Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

Riflessioni e note sulla Mandukya Upanisad

Teoria e dottrina.
Rispondi
Avatar utente
cannaminor
Messaggi: 247
Iscritto il: 31/08/2016, 17:40

Riflessioni e note sulla Mandukya Upanisad

Messaggio da cannaminor » 06/11/2016, 9:53

Desideravo postare alcune riflessioni di Raphael tratte da alcune sue note esplicative della Mandukya Upanisad, un testo fondamentale dell'asparsa yoga così come enunciato e descritto nelle seguenti karika di Gaudapada e Shankara.

(IV , 2) Saluto quello yoga - insegnato dalle stesse Scritture - ben conosciuto come asparsa, libero da relazioni, benefico, generatore di beatitudine per tutti gli esseri, esente da opposizioni e contraddizioni.

(III , 39) Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da comprendere per molti yogi, perché essi, che sentono la paura (dell'annichilimento) laddove non esiste, ne hanno timore.

Le note sono state tratte dalla Mandukya Upanisad edite dalle edizioni Asram Vidya, per la traduzione dal sanscrito e note di Raphael; Il numero tra parentesi tonde prima delle note fa riferimento alla pagina ove la nota si colloca. Mi sono permesso talvolta un'ulteriore commento sottolineando alcune specifiche frasi e cercando di darne una interpretazione, ovviamente del tutto personale, riportata tra parentesi quadre.

(20-21) Se la metafisica è ricerca dell'Assoluto e della Realtà senza secondo, allora non può essere schematizzata, concettualizzata o fatta rientrare in certi quadri mentali individuali. L'Assoluto, o la Realtà suprema, non può essere circoscritto, rappresentato o portato sul piano di un relativismo empirico, né può costituire proprietà esclusiva di un individuo o di un popolo.
Per la realizzazione metafisica, senza, dubbio, necessitano certe qualificazioni - prima fra tutte, quelle che richiede una mente capace di sintesi e di comprendere l'atemporale. Gran parte degli individui è aggiogata al tempo-spazio-causalità e, invero, è difficile uscirne fuori, ma se si vuole realizzare la conoscenza metafisica occorre volare, bisogna portarsi al di là del tempo e dello spazio, al di là del contingente, dell'individuale e del generale; occorre, in altri termini, saper rimanere senza sostegni. Da qui il nome asparsa che significa non-contatto, privo di relazione, di rapporto e di sostegno. Da qui, altresì, la giusta attenzione che bisogna accordargli, avendo noi di fronte un tipo particolare e speciale di conoscenza che non opera in modo conforme al conoscere discorsivo o empirico comunemente usato. Essa costituisce la vera "Via del Fuoco" perché brucia al suo tocco ogni possibilità oggettivamente di maya e perché l'ente si svela e si dimostra nella sua autorisplendenza. Cogliere nell'immediatezza l'atemporalità significa non poggiare su alcuna pratica empirica yogica o esercizio psicofisico, significa sprofondare di colpo nel Presente onnicomprensivo o onnipervadente.
La Realizzazione metafisica può essere attuata tramite quel particolare tipo di mente che si può chiamare mens informalis.

[Comincia a definirsi lo strumento dell'asparsin, la mens informalis, ovvero una una mente capace di sintesi e di comprendere l'atemporale]

(22) Gaudapada, alla via che porta all'Assoluto, all'Uno-senza-secondo, al Brahman nirguna, senza alcuna eccezione, dà il nome di yoga, intendendolo nell'accezione di "metodo", modalità operativa per eliminare gli ostacoli che impediscono alla Verità di svelarsi.

[asparsa yoga ossia un metodo, una modalità operativa, quindi collocata nel divenire, per eliminare gli ostacoli che impediscono alla verità-realtà di svelarsi. "Il vento ammassa le nuvole e lo stesso vento le disperde; così la mente immagina la schiavitù, ma immagina anche la liberazione" Vivekacudamani sutra 172]

