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IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Teoria e dottrina.
latriplice
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IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 28/01/2024, 16:33

IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

I realizzati non seguono una particolare via. Semplicemente rinunciano alla dualità cessando di immaginarsi le cose. Per loro, la liberazione viene così ottenuta facilmente.
Sri Dattatreya (Avadhuta Gita; 2.28)

Le cose sono riferite ai “sostantivi” di nome e forma che la mente idealizza nei due termini del soggetto e dell’oggetto nel tentativo di rappresentarsi in un contesto duale l’esperienza unitaria del “verbo”, la totalità dell’energia con le sue molteplici espressioni vibratorie. Se la modalità espressiva manifestata dal verbo è l’osservare (o testimoniare, percepire, pensare, immaginare ecc.), l’idealizzazione proiettata conduce ad una percezione separata e distinta sostanziata dalla presenza immaginaria dell’osservatore e dell’osservato che sovrapponendosi all’esperienza effettiva dell’osservare, producono una visione frammentata e distorta della realtà, traducibile per il suo carattere illusorio in maya.

La descrizione di questo processo come evidenziato dalla Meta Upanishad, della mente che si polarizza nei due termini di soggetto-oggetto e l'eventuale conflitto che da questa interazione può nascere, avviene spontaneamente. Questo moto proiettivo apparente è alla base di ciò che si definisce comunemente come coscienza poiché permette l'esperienza del conoscere. Inizialmente viene a stabilirsi questo rapporto duale a livello di rappresentazioni mentali tra l'osservatore e l'osservato, in seguito assistiamo ad una inversione dei termini in cui l'osservatore si identifica con l'osservato.

La funzione della mente è essenzialmente quella di separare ed opporre, l'anatomia del problema stesso. Si è portati a pensare che la mente sia formata da pensieri ed immagini, ma una definizione più accurata concepisce la mente come una tendenza (vasana), che si traduce in un automatismo dettato dall’abitudine, a separare ed opporre laddove c'è soltanto l'Unità.

I confini tra spirito e materia realmente non esistono; se si assumesse radicalmente il concetto di energia vibrante come parametro unitario del nostro modus pensandi si potrebbero superare le nette e antitetiche contrapposizioni tra spirito invisibile e imponderabile e materia pesante e tangibile. La concezione dell'Essere come energia con i suoi molteplici livelli vibratori può assai meglio spiegare la natura del mondo che ci circonda e del nostro stesso essere profondo.

Hai provato ad osservare il passerotto sul davanzale restando consapevole della tendenza della mente di separare l'evento dell'osservazione in soggetto ed oggetto distinti ed in opposizione? Nell'essere consapevoli non si intende un fare, uno sforzo che impedisca che questo accada. La tendenza proiettiva della mente, che è la mente stessa, sorge spontaneamente ed il semplice fatto di essere presenti e consapevoli di tale movimento la indebolisce fino a dissolverla e ciò che resta è l'incanto dell'unione: il tu che fa l'esperienza cessa di assillarti e scompare, e scopri di essere l'esperienza stessa della visione. Ed è in questo contesto che le distanze si annullano e le distinzioni cessano e si realizza che è già tutto lì come da sempre, e che non ha senso parlare di qualcuno che ottiene qualcosa. Non esiste, non è mai esistito e mai esisterà un individuo illuminato perché è una contraddizione in termini. L'illuminazione o la realizzazione è l'assenza di me in quanto individuo separato e distinto. Che cos'è la mente in fondo, se non una “tendenza” spontanea di scindersi in soggetto ed oggetto in contrapposizione, causa apparente del senso di separazione? È questo moto proiettivo che è alla base della modalità percettiva che ci rende coscienti in quanto testimoni, della presenza di oggetti, siano essi pensieri, emozioni, sensazioni o percezioni. Ora, se ci poniamo di fronte ad osservare un qualsiasi oggetto o persona restando consapevoli di tale movimento percettivo, “osserveremo” che questa relazione duale tra sperimentatore ed esperito (in questo caso l'oggetto della percezione) perde di consistenza fino a dissolversi, lasciando al suo posto l'esperienza stessa in assenza del concetto di separazione. Scopriamo, o meglio intuiamo (senza che vi sia qualcuno che intuisce) che nella trinità osservatore – osservare – osservato, soltanto l'osservare in sé è reale e che non c'è veramente alcuna entità a cui ricondurre la paternità di tale esperienza percettiva, se non nell'immaginazione. In assenza di una visione dualistica la percezione visiva a cui si faceva riferimento perde la sua connotazione caratteristica e si riassorbe nella Totalità dal quale apparentemente era emersa. È la visione del risvegliato come citato nella Bhagavad Gita:

“L'umile saggio, illuminato dalla vera conoscenza, vede con occhio equanime il brahmana nobile ed erudito, la mucca, l'elefante, il cane e il mangiatore di cani”.

L'allegoria di Adamo ed Eva che mangiarono il frutto dall'albero della conoscenza del bene e del male da cui scaturì il peccato originale e la cacciata dall'Eden, a parte il significato teologico che si attribuisce, indica chiaramente che aderire alla tendenza della mente di creare distinzioni è ciò che conduce al vivere separato e alla sofferenza che ne consegue.

La proiezione mentale che si esprime nella modalità soggetto-oggetto ha origine dal corpo causale in cui passiamo un terzo delle nostre vite, cioè dal sonno profondo, una condizione esistenziale universale che tutti indistintamente condividiamo. Nel momento stesso che sorge un pensiero, deve per forza essere presente la triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto, che ovviamente nel sonno profondo è assente ma flebilmente prende vita nello stato di sogno per poi consolidarsi nella veglia. Non è al pensiero in quanto fenomeno presente nella triade a cui si deve rivolgere l'attenzione, ma al sostrato stesso da cui ha origine la stessa triade. È la sostanza una ed indivisa (sat) presente nel sonno profondo che apparentemente si scinde e si manifesta nella triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto tipica del sogno e della veglia. Scopo dell’auto-indagine è quella di accedere coscientemente allo stato di ignoranza che contraddistingue il sonno profondo, il vegliare dormendo per intenderci, tale da trasformare codesta ignoranza in conoscenza privata dei due estremi conoscitore-conosciuto, che risulta in conoscenza d'identità.

Identità con cosa? Con la totalità vibratoria dell’Essere (sat). Non è ancora realizzazione, ma nella contemplazione di quella beatitudine (ananda) tipica del sonno profondo in cui la proiezione mentale è assente, donde non sorgono domande né risposte da dare, può baluginare per grazia divina l'intuizione di non essere solo l'“oggetto” della contemplazione ma anche il “soggetto” ultimo, la Consapevolezza (cit).


4. Io - il Non Manifesto - pervado l'intero universo. Tutte le creature risiedono in Me, ma Io non sono in esse.
Bhagavad Gita, capitolo IX

L’osservazione dei fenomeni che appaiono e sperimentiamo durante il sogno e la veglia in conseguenza all’apparente scissione dell’Essere uno ed indiviso presente nel sonno profondo che dà vita alla triade conoscitore-conoscenza-conosciuto, sono soltanto proiezioni della mente, mai la mente stessa. Sono pensieri, emozioni, sensazioni, e percezioni. Non la mente. Nonostante si dica che sia possibile osservare la mente con le sue inferenze, ed in virtù di questa osservazione discriminare l'osservatore dalla mente stessa, ciò non corrisponde al vero per il semplice fatto che quello che apparentemente sta accadendo è la mente che osserva sé stessa. È come scambiare l'effetto per la causa. Il Principio differenziatore, cioè la mente giace a monte, nel momento stesso nel quale avviene l'apparente scissione della sostanza vibratoria dell’Essere che dà vita a quella relazione duale del soggetto osservante e dell'oggetto osservato. L' uno appare due, e quest'ultimo è la mente.

Affermare che sia possibile osservare la mente e da questa emanciparsi è il gioco della mente che intrattiene sé stessa credendo reali le sue stesse proiezioni a tal punto da convincersi di dover da quest'ultime distaccarsene. È il cane che si morde la coda. Ridicolo se non tragico. Tragico nel senso che può impegnare una vita intera.

Ora la pratica consiste non nell'estroflettere l'attenzione sul dato di osservazione come vanno raccontando con partecipata immedesimazione nei circoli spirituali, alimentando così l'illusorio senso di separazione allontanandoti dalla tua vera essenza non duale, ma nell'introflettere l'attenzione e dirigerla alla sua sorgente nell'esatto punto in cui il Principio differenziatore si origina.

In tal senso la mente si può definire come attenzione focalizzata sugli oggetti che con la sua estroversione apparentemente crea, ed in virtù della loro interdipendenza, all'oggetto corrisponde sempre un soggetto il quale trae da questa relazione il proprio sostentamento. Nell'invertire il flusso dell'attenzione ponendolo sul soggetto invece, quest'ultimo perde vigore dal momento che l’associazione all'oggetto viene meno. In questo processo di riassorbimento dell'attenzione alla sua sorgente, l'oggetto svanisce dalla sfera coscienziale ed il soggetto recede fino a scomparire e la mente che si era “sostanziata” da questi due termini si dissolve. Ciò che rimane è il sostrato incontaminato dell’Essere uno ed indiviso su cui questa allucinazione proiettiva (rajas) e velante (tamas) dei due termini si era sovrapposto. Questo sostrato (sat) essendo a questo punto non più perturbato dalla presenza proiettiva della mente (satva), agisce come superficie riflettente della presenza radiante della consapevolezza (cit), e nella pura contemplazione (ananda) di tale riflesso si perviene alla reale visione di quello che giace al di là delle condizioni di veglia, sogno e sonno, in altre parole giungi finalmente a conoscere te stesso nella tua pienezza ed espressione realizzando il Brahman nella sua totalità trascendente ed immanente (sat cit ananda).

In sintesi, la tendenza abitudinaria (vasana) che agisce da corpo causale alla base della proiezione mentale avvertibile dalla presenza, a volte incessante, del chiacchiericcio interno è il seguente:

1) Ignori di essere l’impersonale, l’immutabile, l’illimitata e ordinaria Coscienza (Brahman) non nata, non agente e non duale, e a causa di questa ignoranza (tamas), immagini (rajas) di essere ciò che in realtà non sei.

2) La rappresentazione mentale derivante genera l’apparente alterità che ci sia qualcos’altro oltre a te, che sia universo, persona o cosa, inclusa la mente stessa.

3) Pertanto il credere (satva) al rapporto duale di soggetto-oggetto, tu e l’altro che questa proiezione mentale comporta, costituisce l'elemento fondante a sostegno dell'intero spettacolo a cui segue l'identificazione con l’oggetto proiettato e l'inevitabile comparsa dell'ego-sperimentatore sul palcoscenico della vita (jiva).


Il credere infatti, cioè prendere per vero il proprio immaginario, è quell'elemento che conferisce alla proiezione mentale realtà che è pertinente all'Essere, grazie al quale la dualità soggetto-oggetto si sostiene e si alimenta. L'Essere, il verbo in assenza di sostantivi è la verità, ciò che è e non può essere negato a differenza dei concetti sostenuti dall'opinione come per esempio l'esistenza di Dio, del karma o delle vite passate. Tutto quello che sappiamo con fermezza è che “sono” e che “so” di essere. Che io esisto, sono, e so di essere, che sono aspetti inscindibili dello stesso principio (Brahman), non possiamo assolutamente negarlo essendo l'unica certezza della nostra esperienza che non è un concetto. Nella triade testimone-testimoniare-testimoniato, di reale nella nostra diretta esperienza c'è solo il Verbo, il testimoniare. Gli altri due sono i sostantivi di nome e forma che utilizziamo per rappresentarci in un contesto duale l'esperienza del Verbo.

