo che ti domandi?

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 12:15

Mauro ha scritto:
25/04/2017, 12:12
"Vi può essere distacco dei frutti dell'azione senza consapevolezza della medesima?"

È questo che ti domandi?
Certo (se stiamo parlando di reale distacco)

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Re: Bodhananda

Messaggio da Mauro » 25/04/2017, 12:33

Eh, ma tu conosci cosa sia "il reale distacco"?
Io no, come non conosco la "reale presenza mentale".
Qui parliamo tra aspiranti, o no?
Parliamo di ciò che conosciamo.
Se io sono concentrato nell'atto di lavare i piatti, li lavo. Stop. Naturalmente non mi proietto nel frutto dell'azione del lavaggio.
Certo, se la presenza è perfetta, l'azione è perfetta, quindi totale il distacco al frutto dell'azione, perchè anche esso sarà perfetto (piatti scintillanti).
Ma anche se la presenza non è perfetta, rimanendo concentrati sul presente, qualunque sia il risultato, non aderiremo all'eventuale risultato.
Se invece agiamo secondo "distacco dai frutti", cioè non partendo dall'azione ma dai suoi risultati, se esso non è perfetto ma impulsato dalla volontà (come è nelle situazioni ordinarie), non solo non agiamo nel presente, ma per ottenere tale distacco, rischiamo altresì di disinteressarci all'azione stessa, svalutandola, e questo è tutto meno che discriminazione e consapevolezza, IMHO.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cannaminor » 25/04/2017, 13:59

Mauro ha scritto:
Che l'azione, qualunque sia, è pratica, e quindi non è distinta dalla Realizzazione, purchè sia consapevole.
Mi sembra, negli interventi tuo e di cannaminor che distinguiate l'azione (vista come efficace solo dal lato psicofisico), dal processo di "gnosi realizzativa". Per me, invece, la gnosi si ha nella consapevolezza delle proprie azioni, anche nel pelare le patate, consapevolezza che si ha con la presenza costante. Quindi concordo essenzialmente col punto di vista di cielo.
Forse sarebbe opportuno dare un significato comune e condiviso a certi termini.

Cominciamo con "presenza costante"; per come la intendo io, è sinonimo di consapevolezza, ossia quella presenza-consapevolezza-coscienza di cui si parlava, ferma al centro, costante, sempre presente (o quasi, possibilmente) che è e osserva ogni cosa, ogni altro da lei, di cui comunque lei è centro, fonte e promotore-emanatore di azione.

Azione, l'azione: per me l'azione è esercizio e pratica di consapevolezza (quella di prima) ossia hai l'azione quando la consapevolezza si manifesta e trova manifestazione nel divenire. Più succintamente l'azione è consapevolezza in manifestazione, in azione, in divenire. È l'aspetto manifesto della consapevolezza-coscienza.

Da cui ne segue, sempre secondo la mia visione delle cose che non esiste azione che sia altro e diversa dalla consapevolezza da cui promana e trova fondamento. Quello che invece può essere diverso è che la consapevolezza, la coscienza, si identifichi, si canalizzi, si determini in quell'azione, ciò facendo venendo meno il distacco, e ciò facendo creando de facto un agente virtuale (il mitico "io") di azione che possibilmente ne vuole anche cogliere i frutti dell'azione stessa.

Quindi sempre secondo la mia visione delle cose, se l'azione in sè è sempre e comunque coscienza (coscienza in movimento, in divenire, in manifestazione) dall'altra possono verificarsi due situazioni. O quella coscienza in azione si individualizza, si identifica creando un agente di azione, un io che si crede agente e coglitore dei frutti dell'azione, oppure ciò non accade, la coscienza resta libera e distaccata e sopra le parti (leggasi presenza a se stessi) ovvero consapevole, e quindi non c'è alcun io agente, alcun frutto dell'azione da cogliere da parte di nessuno, alcuna identificazione, quindi una condizione di distacco, equanimità. L'azione si svolge, pelo le patate, ma non c'è nessuno a pelarle, nessun io a giudicarne e coglierne i frutti, l'azione si svolge di se stessa, per se stessa, naturalmente, per libero e naturale svolgimento, pratica, esercizio e manifestazione della consapevolezza in essere, della presenza di sè. È l'azione per l'azione, l'agire per l'agire.

Cioè quell'azione non richiede una particolare attenzione e mira e presenza di sè, perchè se la si lascia libera e sopratutto non la si carica con un agente, i frutti dell'azione e bla bla bla, quell'azione è già presenza di sè, è già libera azione consapevole, è già esercizio di coscienza, non serve nulla di più e alcuna attenzione in più della sola presenza costante di cui si parlava all'inizio.

