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Uno senza secondo

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latriplice
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Uno senza secondo

Messaggio da latriplice » 15/02/2022, 2:01

Alla fine, grazie a Dio, mi sono schiantato e sono tornato (spero per sempre) con i piedi per terra. Ultimamente ho vissuto un periodo molto travagliato della mia vita al limite della follia e fortunatamente il destino ha impedito che si concludesse tragicamente. Quando in seguito ho recuperato un pò di lucidità mentale, mi sono reso conto che non sono stato realmente coerente con me stesso nonostante fossi convinto del contrario. Forte sostenitore delle verità del vedanta di cui assentivo al carattere illusorio, relativo, effimero, irreale di questo mondo, quando si è presentata la sofferenza invece di stringerle la mano sono fuggito. Ma come? La sofferenza è soltanto un aspetto evanescente di una realtà eterna, e sei io sono Quello, perché temerla? Allora mi è apparso chiaramente il fatto che nonostante mi fossi proclamato seguace dell'uno senza secondo, in realtà avevo relegato questa comprensione a un livello puramente teorico senza viverla effettivamente, creando pertanto allo stesso tempo una dualità inventata incompatibile con ciò che è, la verità.

Quello che segue è un brano ricavato da un libro che mi è capitato tra le mani (credo per grazia divina) a distanza di qualche tempo che mi ha aiutato a comprendere e riassumere i meccanismi coinvolti e alla base della follia che vi ho accennato che a quanto pare hanno un carattere universale e che intendo, se siete interessati condividere con voi. Buona lettura.

Uno senza secondo
Capitolo tratto dal libro “Al di là dell’io” di Arnaud Desjardins, Ubaldini Editore – Roma

Nella via che seguite qui non c’è un programma che scandisce la giornata per tutto l’arco dell’anno, come in un’abbazia trappista o in un convento zen. Non ci sono riti, cerimonie, culti e liturgie; nessuna complessa tecnica di meditazione o di visualizzazione di divinità tantriche, né esercizi di respirazione; non ci sono inni, canti, preghiere in comune o uffici religiosi. Non c’è un grande mito come quello di Krishna o di Rama, né una meditazione quotidiana sulla vita di Cristo. Allora, che cosa abbiamo? Io porto soltanto la testimonianza del fatto che dopo avere conosciuto, e conosciuto per anni, dall’interno, vari insegnamenti tibetani, induisti e sufi, per me il più efficace, e di molto, è l’insegnamento di svami Prajnanpad. Ma sapete benissimo che questa via non può consistere soltanto nell’ascoltare di tanto in tanto un discorsetto di Arnaud o nel leggere un libro all’anno, né nel partecipare a incontri di qualche ora o tuffarsi nelle profondità dell’inconscio.

Come fare perché tutto il mondo diventi realmente, e non solo a parole, un asram o un monastero, e tutta la vita sia la pratica del cammino? È imperativo che disponiate di uno strumento da utilizzare dal mattino alla sera, altrimenti passeranno i mesi, passeranno gli anni e voi non cambierete, non scoprirete ciò che va scoperto. Ogni volta che mi sentite parlare o rispondere a una domanda, chiedetevi con grande intensità interiore: che cosa mi dà tutto questo di utilizzabile per conto mio? I progressi non avvengono solo durante i periodi che trascorrete al Bost, avvengono tutto l’anno. Dovete capire ancora una volta, come se non ne aveste mai sentito parlare, che cosa vi è richiesto, che cosa vi è proposto e che cosa è possibile per voi. Potrei riassumerlo in una frase che forse avete letto in vari insegnamenti e che si trova anche nel Vangelo di Tommaso: “Quando farete dei due uno”. Che frase meravigliosa! Conterrà senza dubbio qualcosa di esoterico o di metafisico… La verità è che contiene qualcosa di eminentemente pratico. La grandezza di un vero cammino sta nel rendere metafisico ogni istante della vita. La via non consiste nel compiere azioni ammirevoli, ma nello svolgere le azioni quotidiane in modo ammirevole.

L’esistenza ordinaria di un essere umano avviene nella dualità, come se vivesse due esistenze nello stesso tempo, ed è quello che vorrei farvi toccare oggi con mano. Non indicarvi qualcosa che sta lassù sulle nuvole, ma farvelo toccare con mano.

Mi avete già sentito citare le parole di Eraclito: “I desti hanno un mondo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si ritira in un mondo proprio”. Parole che sono intese diversamente dai filosofi di professione, ma che per me hanno un significato evidente che illustra assai bene l’insegnamento di Svamiji. La natura della mente, questa mente chiamata a scomparire, è quella di creare un secondo e farvi vivere in due mondi. Se riconducete il due a uno, vivrete in un unico mondo, il mondo reale.

Vi farò un esempio molto concreto, e altri ne seguiranno. Le pareti della mia stanza sono tappezzate di stoffa e a un certo punto mi serve una certa metratura di quella stessa stoffa per fare la fodera di un cuscino. Prendo un campione che i miei amici tappezzieri mi hanno lasciato e ne mando un pezzo a ciascuno di voi chiedendovi se potete procurarmi una stoffa uguale. Ricevo i vostri campioni, li paragono al campione che ho conservato, e li accetto o li rifiuto in base alla conformità del modello. Se nel vostro campione ci sono dei fili viola che non ci sono nel mio campione, scarto la stoffa con i fili viola. Un altro campione è troppo scuro e lo rifiuto. Un altro è troppo chiaro e dico di no. Accetterò soltanto la stoffa rigorosamente identica al campione, cioè a quella che copre le pareti della mia stanza. Questo paragone con un campione, in base a cui accettiamo o rifiutiamo, è normale nella vita pratica. Nel campo dell’industria, del commercio, e anche in casa nostra, abbiamo dei campioni, paragoniamo, accettiamo o rifiutiamo. La mente fa la stessa cosa, con la differenza fondamentale che i suoi paragoni sono totalmente illusori. La mente non smette mai (ho detto “mai”, e se osservate con attenzione vedrete che è vero) di fabbricare un mondo parallelo al mondo reale, di paragonare il mondo reale a quello di sua invenzione, e in seguito di accettare o rifiutare il mondo reale a seconda che sia conforme o meno al mondo illusorio di sua creazione.

Sarete salvi quando avreste visto, con tutto il vostro essere, in primo luogo che questo è vero e in secondo luogo che è una stupidaggine che niente può giustificare, eppure è la norma dell’esistenza umana. È questa la causa di tutte le tragedie, di tutte le sofferenze e di tutti i fallimenti. È anche la causa del sonno e della cecità, e della perenne impossibilità di comprendere l’atman, la libera coscienza.

La mente crea un secondo. Dovete rendervi conto, dal mattino alla sera, nelle piccole cose prima ancora che nelle grandi, di essere vittime di questo meccanismo aberrante. Sapete che sono stato un cineasta, che ho lavorato per la televisione e che nei documentari che giravo, nei mesi trascorsi nei monasteri sull’Himalaya o negli asram induisti, ero il mio stesso operatore di macchina. Filmavo con mezzi tecnici molto rozzi, e sapevo bene quale tragico errore potevo commettere durante una missione: mettere due volte la stessa pellicola nella macchina da presa. In fase di sviluppo si ottengono due immagini inestricabilmente sovrapposte e impossibili da separare. Ricordo che ero all’asram di Swamiji quando ho capito con chiarezza quello di cui vi sto parlando e l’immagine di due pellicole sovrapposte mi venne in mente come un perfetto esempio di quello che avevo scoperto. Capii che di fatto vivevo in due mondi, due mondi sovrapposti: il mondo reale, che appare attimo per attimo, e il mondo continuamente inventato dalla mente.

Potrei fare anche un altro esempio. Probabilmente avete avuto in mano una macchina fotografica in cui per mettere a fuoco bisogna far coincidere due immagini, e solo quando coincidono perfettamente nel mirino, la messa a fuoco è perfetta. Oppure, se fate il semplice esperimento di premere un occhio con un dito, la maniglia della porta o qualsiasi altro oggetto stiate guardando si sdoppia, appare una seconda maniglia sovrapposta alla prima, e solo quando smettete la pressione sul globo oculare la maniglia torna a essere soltanto una. È un’immagine semplice e facile da ricordare: prima creo due maniglie, poi le riconduco da due a una.