Il Verbo è la totalità vibratoria dell'Essere a diversi livelli di condensazione ed espressione, dal più sottile al più grossolano che, in associazione alla proiezione mentale (maya), vengono espressi come attributi (guna) di intelligenza (satva), energia (rajas) e materia (tamas) che contraddistinguono il creatore e la creazione (Brahman saguna). La mancata conoscenza (avidya) del processo mentale coinvolto invece, conduce all'identificazione da parte del soggetto con l'oggetto proiettato generando l'apparente entità separata ed indipendente (jiva). La chiara visione del processo mentale coinvolto costituisce pertanto la conoscenza risolutiva (jnana) dall'ignoranza.

In altre parole rajas è il potere proiettivo del soggetto e dell’oggetto che costituisce la maya che risulta in Io sono ed il “quello” (gli oggetti della percezione) distinto da me, il Brahman saguna. Tamas è il potere velante dell’identificazione del soggetto con l’oggetto che costituisce l’avidya che risulta in Io sono questo, il jiva. Satva invece è il potere rivelante il sostrato che emerge dalla disattivazione del principio differenziatore che conduce al Sono, il Brahman nirguna.

Nel contesto storico delle tradizioni spirituali, il Buddismo per esempio tende a privilegiare l'aspetto legato all’esperienza, cioè il raggiungimento di uno stato di non mente (nirvana) attraverso pratiche tipiche dello yoga, mentre l'induismo nella fattispecie l’Advaita Vedanta privilegia la conoscenza, la sola che può dissipare l'ignoranza. L'una si basa sullo sforzo e sul mantenimento di quello stato illuminato, mentre l'altro risolve il problema della mente alla radice, asserendo la sua vacuità e stabilendo a priori che l'Essere è già realizzato. Da questa prospettiva è soltanto l'ignoranza ad essere d'ostacolo. Il serpente (mente) della classica metafora sovrapposta alla corda (Essere) è sempre la corda che ha assunto apparentemente una specifica conformazione, e una volta svelato l'inganno tramite la conoscenza, il serpente svanisce come nebbia al sole, scoprendo che in verità non è mai esistito.

Se siamo interessati a svolgere una indagine sulla natura dell'esperienza, il consiglio è quello di sbarazzarci di tutto ciò che abbiamo letto e appreso che fa parte del nostro retaggio culturale, azzerare tutto e partire da ciò che possiamo essere assolutamente certi qui e ora, senza appoggiarci a considerazioni, inferenze, opinioni espresse nel passato. Dal momento che tutta la conoscenza accumulata è una forma di ignoranza istruita, ci conviene fare tabula rasa su tutto, e svolgere questa indagine attenendoci strettamente a ciò che è presente nella nostra esperienza adesso.

Pertanto dobbiamo partire con qualcosa di cui siamo assolutamente certi. Di che cosa siamo assolutamente certi? Ovvio, che c'è l'esperienza. Stanotte ho dormito come un ghiro (sonno). La notte precedente ho avuto un incubo terribile (sogno). Oggi è una giornata stupenda (veglia). Ecco, non sappiamo di che cosa si tratta, potrebbe benissimo trattarsi di una allucinazione. Non lo sappiamo. Ma sappiamo che “qualcosa” abbiamo sperimentato o che stiamo sperimentando. Sappiamo che c'è l'esperienza. Costante nella sua espressione, indipendente da ciò che le proiezioni mentali ci raccontano (maya).

L'esperienza è, ha esistenza, essere (sat). Siamo assolutamente certi che qualcosa è. Di che cos'altro potremmo essere certi? Bé, ci sarebbe “qualcos'altro” di cui essere certi. Difatti come possiamo essere così certi che c'è l'esperienza, l'esistenza, l'essere? Semplicemente perché l'essere (sat) è conosciuto (cit). La ragione per la quale puoi dire che c'è l'essere è perché lo sai, lo conosci. Altrimenti se non fosse conosciuto o sperimentato non potresti asserirlo. Pertanto c'è l'esperienza e la conoscenza di tale esperienza.

La conoscenza è, ha esistenza, essere (cit). Come vedi entrambi condividono l'esistenza, sono aspetti indissolubili dello stesso esistere (ananda). L'esistenza che appartiene a questo conoscere e l'esperienza che sappiamo esistere.

È ciò che definiamo Brahman. Oltre a questo Brahman, a questa realtà, che cosa c'è che conosci con assoluta certezza? Niente? Bene. Ora vai direttamente a questa esperienza del conoscere (cit) il tuo essere (sat) e dimmi se riscontri alcun limite? Nessuno? Bene. Ora chiediti, senza appoggiarti alla mente che di questa esperienza non ne sa nulla ma spesso viene chiamata in causa con le sue inferenze, se hai mai sperimentato l'assenza di essere? Lo sto chiedendo a te, consapevolezza. Sei mai sparito? Hai mai sperimentato la tua assenza? E se fosse possibile, chi l'avrebbe sperimentato?

Ovviamente, se associamo la nostra vera identità all'apparato psicosomatico che appare e scompare, l'esperienza che ne risulta sarà falsata da un vizio di forma inerente a tale identificazione. Da ciò derivano concetti surreali come “sono nato ed un giorno morirò” e castronerie del genere.

Eppure è da questa associazione con il corpo-mente, da questa prospettiva allucinata, che siamo portati a ritenere l'intima, ordinaria e costante esperienza del conoscere il proprio essere, come un avvenimento eccezionale tale da scomodare illustri e sapienti saggi per averne una descrizione sommaria. In altre parole conosco me stesso, attraverso me stesso perché sono (indubbiamente) me stesso.

Questa è in sintesi la parabola della consapevolezza al mattino quando ci svegliamo: Sono, ...vengo a sapere che Io Sono....questo, un individuo nel mondo:

META UPANISHAD
È soltanto attraverso le rappresentazioni mentali che l’Assoluto può
differenziarsi e vedersi altro da sé.

1. La mente per quanto una ed indistinta nella sua essenza, manifestandosi appare scissa in soggetto ed oggetto in contrapposizione, alimentando così l'illusorio senso di separazione ed il conseguente conflitto d'identità derivante dall'immedesimazione del soggetto osservante con l'oggetto osservato, poiché pensarsi ciò che non si è genera sofferenza.

2. Questa apparente dualità in quanto effetto del moto proiettivo della mente, ha il potere di velare la sottostante realtà indifferenziata della stessa, favorendo in questo modo la fallace esperienza della percezione e quindi contribuendo alle relative ideazioni di nome e forma che nell'insieme vanno a generare ciò che i saggi indicano con la parola Maya, semplice fenomeno immaginario.

3. Il mondo dei nomi e delle forme che così nella sua molteplicità espressiva giunge in esistenza sussiste fino a che, grazie al risveglio, il moto pensativo e le percezioni inerenti non si riassorbono del tutto consentendo alla verace natura del sostrato di emergere e di palesarsi in quanto Brahman, l'Assoluto incondizionato.

4. Dalla prospettiva del Brahman invece, ogni eventuale proiezione mentale che possa spontaneamente sorgere e sovrapporsi viene dissolta per quello che è veramente: Brahman, l'Uno senza secondo, ed in ciò si cela se viene colto, il segreto del risveglio.

Metatron

Brahman soltanto è reale. Credere che ci possa essere qualcos'altro al di fuori di Brahman (sat cit ananda), è pura ignoranza. Questa ignoranza è la causa di ogni possibile pena. Ma l'ignoranza non è reale. Infatti, ogni insegnamento e ogni pratica spirituale (sadhana) si occupa soltanto di attività di sogno che, in ultima analisi, sono solo macchinazioni mentali illusorie. In verità, ogni essere è già libero e per sempre rimane libero, pari a Brahman sotto qualsiasi aspetto e in alcun modo diverso. Non c'è né schiavitù né ignoranza che deve essere rimosso, o che può essere rimosso con la pratica spirituale. Ogni insegnamento e ogni pratica spirituale è solo uno sforzo che avviene in un sogno proprio come bere l'acqua del sogno per spegnere la sete nel sogno. Il suo scopo all'interno del sogno è quello di rimuovere la nozione errata che ossessiona il personaggio di sogno, cioè che egli è qualcosa di diverso dall'eternamente puro e immutabile Brahman. La pratica spirituale lo libera dall'idea ipnotica che ci possa essere qualcos'altro al di fuori del Brahman, che ci possa essere un mondo o degli individui che sono reali. Ma individui separati non sono reali e mai lo sono stati. Tutti gli sforzi e gli insegnamenti all'interno del sogno hanno valore relativo solo per gli esseri relativi. Non hanno alcun valore reale nella Verità, perché l'eternamente libero Atman (il vero Sé) non è influenzato da alcuno sforzo che avviene nel sogno da parte di un personaggio illusorio convinto che attraverso lo sforzo egli possa appunto, trascendere il sogno stesso. Insieme al risveglio, quando accade all'interno di un sogno di risveglio, la storia assume l'aspetto di una consapevolezza spirituale e sforzo spirituale. In un tale sogno, il risveglio e la pratica spirituale sono legati vicendevolmente, con quest’ultima che sembra essere la causa del risveglio. Ma in realtà non c'è un tale collegamento, perché queste attività non hanno alcuna esistenza reale e pertanto nulla sta veramente accadendo. Soltanto che nella storia che appare nel sogno, l'elevato sforzo e consapevolezza esercitato dall'individuo sembra essere la causa del risveglio. Ma, sebbene la pratica e il risveglio sembrano correlate, sono molto simili al posarsi di un corvo su una palma nel momento in cui una noce di cocco si stacca e cade. Non vi è alcun nesso di causalità tra di loro. Si tratta di eventi casuali all'interno di una storia illusoria, che appaiono essere causalmente correlate. In realtà né la pratica né il risveglio hanno alcun effetto o un qualsiasi significato. C'è da sempre soltanto un senso a tutto, e questo è Brahman. La Realtà non ha nulla a che fare con sogni di risveglio, o di individui e delle loro esperienze, o di un mondo in cui essi esistono separati da Brahman. La Realtà è lo stesso Brahman soltanto. Non c'è nient'altro. Brahman non è la causa di nulla. Egli non crea. Non trasforma sé stesso in irrealtà. Non diventa qualcos'altro. È da sempre tutto ciò che c'è. I sogni illusori possono manifestarsi per un momento, apparire e scomparire come nuvole passeggere. Puoi credere che tu sia un individuo e che tu e gli altri abitate un mondo che si estende intorno. Ma questo è un totale inganno. Non può essere. Tutto quello che c'è è Brahman e Brahman soltanto. Egli da solo è ciò che tu sei. È l'unico Sé, l'Atman, che è un’altro nome per Brahman e pertanto esattamente come Brahman. L'Atman non ha nulla a che fare con gli individui, corpi, menti, o circostanze. È te stesso, il vero te stesso. Non puoi non esserlo. Non puoi essere qualcos'altro. Non sei mai nato. Non morirai mai. Rimani come Brahman soltanto. Immodificato. Immutabile. E questo è tutto ciò che c'è. Da sempre.

ortica
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da ortica » 31/01/2024, 1:57

Buonasera triplice, cos’è questa roba che hai postato?
Quali sono le fonti?
Chi è 'sto metatron?
Per l'ennesima volta ti ricordo la richiesta di citare le fonti di ogni testo.
Non risulta esistano upanishad con questo nome nel corpus vedantico, peraltro il testo è piuttosto confuso, a tratti contraddittorio e incomprensibile oltre a far uso scorretto di termini sanscriti.
Dunque perché postarlo?

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Fedro
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da Fedro » 01/02/2024, 13:34

ciao triplice
nulla da eccepire sul testo, a chiunque appartenga, nonché sulle tue riflessioni, soltanto una domanda:
esiste per te differenza tra un credere ad una non dualità piuttosto che ad una dualità?
Più precisamente: si può attestare un riferirsi alla non dualità tanto da renderlo più reale di una dualità del pensiero che comunque si pone?