(23-24) La difficoltà di cogliere l'assolutezza è grande perché non è con la mente, la quale opera nel dominio del soggetto-oggetto, che si può comprendere la non-dualità assoluta. Vani sono gli sforzi di colui che tende a porre l'Assoluto come semplice oggetto di rappresentazione mentale. Si può dire che questo yoga, per essere veramente compreso, impone necessariamente e senza equivoci un approccio d'identità. In altri termini, essendo uno yoga senza rapporto, è, ovviamente e soprattutto, uno yoga senza sostegni. Così si esige un porsi immediato nel Sè, senza appoggiarsi né ad oggetti esterni né a qualificazioni della stessa individualità come il sentire, il volere o il conoscere empirico. Gli altri tipi di yoga richiedono necessariamente un'aspirazione, uno slancio verticale, un impulso che parta sempre dall'individualità in quanto effetto, e si diriga verso la sua trascendenza; abbisognano, quindi, del desiderio.
Nel sentiero metafisico puro non è più il desiderio a determinare, ma è la consapevolezza stessa di "trovarsi", di Essere. Il discepolo non è spinto, è trattenuto; si può dire, necessitato non all'acquisizione di qualcosa di inferiore o superiore, ma alla risoluzione di ogni istanza mayahica, compresa quella dell'Unione comunemente intesa. Il discepolo dell'asparsa yoga s'interiorizza e comprende l'Assoluto, che si dispiega in tutta la sua maestà, nel segreto alveolo del proprio cuore.

[Non è spinto, o sospinto ma trattenuto. Vuol dire al mio sentire che la direzione non è verso l'estroversione, quindi verso l'oggetto di qualunque grado e natura esso sia, ma verso l'introversione, verso il centro, verso la sorgente. In questo già si possono notare i primi accostamenti, per come almeno li leggo, all' Atma-Vichara di Ramana]

(25) Il sentiero metafisico si pone sul piano dell'intelligenza informale per cui la sfera emozionale ne è completamente esclusa. Questo tipo di yoga è quello del puro intuire le cose o le apparenze, va al di là di ogni fenomenologia, di ogni ragione comune, di ogni tipo di religione, di morale sociale mutevole e di esperienze sensoriali, essendo tutte queste cose frutto di un conoscibile mediato. Le verità metafisiche non possono trovare schemi, concetti o costrutti mentali analitici, poiché trascendono ogni esperienza fisica. D'altra parte, meditare ciò che non risponde ad un dato sensoriale-formale non è facile; la mente sensoriale ha necessità di concepire ogni realtà in relazione ad una forma, un'immagine, e il più delle volte la stessa immagine imprigiona il pensatore che, invece, dovrebbe essere sempre indipendente. Il sentiero metafisico presenta delle difficoltà poiché si deve abbandonare il normale e usuale processo pensativo e spostarsi su condizioni di comprensione adimensionale, aformale inusitate. Richiede, ovviamente, un abbandono dell'inconscio personale e collettivo.

[Puro intuire, mens informalis, capacità di sintesi, di comprensione...termini che vanno di volta in volta ricorrendo]

(26) All'asparsa yoga non si arriva per disciplina autoimposta né per fede né per devozione né per qualunque azione mossa dall'espressione individuale-sensoriale, ma per un'autoconsapevolezza interiore profonda, per cui ogni moto estrovertito energetico tende ad esaurirsi, rendendosi lo spirito completamente affrancato. Una volta che il Punto indiviso è raggiunto, la nozione di movimento traslatorio non esiste più; lo spirito, eliminando la forma o spegnendosi il riflesso, rientra nella sua essenza, priva di causa, tempo e spazio.

(196-197) Se dunque, si domanda l'Asparsa-advaita, l'universo fenomenico non costituisce la "costante", allora che cosa si sta percependo e che cosa esso rappresenta di fronte alla Realtà ultima? Fenomeno, per l'asparsa, è sinonimo di apparenza (non di illusione-niente) dietro cui soggiace la Realtà-costante e a cui vanno ricollegati tutti i vari sistemi di coordinate esistenziali. Fenomeno è, ancora per l'asparsa, sinonimo di "movimento conformato apparente"; apparente, naturalmente, dal punto di vista della Costante.

[Fondamentale all'asparsa, e non solo, anche all'jnana yoga, è avere chiaro, comprendere cosa sia il fenomeno...]

(197-198) Occorre distinguere due posizioni di coscienza che apparentemente potrebbero sembrare identiche; l'una è riferita al samadhi yogico, comunemente inteso, e l'altra alla mente-coscienza dell'asparsin.
Molti yogi tentano di raggiungere, tramite particolari esercizi fisici o psichici, il prajna-samadhi, facendo sgusciare la loro coscienza fuori dei veicoli grossolano e sottile stabilizzandosi in prajna o nel proprio stato germinale-noumenico. Questo tipo di samadhi, per quanto elevato, non risolve completamente il problema della liberazione integrale perché non avendo, appunto, bruciato i ceppi della stessa ignoranza che dimorano proprio in prajna, questi yogi sono costretti a ritornare sul piano sottile e grossolano esperimentando la dualità-conflitto; in altri termini, attuano solo una fuga dal mondo duale percettivo, senza risolvere il problema dell'avidya.
Si può ancora dire che alcuni yogi inibiscono soltanto le loro vrtti mentali, senza trascendere lo stato subconscio, al contrario dell'asparsin, che, com'è stato detto, tramite il discernimento superconscio perviene alla Realtà, realizzandosi, quindi, Realtà senza secondo.