La mente fa così: crea il due. Quello che dovete fare voi, dal mattino alla sera, in qualunque situazione o circostanza, senza alcuna eccezione, è ricondurre il due a uno. Non commettete il tragico errore, così diffuso e che facciamo in tanti, di credere che la cosa importante sia vivere in un monastero tibetano o restare immobili in meditazione (oppure venire al Bost), ma che il modo di fare colazione o di spogliarsi alla sera non abbia alcuna importanza. Di cosa è fatta l’esistenza? Ogni tanto è una tragedia che si cerca di vivere come farebbe un saggio, chiedendoci come Buddha o Socrate avrebbero vissuto la morte di un figlio, ma il nostro destino non è intessuto di queste tragedie un attimo dopo l’altro. È appunto in questo attimo dopo l’altro, nei piccoli dettagli quotidiani, che si vince o si perde la partita. Qualunque circostanza, anche la più umile e banale, è enorme per chi è impegnato nel cammino. La realtà è sempre presente e non dovete fare altro che scoprirla. Sapete che la tradizione zen è ricca di aneddoti e di piccoli eventi in cui un monaco zen ottiene l’illuminazione spazzando, ascoltando il tonfo di una rana che salta nell’acqua o il rumore di un bastone che cade per terra, e tanti altri casi di questo tipo. Non pensate: “La vita quotidiana è noiosa” e non lasciate che si svolga nella menzogna, cioè nella dualità di cui vi parlo.

Facciamo un esempio molto ordinario e concreto per capire come funziona la mente e come crea di sana pianta la dualità secondo un criterio che non ha assolutamente nessuna realtà. Farò un esempio al maschile, dato che sono un uomo, ma che è applicabile a tutti. Immaginiamo un uomo della classe media che conduce una vita normale e torna a casa alla fine della giornata con un po' di fretta perché ha giusto il tempo di radersi velocemente con il rasoio elettrico prima di andare a una cena da amici a cui è invitato anche il fratello del direttore generale della società per cui lavora. Conoscere il fratello del direttore è una grande occasione e potrebbe rivelarsi utile per la sua carriera. Probabilmente ha pensato per tutto il giorno più alla cena che a svolgere i suoi compiti, perché è tutto teso verso l’incontro di questa sera. Che prenda la metro o che sia in auto, imbottigliato nel traffico parigino, non è nel qui e ora perché è tutto proiettato sul dopo. Supponiamo che abbia trovato parcheggio e rientri di corsa nel palazzo in cui vive. L’ascensore non è al piano terra. Per la fretta, la sua mente ha creato a sua insaputa un mondo in cui l’ascensore è fermo in attesa al piano terra e paragona questo mondo, in cui l’ascensore è lì in attesa, a quello reale in cui l’ascensore si sta spostando tra i piani. La mente rifiuta la situazione reale perché non corrisponde a quella che ha stabilito arbitrariamente.

Riflettete e ricordate l’esempio che ho fatto poco fa: rifiuto dei modelli di tessuto che mi vengono proposti perché non corrispondono esattamente al campione che ho in mano. Questo raffronto è giustificato, perché il campione di stoffa che ho in mano è reale, ma la comparazione permanente della mente non ha nessuna giustificazione, di nessun tipo, perché la mente non ha niente di reale su cui fondare i propri paragoni. Dovete vedere la stupidità e l’insensatezza di questo meccanismo.

Ma continuiamo… Premo il pulsante di chiamata e in genere si accende una spia che mi dice che l’ascensore sta scendendo. La spia non si accende. Immediatamente, la mente crea un mondo in cui la spia si accende, perché ho fretta, sono già un po' in ritardo e devo salire subito al mio piano. Ed è a questo mondo completamente inesistente, privo di qualunque realtà, che la mente si permette di paragonare il mondo reale.

Decido di salire a piedi. Entro nel mio appartamento e, mentre sto per radermi velocemente e cambiarmi la camicia, mia moglie mi dice: “Misura la febbre al bambino”. Nel mondo reale, è questo che c’è. Ma, dato che mi sto preparando per andare a una cena che considero molto importante, queste parole non corrispondono alle mie aspettative e la mente crea un mondo in cui mia moglie non le ha pronunciate affatto. Poi paragona questo mondo illusorio con il mondo reale e lo rifiuta come io rifiutavo i modelli di stoffa che non corrispondevano al mio campione. La mente crea un secondo in cui mia moglie non pronuncia queste parole in questo momento. Avviene con grande rapidità. E la mente rifiuta. Scatta così l’emozione, l’irrealtà, la falsità. Non sono più nel mondo reale e continuo a paragonare il mondo reale a quello completamente inesistente di mia creazione.

Che cosa? “Misura la febbre al bambino”? Se nostro figlio è malato proprio questa sera è una catastrofe. Non dormirà tranquillamente nel suo lettino mentre noi siamo fuori. Ecco l’emozione. La mente immagina all’istante, molto più rapidamente di quanto possa fare il pensiero razionale, tutto un mondo di disgrazie: se il bambino sta male chissà che cosa accadrà, non potremo andare alla cena, di conseguenza non conoscerò il fratello del direttore, di conseguenza non avrò l’opportunità di instaurare un rapporto che potrebbe rivelarsi utile per la mia promozione. Niente va mai come deve, tutto è troppo difficile… In un attimo, la mente crea tutta una serie di conseguenze negative che non hanno nessuna realtà, perché niente di tutto questo è ancora avvenuto.

In realtà, le parole “misura la febbre al piccolo” non contengono nessuna di queste minacce; forse sì, ma non ancora con assoluta certezza. Ma la mente estrapola abusivamente e trasforma le probabilità in certezze. Devo sbrigarmi, non posso perdere tempo, il bambino non deve assolutamente essere malato. Inizio a farmi trascinare via dall’emozione.

Apro il cassetto dell’armadietto del bagno dove dovrebbe trovarsi il termometro, ma il termometro non c’è. La mente ha fabbricato all’istante un mondo, altrettanto chimerico del precedente, il cui termometro è al suo posto nel solito cassetto. Paragona questo mondo totalmente inventato al mondo reale, l’unico esistente, in cui il cassetto è vuoto, e io rifiuto il fatto. La mente nega il cassetto vuoto che non è conforme all’altro con cui lo paragona. Chiamo mia moglie: “Brigitte!”. Ma lei si sta asciugando i capelli e a causa del rumore dell’asciugacapelli non mi sente. Il paragone continua attimo dopo attimo. Nel mondo reale non c’è nessuna risposta da parte di mia moglie, c’è il suo silenzio, ma la mente crea immediatamente un mondo in cui mia moglie mi sente e risponde: “Sì, cosa c’è?”. E permetto ancora una volta di sovrapporre al mondo reale questo mondo illusorio. Grido più forte, mia moglie mi sente e dice: “Ho già tirato fuori il termometro, è sul comodino nella stanza del piccolo”. Gli metto il termometro: un minuto, due muniti. Lo tolgo, lo guardo, la colonnina segna quaranta. Questa è l’unica realtà. Ma la mia mente ha creato istantaneamente un mondo in cui la temperatura non superava i trentasette e due, e dato che “trentasette e due” non ha nessuna realtà, la mente giudica l’unica realtà: il termometro che segna quaranta.

Potrei continuare a descrivere gli eventi minuto per minuto, secondo per secondo, ma continuiamo quel tanto che basta per convincervi completamente. C’è un’unica cosa da fare: chiedere a mia madre se può venire a guardare il bambino. Prendo il telefono, faccio il numero, è occupato. Basta questo perché la mente crei un mondo in cui il telefono non è occupato, lo paragoni alla realtà e rifiuti quest’ultima come “non conforme”. Aspetto tre minuti, faccio di nuovo il numero, questa volta dà libero. Per un attimo, la mente non crea nessun secondo. Uno squillo, due, tre… e la mente ricomincia a creare un mondo in cui alla fine del terzo squillo la voce di mia madre dirà: “Pronto?”. Quattro squilli, cinque… Il mondo mentale si allontana sempre più da quello reale. Otto squilli, dieci… Prima dava occupato, adesso dà libero, ma nessuno risponde… Mia madre stava per uscire per andare a trovare mia zia, perché ha la sera libera, ma in quel momento il telefono ha squillato. È andata a rispondere con il cappotto addosso, poi ha riattaccato ed è uscita. Ha impiegato quindici secondi per chiudere la porta e io ho chiamato proprio dopo quei quindici secondi. Una situazione banalissima. Invece, per me la situazione si fa sempre più grave, perché la cena dai miei amici sembra sempre più compromessa. Immaginate gli sviluppi della serata: arrivo alle nove quando mi avevano fatto giurare che non sarei arrivato oltre le otto e mezzo, oppure rinuncio ad andare del tutto. In entrambi i casi questi due mondi paralleli continueranno a scorrere, attimo dopo attimo.