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 01/02/2024, 18:03

ortica ha scritto:
31/01/2024, 1:57
Buonasera triplice, cos’è questa roba che hai postato?
Quali sono le fonti?
Chi è 'sto metatron?
Per l'ennesima volta ti ricordo la richiesta di citare le fonti di ogni testo.
Non risulta esistano upanishad con questo nome nel corpus vedantico, peraltro il testo è piuttosto confuso, a tratti contraddittorio e incomprensibile oltre a far uso scorretto di termini sanscriti.
Dunque perché postarlo?
Hai ragione, si tratta del punto di vista del sottoscritto permeato dalla visione risolutiva (secondo me) che mi si è rivelata durante una esperienza travolgente di morte e rinascita qualche tempo fa. Come hai fatto giustamente notare ho apportato le necessarie modifiche e ridimensionato la mia "visione" a semplice punto di vista (darsana).


IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE
I realizzati non seguono una particolare via. Semplicemente rinunciano alla dualità cessando di immaginarsi le cose. Per loro, la liberazione viene così ottenuta facilmente.

Sri Dattatreya (Avadhuta Gita; 2.28)

Le cose sono riferite ai “sostantivi” di nome e forma che la mente idealizza nei due termini del soggetto e dell’oggetto nel tentativo di rappresentarsi in un contesto duale l’esperienza unitaria del “verbo”, la totalità dell’energia con le sue molteplici espressioni vibratorie. Se la modalità espressiva manifestata dal verbo è l’osservare (o testimoniare, percepire, pensare, immaginare ecc.), l’idealizzazione proiettata conduce ad una percezione separata e distinta sostanziata dalla presenza immaginaria dell’osservatore e dell’osservato che sovrapponendosi all’esperienza effettiva dell’osservare, producono una visione frammentata e distorta della realtà, traducibile per il suo carattere illusorio in maya.

La descrizione di questo processo come evidenziato dalla Meta Darsana, della mente che si polarizza nei due termini di soggetto-oggetto e l'eventuale conflitto che da questa interazione può nascere, avviene spontaneamente. Questo moto proiettivo apparente è alla base di ciò che si definisce comunemente come coscienza poiché permette l'esperienza del conoscere. Inizialmente viene a stabilirsi questo rapporto duale a livello di rappresentazioni mentali tra l'osservatore e l'osservato, in seguito assistiamo ad una inversione dei termini in cui l'osservatore si identifica con l'osservato.

La funzione della mente è essenzialmente quella di separare ed opporre, l'anatomia del problema stesso. Si è portati a pensare che la mente sia formata da pensieri ed immagini, ma una definizione più accurata concepisce la mente come una tendenza (vasana), che si traduce in un automatismo dettato dall’abitudine, a separare ed opporre laddove c'è soltanto l'Unità.

I confini tra spirito e materia realmente non esistono; se si assumesse radicalmente il concetto di energia vibrante come parametro unitario del nostro modus pensandi si potrebbero superare le nette e antitetiche contrapposizioni tra spirito invisibile e imponderabile e materia pesante e tangibile. La concezione dell'Essere come energia con i suoi molteplici livelli vibratori può assai meglio spiegare la natura del mondo che ci circonda e del nostro stesso essere profondo.

Hai provato ad osservare il passerotto sul davanzale restando consapevole della tendenza della mente di separare l'evento dell'osservazione in soggetto ed oggetto distinti ed in opposizione? Nell'essere consapevoli non si intende un fare, uno sforzo che impedisca che questo accada. La tendenza proiettiva della mente, che è la mente stessa, sorge spontaneamente ed il semplice fatto di essere presenti e consapevoli di tale movimento la indebolisce fino a dissolverla e ciò che resta è l'incanto dell'unione: il tu che fa l'esperienza cessa di assillarti e scompare, e scopri di essere l'esperienza stessa della visione. Ed è in questo contesto che le distanze si annullano e le distinzioni cessano e si realizza che è già tutto lì come da sempre, e che non ha senso parlare di qualcuno che ottiene qualcosa. Non esiste, non è mai esistito e mai esisterà un individuo illuminato perché è una contraddizione in termini. L'illuminazione o la realizzazione è l'assenza di me in quanto individuo separato e distinto. Che cos'è la mente in fondo, se non una “tendenza” spontanea di scindersi in soggetto ed oggetto in contrapposizione, causa apparente del senso di separazione? È questo moto proiettivo che è alla base della modalità percettiva che ci rende coscienti in quanto testimoni, della presenza di oggetti, siano essi pensieri, emozioni, sensazioni o percezioni. Ora, se ci poniamo di fronte ad osservare un qualsiasi oggetto o persona restando consapevoli di tale movimento percettivo, “osserveremo” che questa relazione duale tra sperimentatore ed esperito (in questo caso l'oggetto della percezione) perde di consistenza fino a dissolversi, lasciando al suo posto l'esperienza stessa in assenza del concetto di separazione. Scopriamo, o meglio intuiamo (senza che vi sia qualcuno che intuisce) che nella trinità osservatore – osservare – osservato, soltanto l'osservare in sé è reale e che non c'è veramente alcuna entità a cui ricondurre la paternità di tale esperienza percettiva, se non nell'immaginazione. In assenza di una visione dualistica la percezione visiva a cui si faceva riferimento perde la sua connotazione caratteristica e si riassorbe nella Totalità dal quale apparentemente era emersa. È la visione del risvegliato come citato nella Bhagavad Gita:

“L'umile saggio, illuminato dalla vera conoscenza, vede con occhio equanime il brahmana nobile ed erudito, la mucca, l'elefante, il cane e il mangiatore di cani”.

L'allegoria di Adamo ed Eva che mangiarono il frutto dall'albero della conoscenza del bene e del male da cui scaturì il peccato originale e la cacciata dall'Eden, a parte il significato teologico che si attribuisce, indica chiaramente che aderire alla tendenza della mente di creare distinzioni è ciò che conduce al vivere separato e alla sofferenza che ne consegue.

La proiezione mentale che si esprime nella modalità soggetto-oggetto ha origine dal corpo causale in cui passiamo un terzo delle nostre vite, cioè dal sonno profondo, una condizione esistenziale universale che tutti indistintamente condividiamo. Nel momento stesso che sorge un pensiero, deve per forza essere presente la triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto, che ovviamente nel sonno profondo è assente ma flebilmente prende vita nello stato di sogno per poi consolidarsi nella veglia. Non è al pensiero in quanto fenomeno presente nella triade a cui si deve rivolgere l'attenzione, ma al sostrato stesso da cui ha origine la stessa triade. È la sostanza una ed indivisa (sat) presente nel sonno profondo che apparentemente si scinde e si manifesta nella triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto tipica del sogno e della veglia. Scopo dell’auto-indagine è quella di accedere coscientemente allo stato di ignoranza che contraddistingue il sonno profondo, il vegliare dormendo per intenderci, tale da trasformare codesta ignoranza in conoscenza privata dei due estremi conoscitore-conosciuto, che risulta in conoscenza d'identità.

Identità con cosa? Con la totalità vibratoria dell’Essere (sat). Non è ancora realizzazione, ma nella contemplazione di quella beatitudine (ananda) tipica del sonno profondo in cui la proiezione mentale è assente, donde non sorgono domande né risposte da dare, può baluginare per grazia divina l'intuizione di non essere solo l'“oggetto” della contemplazione ma anche il “soggetto” ultimo, la Consapevolezza (cit).


4. Io - il Non Manifesto - pervado l'intero universo. Tutte le creature risiedono in Me, ma Io non sono in esse.
Bhagavad Gita, capitolo IX


L’osservazione dei fenomeni che appaiono e sperimentiamo durante il sogno e la veglia in conseguenza all’apparente scissione dell’Essere uno ed indiviso presente nel sonno profondo che dà vita alla triade conoscitore-conoscenza-conosciuto, sono soltanto proiezioni della mente, mai la mente stessa. Sono pensieri, emozioni, sensazioni, e percezioni. Non la mente. Nonostante si dica che sia possibile osservare la mente con le sue inferenze, ed in virtù di questa osservazione discriminare l'osservatore dalla mente stessa, ciò non corrisponde al vero per il semplice fatto che quello che apparentemente sta accadendo è la mente che osserva sé stessa. È come scambiare l'effetto per la causa. Il Principio differenziatore, cioè la mente giace a monte, nel momento stesso nel quale avviene l'apparente scissione della sostanza vibratoria dell’Essere che dà vita a quella relazione duale del soggetto osservante e dell'oggetto osservato. L' uno appare due, e quest'ultimo è la mente.

Affermare che sia possibile osservare la mente e da questa emanciparsi è il gioco della mente che intrattiene sé stessa credendo reali le sue stesse proiezioni a tal punto da convincersi di dover da quest'ultime distaccarsene. È il cane che si morde la coda. Ridicolo se non tragico. Tragico nel senso che può impegnare una vita intera.

Ora la pratica consiste non nell'estroflettere l'attenzione sul dato di osservazione come vanno raccontando con partecipata immedesimazione nei circoli spirituali, alimentando così l'illusorio senso di separazione allontanandoti dalla tua vera essenza non duale, ma nell'introflettere l'attenzione e dirigerla alla sua sorgente nell'esatto punto in cui il Principio differenziatore si origina.

In tal senso la mente si può definire come attenzione focalizzata sugli oggetti che con la sua estroversione apparentemente crea, ed in virtù della loro interdipendenza, all'oggetto corrisponde sempre un soggetto il quale trae da questa relazione il proprio sostentamento. Nell'invertire il flusso dell'attenzione ponendolo sul soggetto invece, quest'ultimo perde vigore dal momento che l’associazione all'oggetto viene meno. In questo processo di riassorbimento dell'attenzione alla sua sorgente, l'oggetto svanisce dalla sfera coscienziale ed il soggetto recede fino a scomparire e la mente che si era “sostanziata” da questi due termini si dissolve. Ciò che rimane è il sostrato incontaminato dell’Essere uno ed indiviso su cui questa allucinazione proiettiva (rajas) e velante (tamas) dei due termini si era sovrapposto. Questo sostrato (sat) essendo a questo punto non più perturbato dalla presenza proiettiva della mente (satva), agisce come superficie riflettente della presenza radiante della consapevolezza (cit), e nella pura contemplazione (ananda) di tale riflesso si perviene alla reale visione di quello che giace al di là delle condizioni di veglia, sogno e sonno, in altre parole giungi finalmente a conoscere te stesso nella tua pienezza ed espressione realizzando il Brahman nella sua totalità trascendente ed immanente (sat cit ananda).

In sintesi, la tendenza abitudinaria (vasana) che agisce da corpo causale alla base della proiezione mentale avvertibile dalla presenza, a volte incessante, del chiacchiericcio interno è il seguente:

1) Ignori di essere l’impersonale, l’immutabile, l’illimitata e ordinaria Coscienza (Brahman) non nata, non agente e non duale, e a causa di questa ignoranza (tamas), immagini (rajas) di essere ciò che in realtà non sei.

2) La rappresentazione mentale derivante genera l’apparente alterità che ci sia qualcos’altro oltre a te, che sia universo, persona o cosa, inclusa la mente stessa.

3) Pertanto il credere (satva) al rapporto duale di soggetto-oggetto, tu e l’altro che questa proiezione mentale comporta, costituisce l'elemento fondante a sostegno dell'intero spettacolo a cui segue l'identificazione con l’oggetto proiettato e l'inevitabile comparsa dell'ego-sperimentatore sul palcoscenico della vita (jiva).


Il credere infatti, cioè prendere per vero il proprio immaginario, è quell'elemento che conferisce alla proiezione mentale realtà che è pertinente all'Essere, grazie al quale la dualità soggetto-oggetto si sostiene e si alimenta. L'Essere, il verbo in assenza di sostantivi è la verità, ciò che è e non può essere negato a differenza dei concetti sostenuti dall'opinione come per esempio l'esistenza di Dio, del karma o delle vite passate. Tutto quello che sappiamo con fermezza è che “sono” e che “so” di essere. Che io esisto, sono, e so di essere, che sono aspetti inscindibili dello stesso principio (Brahman), non possiamo assolutamente negarlo essendo l'unica certezza della nostra esperienza che non è un concetto. Nella triade testimone-testimoniare-testimoniato, di reale nella nostra diretta esperienza c'è solo il Verbo, il testimoniare. Gli altri due sono i sostantivi di nome e forma che utilizziamo per rappresentarci in un contesto duale l'esperienza del Verbo.