Se sei presente a te stesso e lo rimani senza cadere in alcuna identificazione di parte, sei parimenti presente ad ogni possibile azione venga a svolgersi, pelare patate o altro che sia. La libertà ed il distacco dall'azione dipende solo dalla libertà della fonte da cui prende azione ed energia, dalla cosapevolezza di sè. L'essere è libero, la consapevolezza è libera, e libera è quindi anche la possibile azione che ne consegue.

Là dove parli di presenza mentale, se è mentale non è più libera, nè distaccata; se è mentale c'è di mezzo un io, un agente dell'azione, e quindi molto probabilmente uno che in qualche modo e maniera ne vuole cogliere i relativi frutti dell'azione compiuta, da una parte o dall'altra. La presenza mentale è presenza della mente, ma questa non ha nulla a che fare con la presenza di sè, con la consapevolezza, con la coscienza, la pura coscienza.

La presenza mentale è già una presenza determinata, identificata, individualizzata, con nome e cognome, una presenza il cui agire ha un fine ed uno scopo, legittimo, ma pur sempre portatore e fruitore di frutti.

Il discorso della realizzazione, della gnosi, della conoscenza (di sè) non è legata e non passa per l'azione, essendo l'azione una semplice manifestazione-esteriorizzazione-determinazione su questo piano della consapevolezza, coscienza, quella proprio che vogliamo conoscere in primis.
Per dirla altrimenti a me interessa conoscere chi sono e non cosa faccio, perchè il cosa faccio viene dopo il cosa sono, e quindi il cosa sono è prioritario rispetto al cosa faccio. Sapere cosa faccio non dice chi sono, mentre sapere chi sono dice sempre cosa faccio, essendone quest'ultima conseguenza della prima.

Essere presenti al pulire le patate vuol dire al mio sentire essere presenti a quell'azione, non esserne l'artefice e l'agente di tale azione, perchè nel momento che ne sono artefice e agente piombo nell'identificazione di ciò che faccio, cade ogni distacco, e non se sono più presente distaccato ma artefice identificato, che non è la stessa cosa. L'identificazione nell'azione, il sorgere dell'agente-artefice annulla ogni visione e presenza, confinandoti nell'agente e nei relativi frutti da cogliere. Essere presenti all'azione non vuol dire nulla se non c'è una distanza da cui vedere ed essere presenti. Vedi l'azione, ne sei presente se ne sei distaccato e altro dalla stessa, altrimenti essendoci dentro fino al collo non vedi nulla e non sei presente a a nulla, ma solo agente stesso dell'azione e coglitore dei relativi frutti.

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Re: Bodhananda

Messaggio da latriplice » 25/04/2017, 14:31

Cannaminor ha scritto:

Segue la constatazione che poichè non riusciamo in tale pratica metafisica di distacco, vigilanza e testimonianza allora "vengono in aiuto tutte le pratiche delle diverse vie spirituali". E quali sarebbero queste pratiche che vengono in aiuto ed in cosa e a cosa dovrebbero servire tali pratiche?
Tanto per essere chiari sono mai servite a qualcuno tali pratiche? C'è forse qualcuno che realizzato Brahman praticando tali pratiche?
Alla prima domanda rispondo che la pratica spirituale è un hobby con il quale la mente intrattiene se stessa.
Alla seconda domanda rispondo dicendo che le pratiche, per coloro in buona fede, sono un mezzo indiretto che prepara la mente alla realizzazione del sé, oppure per quelli in cattiva fede come nota meritoria e distintiva dal resto del volgo.
Alla terza domanda rispondo con un no deciso: la concezione mondana che attraverso l'azione (karma) ottengo un risultato prestabilito non si applica al Brahman, poiché quest'ultimo essendo il soggetto ultimo, non è un oggetto di acquisizione. Inoltre come è possibile che azioni limitate esercitate da un ente limitato (agente) possa ottenere l'illimitato Brahman (non-agente)? Pertanto nessuno ha mai realizzato il Brahman praticando una pratica.
Cannaminor ha scritto:

Io come ben sai da tante discussioni fatte nel passato non ho mai praticato alcuna pratica spirituale di quelle solite e conclamate come dici te nei diversi cammini spirituali, ne ho praticata-percorsa messa in atto una sola, il "conosci te stesso", l'"atmavichara", solo questo, solo ed unicamente questa pratica, questa attenzione, questo volgimento della mente, il più a lungo e constantemente che mi riusciva nelle 24 ore. Avevo (e ho) una sola regola, essere sempre presente a me stesso, tenere sempre e constantemente la mente rivolta a me stesso, a "me", a "io sono", sempre, il più a lungo possibile, il più costantemente possibile, fermamente, questo è quanto. Non ho praticato e seguito nient'altro che questo, e questo mi ha dato da un lato un distacco dalla mente, dal personaggio, dalla maschera o maschere quotidianamente vestite e indossate, quindi dall'identificazione che solitamente se ne vive, dall'altra, la consapevolezza che quel "io sono" cui costantemente miravo e puntavo, non era solo un punto, un apice come avevo creduto inizialmente, "la radice di tutti i pensieri" come diceva Ramana, ma era invece universale, l'intero, la coscienza tutta, nel suo insieme unitario.
Se prendiamo in considerazione L'Opera alchemica che parte dall'identificazione con i vari veicoli di espressione (io sono questo) da cui procede un lavoro di disidentificazione definita come la fase nigredo per poi giungere alla completa separazione da tali veicoli (io sono nulla) che coincide con l'inizio della fase albedo che si conclude con l'inclusione (io sono tutto) con la totalità dei veicoli di espressione, tutto questo processo realizzativo riguarda la Piccola Opera che ha lo scopo di portare la mente ad emulare il più possibile l'ordinaria, imperturbabile, non-agente e non-duale Consapevolezza che è il Sé Brahman. Il problema è che tale stato si sostiene su nozioni tipicamente dualistiche della mente, per cui alla prima tempesta emotiva (vritti) si ha l'impressione di aver perduto tale stabilità.

Cannaminor ha scritto:

Dipende dalla meta, dal fine, da ciò che si va mirando. Se è vero che siamo ciò che pensiamo, allora ciò che pensiamo siamo. Là dove va il pensiero, là va anche la meta ed il fine di tale pensare così come il soggetto pensante. Ripetere a litania "c'è solo il Sè, tu sei Quello, nessun luogo da raggiungere, pura presenza che testimonia l'Essenza..." etc, che io sappia non ha mai portato nessuno alla meta, se non il pensiero stesso ed il soggetto pensante.
Dipende a chi dai il "Tu sei Quello". Se lo dai a quello che è il risultato che la mente dice che sei, quella vocina che ha un'altra opinione diversa dal Sé, e cioè: "sono un piccolo verme impaurito e bisognoso" è ovvio che ti risponda che non esperisce se stesso come il Quello evocato dalle scritture. Cosa diversa se lo dai direttamente al Sé bypassando la mente e il suo sudiciume.


Ashtavakra disse:

1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.

2. L'universo sorge da te come le onde sorgono dal mare. Così conosci il Sé nell'essere Uno ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione. (Piccola Opera)

3. L'universo, poiché è irreale, essendo manifestato come il serpente nella corda, non esiste in te che sei puro, sebbene sia presente ai sensi. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione. (Grande Opera)

4. Tu sei perfetto e lo stesso in miseria e felicità, speranza e disperazione, e vita e morte. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.


Astavakra Gita


Questi versi rappresentano uno specchio incontaminato nel quale hai la possibilità di specchiarti, e scorgere se hai coraggio di abbandonare le opinioni circa te stesso, il volto di Dio ed in esso riconoscerti. Questa è la Grande Opera o rubedo portata a compimento.

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Re: Bodhananda

Messaggio da Fedro » 25/04/2017, 14:43

Mi spiace, ma non vedo come possa rispecchiarmi in alcun verso come fosse me stesso.
Il coraggio sta proprio nell'osservarle come opinioni, in quanto nessuna parola potrà contenere ciò che sono, in quanto proiezione di ciò che sono.

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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 25/04/2017, 15:37

cannaminor ha scritto:
25/04/2017, 9:07

C'è nella mente un punto, un singolo e solo punto che tu sei, per il quale tu sei, sei ed esisti, il senso di essere (che non è esattamente coincidente col senso di esistere, ma sorvoliamo su questo) il senso di essere di sono, io sono, quello devi agganciare e tenere fermo e costante nella mente, sempre sotto mira e visione interiore. Tieni fermo quello, anzi per invero sta fermo già di suo ed è proprio il tuo agganciarsi a lui\lei , alla sua "fermità" che ti permette di stare fermo, di fermare la mente e tutti i pensieri che comuque e quantunque girano e ruotano attorno. Quelli, i pensieri, se ti collochi nel punto fermo del "io sono" possono continuare a ruotare attorno, a turbinare, così come no, alle volte proprio svaniscono, e non ci sono proprio, altre volte li senti e li vedi, ma non interferiscono, non hanno attrazione, non ti trascinano, come invece di solito accade nella disattenzione di sè.