[il prajna-samadhi per come descritto è esattamente lo stesso da cui mette in guardia Ramana parlando di manolaya e yoga-nidra.

(198) Il sonno profondo o torpore (nidra) è la radice dell'avidya, per cui lo stato conseguente di sogno (svapna) è caratterizzato dalla conoscenza erronea degli oggetti. Brahman è al di là sia di svapna che di nidra perché è al di là di ogni causalità. Come si è già visto, realizzando il samadhi sul piano del sonno profondo o prajna, si è di fronte all'avidya, anzi si è sul piano in cui essa nasce.

(199) Il samadhi dell'asparsin avviene quando questi crea l'Identità con Brahman-nirguna. Quando egli risolve la triplicità: soggetto conoscente, conoscenza e oggetto conosciuto nell'Unità onnipervadente, allora si trova nel vero samadhi, il quale è conoscenza di identità. Per l'asparsin conoscere è essere. Ciò implica che lo studio, la comprensione e l'assimilazione di questo testo upanishadico portano al più alto samadhi che si conosca: quello nirvikalpa o nirguna.

[conoscere è essere, ovvero la conoscenza deve farsi coscienza, identità.]

(199) Gaudapada ha dato a questo suo insegnamento il nome di yoga inteso nel senso di semplice sadhana, di procedimento basato sul discernimento intuitivo della verità.
L'asparsa yoga, inoltre, occorre ricordarlo, non costituisce un insegnamento extra tradizionale o individualista, esso è l'essenza delle Upanisad e della Mandukya in particolare. La più alta realizzazione upanishadica è di ordine asparsa perché svela il Brahman nirguna senza attributi, incausato, senza sostegno o contatto. Nessuna disciplina di ordine empirico-relativo potrà mai svelare l'assoluto Brahman perché l'Assoluto, come già si è detto, non può rappresentare il culmine di uno sforzo, di esercizi, di formule meccaniche, di riti, e così via, per quanto questi mezzi abbiano il loro valore a certi livelli della sadhana. Così ogni realtà empirica non evolve verso l'Assoluto perché, diversamente, questo rimarebbe determinato e condizionato da quella. Brahman si svela nell'autocomprensione, nella stessa consapevolezza di essere, nel riconoscimento immediato della realtà che siamo noi stessi, nella soluzione di ogni realtà empirica.

I vari tipi di yoga classici possono portare a grandi mete spirituali e a profondi samadhi, ma si fermano nell'infra-universale, nell'infranaturale, duale o principale; l'asparsa yoga, invece, vola verso le cime incontaminate dell'assoluto Brahman nirguna privo di qualunque relazione, contatto e sostegno. Brahman è uno-senza-secondo perché la realtà non può non essere una e incondizionata, e tutte le espressioni empiriche non sono altro che aspetti vari dell'illusione-maya. L'asparsa yoga sostiene che le verità empiriche non evolvono verso qualche cosa, ma, invece, spariscono come per incanto allo sbocciare della conoscenza dell'atman. Così, la sadhana di questo yoga può consistere solo in quello che si può definire risveglio. Questa Upanisad, infatti, cerca di risvegliare la coscienza del dormiente.
Che pochi siano adatti a questo tipo di yoga, in cui vengono a mancare tutti i sostegni, non v'è dubbio, ma è anche vero che le più alte vette realizzative dell'essere implicano ardire, doti eccezionali, fermezza, umiltà e sete di conoscenza: caratteristiche alquanto rare nell'individuo comune, oberato da preconcetti di ogni tipo e da appoggi compensativi consci e inconsci.

[sete di conoscenza che è condivisa con l'jnana yoga o yoga della conoscenza. Dal glossario sanscrito alla voce jnanayoga si legge: Lo "yoga della conoscenza". I suoi postulati sono: la discriminazione (viveka) e il distacco (vairagya). La reintegrazione (Yoga) nell'Assoluto operata attraverso la Conoscenza-Consapevolezza. Via metafisica pura.]

(201) Ogni movimento psichico contiene il germe del non compiuto. Se si vuole superare il divenire psichico ad ogni livello esistenziale, divenire caratterizzato dalla dualità e quindi dalla distinzione, occorre comprendere che andando non si arriva mai, per cui la compiutezza può svelarsi quando il jiva sognante si ferma e si risolve. Ogni desiderio è un atto di non-compiutezza, e il desiderio si trascende con la sua cessazione.