Tutto questo, lo so bene, può sembrare molto meno straordinario che parlare del risveglio della kundalini, dell’apertura dei cakra, della meditazione sul mandala dell’Hevajra tantra, dello studio delle radici arabe del sufismo o delle radici ebraiche della qabbala. La mente è ghiotta di cose misteriose, mentre il vero cammino, quello che può condurvi realmente al risveglio, passa unicamente per l’istante e nient’altro. La realtà è sempre una senza secondo, indipendentemente dalle condizioni e dalle circostanze; mentre ciò che possiamo chiamare “sonno”, maya, o “mente”, crea un secondo. L’unica possibilità di sfuggire al conflitto, alla contraddizione, all’ignoranza, alla cecità è quella di essere più vigili della mente, di smettere di creare un secondo, oppure, nel caso sia già stato creato, di fare di due uno, cioè far scomparire il mondo illusorio a cui paragonare il mondo reale. Se non vedete fino a che punto tutto questo è vero, non avete mai avuto nemmeno un secondo di vigilanza nella vita! Non ditemi che non vivete così, me ne date le prove tutti i giorni durante ogni incontro. E ho vissuto anch’io in questo modo abbastanza per sapere di cosa parlo.

È esattamente come se, dopo avere creato il nostro mondo irreale, dopo avere trasformato questo niente in una realtà, condannassimo la sola e unica realtà dicendoci continuamente: “Dio ha fatto le cose male un'altra volta”. Se chiedo a Michèle di acquistare per me della stoffa, e se quella che mi spedisce non corrisponde al modello che le ho mandato, posso dire che si è sbagliata. Ma la mente non rifiuta mai sé stessa e afferma con decisione: “E’ Dio che ha fatto le cose male un’altra volta”. Dio ha fatto le cose male un’altra volta: l’ascensore doveva essere fermo al piano terra, la spia della discesa doveva accendersi, il bambino non doveva avere la febbre, e così via dal mattino alla sera! Come pretendete, vivendo in questo modo, che la vita non sia sofferenza? La sofferenza nasce dalla creazione di un secondo da parte della mente. Se viveste in un unico mondo, invece che in due mondi contemporaneamente, non soffrireste. La sofferenza è fatta soltanto di questa comparazione vana e menzognera.

Questo meccanismo è evidente quando il mondo creato da voi e il mondo reale non hanno niente in comune. Secondo voi il bambino doveva stare bene, e il fatto che sia malato vi provoca sofferenza: non potete più andare alla cena che consideravate così importante. Ma se volete trascendere il piano della sofferenza ordinaria, quello che ci fa ricorrere allo psicoterapeuta, e svegliarvi al mondo reale di cui parlano gli insegnamenti iniziatici, dovete essere ancora più vigili e constatare che il meccanismo dei due mondi paralleli è continuamente all’opera, anche se non ne siete consci. Questa stessa scoperta vi richiederà una vigilanza acuminata e sottile. Anche se non è evidente, anche se non provoca in voi nessuna lacerazione, questo meccanismo è continuo. Se non esistesse, non ci sarebbe la mente e non ci sarebbe più io. È qualcosa che scoprirete a poco a poco.

Entrate in questa sala dove ci riuniamo, dalle pareti bianche. Non c’è nessun’altra realtà che questa sala, qui e ora. Ma, inconsapevolmente, la vostra mente ha subito creato un mondo parallelo. Possono essere le case bianche dei butteri della Camargue, se siete del sud della Francia, o i muri bianchi di un ospedale in cui siete stati ricoverati quando avevate sedici anni, e adesso ne avete cinquanta. La modalità è diversa per ciascuno, ma la mente ha inconsciamente offerto a tutti voi un secondo a cui paragonate la realtà. Entrate in un bar. Il cameriere è calvo e ha un paio di baffi enormi, come quelli di un antico celta. Il suo aspetto non cambierà il gusto della vostra cioccolata calda o della vostra birra, questo è certo; eppure, a vostra insaputa, la mente ha creato all’istante un mondo in cui il cameriere ha un po' più capelli e un po' meno baffi, e paragona questo mondo di sua invenzione al mondo reale. Oggi, tutto questo avviene in voi in modo inconscio; ma ricordate questa semplice frase per avere sempre presente come funziona la mente: “Dio ha fatto le cose male un’altra volta, le cose non sono a posto”. Dio non smette di fare le cose male dal mattino alla sera e niente è mai a posto; sia in modo evidente, lacerante, quando siete trascinati via dall’emozione, vi arrabbiate, soffrite, vi ribellate, sia in modi molto più sottili di cui non vi accorgete e che vi impediscono di essere in contatto immediato con la realtà. Se smettete di creare un secondo, la realtà vi apparirà così com’è: una senza secondo. È questa che gli induisti chiamano verità, essere o realtà, sat, ciò che è a esclusione di tutto ciò che potrebbe essere, che dovrebbe essere, che avrebbe potuto essere o che non dovrebbe essere.

Se volete non soltanto sfuggire alle emozioni che avete giorno dopo giorno da tanti anni, ma volete anche accedere a un mondo reale che è la sola porta sulla “grande realtà”, il cammino si riduce a questa semplice frase: fare di due, uno. Se raggiungete la perfezione dell’uno senza secondo qui e ora, potete comprendere il brahman delle Upanisad; ma non lo comprenderete mai se, invece di vivere in un unico mondo, vivete in due mondi, e soprattutto se ai due mondi assegnate la stessa importanza. La cosa più folle è che la mente considera il mondo reale quello di sua creazione, il quale (non lo ripeterò mai abbastanza) non ha alcun tipo di esistenza, e si permette, attraverso questo mondo chimerico, di giudicare il mondo reale. Per la mente, la cosa più importante non è il mondo reale, a cui sovrappone un mondo irreale, ma proprio questo mondo inesistente che paragona al mondo reale. È una situazione completamente rovesciata. Dovete prendere coscienza di questo rovesciamento se volete sottrarvi a questo meccanismo. La vostra vita è fondata su un’enorme menzogna: ciò che dovrebbe essere. Dovete scoprire in voi stessi questa aberrazione, questa follia: ognuno fabbrica il suo mondo. Il mondo reale è lo stesso per tutti, ma il mondo fabbricato è diverso per ciascuno. Proiettate questo mondo illusorio attimo per attimo, a volte in modo palese e altre volte, come ho già detto, in modo inconscio o subconscio.

Dovete essere, quindi, doppiamente vigili. In primo luogo, vigili per riportarvi all’unica realtà, sforzo che vi verrà richiesto a lungo. Ritornate dal due all’uno. Ma questo vi costringerà a un ribaltamento interiore, cioè non dare più la priorità al vostro mondo illusorio, bensì al mondo reale. Poi, con una vigilanza ancora maggiore, metterete in pratica questo principio scoprendo i lati più inconsci. Attraverso una percezione interiore più affilata vedrete che, invece di un uomo con la barba, la mente ve ne propone uno senza barba; invece di una donna con i capelli corti, una donna con i capelli lunghi; invece di una persona di piccola statura, una di statura più grande; invece di un bar con le sedie di plastica rossa, lo stesso bar con le sedie coperte di stoffa marrone. Basta questo perché, invece di avere una visione chiara, davvero presente, di questa realtà, la vediate come attraverso una nebbia. Ricordate che solo questa verità relativa vi rivelerà l’assoluto. Tutto è brahman, tutto. Anche la smorfia di quel tale, lo strano sorriso di quell’altro, le sedie di plastica rossa del bar. La grande realtà vi si offre continuamente, ma la mente preferisce farvi vivere settanta o ottant’anni nel vostro mondo irreale privandovi di ciò che è grande, di ciò che è prezioso, di Quello (tat) che è l’unico grande e l’unico prezioso, che lo chiamiate Dio o atman.

Ritornare da due a uno è sempre possibile, ma potete metterlo in pratica solo se la vostra convinzione è totale. Se vi richiede uno sforzo enorme significa che non avete capito quello che sto dicendo, altrimenti avreste visto in un attimo questo meccanismo potentissimo è talmente forte, talmente ingiustificato e ingiustificabile, talmente folle, che non è possibile alimentarlo oltre. Se le lampadine, il frullatore e il rasoio elettrico saltano ogni volta in pochi secondi, e se capite che l’alimentazione di casa vostra è di 220 volt e non di 110 come pensavate, non acquisterete più apparecchi elettrici a 110 volt o non li regolerete più su questa tensione. Se avete capito realmente, la situazione cambia: non potete più vivere in modo folle e stupido. Non occorre nessun coraggio; non occorre eroismo e non è un merito speciale regolare gli apparecchi elettrici sui 220 se la corrente è a 220; non è eroismo né un merito smettere questa aberrazione che consiste nel creare attimo dopo attimo un mondo illusorio prendendolo a criterio di verità paragonandolo al mondo reale e rifiutando quest’ultimo, come un addetto al controllo qualità di un’industria rifiuta i materiali che non corrispondono alle normative.