Quel punto fermo, quella centro della ruota mentale, quello è l'io sono, quello è il punto da mirare e tenere fermo sotto visione, sotto contemplazione. Quello è il conosci te stesso, perchè quello è te stesso. Conoscere che vuol dire come già detto essere, non conoscere mentalmente per via mentale e intellettuale, non c'è nulla da conoscere in quel senso, anzi semmai da lasciare andare per il suo turbunio e rotazione, non è quello che sei, tu sei quello che è al centro di tutto ciò, che ne alimenta ed è perno fermo e fisso di tutto ciò. Conoscere ha questo senso e significato, essere, essere ciò che sei, essere quel punto al centro, quel "io sono" che tutti siamo e sentiamo in noi, perseguirlo, e l'unico modo che conosco di perseguirlo è attenzionarlo, mirarlo, meditarlo, contemplarlo. Punta tutto lì, ferma tutto lì, ed il resto svanisce e perde di ogni consistenza e attrazione e trascinamento.

Il neti neti di cui tante volte si è parlato in fondo è questo, è quest'opera di mira e focalizzazione di ciò che è reale (l'io sono) rispetto a ciò che non lo è e da cui appunto distogli attenzione e mira. Nella giungla dei pensieri, devi mirare, trovare e attenzionare solo l'io sono, nient'altro che quello. È come una preda col cacciatore, punta e mira solo quella, quando l'ha vista ed attenzionata a quel punto tutto il resto svanisce, c'è solo quella, la preda, tutto il resto, tutto ciò che è altro dalla preda non esiste più non c'è più tutta la sua attenzione è rivolta lì, è lì. Qui succede lo stesso, devi mirare te stessa, la tua esseità, il tuo senso di essere (di esistere) quel solo e unico punto nella mente, quello e nient'altro e starci attaccato tutto il tempo che puoi. La mia pratica ed esperienza è questa.
Pienamente d'accordo. Ramana, quando gli chiedevano della meditazione, se, come e quando meditare, dopo aver evidenziato che nessun fare ci avrebbe portato all'Essere, all'"io sono", suggeriva di utilizzarla per quello che è: uno strumento per sfrondare la giungla dei pensieri e focalizzarsi sull'unico pensiero, l'ultimo: io. Esattamente come descrivi.
Ognuno troverà il modo, prima o poi, secondo predisposizioni e possibilità, nel varnasrama in cui si trova,, di utilizzare gli strumenti più appropriati per affrontare questa grande opera di autodisciplina trasformatrice. Di invertire la direzione, da esterna, con la mente proiettata a conoscere il divenire, a interna, sempre più assorbita e in ascolto di Quello che solo è.
Mirare sè stessi e starci attaccato tutto il tempo che si può è anche la mia pratica.
Ma, dire "Tutto il tempo che si può" presuppone che questa pratica di atmavicara si svolga ad hoc in condizioni particolari, privilegiate e che ci sia un "altro tempo" in cui questo attenzionare l'unico punto non accade perchè le condizioni non lo consentono.
Come se descrivessi un'oscillazione, uno sbilanciamento tra pratica ed esperienza "vera" e pratica ed esperienza "non vera".
Eppure quel Puro Essere "è" sempre, costante, anche mentre si dialoga, si scrive, si ascolta, si guarda l'effimero mondo intorno.
E' la visione personale, qualsiasi essa sia, che ci separa. C'è ancora uno specchio che riflette.
Di conseguenza tutto il precedente evidenziare l'utilità di pratiche che ci aiutino a mantemere l'attenzione focalizzata.