Il Verbo è la totalità vibratoria dell'Essere a diversi livelli di condensazione ed espressione, dal più sottile al più grossolano che, in associazione alla proiezione mentale (maya), vengono espressi come attributi (guna) di intelligenza (satva), energia (rajas) e materia (tamas) che contraddistinguono il creatore e la creazione (Brahman saguna). La mancata conoscenza (avidya) del processo mentale coinvolto invece, conduce all'identificazione da parte del soggetto con l'oggetto proiettato generando l'apparente entità separata ed indipendente (jiva). La chiara visione del processo mentale coinvolto costituisce pertanto la conoscenza risolutiva (jnana) dall'ignoranza.

In altre parole rajas è il potere proiettivo del soggetto e dell’oggetto che costituisce la maya che risulta in Io sono ed il “quello” (gli oggetti della percezione) distinto da me, il Brahman saguna. Tamas è il potere velante dell’identificazione del soggetto con l’oggetto che costituisce l’avidya che risulta in Io sono questo, il jiva. Satva invece è il potere rivelante il sostrato che emerge dalla disattivazione del principio differenziatore che conduce al Sono, il Brahman nirguna.

Nel contesto storico delle tradizioni spirituali, il Buddismo per esempio tende a privilegiare l'aspetto legato all’esperienza, cioè il raggiungimento di uno stato di non mente (nirvana) attraverso pratiche tipiche dello yoga, mentre l'induismo nella fattispecie l’Advaita Vedanta privilegia la conoscenza, la sola che può dissipare l'ignoranza. L'una si basa sullo sforzo e sul mantenimento di quello stato illuminato, mentre l'altro risolve il problema della mente alla radice, asserendo la sua vacuità e stabilendo a priori che l'Essere è già realizzato. Da questa prospettiva è soltanto l'ignoranza ad essere d'ostacolo. Il serpente (mente) della classica metafora sovrapposta alla corda (Essere) è sempre la corda che ha assunto apparentemente una specifica conformazione, e una volta svelato l'inganno tramite la conoscenza, il serpente svanisce come nebbia al sole, scoprendo che in verità non è mai esistito.

Se siamo interessati a svolgere una indagine sulla natura dell'esperienza, il consiglio è quello di sbarazzarci di tutto ciò che abbiamo letto e appreso che fa parte del nostro retaggio culturale, azzerare tutto e partire da ciò che possiamo essere assolutamente certi qui e ora, senza appoggiarci a considerazioni, inferenze, opinioni espresse nel passato. Dal momento che tutta la conoscenza accumulata è una forma di ignoranza istruita, ci conviene fare tabula rasa su tutto, e svolgere questa indagine attenendoci strettamente a ciò che è presente nella nostra esperienza adesso.

Pertanto dobbiamo partire con qualcosa di cui siamo assolutamente certi. Di che cosa siamo assolutamente certi? Ovvio, che c'è l'esperienza. Stanotte ho dormito come un ghiro (sonno). La notte precedente ho avuto un incubo terribile (sogno). Oggi è una giornata stupenda (veglia). Ecco, non sappiamo di che cosa si tratta, potrebbe benissimo trattarsi di una allucinazione. Non lo sappiamo. Ma sappiamo che “qualcosa” abbiamo sperimentato o che stiamo sperimentando. Sappiamo che c'è l'esperienza. Costante nella sua espressione, indipendente da ciò che le proiezioni mentali ci raccontano (maya).

L'esperienza è, ha esistenza, essere (sat). Siamo assolutamente certi che qualcosa è. Di che cos'altro potremmo essere certi? Bé, ci sarebbe “qualcos'altro” di cui essere certi. Difatti come possiamo essere così certi che c'è l'esperienza, l'esistenza, l'essere? Semplicemente perché l'essere (sat) è conosciuto (cit). La ragione per la quale puoi dire che c'è l'essere è perché lo sai, lo conosci. Altrimenti se non fosse conosciuto o sperimentato non potresti asserirlo. Pertanto c'è l'esperienza e la conoscenza di tale esperienza.

La conoscenza è, ha esistenza, essere (cit). Come vedi entrambi condividono l'esistenza, sono aspetti indissolubili dello stesso esistere (ananda). L'esistenza che appartiene a questo conoscere e l'esperienza che sappiamo esistere.

È ciò che definiamo Brahman. Oltre a questo Brahman, a questa realtà, che cosa c'è che conosci con assoluta certezza? Niente? Bene. Ora vai direttamente a questa esperienza del conoscere (cit) il tuo essere (sat) e dimmi se riscontri alcun limite? Nessuno? Bene. Ora chiediti, senza appoggiarti alla mente che di questa esperienza non ne sa nulla ma spesso viene chiamata in causa con le sue inferenze, se hai mai sperimentato l'assenza di essere? Lo sto chiedendo a te, consapevolezza. Sei mai sparito? Hai mai sperimentato la tua assenza? E se fosse possibile, chi l'avrebbe sperimentato?

Ovviamente, se associamo la nostra vera identità all'apparato psicosomatico che appare e scompare, l'esperienza che ne risulta sarà falsata da un vizio di forma inerente a tale identificazione. Da ciò derivano concetti surreali come “sono nato ed un giorno morirò” e castronerie del genere.

Eppure è da questa associazione con il corpo-mente, da questa prospettiva allucinata, che siamo portati a ritenere l'intima, ordinaria e costante esperienza del conoscere il proprio essere, come un avvenimento eccezionale tale da scomodare illustri e sapienti saggi per averne una descrizione sommaria. In altre parole conosco me stesso, attraverso me stesso perché sono (indubbiamente) me stesso.

Questa è in sintesi la parabola della consapevolezza al mattino quando ci svegliamo: Sono, ...vengo a sapere che Io Sono....questo, un individuo nel mondo:

META DARSANA
È soltanto attraverso le rappresentazioni mentali che l’Assoluto può
differenziarsi e vedersi altro da sé.


1. La mente per quanto una ed indistinta nella sua essenza, manifestandosi appare scissa in soggetto ed oggetto in contrapposizione, alimentando così l'illusorio senso di separazione ed il conseguente conflitto d'identità derivante dall'immedesimazione del soggetto osservante con l'oggetto osservato, poiché pensarsi ciò che non si è genera sofferenza.

2. Questa apparente dualità in quanto effetto del moto proiettivo della mente, ha il potere di velare la sottostante realtà indifferenziata della stessa, favorendo in questo modo la fallace esperienza della percezione e quindi contribuendo alle relative ideazioni di nome e forma che nell'insieme vanno a generare ciò che i saggi indicano con la parola Maya, semplice fenomeno immaginario.

3. Il mondo dei nomi e delle forme che così nella sua molteplicità espressiva giunge in esistenza sussiste fino a che, grazie al risveglio, il moto pensativo e le percezioni inerenti non si riassorbono del tutto consentendo alla verace natura del sostrato di emergere e di palesarsi in quanto Brahman, l'Assoluto incondizionato.

4. Dalla prospettiva del Brahman invece, ogni eventuale proiezione mentale che possa spontaneamente sorgere e sovrapporsi viene dissolta per quello che è veramente: Brahman, l'Uno senza secondo, ed in ciò si cela se viene colto, il segreto del risveglio.

Latriplice


Brahman soltanto è reale. Credere che ci possa essere qualcos'altro al di fuori di Brahman (sat cit ananda), è pura ignoranza. Questa ignoranza è la causa di ogni possibile pena. Ma l'ignoranza non è reale. Infatti, ogni insegnamento e ogni pratica spirituale (sadhana) si occupa soltanto di attività di sogno che, in ultima analisi, sono solo macchinazioni mentali illusorie. In verità, ogni essere è già libero e per sempre rimane libero, pari a Brahman sotto qualsiasi aspetto e in alcun modo diverso. Non c'è né schiavitù né ignoranza che deve essere rimosso, o che può essere rimosso con la pratica spirituale. Ogni insegnamento e ogni pratica spirituale è solo uno sforzo che avviene in un sogno proprio come bere l'acqua del sogno per spegnere la sete nel sogno. Il suo scopo all'interno del sogno è quello di rimuovere la nozione errata che ossessiona il personaggio di sogno, cioè che egli è qualcosa di diverso dall'eternamente puro e immutabile Brahman. La pratica spirituale lo libera dall'idea ipnotica che ci possa essere qualcos'altro al di fuori del Brahman, che ci possa essere un mondo o degli individui che sono reali. Ma individui separati non sono reali e mai lo sono stati. Tutti gli sforzi e gli insegnamenti all'interno del sogno hanno valore relativo solo per gli esseri relativi. Non hanno alcun valore reale nella Verità, perché l'eternamente libero Atman (il vero Sé) non è influenzato da alcuno sforzo che avviene nel sogno da parte di un personaggio illusorio convinto che attraverso lo sforzo egli possa appunto, trascendere il sogno stesso. Insieme al risveglio, quando accade all'interno di un sogno di risveglio, la storia assume l'aspetto di una consapevolezza spirituale e sforzo spirituale. In un tale sogno, il risveglio e la pratica spirituale sono legati vicendevolmente, con quest’ultima che sembra essere la causa del risveglio. Ma in realtà non c'è un tale collegamento, perché queste attività non hanno alcuna esistenza reale e pertanto nulla sta veramente accadendo. Soltanto che nella storia che appare nel sogno, l'elevato sforzo e consapevolezza esercitato dall'individuo sembra essere la causa del risveglio. Ma, sebbene la pratica e il risveglio sembrano correlate, sono molto simili al posarsi di un corvo su una palma nel momento in cui una noce di cocco si stacca e cade. Non vi è alcun nesso di causalità tra di loro. Si tratta di eventi casuali all'interno di una storia illusoria, che appaiono essere causalmente correlate. In realtà né la pratica né il risveglio hanno alcun effetto o un qualsiasi significato. C'è da sempre soltanto un senso a tutto, e questo è Brahman. La Realtà non ha nulla a che fare con sogni di risveglio, o di individui e delle loro esperienze, o di un mondo in cui essi esistono separati da Brahman. La Realtà è lo stesso Brahman soltanto. Non c'è nient'altro. Brahman non è la causa di nulla. Egli non crea. Non trasforma sé stesso in irrealtà. Non diventa qualcos'altro. È da sempre tutto ciò che c'è nonostante che nella sua natura illimitata, pertanto senza vincoli di sorta ed in virtù del Principio differenziatore, possa apparire diverso da ciò che è in realtà. I sogni illusori possono manifestarsi per un momento, apparire e scomparire come nuvole passeggere. Puoi credere che tu sia un individuo e che tu e gli altri abitate un mondo che si estende intorno. Ma questo è un totale inganno. Non può essere. Tutto quello che c'è è Brahman e Brahman soltanto. Egli da solo è ciò che tu sei. È l'unico Sé, l'Atman, che è un’altro nome per Brahman e pertanto esattamente come Brahman. L'Atman non ha nulla a che fare con gli individui, corpi, menti, o circostanze. È te stesso, il vero te stesso. Non puoi non esserlo. Non puoi essere qualcos'altro. Non sei mai nato. Non morirai mai. Rimani come Brahman soltanto. Immodificato. Immutabile. E questo è tutto ciò che c'è. Da sempre.

cielo
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da cielo » 01/02/2024, 21:04

latriplice ha scritto:
01/02/2024, 18:03


Hai ragione, si tratta del punto di vista del sottoscritto permeato dalla visione risolutiva (secondo me) che mi si è rivelata durante una esperienza travolgente di morte e rinascita qualche tempo fa. Come hai fatto giustamente notare ho apportato le necessarie modifiche e ridimensionato la mia "visione" a semplice punto di vista (darsana).


IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE
I realizzati non seguono una particolare via. Semplicemente rinunciano alla dualità cessando di immaginarsi le cose. Per loro, la liberazione viene così ottenuta facilmente.