È una questione di vigilanza, che vi consente di vedere la facilità con cui la mente impone questo mondo irreale che crea e afferma in continuazione. È un’abitudine che avete sviluppato sin dall’infanzia e di cui oggi siete completamente prigionieri. Potrete liberarvene solo aderendo rigorosamente ad alcuni principi estremamente semplici, mentre la mente cercherà di proporvi qualche via così complicata che non capite nemmeno più che cosa vi chiede. La vita scorre veloce, è un flusso continuo: in ogni momento ci viene proposto qualcosa e in ogni momento la mente crea un altro a cui paragonare il reale. Di conseguenza occorre essere rapidi, molto rapidi, fulminei come un maestro di arti marziali, per tirare un colpo di spada o eseguire una proiezione di judo.

Se cinquanta punti dell’insegnamento vi vengono in mente nello stesso tempo, i pensieri si moltiplicano vorticosamente e non siete più nella realtà immediata. Prima o poi, tutte le nozioni e le formule dell’insegnamento dovranno essere messe da parte e ricondotte a un unico gesto, semplice, immediato, istantaneo: fare di due uno. Tutto l’insegnamento è contenuto in questa formula, i cui termini si completano a vicenda: ciò che è qui e ora. In altre parole, riprendendo il nostro esempio, torno a casa, giro il pomello della porta dell’ascensore e la porta non si apre perché l’ascensore non è al piano terra. Tutto qui. Non so se l’ascensore è al primo piano, se ci metterà tre secondi per scendere o se qualcuno ha lasciato la porta aperta e dovrò fare cinque piani a piedi. Non so niente, ma la mia mente è già saltata a un certo numero di conclusioni irrealistiche: sarò in ritardo, la cena è compromessa, è compromesso l’incontro con il fratello del direttore, è compromessa la mia vita professionale, e così via. È velocissimo: in un attimo la mente vi ha presentato un intero mondo in cui niente funziona ed è sempre colpa di qualcun altro.

Dov’è la realtà? Dov’è il qui e ora? Non è certamente nei vostri sogni che troverete il brahman! “Misura la febbre al bambino”. Per la mente, queste semplici parole hanno messo in questione tutto: i miei problemi professionali, le paure di fallire, la non completa accettazione inconscia di mio figlio e l’idea sempre presente che mia moglie faccia male le cose: “E’ chiaro che se si fosse occupata meglio del piccolo e se gli avesse dato la Bledina invece del Nidal, come le ho sempre detto, il bambino non sarebbe così fragile”.

Se poteste guardare le cose come in una ripresa al rallentatore, vedreste quello che normalmente non vedete, tutto ciò che crea la mente. Viene a galla tutto il passato e tutto un futuro di angosce che nel qui e ora è assolutamente chimerico. Poi vi ricordate più o meno bene dell’insegnamento di Arnaud al Bost e dentro di voi una vocina lamentosa dice: “Devo accettare, devo dire sì a ciò che è”. Che cosa accettate e a cosa dite sì? Al fatto che il bambino è malato? Al fatto che vostra moglie lo alleva o lo nutre male? Al fatto che non abbia saputo mantenerlo in salute? Al fatto che la cena è andata a monte, che la vostra carriera è compromessa, che non ve ne va mai bene una? Dovete dire sì a tutto questo? Ma in che modo? La mente vi ha presentato immediatamente una massa vischiosa, senza contorni definiti, di illusioni, paure, apprensioni, rancori, rimproveri e amarezze che affondano le radici in un inconscio che non avete ancora portato a galla e risolto completamente. Che cosa volete accettare? A che cosa intendete aderire? A che cosa volete dire sì? Non lo sapete nemmeno voi, e l’emozione ha avuto tutto l’agio di aprire le ali. La creazione di un mondo in cui vostra moglie non ha pronunciato quelle parole è totale, e altrettanto totale è la sovrapposizione del vostro mondo immaginario a quello reale. Vi basta vedere che nel cassetto dell’armadietto del bagno il termometro non c’è per spingervi ancora oltre: mia moglie è disordinata, non si trova mai niente, altro tempo perso, la mia carriera è sempre più compromessa. È a tutto questo che devo dire sì, è tutto questo che dovrei accettare? In questo stato interiore non c’è più nessun insegnamento né alcuna possibilità di fare progressi. Trascorrete un periodo di tempo al Bost per poi riprendere a vagare come anime in pena; e alla fine tornerete al Bost soltanto per dedicare i colloqui al racconto delle vostre disgrazie e delusioni, lamentandovi delle ingiustizie della vita e delle incomprensioni di vostra moglie.

Se vedete questo chiaramente questo meccanismo all’opera, capirete ciò che potete fare e, di conseguenza, ciò che vi richiede la verità, non quello che vi chiede l’insegnamento o Arnaud, che sono ancora cose senza senso, ma quello che vi richiede la verità. L’insegnamento serve soltanto a riportare l’attenzione sulla verità. La verità non vi chiede di creare un secondo, di paragonare ciò che è a ciò che non è. Tutto qui. In questo modo siete attimo per attimo nel mondo reale, l’unico esistente.

Questo rigore dell’istante e la convinzione dell’inanità della mente vanno messi in pratica, altrimenti non farete altro che continuare a pensare. Penserete spesso all’insegnamento, ma senza concludere niente. Il cammino è solo nell’istante; non avete nessun altro punto d’appoggio al di fuori dell’istante per posare il piede, fare un passo e farne un altro. È qualcosa che potete fare ed è uno sforzo che non è collegato all’io: questo è un punto che dovete ancora capire. Dato che si tratta di raggiungere la libertà e la spontaneità, di “mettere i bagagli sulla rastrelliera”, come diceva Ramana Maharshi, deporre cioè il fardello dell’esistenza, come potrebbero gli sforzi volti all’ottenimento di risultati condurvi al di là della dualità, al di là dell’io, al di là della paura? Se fate sforzi per ottenere risultati rimanete nella limitazione, nella causalità, nella dualità tra successi e insuccessi.

Ma che cosa vi viene richiesto? Unicamente di liberarvi da un’illusione, di dissolvere un’irrealtà: la creazione di un secondo da parte della mente. È l’unico sforzo assolutamente puro e in grado di condurvi direttamente alla liberazione. Tutti gli altri sforzi sono soltanto preparatori perché fanno intervenire ancora una certa tensione verso uno scopo da raggiungere, verso un risultato da ottenere. In definitiva, che cosa fate? Annullate ciò che non esiste, il secondo che la mente non smette di creare in modo artificiale. È questo il giusto sforzo sempre a disposizione; sarete voi a farlo o a non farlo, nessuno lo può fare al vostro posto. Volete continuare ad affermare, dal mattino alla sera, un mondo illusorio e irreale, pretendendo che il mondo reale vi si adatti? O abbandonerete questa pretesa, comprendendone l’inanità e tornando al mondo reale?

È in questo gesto interiore, in questo atteggiamento così semplice, che gli altri aspetti dell’insegnamento possono aiutarvi. E gli altri aspetti acquistano significato e valore in relazione a tale gesto. Finché non avrete compreso e accettato quello che ho detto oggi, anche le migliori meditazioni non daranno nessun risultato. Tra cinque o dieci anni sarete costretti a riconoscere: non vedo niente che abbia cambiato radicalmente la mia vita. Se camminate sul posto, anche tra dieci anni direte: non vedo nessun cambiamento nel paesaggio che mi circonda; ma se mettete un piede davanti all’altro, in un anno potreste essere già a Gerusalemme! I giorni passano: volete continuare a viverli nei due mondi o unicamente nel mondo reale? È questa la grande sadhana, che significa “fare sforzi”, “sforzarsi”. È la sadhana relativa al nostro cammino. Sono più veloce io della mente, smetto di creare un secondo e ritorno al mondo reale. Non è facile, ma è possibile. Il punto su cui appoggiarvi è ciò che è. È la sola opportunità per progredire. Il cassetto in cui non trovo il termometro quando sono già in ritardo è la mia sola e unica possibilità di progredire, e io me la lascio scappare. Il termometro che, mezz’ora prima dell’inizio della cena, segna quaranta gradi è la mia sola e unica possibilità di progredire, e io me la lascio scappare. Non solo me la lascio scappare, ma ci sputo sopra, la calpesto. Come pensate di progredire in questo modo? Non potete voltare le spalle alla verità e lamentarvi che la verità sia lontana come l’orizzonte, e ancora di più.