[il desiderio è sinonimo di movimento, di incompiutezza; il movimento stesso è generato dall'incompiutezza, dallo squilibrio che manifesta colui che desidera, così come per camminare occorre sbilanciare il corpo di volta in volta ad ogni passo che si fa. Un corpo in equilibrio sta fermo.]

(202) Ogni disciplina che implichi rapporto, contatto e unione è caratterizzata dalla dualità, e la dualità, una volta ammessa, non può essere risolta con nessuna pratica yogica empirica perché ogni tipo di azione parte da un presupposto sbagliato; ciò che occorre, invece, è rimuovere proprio il presupposto.

[Perchè soltanto l'autoindagine dovrebbe essere considerata il mezzo diretto per l'jnana ?

Perchè ogni tipo di sadhana, eccetto quella dell'atma-vichara (autoindagine), quale strumento per portare avanti la sadhana, presuppone il trattenere la mente e, senza la mente, i vari tipi di sentiero non possono essere praticati. L'ego può assumere forme differenti e più sottili in differenti stadi della propria pratica, ma non viene mai distrutto.

Tratto da "Sii ciò che sei" a cura di David Godman, pag 67]

(267) Gaudapada, spingendosi sulle più alte vette della realizzazione, ha visto che la verità ultima non può né nascere né morire, e, con l'aiuto del Principio-Narayana, ha potuto svelare agli uomini l'asparsa, lo yoga senza contatto o relazione, lo yoga metafisico puro. Esso supera tutti i tipi di yoga classici; non si serve di posizioni o di esercizi meccanici di qualsivoglia natura, né di acquisizioni samadhiche che rientrano nell'infranaturale, ma usa come mezzo di approccio il "discernimento intuitivo diretto", la ragion pura, che è di ordine sovrasensoriale; in altri termini, scavalca di colpo ogni strumentalità indiretta e mediata dall'individualità.

[la domanda che può legittimamente sorgere è: ma di questo discernimento intuitivo diretto, di questa ragion pura di questa mens informalis ne godono tutti, ed in egual misura, oppure è esclusiva di pochi ? E a detta di chi poi la valutazione e\o il grado di tale "qualifica", visto che in ultimo di qualifica si tratta. Così come solo un maestro può riconoscere un maestro sarei tentato a pensare che parimenti tale qualifica possa essere valutata da chi a sua volta la possieda in pieno e stabilmente. E quindi verrebbe da chiedersi come fa allora l'aspirante a sapere se gode di questa qualifica oppure no, quel tanto da poterla utilmente utilizzare, se non ha accesso a chi possa valutarlo e sincerarlo in merito ? È forse richiesta e necessaria la presenza di un maestro in tal caso, oppure può sussitere il "fai da te" ? e nel secondo caso con quali rischi; domande aperte ?]

(269) Poiché l'assoluto Brahman è al di là di ogni relazione, di ogni dualità, di ogni conoscenza distintiva, ecc., Gaudapada addita un tipo di yoga che ha la stessa natura del Brahman. Se noi siamo Brahman, allora per cadere in Quello dobbiamo abbandonare tutti i possibili sostegni o le relazioni che ci siamo creati. Ogni appoggio terreno o celeste non costituisce altro che realizzazione nell'infranaturale. Si realizza l'asparsa-yoga quando il soggetto, l'oggetto e la stessa conoscenza si risolvono nell'unità metafisica.

(269) Questo tipo di yoga è per coloro che vogliono pervenire alla soluzione integrale del loro problema. Esso non concede alcuna debolezza, non offre alcun godimento terreno o celeste perché, appunto, qualunque godimento rimane sempre nell'ambito temporale, quindi impermanente.

(282) Le argomentazioni di Gaudapada e Samkara sono rivolte più a dimostrare ciò che non è che ciò che è la Realtà suprema perché il voler parlare della Realtà significa non aver compreso. <<Il Tao che può dirsi Tao non è l'eterno Tao; il nome che può essere nominato non è l'eterno nome>>(Tao Te Ching: 1).

(284-285) L'asparsa-yoga sostiene l'Uno-senza-secondo e questa realtà ultima è al di là dell'uno matematico stesso perché l'uno implica anche i molti; l'uno è termine di relazione, è l'inizio o l'origine della serie, ma l'Uno-senza-secondo o Turiya non ha alcuna origine né alcuna fine. Sotto questa prospettiva l'asparsa non è né di ordine religioso né teologico né filosofico, con l'accezione che si dà in Occidente a questa parola. L'asparsa, si è già detto, è metafisica pura e la realizzazione che ne consegue appartiene a quest'ordine; è bene ripeterlo perché riveste estrema importanza. Gli individui, in genere, si accostano alla verità sotto il profilo religioso-ritualistico, ontologico-teistico e filosofico concettuale; l'asparsa va al di là di tutti questi approcci, va al di là anche di tutti i tipi di yoga classici che si appoggiano all'azione, al sentimento e alla volontà, cioè su aspetti infraindividuali. Per questo tipo di yoga occorre una mens informalis, la sola che possa svelare la suprema Realtà metafisica.