Sri Dattatreya (Avadhuta Gita; 2.28)


(...)
La Realtà non ha nulla a che fare con sogni di risveglio, o di individui e delle loro esperienze, o di un mondo in cui essi esistono separati da Brahman. La Realtà è lo stesso Brahman soltanto. Non c'è nient'altro. Brahman non è la causa di nulla. Egli non crea. Non trasforma sé stesso in irrealtà. Non diventa qualcos'altro. È da sempre tutto ciò che c'è nonostante che nella sua natura illimitata, pertanto senza vincoli di sorta ed in virtù del Principio differenziatore, possa apparire diverso da ciò che è in realtà. I sogni illusori possono manifestarsi per un momento, apparire e scomparire come nuvole passeggere. Puoi credere che tu sia un individuo e che tu e gli altri abitate un mondo che si estende intorno. Ma questo è un totale inganno. Non può essere. Tutto quello che c'è è Brahman e Brahman soltanto. Egli da solo è ciò che tu sei. È l'unico Sé, l'Atman, che è un’altro nome per Brahman e pertanto esattamente come Brahman. L'Atman non ha nulla a che fare con gli individui, corpi, menti, o circostanze. È te stesso, il vero te stesso. Non puoi non esserlo. Non puoi essere qualcos'altro. Non sei mai nato. Non morirai mai. Rimani come Brahman soltanto. Immodificato. Immutabile. E questo è tutto ciò che c'è. Da sempre.
Post, forse un po' lunghetto (ne ho tolto un po', scusa), ma con considerazioni interessanti, ad esempio l'invito a cessare di immaginarsi le cose, che è certamente una chiave di volta per accedere alla spoliazione che chiede l'asparsa. Senza sostegni. Liberi nell'essere ciò che si è, e inamovibili come la montagna.

Condivido anche l'invito a ricordarsi che siamo pura energia vibrante, luce nella luce, pur indossando differenti nomi e forme nel corso del tempo e dello spazio.
Onde sull'oceano di illimitata beatitudine, in cui tutte onde si formano e si dissolvono, nel gioco capriccioso e imprevedibile della maya.

Ḷo diceva il saggio Patanjali: yoga citta vritti nirodha. Yoga è sospendere le modificazioni della sostanza mentale.

Come metodo operativo, per me, è salutare osservare con distacco e discriminazione i moti e i vortici dei miei pensieri che sembrano autogenerarsi e proiettare film, ora tragici, ora divertenti. L'importante è non crederci, sempre film sono.

A volte vedo quella creazione in me di oggetti da pensare e a cui dare consistenza, e spesso, se lo cerco, non trovo il pensatore, un fantasma mutevole che vagabonda tra gli stati di coscienza, che in sè stesso si racconta storie, romanzando la vita. Probabilmente per autoconsolazione e autocommiserazione. All'io non piace morire lentamente, vorrebbe tutto subito, ma qui non accade.

Ora qui, ora là...dalla veglia alla pax profunda del sonno, passando per dei sogni avventurosi. Sempre la mente che danza.
Oggetti di sperimentazione per soggetti in mutamento e inconsistenti, anch'essi immaginati come ombre sullo sfondo.
Respiro sono viva, se la mente si agita troppo si va in apnea.

Così osservo quei moti che sorgono e svaniscono, quelle pause in cui sembra di intuire che lo spazio tempo in cui scorriamo è solo una cognizione mentale, frutto di una mente frammentaria, intrappolata nella rete di sovrapposizioni e proiezioni e che ha bisogno dello spazio-tempo per credere di esistere.

Buon cammino

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 02/02/2024, 10:23

Fedro ha scritto:
01/02/2024, 13:34
ciao triplice
nulla da eccepire sul testo, a chiunque appartenga, nonché sulle tue riflessioni, soltanto una domanda:
esiste per te differenza tra un credere ad una non dualità piuttosto che ad una dualità?
Più precisamente: si può attestare un riferirsi alla non dualità tanto da renderlo più reale di una dualità del pensiero che comunque si pone?
La proiezione mentale che si esprime nella modalità soggetto-oggetto ha origine dal corpo causale in cui passiamo un terzo delle nostre vite, cioè dal sonno profondo, una condizione esistenziale universale che tutti indistintamente condividiamo. Nel momento stesso che sorge un pensiero, deve per forza essere presente la triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto, che ovviamente nel sonno profondo è assente ma flebilmente prende vita nello stato di sogno per poi consolidarsi nella veglia. Non è al pensiero in quanto fenomeno presente nella triade a cui si deve rivolgere l'attenzione, ma al sostrato stesso da cui ha origine la stessa triade. È la sostanza una ed indivisa (sat) presente nel sonno profondo che apparentemente si scinde e si manifesta nella triade Conoscitore-conoscenza-conosciuto tipica del sogno e della veglia. Scopo dell’auto-indagine è quella di accedere coscientemente allo stato di ignoranza che contraddistingue il sonno profondo, il vegliare dormendo per intenderci, tale da trasformare codesta ignoranza in conoscenza privata dei due estremi conoscitore-conosciuto, che risulta in conoscenza d'identità.

Identità con cosa? Con la totalità vibratoria dell’Essere (sat). Non è ancora realizzazione, ma nella contemplazione di quella beatitudine (ananda) tipica del sonno profondo in cui la proiezione mentale è assente, donde non sorgono domande né risposte da dare, può baluginare per grazia divina l'intuizione di non essere solo l'“oggetto” della contemplazione ma anche il “soggetto” ultimo, la Consapevolezza (cit).

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 02/02/2024, 12:12

Cielo ha scritto:

Ḷo diceva il saggio Patanjali: yoga citta vritti nirodha. Yoga è sospendere le modificazioni della sostanza mentale.
Corrisponde grossomodo a quello che ho voluto evidenziare nella mia visione con la terza Meta darsana:

3. Il mondo dei nomi e delle forme che così nella sua molteplicità espressiva giunge in esistenza sussiste fino a che, grazie al risveglio, il moto pensativo e le percezioni inerenti non si riassorbono del tutto consentendo alla verace natura del sostrato di emergere e di palesarsi in quanto Brahman, l'Assoluto incondizionato.

Le modificazioni della sostanza mentale sono espressioni dell'Essere e sono fondamentalmente l'Essere (sat). Se oggettivate tramite il Principio differenziatore, sorge da parte del soggetto l'esigenza di sospenderle dal momento che, ignaro del meccanismo coinvolto, sono giunte in esistenza come tali (come modificazioni della sostanza mentale).

Pertanto in presenza della consapevolezza del meccanismo oggettivante, le modificazioni della sostanza mentale cessano di essere tali rivelando L'Essere sottostante come evidenziato dalla quarta Meta darsana:

4. Dalla prospettiva del Brahman invece, ogni eventuale proiezione mentale che possa spontaneamente sorgere e sovrapporsi viene dissolta per quello che è veramente: Brahman, l'Uno senza secondo, ed in ciò si cela se viene colto, il segreto del risveglio.

Come vedi i due approcci sono sostanzialmente diversi, uno è la conseguenza di una proiezione mentale, l'altro la trascende.

ortica
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da ortica » 03/02/2024, 15:43

latriplice ha scritto:
01/02/2024, 18:03
ortica ha scritto:
31/01/2024, 1:57
Buonasera triplice, cos’è questa roba che hai postato?
Quali sono le fonti?
Chi è 'sto metatron?
Per l'ennesima volta ti ricordo la richiesta di citare le fonti di ogni testo.
Non risulta esistano upanishad con questo nome nel corpus vedantico, peraltro il testo è piuttosto confuso, a tratti contraddittorio e incomprensibile oltre a far uso scorretto di termini sanscriti.
Dunque perché postarlo?
Hai ragione, si tratta del punto di vista del sottoscritto permeato dalla visione risolutiva (secondo me) che mi si è rivelata durante una esperienza travolgente di morte e rinascita qualche tempo fa. Come hai fatto giustamente notare ho apportato le necessarie modifiche e ridimensionato la mia "visione" a semplice punto di vista (darsana).

Ti ringrazio per la disponibilità a chiarire il tuo ruolo in quanto scritto.
I punti di vista sono ben accolti, che siano condivisi o meno.
A questo punto ti chiederei di testimoniare la travolgente esperienza di morte e rinascita di cui parli, potrebbe essere interessante e utile anche per altri viandanti.
Mi riferisco proprio all'esperienza nuda e cruda, non alle tue riflessioni o visioni.

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 04/02/2024, 2:21

A questo punto ti chiederei di testimoniare la travolgente esperienza di morte e rinascita di cui parli, potrebbe essere interessante e utile anche per altri viandanti. Mi riferisco proprio all'esperienza nuda e cruda, non alle tue riflessioni o visioni.
Se è l'esperienza nuda e cruda che chiedi, posso quindi esimermi dall'entrare nel merito dei dettagli personali e le circostanze particolari che mi hanno condotto a vivere tale esperienza travolgente. Si è verificato un avvenimento inaspettato e di una certa gravità a livello fisico che per la persona che ero a quel tempo, circa due anni fa, risultava alquanto intollerabile. La reazione spontanea tra lo sconforto e la forte preoccupazione che ne è seguita, è la classica prevedibile, quella di opporre resistenza. E col passare del tempo mi sono accorto di una strana e spiacevole sensazione che avvertivo nel petto dovuta probabilmente al mio atteggiamento ostinato dal non voler accettare la situazione, come di una palla di energia che non fluiva che è persistito e si è aggravato anche quando a livello fisico ho avuto dei miglioramenti. Inizialmente riuscivo a gestire in una certa misura il mio equilibrio psicofisico, ma col passare del tempo la situazione andava peggiorando. Quella palla di energia nel petto stava di giorno in giorno appesantendosi trascinandomi come un masso legato al collo nel baratro. In altre parole non riuscivo più a dormire, a stare seduto a tavola per mangiare, camminavo su e giù per l'appartamento in preda al delirio, il panico e l'agitazione per ore intere. Se guardavo dentro me stesso l'attenzione rimbalzava fuori. Se cercavo sollievo nel distogliere l'attenzione essa veniva trattenuta a contemplare la pazzia che di me si stava lentamente impadronendo. Ingestibile e fuori controllo mi sono completamente isolato dall'ambiente e ogni cosa mi era estranea e nessuno poteva essermi d'aiuto. SOLUZIONI!!! Cercavo disperatamente delle soluzioni, con tutta quella conoscenza che avevo accumulato nel corso degli anni, sicuramente una soluzione al problema c'era mi dicevo. Forse la soluzione risiedeva nella meditazione, nel padroneggiare il respiro. O forse nella saggezza contenuta nei testi in cui si parlava di discriminazione, lo yoga, i psicofarmaci, le sigarette, le pastiglie per la pressione, le tisane, la speranza........il suicidio. Ecco.... il suicidio, il mio pensiero ricorrente che mi accompagnava giorno e notte come soluzione estrema per porre fine a questo tormento visto che nulla aveva funzionato. Ma neanche quello avevo il coraggio di attuare. E affranto e senza speranza, spogliato di tutto nudo come un bambino.....mi sono arreso. Nel vero senso della parola. Una resa incondizionata che prevedeva la dipartita di quell'io che cercava con i suoi stupidi tentativi di porre, resistendo, rimedio al problema. Lui era il problema. E d'incanto, inaspettatamente, nel momento preciso che mi sono gettato ad abbracciare la vita, quel masso di pietra avvinghiata al collo ha fatto puf. In un istante è completamente svanita e con essa tutto quel tormento. E sono scoppiato in un pianto liberatorio pieno di gratitudine. Poi dopo essermi ripreso, mi sono posto la domanda a cui dovevo imperativamente dare una risposta: COME E' POTUTO ACCADERE? Che in una frazione di secondo quel tormento che mi aveva accompagnato per un mese si è dissolto? La risposta ho cercato di darla nel testo in questione.

cielo
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da cielo » 04/02/2024, 10:49

latriplice ha scritto:
04/02/2024, 2:21
A questo punto ti chiederei di testimoniare la travolgente esperienza di morte e rinascita di cui parli, potrebbe essere interessante e utile anche per altri viandanti. Mi riferisco proprio all'esperienza nuda e cruda, non alle tue riflessioni o visioni.