Se da Parigi prendete l’autostrada verso nord arriverete a Lille e in Belgio, ma non arriverete mai a Nizza. Questo è sicuro. Altrettanto evidente è l’accettazione della verità: è (in inglese, isness, “il fatto di essere”), senza un secondo. Dio sa che questa espressione, “uno senza secondo” (ekam evam advitiyam), si può comprendere a un livello prettamente metafisico, ossia relegare esclusivamente nelle elevate sfere della metafisica, proclamandosi seguaci dell’advaita vedanta (il vedanta non duale) e creando allo stesso tempo una dualità inventata.

Che cosa è? La frase “Misura la febbre al bambino” è una realtà. La cena rovinata non è ancora una certezza. La mente ve l’ha presentata, voi siete caduti nella trappola che vi ha teso e vi siete lasciati portare via dall’emozione. Metto il termometro al bambino, ma so già che avrà una temperatura così alta? So già che nessuno potrà venire a guardare il bambino per tre ore? Se siete trascinati via dall’emozione vedrete soltanto che vostra madre non può venire, ma dimenticherete che avete una sorella che abita non lontano da voi, che è sempre pronta a darvi una mano, basta telefonarle. E così via. Ma vi chiedo anche di andare al di là di pensieri rassicuranti come: “In fondo, non c’è nessun vero motivo per agitarmi; mi sono agitato per niente; meno mi agito e più sarò tranquillo durante la cena, e meno rischierò di sciupare l’opportunità di conoscere il fratello del mio direttore…”. Superate anche queste argomentazioni. Anche se vostra madre e vostra sorella non potranno venire a guardare il bambino e dovrete rinunciare alla cena, e anche se non andare alla cena avrà delle ripercussioni sulla vostra vita professionale, che altro potreste fare se non vivere nella verità? Non sarete mai più forti di Dio. Per quanto rifiutate il mondo, non avrete mai l’ultima parola.

Non fermatevi lungo il cammino, andate fino in fondo alla follia della mente. La ricompensa è talmente superiore a ciò che credete di poter perdere nella realtà, che è davvero sciocco perseverare in questo errore. La ricompensa, lo sapete, è la pace, la gioia durevole, la certezza, la totale assenza di paura, tutto quello che non osate nemmeno sperare. E dov’è la possibilità, quella di tutti voi (e lo dico guardando ognuno di voi negli occhi, perché conosco la vita di ognuno), di scoprire la realtà? Nello scartare ciò che la nasconde. E che cosa la nasconde? Questo secondo che la mente non smette di creare. Se la mente smettesse totalmente, in modo conscio o inconscio, per un solo momento, di creare un secondo, la grande verità vi si rivelerebbe all’istante. Poi potrà velarsi di nuovo, ma almeno ne avrete avuto un barlume, come attraverso una porta che si è aperta all’improvviso. Avreste avuto appena il tempo di vedere che cosa c’è nella stanza; poi la porta si è richiusa.

Quante volte avete letto, e non solo nei libri di Arnaud; “Non occorre creare qualcosa che non esiste già, siete già l’atman, siete già la natura di buddha. Togliete ciò che la ricopre”. Ma quello che dovete capire è che siete voi che create ciò che ricopre la verità. E siete sempre voi che non smettete di crearlo, che non smettete di giustificare la vostra creazione. Non c’è nient’altro salvo quello di cui ho parlato oggi; tutto il resto è vano, tutto il resto è soltanto alimentare la mente. Potete parlarmi per un’ora o un’ora e mezza degli abomini di vostra moglie o di vostro marito, delle malefatte dei vostri figli e delle ingiustizie del vostro capo, ma parlerete di cose vane, parlerete soltanto per dimostrarmi che Dio commette degli errori e che il mondo reale non corrisponde alle regole stabilite arbitrariamente da voi. Tutto questo non ha niente a che vedere con il cammino, state solo perdendo il vostro tempo. Siatene coscienti. I mesi e gli anni passano: camminate sul vero cammino! Altrimenti ricondurrete l’insegnamento a qualche precetto morale a cui non credete nemmeno e che vivete come una seccatura: “Bisogna accettare, bisogna dire di sì”. Sì, ma di malavoglia; un sì a cui non credete nemmeno per un istante. Che cosa significa accettare? Pensate che accettare e dire sì sia un merito straordinario? No, nessun merito particolare. Il fatto è che non accettare e non dire sì è una grossolana corbelleria, e se non lo capite non avete compreso il significato di accettare e dire sì come lo spiego sempre. Che merito può esserci nello smettere di creare un secondo assolutamente fantasioso e irreale? Che merito c’è nel non regolare su 110 volt un apparecchio alimentato a 220? Nessuno. Voi prendete come criterio la follia della mente, che ritenete la verità e la realtà, dopo di che cercate di raggiungere una sorta di super realtà sublime che vi chiede di rinunciare eroicamente a ciò che c’è. Non si tratta affatto di questo! La realtà è già qui. Che cos’altro cercate? Invece, la coprite immediatamente con qualcos’altro!

La realtà è che l’ascensore non è al piano terra. Questo è il brahman. La realtà è che la spia della discesa non si accende. Questo è il brahman. La realtà sono le parole di mia moglie: “Misura la febbre al bambino”, che percepisco così cariche di minacce, ma che sono il brahman qui e ora, uno senza secondo. Ecco tutto. Ma voi aggiungete, aggiungete! Smettete di aggiungere. Non dovete scoprire la realtà, dovete smettere di ricoprirla, cosa che non fate. L’aberrazione non sta nel non capire che cosa dice la verità, ma nel vivere continuamente nel meccanismo che vi ho appena descritto e accarezzare nello stesso tempo sogni metafisici del tipo “tutto questo mondo di cambiamento e molteplicità è maya…” . Come potete affermare le verità metafisiche contenute nell’insegnamento di Sankara e creare nello stesso tempo un secondo? È una totale contraddizione. Credetemi, ci sono dei ferventi seguaci dell’advaita che non hanno mai messo in discussione la mente, che cercano di arrivare direttamente all’atman attraverso una presa di coscienza immediata e che, come tutti quanti, continuano a coprire ciò che è. Dove pensate di trovare l’atman? Dove pensate di trovare il brahman? Nel silenzio interiore della meditazione? Ho fatto parte anch’io di quelli che in Francia e a Tiruvannamalai, nell’asram di Ramana Maharshi, hanno passato ore e ore nell’immobilità a “meditare”, e metto la parola “meditare” tra virgolette. Nessuno di noi ha trovato l’atman in questo modo. Poi ho aperto leggermente gli occhi e ho visto altre persone che meditavano ancora più di noi, perché godevano di condizioni più favorevoli, ma nemmeno loro hanno scoperto l’atman tanto auspicato.

Ciò che c’è da scoprire è ciò che c’è. Il microfono che ho adesso davanti è il brahman, Jean-Paul è il brahman. Ma voi lo ricoprite continuamente. Scoprite che state ricoprendo: questa è la prima scoperta da fare. Avrei potuto farmi condurre per altri vent’anni dalla mente, che non ha nessuna difficoltà a condurvi; il suo meccanismo è perfettamente oliato. Una volta lanciato, non si ferma più. Ritorniamo alla serata dell’uomo che abbiamo appena preso ad esempio. Che arrivi alla cena in ritardo, nervoso, agitato, convinto che le cose non funzioneranno, o che rinunci ad andarci, in ogni caso si sente finito. Che vada o non vada a quella cena, possiamo essere certi che si è rovinato la serata. Dormirà più o meno male e si sveglierà affaticato, con un’emozione di malessere, disagio e amarezza. Appena sveglio, la sua mente ricomincerà ad affermare ciò che non è: “Dovrei svegliarmi in piena forma, sicuro di me, felice, a mio agio nella mia pelle”. Ma dov’è tutto questo? Da nessuna parte. E con questo illusorio “dovrei svegliarmi in piena forma, sicuro di me, felice, a mio agio nella mia pelle”, la mente riattiva lo stesso meccanismo, non più in relazione ad eventi esterni (mia moglie mi ha detto… l’ascensore non c’era…), ma alla propria condizione interiore. La rifiuta come io ho rifiutato i modelli di tessuto che non corrispondevano al mio campione. E tutto ricomincia da capo.