(289) Per l'asparsin ogni desiderio viene meno, non perché esso venga inibito, ma perché riconosce consapevolmente che ogni dato è un semplice apparire e scomparire.
L'asparsin, in fondo, non rinuncia alle cose del mondo perché - dal punto di vista della verità ultima, ed è quella che solo conta per l'asparsin - queste cose... non sono. La posizione coscienziale del samnyasin-asparsin non è la rinuncia come comunemente s'intende poiché questo termine presuppone un qualcosa a cui si deve rinunciare. Si può invece dire che l'atteggiamento dei dualisti è vera rinuncia, abbandono, è distacco dalle cose del mondo e dal mondo perché per loro i dati oggettivi sono reali, ma per l'asparsin non v'è alcuna rinuncia, fuga o distacco da attuare: il mondo, con le sue espressioni vitali, non è altro che lo stesso Brahman e quando si realizza il Brahman non ci sono più cose da cui distaccarsi, esse sono sparite.

[il neti-neti per come inteso nella pratica jnana e asparsa non è negazione, come potrebbe derivare dalla stretta accezione di non-questo non-questo, ma consapevole riconoscimento di ciò che non è. Il serpente, e per serpente ovviamente alludo a qualsiasi possibile sovrapposizione, nel momento in cui viene riconosciuto essere un'apparenza, e questo ad opera del discernimento intuitivo etc etc, non viene negato inquanto serpente, ma inquanto Realtà, perchè appunto ne viene riconosciuta l'apparenza. Cioè il neti-neti non nega il relativo, l'apparente, il fenomenico, nega lo status di reale del relativo, fenomenico, apparente, e lo nega proprio perchè ne riconosce nella consapevolezza essere appunto fenomeno, relativo, apparente quindi non il "nulla" o un'illusione (secondo il senso che attualmente si dà a questo termine, ossia di "corna di lepre" o "figlio di una donna sterile"), ma un "grado di realtà", un "modo d'essere" della realtà, una sovrapposizione appunto.]

(291) Colui che segue l'asparsa non ha bisogno, come avviene per altri tipi di yoga, di praticare certe virtù o dominare aspetti psichici qualitativi per evitare che la forza egoica prenda il sopravvento. L'asparsin raggiunge ogni tipo di virtù con la comprensione illuminante che la molteplicità universale non è altro che maya imprigionante . Poggiando su se stesso in quanto atman, egli scopre che tutto è Brahman, quindi unità, e non vi può essere superbia, invidia, acquisizione, senso di potere materiale, psichico o altro attributo dell'individualità perché tutte queste qualità implicano dualità, quindi incompiutezza. Chi è privo di desiderio, nella sua indefinita espressione, ha raggiunto il Centro e questo rappresenta l'alfa e l'omega di ogni cosa. Per chi riposa in se stesso, con se stesso e per se stesso - in quanto Brahman - non c'è più il minimo impulso ad appetire e afferrare.