Se è l'esperienza nuda e cruda che chiedi, posso quindi esimermi dall'entrare nel merito dei dettagli personali e le circostanze particolari che mi hanno condotto a vivere tale esperienza travolgente.

Si è verificato un avvenimento inaspettato e di una certa gravità a livello fisico che per la persona che ero a quel tempo, circa due anni fa, risultava alquanto intollerabile.

La reazione spontanea tra lo sconforto e la forte preoccupazione che ne è seguita, è la classica prevedibile, quella di opporre resistenza.


E col passare del tempo mi sono accorto di una strana e spiacevole sensazione che avvertivo nel petto dovuta probabilmente al mio atteggiamento ostinato dal non voler accettare la situazione, come di una palla di energia che non fluiva che è persistito e si è aggravato anche quando a livello fisico ho avuto dei miglioramenti. Inizialmente riuscivo a gestire in una certa misura il mio equilibrio psicofisico, ma col passare del tempo la situazione andava peggiorando. Quella palla di energia nel petto stava di giorno in giorno appesantendosi trascinandomi come un masso legato al collo nel baratro. In altre parole non riuscivo più a dormire, a stare seduto a tavola per mangiare, camminavo su e giù per l'appartamento in preda al delirio, il panico e l'agitazione per ore intere. Se guardavo dentro me stesso l'attenzione rimbalzava fuori. Se cercavo sollievo nel distogliere l'attenzione essa veniva trattenuta a contemplare la pazzia che di me si stava lentamente impadronendo. Ingestibile e fuori controllo mi sono completamente isolato dall'ambiente e ogni cosa mi era estranea e nessuno poteva essermi d'aiuto. SOLUZIONI!!! Cercavo disperatamente delle soluzioni, con tutta quella conoscenza che avevo accumulato nel corso degli anni, sicuramente una soluzione al problema c'era mi dicevo. Forse la soluzione risiedeva nella meditazione, nel padroneggiare il respiro. O forse nella saggezza contenuta nei testi in cui si parlava di discriminazione, lo yoga, i psicofarmaci, le sigarette, le pastiglie per la pressione, le tisane, la speranza........il suicidio. Ecco.... il suicidio, il mio pensiero ricorrente che mi accompagnava giorno e notte come soluzione estrema per porre fine a questo tormento visto che nulla aveva funzionato. Ma neanche quello avevo il coraggio di attuare. E affranto e senza speranza, spogliato di tutto nudo come un bambino.....mi sono arreso. Nel vero senso della parola. Una resa incondizionata che prevedeva la dipartita di quell'io che cercava con i suoi stupidi tentativi di porre, resistendo, rimedio al problema. Lui era il problema. E d'incanto, inaspettatamente, nel momento preciso che mi sono gettato ad abbracciare la vita, quel masso di pietra avvinghiata al collo ha fatto puf. In un istante è completamente svanita e con essa tutto quel tormento. E sono scoppiato in un pianto liberatorio pieno di gratitudine.

Poi dopo essermi ripreso, mi sono posto la domanda a cui dovevo imperativamente dare una risposta:

COME E' POTUTO ACCADERE? Che in una frazione di secondo quel tormento che mi aveva accompagnato per un mese si è dissolto? La risposta ho cercato di darla nel testo in questione.

Posso testimoniare di condividere con te una esperienza di "risveglio" e fine del tormento interiore, che io chiamerei di "temporaneo sganciamento" dalla visione limitata, angosciata, spaventata, di un io identificato fortemente nel corpo, nel nama-rupa (nome che riveste la forma afflitta dal "male" e dai guai del samsara), che ha cambiato inesorabilmente l'atteggiamento con cui affronto oggi la vita.
Se mi arrendo, soffro meno o addirittura non soffro. Guardo da un punto un po' laterale, un po' più in alto rispetto allo sguardo frontale. Non sempre riesco a "dislocarmi" però, e il mio io probabilmente non ha smesso di agitarsi e di credersi ora vivo, ora morto.
E' anche capace di fingersi morto...

Non che non mi identifichi più nel nome-forma, ma conosco l'irrealta di quell'io fantasma che di ogni evento causale ne fa, sotto sotto, ancora esperienza per consolidarsi, magari più forte ad affrontare le sfide del mondo, perchè in fondo vuole e crede di poter continuare a manovrare la vita e a vivere lui stesso, sempre fagocitato e impulsato dal bisogno di esistere nel mondo, pur riconosciuto pesante, dell'io e del mio, dell'io e dell'altro, di noi e di voi. Chissà quali noi e quali voi...

Prendo a prestito le tue parole, perchè essenziali anche per me, poi proseguo sulle mie gambe...

Si è verificato un avvenimento inaspettato e di una certa gravità a livello fisico che per la persona che ero a quel tempo, circa otto anni fa, risultava alquanto intollerabile.

La reazione spontanea tra lo sconforto e la forte preoccupazione che ne è seguita, è la classica prevedibile, quella di opporre resistenza.


Così si creò una frattura tra la mente razionale e pratica che "ragionava" sul problema e le alternative (un paio) per risolverlo, che costruiva futuri incoraggianti per consolarsi, e la parte inconscia che di notte invocava, con la voce, l'aiuto di mamma e papà (morti).

Tutto si concluse in una paio di notti, a un certo punto come ben descrivi tu:

spogliato di tutto nudo come un bambino.....mi sono arreso. Nel vero senso della parola. Una resa incondizionata che prevedeva la dipartita di quell'io che cercava con i suoi stupidi tentativi di porre, resistendo, rimedio al problema.

Mi sentii immediatamente consapevole della potenza di quell'abbandono spontaneo e sincero: ero un pezzo di legno nella corrente, il fiume mi trascinava chissà dove. Sapevo che avrei sbattuto contro molti scogli, in primis me stessa e le sue immaginazioni sul futuro, ma nello stesso tempo non avevo più paura di affrontare la vita.
Mi lasciavo andare, mi affidavo al fiume, a quell'Ordinatore cosmico che disponeva e intrecciava i fili di ogi essere vivente per farne u ricamo sullo sfondo.
E lo faceva sempre nell'Amore, anche se io non lo percepivo in quel frangente. Ma lasciandomi andare lo percepii e mi sentii rassicurata, contenta, fiduciosa, grata.

Poi iniziai a vedere la vita come un ristorante a menù fisso: quello c'è e quello ti mangi, o non ti mangi.

Possiamo scegliere lo sguardo e il sentimento con cui guardare gli eventi della vita, ma se stasera viene servita la minestrina e io volevo le lasagne, quello mi tocca. Protestare non serve, peggiora la situazione.

"con tutta quella conoscenza che avevo accumulato nel corso degli anni, sicuramente una soluzione al problema c'era mi dicevo. Forse la soluzione risiedeva nella meditazione, nel padroneggiare il respiro. O forse nella saggezza contenuta nei testi in cui si parlava di discriminazione, lo yoga, i psicofarmaci, le sigarette, le pastiglie per la pressione, le tisane, la speranza........il suicidio. "

Bella fotografia, più che mai veritiera, tante volte e ancora mi aggrappo ai "metodi" anche se so benissimo che nessun metodo mi porterà a Quello, se non l'abbandonare ogni sostegno ed essere sola con me stessa in me stessa, e poi scoprire che me stessa è un fantasma irreale, transitorio.

Non conosco l'esperienza della depressione profonda che tu hai descritto, neppure ho mai pensato a giocarmi l'asso di coppe (il suicidio). Troppo vigliacca, forse, o innamorata e grata alla vita, non so.

Conosco però la periodica non voglia/interesse/contentezza ad affrontare la vita e il prossimo (esperienza che si ripete qualche mattina che mi devo alzare dal letto e ho male a tutte le ossa, dal cranio al piede passando per le mani..) ma per fortuna quell'arrendersi interiore, che come dici, è un attimo, un vento improvviso e forte da pulire il cielo dalle nuvole, è sempre potenzialmente possibile. anzi, è l'unica realtà certa: il vento soffia sempre dove vuole, arriva solo per forza di sè stesso, a pulire nuvole generate da sè stesso in sè stesso.
Quindi abbandoniamoci nel vento.

La vedo anche un po' come mantenersi in grado di intonarsi ad una musica che vibra all'esterno e a cui sono chiamata a intervenire con questo strumento, che è ancora vivo e respira. La vita è anche un atto di generosità se vissuta come un gioco da giocare e una sfida da affrontare, anche se alla fine il premio non c'è, visto che non c'è una fine.
Ma comunque come dice il proverbio: mentre sei in ballo devi ballare.

Anche per questo nel post precedente marcavo l'insegnamento di Patanjali per me sempre attuale di mantenere, con frequenza e costanza, l'attenzione dell'io pensante (che non è del tutto defunto) sulle sue stesse modificazioni e vortici in cui si lascia attirare, in modo che l'attenzione a poco a poco si riavvolga in se stessa e poi svanisca nel miracolo della Cosa unica.

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Fedro
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da Fedro » 04/02/2024, 11:56

Caro latriplice
ho letto di una tormentosa energia accumulatesi, al cui arrendersi e svuotarsene è corrisposto una nuova fase di vita: c'entra con la morte dell'io?
Di sicuro è morto/rinato qualcosa: cosa rispetto a chi, a quale soggetto, andrebbe richiesto a se stessi, a te stesso, nell'indagine di sé, se c'è ancora una domanda.
Intanto accolgo la tua testimonianza, grazie.

"Preferiresti morire piuttosto che morire all'idea che io esista, che tu esista. Che ci sia qualcosa che esiste.
Che ci sia qualcuno che esiste. (...)
È bello, è facile amarmi fuori come Ideale o Principio, piuttosto che arrendersi all'amore che sono/siamo dentro, se ci fosse un luogo entro cui essere
Ma tu sai che non ci sono più luoghi ove rinchiudersi"

(Sigife Auslese, Et in arcadia...)

ortica
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da ortica » 05/02/2024, 11:00

E affranto e senza speranza, spogliato di tutto nudo come un bambino.....mi sono arreso. Nel vero senso della parola. Una resa incondizionata
Punto.
Questo è, a parer mio, il cuore dell'esperienza.
La resa, totale e senza condizioni.
che prevedeva la dipartita di quell'io che cercava con i suoi stupidi tentativi di porre, resistendo, rimedio al problema. Lui era il problema.
Questi sono già movimenti della mente, vritti.
E, d'incanto, inaspettatamente, nel momento preciso che mi sono gettato ad abbracciare la vita, quel masso di pietra avvinghiata al collo ha fatto puf. In un istante è completamente svanita e con essa tutto quel tormento. E sono scoppiato in un pianto liberatorio pieno di gratitudine.
Questo, invece, è l'esito dell'esperienza, l'effetto, che è arrivato - come hai scritto - d'incanto, che appare incantesimo alla mente razionale.
Bellissimo.

Poi dopo essermi ripreso, mi sono posto la domanda a cui dovevo imperativamente dare una risposta: COME E' POTUTO ACCADERE? Che in una frazione di secondo quel tormento che mi aveva accompagnato per un mese si è dissolto? La risposta ho cercato di darla nel testo in questione.
Come è potuto accadere? Ah la mente! la mente vuole sempre capire, cerca risposte e se le dà attingendo a tutta quella conoscenza accumulata nel corso degli anni
Come è potuto accadere?
È accaduto perché, finalmente, hai lasciato che fosse il treno a portare i bagagli, depositando il loro peso.
Sembra facile, ma non lo è, soprattutto quando il peso (apparente) non è toccato (apparentemente) a te, ma a una creatura che (apparentemente) ami più della tua stessa vita.
Ti ringrazio per avermelo ricordato.