Nella stanchezza, nella tristezza, nel malessere, qui e ora, potreste scoprire il brahman. Invece, la mente ricomincia le sue produzioni: la giornata è rovinata, il mondo è pieno di minacce… Poi, dopo avere creato questo mondo informe di paure, rifiuto, proiezioni e negatività, la mente sussurra: “Bisogna dire sì, bisogna accettare”. È un meccanismo tragico, terribilmente tragico.

Qui e ora, che cosa c’è? Una certa stanchezza. Non c’è altro. Quanto a sapere se la propria vita professionale è irrimediabilmente compromessa o la giornata sarà piena di dispiaceri, per ora tutto questo non ha alcuna realtà, è unicamente frutto della mente, è pensare invece di vedere. Se capite il significato di queste due espressioni, “uno senza secondo” e “qui e ora”, che avete sentito ripetere tante volte, tutto l’insegnamento è a vostra disposizione, in qualunque momento. Ma la mente vi proporrà di allontanarvi da quello che è e di ricominciare a pensare. Vi sembrerà che su determinati punti l’insegnamento non possa essere messo in pratica, che da qualche parte Arnaud sbagli, che è impossibile chiedervi di accettare che vostro figlio sia malato. “Malato” è un po' vago, quello che dovete accettare è che il termometro segni quaranta gradi. E basta. Non sapete se è un attacco di febbre che due compresse d’aspirina abbasseranno o se è qualcosa di più grave, non lo sapete.

O vi tenete saldamente a questo uno senza secondo qui e ora, mettendo così in pratica l’insegnamento in qualunque situazione, oppure lasciate che la mente intervenga e che l’insegnamento non esista più. Non che diventi difficile applicarlo: non esiste più.

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Fedro
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da Fedro » 15/02/2022, 20:47

nel finale del brano di Arnoud, trovo la chiave che toglie qualsiasi alibi possibile all'insegnamento, quindi alla sadhana per applicarlo.
Dice:

"O vi tenete saldamente a questo uno senza secondo qui e ora, mettendo così in pratica l'insegnamento in qualunque situazione, oppure lasciate che la mente intervenga e che l'insegnamento non esiste più.
Non che diventi difficile applicarlo: non esiste più"

C'è quello che c'è... nell'opportunità di riconoscere questo punto, oppure no; ma in questo infinitesimo punto che non ha sbocco nello spazio e nel tempo mentale, ovvero un attimo prima che la mente possa appropriarsene e sdoppiarla, manipolarla, in questo Uno che non è premio né obiettivo, ma quello che c'è realmente, senza scuse né alibi, né sforzo di difficoltà o facilità (è eventualmente "semplice", e per questo inafferrabile per la mente) esiste la possibilità che fiorisca l'insegnamento/sadhana oppure il non esservi, senza altre vie di scampo.

cielo
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da cielo » 16/02/2022, 17:20

latriplice ha scritto:
15/02/2022, 2:01
Alla fine, grazie a Dio, mi sono schiantato e sono tornato (spero per sempre) con i piedi per terra. Ultimamente ho vissuto un periodo molto travagliato della mia vita al limite della follia e fortunatamente il destino ha impedito che si concludesse tragicamente. Quando in seguito ho recuperato un pò di lucidità mentale, mi sono reso conto che non sono stato realmente coerente con me stesso nonostante fossi convinto del contrario. Forte sostenitore delle verità del vedanta di cui assentivo al carattere illusorio, relativo, effimero, irreale di questo mondo, quando si è presentata la sofferenza invece di stringerle la mano sono fuggito. Ma come? La sofferenza è soltanto un aspetto evanescente di una realtà eterna, e sei io sono Quello, perché temerla? Allora mi è apparso chiaramente il fatto che nonostante mi fossi proclamato seguace dell'uno senza secondo, in realtà avevo relegato questa comprensione a un livello puramente teorico senza viverla effettivamente, creando pertanto allo stesso tempo una dualità inventata incompatibile con ciò che è, la verità.

Quello che segue è un brano ricavato da un libro che mi è capitato tra le mani (credo per grazia divina) a distanza di qualche tempo che mi ha aiutato a comprendere e riassumere i meccanismi coinvolti e alla base della follia che vi ho accennato che a quanto pare hanno un carattere universale e che intendo, se siete interessati condividere con voi. Buona lettura.
Grazie Latriplice, un brano davvero profondo e istruttivo E soprattutto grazie per una testimonianza tua, personale, di "vita vissuta".

In coda ho lasciato le parti del brano su cui la lettura è stata più attenta. Purtroppo per il tipo di lavoro che faccio fotografo i testi più che leggerli, e l'immagine mi rimanda ad alcuni punti chiave, su cui mi soffermo per ben assimilarli. Metto a fuoco i dettagli per me essenziali.
In ogni caso questo brano l'ho letto coscienziosamente, per onorare il tuo ritorno.

Davvero molto contenta di tornare a sentirti sul forum e "ravveduto", come carta vetro che ha dovuto sfregare per forza di cose contro qualche muro ruvido per lisciarsi. Conosco l'esperienza.

Come dice lo Swamigal di Kanchi (ah, i bei tempi in cui traducevamo e sistemavamo la sadhana advaita insieme e con Bo) si sta a scuola (si leggono i testi e se ne parla) per imparare la pratica: dura, non c'è dubbio, otto passi che non finiscono mai... sembra di girare in tondo, ma finchè si pensa di dover andare da qualche parte e capire qualcosa di più, non si è capito quasi niente, al mio vedere.

Ancora più dura quando si acquisisce la consapevolezza che la sofferenza non se ne fa niente delle Mahavakya e che l'idea dell'Assoluto, di Quello, è per l'appunto soltanto un'idea. Bella, gratificante, ma sempre frutto dell'avidità della mente che si pavoneggia della propria sapienza e lucidità di visione. Sempre e tutta un'opera personale, mai dimenticarlo.

Evanescente ed effimera come il distacco, spesso finto e costruito nella quieta bambagia del tran tran quotidiano che basta un niente per farti andare in tilt. Una precedenza non data, o un bubbone sul naso...( e volutamente tralascio le vicende pandemiche e di "difesa dei confini" che ci appassionano da anni ormai)

Come la discriminazione che separa bene e male secondo modalità soggettive e di comodo, come ben spiega Arnaud Desjardins.

Se è inconoscibile, ineffabile, inafferrabile...inutile cercare di conoscere Quello o di possederlo in un pensiero perfetto. Bisogna esserlo.

Ben tornato, cerca di stare bene. Buddha non si è fermato alla prima Nobile Verità.
Il fiume della vita scorre, sta a noi nuotare con gli occhi aperti o fare il morto ogni tanto per ritrovare l'equilibrio e l'"ardente anelito" di ritrovarsi nel Mare. Certo le rocce affiorano ed è impossibile per chiunque non sbatterci contro. Fa male ma è salutare.




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La mente crea un secondo. Dovete rendervi conto, dal mattino alla sera, nelle piccole cose prima ancora che nelle grandi, di essere vittime di questo meccanismo aberrante.


La mente fa così: crea il due. Quello che dovete fare voi, dal mattino alla sera, in qualunque situazione o circostanza, senza alcuna eccezione, è ricondurre il due a uno. Non commettete il tragico errore, così diffuso e che facciamo in tanti, di credere che la cosa importante sia vivere in un monastero tibetano o restare immobili in meditazione (oppure venire al Bost), ma che il modo di fare colazione o di spogliarsi alla sera non abbia alcuna importanza. Di cosa è fatta l’esistenza? Ogni tanto è una tragedia che si cerca di vivere come farebbe un saggio, chiedendoci come Buddha o Socrate avrebbero vissuto la morte di un figlio, ma il nostro destino non è intessuto di queste tragedie un attimo dopo l’altro. È appunto in questo attimo dopo l’altro, nei piccoli dettagli quotidiani, che si vince o si perde la partita. Qualunque circostanza, anche la più umile e banale, è enorme per chi è impegnato nel cammino. La realtà è sempre presente e non dovete fare altro che scoprirla. Sapete che la tradizione zen è ricca di aneddoti e di piccoli eventi in cui un monaco zen ottiene l’illuminazione spazzando, ascoltando il tonfo di una rana che salta nell’acqua o il rumore di un bastone che cade per terra, e tanti altri casi di questo tipo. Non pensate: “La vita quotidiana è noiosa” e non lasciate che si svolga nella menzogna, cioè nella dualità di cui vi parlo.