[il discernimento intuitivo, pura ragione, mens informalis etc comporta, nel suo elevarsi, una maggiore comprensione, un ampliarsi della visione, così come salendo il monte la vista spazia sempre più in là.
In un certo senso questa maggiore comprensione, questo ampliamento di visione comporta il distacco, vairagya, non fosse altro perchè gli eventi, come dalla cima di un monte si vedono sempre più distanti. Il distacco per come inteso nell'jnana e credo anche nell'asparsa è il semplice risultato della consapevolezza, del realizzare che ciò che prima credavamo (identificazione nel serpente) reale, reale non è ma solo apparente, e l'apparenza è già di suo esercizio di distacco, perchè in ciò che riconosco alla mia consapevolezza essere apparente, fenomeno, relativo come posso più caricarci sopra (sostegno) identificazione di me ? Il serpente che riconosco essere un'apparenza non potrà mai più farsi carico della mia paura, non potrò mai più identificarmi nella paura che prima provavo di lui. Il terrore, i sentimenti, tutta la maya che comporta il sogno, al risveglio, pur serbandone memoria e potendola quindi descrivere, non potrà più coinvolgerci in identificazione di quella che credavamo essere la realtà. Nel momento che riconosciamo essere stato un sogno, quindi al risveglio, l'identificazione vissuta nel sogno cade di suo, senza alcuno sforzo, e quindi nella condizione di veglia possiamo dire di essere "distaccati" dal sogno e relative identificazioni vissute nel sogno. Possiamo altresì dire che nella condizione di veglia abbiamo "compreso" il sogno appena fatto, ossia l'abbiamo incluso nella nostra consapevolezza di veglia, riconoscendone appunto l'apparenza e relativa fenomenicità. La comprensione è identità, perchè il compreso non è più altro da colui che comprende, ma un tutt'uno. Mentre nell'identificazione le due parti restano appunto distinte seppur identificate, tant'è che dico "io mi identifico in qualcosa-qualcuno, ma l'io resta così come il qualcosa-qualcuno, nel comprendere e comprensione c'è identità di colui che comprende e del compreso, tant'è che le due non si possono più distingure una volta comprese, ma sono un tutt'uno. Parimenti il "distacco" sebbene il termine sembri indicare una distanza, in effetti il distacco passa per ciò che si è compreso, per ciò che vivo equanimamente, e di cui solo posso dire sia vissuto con distacco, inquanto equanime, indifferente, "divinamente indifferente", inquanto uno con me, e non altro da me e per giunta distante. Cioè non è l'alterità e la distanza a promuovere il distacco-equanimità, ma la vicinanza, la coincidenza, l'identità stessa che è motivo di equanimità inquanto ha annullato la distanza che serve al jiva per "identificarsi".]

(292) La sadhana dell'asparsa consiste, dunque, nel considerare gli oggetti grossolani (Virat), sottili, quindi superfisici (Hiranyagarbha), germinali o noumenici (Isvara) come appartenenti al dominio della relazione, della dualità, del rapporto e del contatto; ciò implica, dalla prospettiva metafisica, che essi riguardano la sfera della non realtà. La realtà per chiamarsi tale deve, naturalmente, essere non-duale, non relazionata, non rapportata; in altri termini, deve essere asparsa.

(292) Tutte le esperienze e tutte le forme, di qualunque ordine e grado, sono incluse nei tre stati per cui l'asparsa fa una disamina di tali esperienze per vedere se rispondono alla Realtà assoluta. E' il metodo vicara. Da un punto di vista intuitivo, razionale e sperimentale l'asparsa afferma che tutte queste sperimentazioni sono frammentarie, relazionate, quindi conflittuali. Così, arriva a trascenderle e a svelare la Realtà suprema non-duale, fondamento di ogni essere e non essere, di ogni chiaro-scuro e possibile polarità.

[Vicara: dal glossario sanscrito Asram Vidya; discernimento, facoltà di giusto discernimento. Investigazione spirituale. Ricerca discriminante.

Tutti e tre gli stati sono oggetto di vicara, discernimento intuitivo, e lo sono e lo possono essere perchè ne siamo coscienti, coscienti dello stato di veglia, di sogno, e di persino del sonno senza sogni. Quella coscienza che ci permette di dire ero cosciente di veglia-sogno-sonno, è la stessa che non viene mai meno, è la stessa che discerne, è la stessa di cui qualcuno disse: posso dubitare di tutto ma non di chi dubita.]

cielo
Messaggi: 897
Iscritto il: 01/10/2016, 20:34

Riflessioni e note sulla Mandukya Upanisad_2

Messaggio da cielo » 31/01/2021, 12:22

La Mandukyaupaniṣad, mostra che l''asparsa yoga è come la lama di un affilato rasoio, difficile da percorrere.

E' l'impervio cammino che chiede di concentrarsi su quello che è oltre la percezione sensoriale, oltre l'immaginazione della mente, di accettare che si va verso la morte dell''io sperimentatore della molteplicità, quell'io separato, aggrappato alla maschera indossata e che vuole disperatamente sopravvivere cibandosi di illusioni e di credenze-opinioni-filosofie-dottrine che diano concretezza all'incosistenza del personaggio che vive solo in funzione del copione.

Un ente attore che sta recitando una delle tante parti sul grande palcoscenico del teatro cosmico vivente, identificato fino al midollo nella parte, dimenticandosi che si tratta solo di una commedia tragicomica a lieto fine (diceva Raphael).

Così, sull'orlo dell'Abisso, il ricercatore si avvia a realizzare la realtà di sè stesso senza più alcun sostegno (la conoscenza eruditiva, le gerarchie, la scala dei valori e tutte le differenziazioni contingenti), si sveglia da quello che non è.