R: Attraverso qualunque sentiero tu proceda, dovrai perderti nell'Uno. L'abbandono è completo quando raggiungi lo stadio “Tu sei tutto” e “Sia fatta la Tua volontà”. Lo stato non è differente da 'jnana'. In 'soham' (l'affermazione “io sono lui”) c'è 'dvaita' (dualismo). Nell'abbandono c'è 'advaita' (non dualismo). Nella realtà non ci sono né 'dvaita' né 'advaita', ma ciò che è. L'abbandono sembra facile perché le persone immaginano che, una volta che dicono con le labbra “Mi abbandono” e pongono i loro fardelli sul loro Signore, esse possono essere libere e fare ciò che desiderano. Ma il fatto è che non puoi avere attrazioni e repulsioni dopo il tuo abbandono; la tua volontà dovrebbe diventare assolutamente inesistente, venendo sostituita dalla volontà del Signore. La morte dell'ego in questo modo procura uno stato che non è diverso da 'jnana'. Così, attraverso qualunque sentiero tu possa procedere, devi arrivare a 'jnana' o unità.

L'amore stesso è l'effettiva forma di Dio. Se dicendo: “Non amo questo, non amo quello” respingi ogni cosa, ciò che rimane è 'swarupa', cioè la reale forma del Sé. Quella è pura beatitudine. Chiamala pure beatitudine, Dio 'atma', o ciò che vuoi. Quella è devozione, quella è realizzazione e quella è ogni cosa. Se in questo modo respingi ogni cosa, ciò che resta è solo il Sé. Quello è amore reale. Chi conosce il segreto di quell'amore trova che il mondo stesso è pieno di amore universale, perché la vera conoscenza del Sé, che risplende come l'indivisa e suprema beatitudine stessa, si erge come la natura dell'amore. Solo se si conosce la verità dell'amore, che è la natura reale del Sé, verrà sciolto l'ingarbugliato nodo della vita [quel peso terribile nel petto, che hai descritto così bene].
Soltanto se si consegue l'apice dell'amore verrà conseguita la liberazione. Tale è il cuore di tutte le religioni. L'esperienza del Sé è soltanto amore, che consiste nel vedere solo amore, udire solo amore, sentire soltanto amore, gustare soltanto amore e odorare soltanto amore, che è beatitudine.

Se invece abbandoni l'”io” e il “mio”, tutto viene abbandonato in un colpo solo. Il seme stesso del possesso viene perduto. In questo modo il male è tagliato alla radice o schiacciato nel germe stesso. Per fare ciò, il distacco (vairagya) deve essere molto forte. L'ardore nel farlo dev'essere uguale a quello di un uomo tenuto sott'acqua che cerca di tornare alla superficie per salvarsi la vita.

Tratto da: “Sii ciò che sei”, a cura di David Godman, Ed. Il Punto d'Incontro, pagg. 99-111.
citato in Ramana Maharshi


Ti sono davvero grata per la testimonianza nuda e cruda e ringrazio anche cielo che ha testimoniato un'esperienza diversa ma simile, soprattutto negli effetti.
È proprio vero che “Shiva risplende anche nel dolore”, forse soprattutto nel dolore.

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 06/02/2024, 1:24

ortica ha scritto:
05/02/2024, 11:00
E affranto e senza speranza, spogliato di tutto nudo come un bambino.....mi sono arreso. Nel vero senso della parola. Una resa incondizionata
Punto.
Questo è, a parer mio, il cuore dell'esperienza.
La resa, totale e senza condizioni.
che prevedeva la dipartita di quell'io che cercava con i suoi stupidi tentativi di porre, resistendo, rimedio al problema. Lui era il problema.
Questi sono già movimenti della mente, vritti.
E, d'incanto, inaspettatamente, nel momento preciso che mi sono gettato ad abbracciare la vita, quel masso di pietra avvinghiata al collo ha fatto puf. In un istante è completamente svanita e con essa tutto quel tormento. E sono scoppiato in un pianto liberatorio pieno di gratitudine.
Questo, invece, è l'esito dell'esperienza, l'effetto, che è arrivato - come hai scritto - d'incanto, che appare incantesimo alla mente razionale.
Bellissimo.

Poi dopo essermi ripreso, mi sono posto la domanda a cui dovevo imperativamente dare una risposta: COME E' POTUTO ACCADERE? Che in una frazione di secondo quel tormento che mi aveva accompagnato per un mese si è dissolto? La risposta ho cercato di darla nel testo in questione.
Come è potuto accadere? Ah la mente! la mente vuole sempre capire, cerca risposte e se le dà attingendo a tutta quella conoscenza accumulata nel corso degli anni
Come è potuto accadere?
È accaduto perché, finalmente, hai lasciato che fosse il treno a portare i bagagli, depositando il loro peso.
Sembra facile, ma non lo è, soprattutto quando il peso (apparente) non è toccato (apparentemente) a te, ma a una creatura che (apparentemente) ami più della tua stessa vita.
Ti ringrazio per avermelo ricordato.



Ti sono davvero grata per la testimonianza nuda e cruda e ringrazio anche cielo che ha testimoniato un'esperienza diversa ma simile, soprattutto negli effetti.
È proprio vero che “Shiva risplende anche nel dolore”, forse soprattutto nel dolore.

Leggendo il tuo commento non ho potuto fare altro che soffermarmi e riflettere, e nel mentre ho avvertito una sensazione di totale svuotamento e pace. E ho capito.

Ho voluto costruire un monumento alla razionalità intriso di arditi pensieri per spiegare l'intimità di questa esperienza e sottoporlo all'intelletto.

Ma il nodo da sciogliere era altrove come la sede del dolore indicava.

E l'ho sempre trascurato per la mia predilezione a compiacere l'intelletto.

Finché la vita stessa me l'ha messo di fronte facendomelo ingoiare a forza.

Un'altra settimana di quel tormento e sarei morto d'infarto.

Solo perché mi ero intestardito a voler portare la croce non sapendo che non era mai stata mia.

Ricordo ancora quel momento con stupore in cui gettata la croce, il tormento è cessato ed il mio cuore si è colmato di amore e di un mistero insondabile dall'intelletto che non conosce separazione.

Spero che quello che è ancora rimasto di me abbia imparato la lezione.

Grazie di cuore.

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 06/02/2024, 15:10

L'AMORE E' LA RISPOSTA.

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 09/02/2024, 16:47

Come se si fosse aperto un portale in seguito al confronto che per me si è rivelato di una importanza vitale, seguono ulteriori riflessioni:

Il testo in questione, IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE, a ragion veduta è una sorta di vademecum a uso e consumo dell'io per pararsi il culo nel caso la situazione si mettesse male. Quella sostanzialmente è la motivazione inconfessata alla base della sua stesura, quella di soccorrere in caso di necessità il malcapitato di turno corredandolo di una prospettiva metafisica, esteticamente accattivante nella forma ma di dubbia applicazione, nell' affrontare le avversità che la vita presenta.

Perché dico questo? Sarebbe stato di una qualche utilità mentre mi vedevo riflesso come di un morto che cammina negli occhi sbigottiti di mia moglie mentre impartivo istruzioni testamentarie per la mia morte imminente?

Nella spirale discendente nella quale ero precipitato, nel circolo vizioso che si era innescato nel resistere gli eventi che rafforzava ulteriormente la massa di energia contratta che gravava nel petto ideando soluzioni allo scopo di tirare a campare e nella condizione precaria psicofisica nella quale mi trovavo, credo proprio di no.

E' giunto il momento di essere onesto con me stesso e di non mentirmi più generando alibi sofisticati allo solo scopo di perpetuare l'io con il suo istinto di sopravvivenza nel difendere i propri presunti raggiungimenti e possessi.

Perché esattamente di questo si tratta se vogliamo andare al nocciolo della questione. L'io si alimenta e si sostiene attraverso il mio. La mia vita, la mia salute, la mia casa, la mia macchina, mia moglie, i miei figli, il mio conto in banca, i miei studi ed il mio percorso spirituale. Tutte cose che onestamente sono state prese in prestito con data di scadenza. E quando queste vengono minacciate, l'importanza che l'io si attribuiva in conseguenza a questa dipendenza, ne risente a tal punto da condurlo in una crisi esistenziale.

Tutto perché da ladri inconsapevoli non vogliamo restituire il maltolto al legittimo proprietario rivendicando ostinatamente quella vita universale incontaminata da scambi commerciali come nostra.

Posta così la questione, gira e rigira, dobbiamo iniziare ad essere onesti con noi stessi e con la morte dell'io che esso comporta tornare alla Vita, quella vera e non surrogata.

cielo
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da cielo » 13/02/2024, 15:29

latriplice ha scritto:
09/02/2024, 16:47
Come se si fosse aperto un portale in seguito al confronto che per me si è rivelato di una importanza vitale, seguono ulteriori riflessioni:

Il testo in questione, IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE, a ragion veduta è una sorta di vademecum a uso e consumo dell'io per pararsi il culo nel caso la situazione si mettesse male. Quella sostanzialmente è la motivazione inconfessata alla base della sua stesura, quella di soccorrere in caso di necessità il malcapitato di turno corredandolo di una prospettiva metafisica, esteticamente accattivante nella forma ma di dubbia applicazione, nell' affrontare le avversità che la vita presenta.

Perché dico questo? Sarebbe stato di una qualche utilità mentre mi vedevo riflesso come di un morto che cammina negli occhi sbigottiti di mia moglie mentre impartivo istruzioni testamentarie per la mia morte imminente?

Nella spirale discendente nella quale ero precipitato, nel circolo vizioso che si era innescato nel resistere gli eventi che rafforzava ulteriormente la massa di energia contratta che gravava nel petto ideando soluzioni allo scopo di tirare a campare e nella condizione precaria psicofisica nella quale mi trovavo, credo proprio di no.

E' giunto il momento di essere onesto con me stesso e di non mentirmi più generando alibi sofisticati allo solo scopo di perpetuare l'io con il suo istinto di sopravvivenza nel difendere i propri presunti raggiungimenti e possessi.

Perché esattamente di questo si tratta se vogliamo andare al nocciolo della questione. L'io si alimenta e si sostiene attraverso il mio. La mia vita, la mia salute, la mia casa, la mia macchina, mia moglie, i miei figli, il mio conto in banca, i miei studi ed il mio percorso spirituale. Tutte cose che onestamente sono state prese in prestito con data di scadenza. E quando queste vengono minacciate, l'importanza che l'io si attribuiva in conseguenza a questa dipendenza, ne risente a tal punto da condurlo in una crisi esistenziale.

Tutto perché da ladri inconsapevoli non vogliamo restituire il maltolto al legittimo proprietario rivendicando ostinatamente quella vita universale incontaminata da scambi commerciali come nostra.

Posta così la questione, gira e rigira, dobbiamo iniziare ad essere onesti con noi stessi e con la morte dell'io che esso comporta tornare alla Vita, quella vera e non surrogata.
Sono pienamente d'accordo con te, in certi momenti non soccorrono neppure gli scritti più amati perchè sempre corroboranti e di stimolo ad ampliare la visione dal vaso all'aria in cui il vaso è immerso, o le nostre riflessioni filosoficamente "purissime" e segno di una buona digestione dell'istruzione, ma che me ne faccio di sacrosante perle di saggezza da me stessa prodotte e ben pettinate quando sto per scivolare nel panico ancestrale, tipo quello che inchiodò Ramana al pavimento a 17 anni e da cui prontamente e per sempre si liberò?

L'io pensante e immaginante vortica come aria intrappolata nel vaso (ahamkara: il senso dell'io che separa il vaso dall'esterno etichettandolo per renderlo distinguibile con forma e nome) e si aggrappa senza posa agli oggeti che trova o che immagina di trovare (mamakara: il senso del mio, è il nodo della percezione: se c'è un io, c'è pure un tu. E l'altro potrebbe essere concausa del mio malessere...gli altri solitamente sono i colpevoli preferiti delle nostre sofferenze, a parte quelle fisiche-genetiche.