La realtà è sempre una senza secondo, indipendentemente dalle condizioni e dalle circostanze; mentre ciò che possiamo chiamare “sonno”, maya, o “mente”, crea un secondo. L’unica possibilità di sfuggire al conflitto, alla contraddizione, all’ignoranza, alla cecità è quella di essere più vigili della mente, di smettere di creare un secondo, oppure, nel caso sia già stato creato, di fare di due uno, cioè far scomparire il mondo illusorio a cui paragonare il mondo reale. Se non vedete fino a che punto tutto questo è vero, non avete mai avuto nemmeno un secondo di vigilanza nella vita! Non ditemi che non vivete così, me ne date le prove tutti i giorni durante ogni incontro. E ho vissuto anch’io in questo modo abbastanza per sapere di cosa parlo.

È esattamente come se, dopo avere creato il nostro mondo irreale, dopo avere trasformato questo niente in una realtà, condannassimo la sola e unica realtà dicendoci continuamente: “Dio ha fatto le cose male un'altra volta”. Se chiedo a Michèle di acquistare per me della stoffa, e se quella che mi spedisce non corrisponde al modello che le ho mandato, posso dire che si è sbagliata. Ma la mente non rifiuta mai sé stessa e afferma con decisione: “E’ Dio che ha fatto le cose male un’altra volta”. Dio ha fatto le cose male un’altra volta: l’ascensore doveva essere fermo al piano terra, la spia della discesa doveva accendersi, il bambino non doveva avere la febbre, e così via dal mattino alla sera! Come pretendete, vivendo in questo modo, che la vita non sia sofferenza? La sofferenza nasce dalla creazione di un secondo da parte della mente. Se viveste in un unico mondo, invece che in due mondi contemporaneamente, non soffrireste. La sofferenza è fatta soltanto di questa comparazione vana e menzognera.


Dovete essere, quindi, doppiamente vigili. In primo luogo, vigili per riportarvi all’unica realtà, sforzo che vi verrà richiesto a lungo. Ritornate dal due all’uno. Ma questo vi costringerà a un ribaltamento interiore, cioè non dare più la priorità al vostro mondo illusorio, bensì al mondo reale.

Ma che cosa vi viene richiesto? Unicamente di liberarvi da un’illusione, di dissolvere un’irrealtà: la creazione di un secondo da parte della mente. È l’unico sforzo assolutamente puro e in grado di condurvi direttamente alla liberazione. Tutti gli altri sforzi sono soltanto preparatori perché fanno intervenire ancora una certa tensione verso uno scopo da raggiungere, verso un risultato da ottenere. In definitiva, che cosa fate? Annullate ciò che non esiste, il secondo che la mente non smette di creare in modo artificiale.

O vi tenete saldamente a questo uno senza secondo qui e ora, mettendo così in pratica l’insegnamento in qualunque situazione, oppure lasciate che la mente intervenga e che l’insegnamento non esista più. Non che diventi difficile applicarlo: non esiste più.

ortica
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da ortica » 17/02/2022, 16:23

latriplice ha scritto: Alla fine, grazie a Dio, mi sono schiantato e sono tornato (spero per sempre) con i piedi per terra. Ultimamente ho vissuto un periodo molto travagliato della mia vita al limite della follia e fortunatamente il destino ha impedito che si concludesse tragicamente. Quando in seguito ho recuperato un pò di lucidità mentale, mi sono reso conto che non sono stato realmente coerente con me stesso nonostante fossi convinto del contrario. Forte sostenitore delle verità del vedanta di cui assentivo al carattere illusorio, relativo, effimero, irreale di questo mondo, quando si è presentata la sofferenza invece di stringerle la mano sono fuggito. Ma come? La sofferenza è soltanto un aspetto evanescente di una realtà eterna, e sei io sono Quello, perché temerla? Allora mi è apparso chiaramente il fatto che nonostante mi fossi proclamato seguace dell'uno senza secondo, in realtà avevo relegato questa comprensione a un livello puramente teorico senza viverla effettivamente, creando pertanto allo stesso tempo una dualità inventata incompatibile con ciò che è, la verità.

Quello che segue è un brano ricavato da un libro che mi è capitato tra le mani (credo per grazia divina) a distanza di qualche tempo che mi ha aiutato a comprendere e riassumere i meccanismi coinvolti e alla base della follia che vi ho accennato che a quanto pare hanno un carattere universale e che intendo, se siete interessati condividere con voi. Buona lettura.
Innanzitutto, bentornato.

Interessante e istruttiva lettura quella che proponi, te la sintetizzo: “quel che c’è c'è, quel che non c’è non c’è”.
Queste parole di Bodhananda mi hanno fulminato, spedendomi dritta nel silenzio, molti anni fa ormai.
E continuano nella loro benedetta opera dIstruzione ogni volta che osservo questa mente costruire un mondo illusorio, che “non c’è”, ovvero ogni giorno, ora, minuto e secondo di quest'esistenza.
Ce ne sono altre, naturalmente, alcune così segrete che a stento oso pubblicarle, come queste: compi i doveri del tuo svadharma con azione equanime e i guna si purificheranno.
Pensa tu! disse la mente - basta così poco, secondo lui. Questo mi prende per scema. E scherniva, la mente, questo insegnamento così poco esoterico, così semplice, così quotidiano. Ma come? diceva la mente - se me lo chiedesse mi butterei nel fuoco senza esitare e questo mi dice di fare quel che é dovuto?
Tuttavia, poichè lo amavo (come lo amo), provai comunque a metterlo in pratica, senza aspettative, senza condizioni. Ci provo ancora e ho scoperto quanto sia difficile praticare questa istruzione che, davvero, arde più del fuoco, incenerendo ogni scoria.
Be' sai che c’è? I guna si purificano davvero, man mano che si cammina sulla strada della vita, a una condizione: non bisogna mai, mai cercare il risultato.

Lieta di ritrovarti, latriplice.

“Shiva risplende anche nel dolore" ha scritto Somananda nella Shivadristhi.
Basta vederlo, ripulendo gli occhi dalle famose cispe.

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Fedro
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da Fedro » 25/02/2022, 9:57

In questi giorni, nella quotidianeità che espone il suo flusso di fatti, esperienze, osservazioni, quindi nello spazio e nel tempo, nel due che si manifesta costantemente (giusto per porre le giuste coordinate)
"riflettevo" (uso questo verbo, ma non era la stessa dimensione di prima a propormelo) sul valore essenziale di questa formula:
uno senza secondo, e Dejardins stesso dice ad un certo punto:
Sono più veloce io della mente, smetto di creare un secondo e ritorno al mondo reale.
Quindi ci propone di essere più veloci della mente (e ciò, riconosco, può accadermi, ad esempio, nel lusso di trovarmi da solo a contemplare il mare)

Eppure qualche periodo prima invece dice:
La mente fa così: crea il due. Quello che dovete fare voi, dal mattino alla sera, in qualunque situazione o circostanza, senza alcuna eccezione, è ricondurre il due a uno.
Dunque qui propone di accompagnare la mente, il suo flusso nella manifestazione (il suo sdoppiarsi nel due) e quindi da lì riportarsi all'uno.
Ecco, essendomi questo processo più familiare, non posso che partire da qui.
Quindi, non un sovraumano (per me) due senza secondo, quanto un due che torna nell'uno.
Capisco che può sembrare la stessa cosa, ma non lo è per niente: non posso spegnere la mente, la sua proiezione, ma accoglierla e riportarla alla fonte, l'uno. Lì accade il resto, che e se accade.
Stamattina poi, mi sono imbattuto nell'ultima pagina del Sigife Auslese "Et in Arcadia ego animam recepi) in cui leggevo:
"sono proprio questi aspetti relativi e mutabili che ci dovrebbero avvicinare alla sua eternità. Perchè nulla che non muti in continua rigenerazione può avere presunzione di eterno. Solo l'immutabile non è in grado di adattarsi al tema dominante della via: il respiro dell'Uno. Quell'Uno che in tanti inseguiamo senza paura da sempre, consci della sua distanza, partecipi della sua incomprensibile dimensione, paghi di rari attimi di percezione sempre attenti ad ogni minima sua manifestazione."

latriplice
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da latriplice » 25/02/2022, 14:25

Fedro ha scritto:
25/02/2022, 9:57
In questi giorni, nella quotidianità che espone il suo flusso di fatti, esperienze, osservazioni, quindi nello spazio e nel tempo, nel due che si manifesta costantemente (giusto per porre le giuste coordinate)
"riflettevo" (uso questo verbo, ma non era la stessa dimensione di prima a propormelo) sul valore essenziale di questa formula:
uno senza secondo, e Dejardins stesso dice ad un certo punto:
Sono più veloce io della mente, smetto di creare un secondo e ritorno al mondo reale.
Quindi ci propone di essere più veloci della mente (e ciò, riconosco, può accadermi, ad esempio, nel lusso di trovarmi da solo a contemplare il mare)