Riguardo alle mie boutade sul massaggio profumato ayurvedico da offrire a uno degli sfigati del pianeta (quelli la cui attenzione è sempre focalizzata sul salvarsi la pelle o guadagnarsi un pasto al giorno, abbondante possibilmente, o una medicazione, o un prestito) era per dire che si parte sempre da dove si è, dalle priorità che si hanno.
C'è chi ha la moksha da ottenere e chi la bolletta da pagare. La vita nutre entrambi, per questo Bodhananda ci incitava a partire da dove si è, a svolgere i nostri compiti (qualsiasi essi siano), a servire la Vita perchè Lei ci serve ad ogni istante. Ogni respiro che entra e che esce è un suo dono.
Mai dimenticarlo, come la frase di Plotino.

cielo
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Re: Bodhananda

Messaggio da cielo » 25/04/2017, 15:51

latriplice ha scritto:
25/04/2017, 14:31

Dipende a chi dai il "Tu sei Quello". Se lo dai a quello che è il risultato che la mente dice che sei, quella vocina che ha un'altra opinione diversa dal Sé, e cioè: "sono un piccolo verme impaurito e bisognoso" è ovvio che ti risponda che non esperisce se stesso come il Quello evocato dalle scritture. Cosa diversa se lo dai direttamente al Sé bypassando la mente e il suo sudiciume.


Ashtavakra disse:

1. Tu sei libero dal contatto con qualsiasi cosa. Pertanto, puro come sei, a che cosa vuoi rinunciare? Distruggi il complesso corporeo ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione.

2. L'universo sorge da te come le onde sorgono dal mare. Così conosci il Sé nell'essere Uno ed in questo modo entra nello stato di dissoluzione. (Piccola Opera)

3. L'universo, poiché è irreale, essendo manifestato come il serpente nella corda, non esiste in te che sei puro, sebbene sia presente ai sensi. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione. (Grande Opera)

4. Tu sei perfetto e lo stesso in miseria e felicità, speranza e disperazione, e vita e morte. Pertanto in questo modo entra nello stato di dissoluzione.


Astavakra Gita


Questi versi rappresentano uno specchio incontaminato nel quale hai la possibilità di specchiarti, e scorgere se hai coraggio di abbandonare le opinioni circa te stesso, il volto di Dio ed in esso riconoscerti. Questa è la Grande Opera o rubedo portata a compimento.
Dipende a chi dai il "Tu sei Quello". Se lo dai a quello che è il risultato che la mente dice che sei, quella vocina che ha un'altra opinione diversa dal Sé, e cioè: "sono un piccolo verme impaurito e bisognoso" è ovvio che ti risponda che non esperisce se stesso come il Quello evocato dalle scritture. Cosa diversa se lo dai direttamente al Sé bypassando la mente e il suo sudiciume.
Chi dà cosa a chi?
Stai parlando del dono del mahavakya (grande detto vedico come Tat tvam asi) da parte del guru quando lo studente prende il samnyasa (diventando un rinunciante con unica priorità: il goal della moksha) oppure stai dicendo che tu ente scrivente utilizzi una pratica di meditazione sul "tu sei quello" e ti accorgi che se non stai attento la mente se ne impadronisce e ti trasforma ora in verme ora in deva risplendente di luce? Che Maya ci inganna nella galleria degli specchi?

Esperire sè stessi come il Quello evocato dalle scritture crea un modello, per quanto sublime.

Dare qualcosa al Sè bypassando la mente e il suo sudiciume? Lasciamo i rifiuti ad altri che se li smazzino, tipo le isole di pattume in mezzo all'oceano pacifico?
Di cosa ha bisogno il Sè, cosa contiene? E' pieno e poi vuoto?
Non era il divenire a modularsi come il respiro di Brahma?
Mi confondi.

Invece vorrei chiederti se gentilmente mi dici quale traduzione dell'astavakra stai usando e se puoi, per favore, citare in modo più completo capitolo e versi che riporti così posso confrontarla con le traduzioni a mie mani.
Bodhananda ci stava lavorando sopra intensamente negli ultimi mesi e ogni tanto ci faceva dono di qualche verso e relativo commento (con puntuale citazione).
E' un puro testo advaita che lui stava rivedendo utilizzando più testi di riferimento che riportano l'originale in versi.

PS: Questa in breve la storia di Astavakra:
Un giorno Astavakra si presentò alla corte di Janaka; poiché il suo corpo aveva otto gobbe, non appena gli eruditi di corte lo videro, scoppiarono a ridere.
Ma Astavakra non era un uomo comune e perciò, in risposta, si mise a ridere più forte di loro. Gli eruditi si stupirono e dissero: "Noi abbiamo una ragione per ridere di te, ma tu perché ridi di noi?".
Egli rispose: "Vi consideravo dei saggi e mai mi sarei aspettato di trovarmi di fronte a degli sciocchi: ecco perché ho riso. Voi non siete saggi eruditi, un ciabattino dà importanza al corpo, mentre un saggio capisce l'importanza dell'Atma. E' il ciabattino che pensa alla pelle. Ho riso perché, a questa riunione, il re ha invitato dei calzolai!"

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