E sempre con quel filo di preoccupazione riguardo al vaso che ormai perde pezzettini di argilla e ha qualche crepatura qua e là, e se si rompe?
Prima o poi si romperà, la data di rottura per scadenza del vaso è sconosciuta a ciascuno, ricchi e poveri, buoni e cattivi, nessuno sa quando il vaso si romperà e l'aria intrappolata all'interno si mescolerà con l'aria esterna che abbiamo accuratamente tenuto fuori tappandoci per benino all'interno.

Come dicevo in altro post, nelle situazioni in cui mi sento precipitare nel vuoto, in cui mi assalgono le ansie e le preoccupazioni torno a ricordarmi di respirare, l'ansia manda in apnea e il respiro si accorcia, diventa impercettibile, quasi sparisce, oppure è trattenuto inconsapevolmente.
Respira sei viva!

A volte è sufficiente per ricentrarsi: l'aria entra porta luce e vigore, ossigeno, energia nuova e fresca.
L'aria esce: veicola scorie e le espelle. Lascia andare,molla la presa.
Nelle pause c'è un attimo di pura sensazione dell'essere fermi nel movimento ininterrotto.

Il ciclo della vita, da un respiro all'altro, perfino Brahman espira il Cosmo e lo riassorbe, nell'eterno ciclico gioco del tempo-spazio in cui si alternano le forme in esistenza.

Tornare alla vita vera e non surrogata è interessante come immagine.
Forse da approfondire. Chi giudica che sia vera e non surrogata?
Forse il legittimo proprietario di una vita libera da scambi commerciali e senza scelte finalizzate a rinforzare l'io e i suoi possedimenti?
Ancora immaginazione di un altro noi potenziato di consapevolezza e libero?

Ogni vaso è sempre ben arredato agli occhi di chi lo abita.
Ma rompere il vaso mentre lo si abita mi evoca quei monaci di Shankara che a un cero punto mollavano tutto e percorrevano l'India senza meta...
Sono un po' romantica, lo so.

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 14/02/2024, 15:44

Cielo ha scritto:

Tornare alla vita vera e non surrogata è interessante come immagine.
Forse da approfondire. Chi giudica che sia vera e non surrogata?
Forse il legittimo proprietario di una vita libera da scambi commerciali e senza scelte finalizzate a rinforzare l'io e i suoi possedimenti?
Ancora immaginazione di un altro noi potenziato di consapevolezza e libero?

Non è paradossale il fatto che l'individuo trascorra gran parte dell' esistenza a ritagliarsi per sé una porzione della vita una ed indivisa per accrescere la propria importanza e a difendere ad oltranza l'appropriazione indebita quando questa è minacciata seriamente? Quella di assumere un atteggiamento difensivo nel proteggere qualcosa che fondamentalmente non è mai stato suo in primo luogo? Che tipo di vita potrebbe essere quindi, quella di opporre costantemente resistenza al flusso dell'energia vitale manifesta che scorre in un senso cercando disperatamente di contenerla per non essere travolti, se non una parvenza di vita surrogata nella sua espressione?

Tutta la faccenda spirituale pertanto si riduce a questa semplice constatazione appena descritta, nell'essere onesti con se stessi e riconoscere che la vita stessa che io reclamo e rivendico come mia dal quale ricavo importanza agli occhi miei e degli altri, in realtà non mi è mai appartenuta e che io stesso non mi appartengo.

Nel mio caso l'onestà è sopraggiunta quando messo alle strette e con la puzza di cadavere sotto il naso sono stato costretto a percorrere la via dell'abbandono invece di quella dell'auto-indagine a cui avevo dedicato gran parte della mia vita.

E nel vedere la mia impotenza a fronteggiare il fiume impetuoso dell'esistenza che mi stava travolgendo la resa è giunta spontanea ed improvvisa.

E con essa la cessazione di quel tormento che si era accentuato e che mi stava perseguitando da un po' di tempo.

Quell'io che per la sua stessa genesi non sapeva altro se non resistere il corso degli eventi, nella resa incondizionata si è dissolto nella totalità vibratoria energetica della Vita una ed indivisa.

Non per una questione di meriti acquisiti tramite rinunce, preghiere, recitazione di mantra, lettura e riflessione dei testi sacri o azione disinteressata.

Ma per una questione puramente meccanica:

Ciò a cui resisti, persiste.

La resistenza che si oppone al flusso entrante (le avversità della vita) genera un'accumulo di energia sospesa che non fluisce e tende a persistere sotto forma di massa contratta che via via si condensa sempre di più fino a generare una crisi esistenziale che nel mio caso si è rivelata malgrado tutto come risolutiva ponendo fine al mio percorso spirituale.

Nell'abbandonarsi alla Vita una ed indivisa, non c'è obbiettivo da raggiungere, istanza da soddisfare, cambiamento da apportare.

Se la tua spazialità coscienziale è soffocata da pensieri, immagini, emozioni e sensazioni ricorrenti e alienanti, non fare assolutamente nulla e lascia che quello che è, sia.

E quella contingenza non incontrando resistenza perde vigore fino a dissolversi nella totalità vibratoria dell'Essere che non conosce distinzione e separazione.

In ciò risiede il fulcro della mia esperienza.

cielo
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da cielo » 15/02/2024, 8:46

Condivido, essere onesti con sé stessi è partire da dove si è, essere consapevoli nell'equanimità che non giudica cadute e scivolate nei vecchi modi di chiudersi nella massima tensione di protezione dell'"io sono questo e quello".
Se la tua spazialità coscienziale è soffocata da pensieri, immagini, emozioni e sensazioni ricorrenti e alienanti, non fare assolutamente nulla e lascia che quello che è, sia.
Osservare dove si dirige l'attenzione, come si modula mentre entra in contatto con il mondo esterno in mutamento continuo. Il tentacolo del polipo che si muove, movimento nel movimento, in un continuo fluire.
Ciò a cui resisti, persiste.

La resistenza che si oppone al flusso entrante (le avversità della vita) genera un'accumulo di energia sospesa che non fluisce e tende a persistere sotto forma di massa contratta che via via si condensa sempre di più fino a generare una crisi esistenziale che nel mio caso si è rivelata malgrado tutto come risolutiva ponendo fine al mio percorso spirituale.
Vero. Le avversità della vita entrano a prescindere dalle robuste barricate fatte. E le masse di tensione esistenziale contratte sono causa di esplosioni energetiche incontrollate che "sfogano" sull'altro visto come nemico, o per immaginazione personale, o perché si adempie ad un ordine.
Se guardo il mondo attraverso gli occhi di un soldato del 2024 non oso far partire il film delle avversità della vita a cui ogni giorno partecipa, volente o nolente. Ho sempre pensato che la mia anima conosca la diserzione dai campi di battaglia, ci vuole coraggio anche se non sembra, vista da un'altra ottica.
Lasciare fluire l'energia, abbandonarsi è anche vedere il mondo con gli occhi dell'altro, fluire tra un vaso e l'altro, in quanto aria, sempre presente nella sua incommensurabile vastità.

A parte la digressione, per il resto non vedo percorsi separati tra la via dell'auto indagine e la via dell'abbandono, si intrecciano e coesistono.
L'azione nel mondo dovuta alla persistenza dell'attore, del "nome forma", è il ritmo di sottofondo, la rete del karma-dharma che germina come un campo.

La para bhakti si congiunge con jnana, e quando la vidya, la conoscenza del Vero, di ciò che è e non diviene, è matura si gusta il frutto della para bhakti: puro amore, pura intelligenza e presenza nell'Unico. Sat cit ananda.

Vasi comunicanti e un unico percorso di "reintegro" nel Sé.

Lo vedo come qualcosa che accade, non è una scelta dell'io o, meglio finché c'è un io che sceglie tra questo sì e questo no, allora è ancora fuffa e scorie da cui liberarsi. E' ancora un io che si auto costruisce con una nuova veste, più bella. In me stessa vedo queste sfumature di autocompiacimento, nell'idea di percorrere una nobile via quando so benissimo che non c'è nessuna via lastricata da percorrere per essere ciò che si è, e non diviene. So di non aver raggiunto quella stabilità, quella fermezza e costanza h24.
Nel mio caso l'onestà è sopraggiunta quando messo alle strette e con la puzza di cadavere sotto il naso sono stato costretto a percorrere la via dell'abbandono invece di quella dell'auto-indagine a cui avevo dedicato gran parte della mia vita.
La puzza di cadavere chi l'ha sentita non la dimentica, ricordo a me stessa che il corpo è un laboratorio con svariati alambicchi e officine formative di cellule che poi vengono distrutte alla bisogna.
La mente è lo scienziato che fa esperimenti. Un fumetto di scienziato, un po' Spennacchiotto, un po' Archimede pitagorico...

Auto indago su entrambi, nell'attesa di risolvere ogni upadhi, ogni sovrapposizione velante che la mente inconsistente, ma ancora utile come strumento, veste per non sentirsi spogliata da tutto, per essere ancora il direttore del laboratorio della percezione.

Alla prossima!

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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da Fedro » 15/02/2024, 11:45

latriplice ha scritto:
14/02/2024, 15:44
per una questione puramente meccanica:

Ciò a cui resisti, persiste.

La resistenza che si oppone al flusso entrante (le avversità della vita) genera un'accumulo di energia sospesa che non fluisce e tende a persistere sotto forma di massa contratta che via via si condensa sempre di più fino a generare una crisi esistenziale che nel mio caso si è rivelata malgrado tutto come risolutiva ponendo fine al mio percorso spirituale.
senza girarci molto intorno, mi pare si possa raccogliere qui, il nocciolo della questione, in cui spesso ricadiamo.
Mi ero permesso di ravvisare anch'io "un'accumulo di energia sospesa che non fluisce"
quando avevi esposto la tua esperienza.
Infine ci si chiede: è il tracollo energetico che determina la crisi esistenziale, oppure è il contrario?
Forse sta in ciò in cui ci identifichiamo di più il punto,
quindi infine sta nel pensiero in cui ci eravamo installati?

latriplice
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Re: IL PRINCIPIO DIFFERENZIATORE

Messaggio da latriplice » 15/02/2024, 17:38

Fedro ha scritto:
Infine ci si chiede: è il tracollo energetico che determina la crisi esistenziale, oppure è il contrario?
Forse sta in ciò in cui ci identifichiamo di più il punto, quindi infine sta nel pensiero in cui ci eravamo installati?
L'identificazione è un dispositivo utile per sbrigare le faccende mondane. Il problema sorge quando alla mente e alla sua sfera emozionale, al corpo e le sue attività che conducono a possessi e raggiungimenti, alle relazioni di parentela e amicali, ci appiccichi l'etichetta "mio". Da ciò deriva la sensazione di essere "qualcuno" e la necessità di prendere posizione nel proteggere il proprio orticello dalle intemperie che erroneamente si crede di aver duramente coltivato.

Ma è una farsa a cui ci apprestiamo ad interpretare e a crederci, che è la ragione principe alla base della crisi esistenziale e ai scombussolamenti personali che essa comporta.

Basta una malattia, un'amore tradito, uno screzio con un amico, un lutto inaspettato, un tracollo finanziario, la perdita del lavoro, cose di cui è fatta la vita, per innescare attrito e conflitto tra intenzioni opposte generando quel fardello pesante come un masso appeso al collo che la vulnerabilità di essere "qualcuno" inevitabilmente comporta.

Pertanto non temo smentita nel dichiarare sulla base di una constatazione innegabile che al mondo sei venuto a mani vuote e che te ne andrai altrettanto a mani vuote, che di tuo qua fondamentalmente non c'è nulla e nel riconoscerlo, l'importanza di essere "qualcuno" che dal "mio" dipendeva, viene ridotto ai minimi termini.

In ciò consiste la liberazione, cosa credevi che fosse?

La libertà di essere dispensati dall'obbligo di lottare ed immolarsi per qualcosa che paradossalmente non è mai stato tuo.

Questo non significa che devi buttare tutto all'aria, semplicemente in caso di necessità te ne occupi e provvedi senza per questo farne una tragedia personale.

Credere di essere qualcuno è ciò che spalanca le porte dell'inferno e ti riduce in schiavitù.

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