Per destarsi viene detto che occorre trascendere il punto di vista della verità relativa spazio-temporale e liberarsi dalle modificazioni mentali condizionanti che rafforzano il grado di identificazione con la maya-illusione-ignoranza.
Siamo completamente soli in questo risveglio a ciò che siamo, e non possiamo essere null'altro di ciò che siamo.

Anche se gli sloka della Mandukya, così evidenti, profondi e anche semplici, ci "convincono" dell'Unità del tutto, la convinzione non basterà a risvegliarci, occorrerà camminare sulla lama finchè la sentiremo tagliente sotto i piedi, e realizzare concretamente queste "verità".

Nel frattempo, si propongono ulteriori sutra della Mandukyaupaniṣad accompagnati dai relativi commenti e note di Raphael.
I brani sono stati selezionati da Cannaminor e quindi non sono riportati per intero, è stato segnalata comunque la pagina e il testo di riferimento nel caso si volesse approfondire.

I testi da cui sono stati tratti sutra, note e commenti sono i seguenti:

1) Oltre la danza di Siva (La Mandukyakarika di Gaudapada commentata da Raphael) abbreviata in ODS

2) Mandukya Upanisad (con le Karika di Gaudapada ed il commento di Sankara) abbreviata in MU.


Immagine

Il sogno microcosmico e quello macrocosmico sono soggetti al tempo, il quale è maya.

Una stella appare, cresce e scompare, come appare, cresce e scompare ogni ideazione formale del jiva individuale.

Se poi il sogno-oggetto individuale dura per il tempo x, e quello universale per il tempo z,

ciò ha poca importanza.



Vaitathya Prakarana (Capitolo II)

11. Se tutti gli oggetti percepiti nei due stati (veglia e sogno) sono non reali, chi, dunque, conosce questi oggetti? Chi è il loro creatore?

12. L'atman autorisplendente, con il potere della sua propria maya, appare oggetto. Il Sé solo è il supporto della conoscenza degli oggetti; tal è la conclusione del Vedanta.

13. Quando la mente, sorretta dal Signore (atman), si dirige verso l'esterno, immagina la molteplicità degli oggetti (quale il suono, ecc.) i quali si trovano già dentro di essa (sotto forma di vasana o samkalpa). Quando si dirige verso l'interno immagina in se stessa diverse idee (in quanto oggetti interni).

(ODS pag 59) Se gli oggetti percepiti nei due mondi (veglia e sogno, o visva e taijasa) non sono reali assoluti - essi infatti nascono e periscono - chi è il loro creatore e chi il soggetto percipiente?
Il creatore degli oggetti, come lo stesso percettore, è il jivatman. Il supporto di questa polarità, dualità soggetto-oggetto, è l'atman. Questi è la fonte o la radice del tutto, senza di esso nessuna cosa potrebbe esistere, né allo stato causale né sottile né grossolano.
Il primo sutra del Drgdrsyaviveka dice: "Una forma-oggetto viene percepita, ma è l'occhio che percepisce. Quest'ultimo è percepito dalla mente la quale diviene soggetto percipiente. Infine, la mente, con le sue modificazioni, è percepita dal Pensatore-spettatore il quale non può essere oggetto di percezione".
Ora si può comprendere come l'oggetto e il soggetto sono percepiti da un Testimone ultimo che, appunto, è dietro questa antinomia. In altri termini, si può parlare di dualità perché dietro ad essa vi è un ente che l'asserisce. Ogni dualità implica un terzo fattore che ne rappresenta la sintesi e la conclusione.
L'atman, dunque, irradia un raggio di coscienza che rappresenta il jiva (si veda karika 16) e, a sua volta, il jiva, sospinto dalle vasana, proietta la molteplicità degli oggetti allo stato di taijasa e di visva col suo veicolo di espressione manasico.

14. Gli oggetti che sono percepiti come interni durante il tempo in cui perdura il pensiero e gli altri percepiti dai sensi all'esterno e che si riferiscono a due punti della durata, non sono che delle modificazioni mentali; non vi è altro fattore che permetta di differenziarli.

15. (Tanto) gli oggetti che esistono all'interno della mente (in quanto soggettivi) e che vengono designati come non visibili oggettivamente, quanto quelli che esistono all'esterno visibili oggettivamente, non sono altro che semplici rappresentazioni mentali; l'unica differenza proviene dai differenti organi sensori.

16. Sono immaginati dapprima il jiva e, in seguito, i differenti oggetti interni ed esterni. Dalle impressioni suscitate dalla memoria, (il jiva) ottiene la corrispondente conoscenza.

(ODS pag 61) Gli oggetti esterni - stato di virat - sono proiezioni del jiva individuale? No Sono proiezioni di Isvara, cioè del jiva universale. Un dato oggettivo, o soggettivo, non è altro che un'idea del pensatore individuale o universale. Un vaso è solo un'idea-immagine che un demiurgo ha reso oggettiva-grossolana sul piano di visva o virat oppure soggettiva, meglio sottile, sul piano di taijasa o hiranyagarbha.
L'universo è una proiezione del Mahat (Grande mente) a gradi diversi di condensazione (causale, sottile e grossolano). Ma la mente è solo uno strumento creativo, formativo, immaginativo.

(MU pag 126) Nello stato di veglia si hanno dati soggettivi e oggettivi, quelli soggettivi non vengono considerati reali perché appunto peculiari allo stato d'animo del solo percipiente (dati particolari), mentre quelli oggettivi vengono considerati reali perché percepiti da tutti (dati generali). In fondo, ciò si verifica anche nella condizione di sogno: una moltitudine di persone vede la stessa montagna o lo stesso elefante, ecc.
La differenza, comunque, è questa: nello stato di sogno il soggetto-oggetto viene proiettato dal jiva individuale, mentre nello stato di veglia il soggetto-oggetto viene proiettato dal Jiva Principale (Isvara, coscienza o mente universale); ma quando il jiva individuale si risolve nel Jiva universale comprende che il soggetto-oggetto universale è ugualmente interno alla sua coscienza, quindi, non distinto dalla mente universale.
Le idee di soggetto-oggetto, di dentro-fuori, di sopra-sotto, di veglia-sogno-sonno profondo, ecc. sono modificazioni del pensiero empirico; esse non sono altro che concetti distintivi utili alla comprensione per la mente individuata.

(MU pag 127-128) L'atman, tramite la maya, appare jiva sperimentatore, il quale immagina la differenziazione.
Si ha così:

Atman: maya ---->(che si polarizzza in..) jiva = soggetto e universo = oggetto

Il jiva non è altro, dunque, che un momento-riflesso fenomenico mayahico, è l'agente sperimentatore, il soggetto dell'esperienza; è un raggio di luce che prende diverse colorazioni a seconda della sua direzione immaginativa. Altresì, il jiva di sogno non è che un movimento della mente, la quale è la sola ad essere reale-assoluta (in relazione a quel jiva), perché il jiva sognante (soggetto) e l'universo di sogno (oggetto ) appaiono e scompaiono. anche qui si può avere:

Essere: sonno-maya (che si polarizza in..) jiva di sogno = soggetto e Universo di sogno = oggetto

Ma il soggetto e l'oggetto sono movimento apparente, immagini, come quelle del cinema proiettate su una tela. Il disconoscimento del soggetto-jiva, quale riflesso dell'atman, avviene sempre per opera della maya; il jiva, così, pensa di essere quello che in effetti non è, immaginando reale anche l'oggetto che ha di fronte. Per il Vedanta l'io e il non-io sono entrambi non reali, sono dati inventati dalla mente sognante che non comprende il suo stesso moto. Con questa prospettiva esso non è solipsista. C'è da considerare che queste spiegazioni sono date dal punto di vista empirico. Dal punto di vista dell'atman non esiste alcun jiva.

Gli oggetti di sogno, che sono pensieri formali, esistono fino a quando la mente è in funzione, mentre gli oggetti esterni esistono anche se la mente cessa di pensare-immaginare. Ci si può anche esprimere in questo modo: la durata temporale degli oggetti interni è relativa solo alla proiezione immaginativa del soggetto mentre quelli esterni hanno una durata maggiore della percezione individuale. In altri termini, si vuole affermare la realtà o meno di un dato prendendo in considerazione la semplice temporalità.
Ma per l'advaita-asparsa il tempo è esso stesso maya, è relativo alla condizione coscienziale dell'ente percettivo.

Nel campo delle coordinate del sogno un attimo è visto, sotto la prospettiva di veglia, come un lungo periodo di tempo; molti avvenimenti che, nella condizione di veglia, richiederebbero per la loro realizzazione un tempo abbastanza lungo, si svolgono, invece, in modo subitaneo nello stato di sogno.
Si può dire che il tempo del jiva notturno individuale è rapportato al suo particolare stato coscienziale e al suo sistema di coordinate, mentre il tempo del Jiva universale (Isvara) è rapportato al suo stato coscienziale.
Da ciò ne consegue che il sogno microcosmico e quello macrocosmico sono soggetti al tempo, il quale è maya. Una stella appare, cresce e scompare, come appare, cresce e scompare ogni ideazione formale del jiva individuale. Se poi il sogno-oggetto individuale dura per il tempo x e quello universale per il tempo z ciò ha poca importanza.

Rispondi