Eppure qualche periodo prima invece dice:
La mente fa così: crea il due. Quello che dovete fare voi, dal mattino alla sera, in qualunque situazione o circostanza, senza alcuna eccezione, è ricondurre il due a uno.
Dunque qui propone di accompagnare la mente, il suo flusso nella manifestazione (il suo sdoppiarsi nel due) e quindi da lì riportarsi all'uno.
Ecco, essendomi questo processo più familiare, non posso che partire da qui.
Quindi, non un sovraumano (per me) due senza secondo, quanto un due che torna nell'uno.
Capisco che può sembrare la stessa cosa, ma non lo è per niente: non posso spegnere la mente, la sua proiezione, ma accoglierla e riportarla alla fonte, l'uno. Lì accade il resto, che e se accade.
Stamattina poi, mi sono imbattuto nell'ultima pagina del Sigife Auslese "Et in Arcadia ego animam recepi) in cui leggevo:
"sono proprio questi aspetti relativi e mutabili che ci dovrebbero avvicinare alla sua eternità. Perchè nulla che non muti in continua rigenerazione può avere presunzione di eterno. Solo l'immutabile non è in grado di adattarsi al tema dominante della via: il respiro dell'Uno. Quell'Uno che in tanti inseguiamo senza paura da sempre, consci della sua distanza, partecipi della sua incomprensibile dimensione, paghi di rari attimi di percezione sempre attenti ad ogni minima sua manifestazione."
Da quello che ho letto mi sembra di capire che la questione che l'autore pone è da intendersi in questi termini, cito testualmente:

"L’unica possibilità di sfuggire al conflitto, alla contraddizione, all’ignoranza, alla cecità è quella di essere più vigili della mente, di smettere di creare un secondo, oppure, nel caso sia già stato creato, di fare di due uno, cioè far scomparire il mondo illusorio a cui paragonare il mondo reale".

Nel capitolo successivo del libro di Desjardins intitolato "Vivere consciamente", c'è un passaggio chiarificatore sul ruolo della buddhi che può darti qualche indicazione, cito testualmente:

"Anche le Upanisad affermano che la giusta azione conduce a una vita pura e alla purificazione delle facoltà (in riferimento al buddismo), e di conseguenza alla giusta visione e alla liberazione. E' una verità che ho sottolineato spesso: si giunge all'assoluto solo attraverso il relativo. Se si nega il relativo si voltano le spalle all'assoluto, e non ci si libera mai. Se il nostro modo di vivere non è giusto, non è puro, non possiamo essere nella verità del relativo, non possiamo raggiungere l'apice della buddhi. Sapete che l'unica facoltà presente sin dall'inizio e che ci conduce sino alla fine del cammino è la buddhi. Per quanto siate pieni di contraddizioni, confusi, mutevoli e non unificati, sin dall'inizio del cammino disponete di un minimo di buddhi, vale a dire di intelligenza oggettiva libera da emozioni e coloriture personali. All'inizio, la vostra buddhi non va molto lontano e cede anche troppo rapidamente alla mente e alle opinioni. In sanscrito si dice che la buddhi deve essere suksma e agra, "sottile" e "affilata". Solo una buddhi sottile e affilata, molto affilata, permette di vedere e non più di pensare. Questa buddhi vede il mondo relativo nella sua realtà e non più in modo illusorio, vi mette realmente in contatto con la superficie da cui potete accedere alla profondità".

Oppure se vuoi approfondire ulteriormente l'argomento ci sarebbe la seconda parte dello stesso capitolo che ho postato in precedenza ma che per ragioni di spazio non ho potuto inserirlo:

Uno senza secondo
Seconda parte del capitolo tratto dal libro “Al di là dell’io” di Arnaud Desjardins, Ubaldini Editore – Roma

Swamiji diceva: “Il paragone è falsità”. Paragonare è un errore. È una verità fondamentale del cammino, ma è difficile da cogliere abbastanza a fondo per poterla mettere in pratica sempre. Tutta la vita ordinaria, quella vissuta attraverso l’io e la mente, si fonda sul paragone, e il superamento dell’io e della mente è l’abbandono del paragone. È un punto delicato, perché ci sembra che il paragone sia qualcosa di giusto; quindi dobbiamo intenderci su questa parola. È ovvio che è perfettamente normale paragonare i prezzi di uno stesso articolo in due negozi diversi e scegliere quello più basso. Non farò altri esempi in cui il paragone è giusto, ne troverete facilmente quanti volete. La cosa grave è il paragone tra ciò che non si può paragonare. Dovete avere chiarezza e distinguere i due meccanismi.

Perché vi sia paragone, deve esservi un elemento di comparazione. Se capite che, al di fuori dei paragoni pratici, concreti e utili come il prezzo di uno stesso articolo in due negozi diversi, qualunque paragone è impossibile perché manca un denominatore comune, sarete liberi da questo tragico meccanismo. Non c’è un denominatore comune perché in verità ogni fenomeno, ogni evento, ogni oggetto che colpisce uno o più dei nostri sensi è unico e quindi incomparabile. Se c’è un due, sono due cose diverse. Nel tempo, ogni situazione è unica; nello spazio, ogni elemento della realtà è unico. È l’espressione particolare, qui e ora, della grande realtà, frutto di innumerevoli catene di causa ed effetto. Non può mai essere diverso da ciò che è, non si è mai prodotto prima e non si riprodurrà mai più in seguito, ed è attraverso questa unicità che potrete trovare in ogni elemento del mondo la porta d’accesso all’assoluto. Se riuscite a vedere come unico tutto ciò che percepite, siete nella verità. Prendete due esseri umani, due uomini o due donne: è forse possibile paragonarli? Su quale criterio vi fondereste? In termini pragmatici potete paragonare l’altezza, la forza fisica, il quoziente intellettivo, il livello di istruzione, le capacità specifiche per svolgere una certa funzione. Da questo punto di vista, sì, è possibile fare paragoni. È evidente che se chiedo un autista e l’agenzia mi manda un cieco, paragonerò il cieco con un vero autista e sosterrò che un cieco non può guidare un’automobile.

Ma c’è un altro meccanismo, completamente falso, che paragona ciò che non si può paragonare: paragona un destino a un altro, una situazione a un’altra. Dal momento stesso in cui inizio a giudicare, a paragonarmi con qualcuno che invidio, o rispetto al quale mi considerò invidiabile, quando paragono altre persone tra di loro, è sempre falso. Al di fuori delle situazioni concrete in cui il paragone è giustificato, c’è quest’altro meccanismo comparativo che vorrebbe che le cose fossero diverse da come sono. Marie è Marie e basta. Lucette è Lucette, Michel è Michel. Il fatto di paragonare deve apparirvi in tutta la sua vanità di attività insensata da cui non siete liberi né voi né nessuno, mai. È il meccanismo del paragone che vi impedisce di essere in contatto immediato con la verità, perché fate intervenire in modo più o meno conscio, e a volte del tutto inconsciamente, un altro elemento che non ha alcuna realtà in relazione a ciò che percepite.

Questo paragonare è continuamente all’opera: tra un momento e un atro momento, tra un essere umano e un altro, un edificio e un altro, un paese e un altro, un luogo di villeggiatura e un altro, il Ferragosto di quest’anno e quello dell’anno scorso. Prendete coscienza del fatto che l’intero funzionamento della mente implica il paragone. Ogni volta che dite: “Bello”, fate un paragone; ogni volta che dite: “Brutto”, fate un paragone. Ogni volta che dite che una persona è meravigliosa, affascinante, stupida o miserabile, ogni volta che criticate o elogiate, fate dei paragoni. Se non intervenisse nessun paragone, direste soltanto: è. In questo modo sareste nella verità, vi sareste sbarazzati della mente, sareste nel mondo e non più nel vostro mondo.

Se volete vedere dovete rinunciare a paragonare; finché paragonerete, non potete vedere. Se paragono la Lucette di questa mattina a quella di ieri, sarebbe una menzogna. Ieri era riposata e oggi è stanca: come posso fare un paragone? Non avrebbe alcun senso, è di nuovo la mente che fa intervenire un secondo. Sulla Lucette stanca di questa mattina sovrappongo la Lucette riposata di ieri, che qui e ora non ha nessuna realtà. Quando vedete qualcuno lo paragonate a com’era l’ultima volta che l’avete visto o a un’altra persona che fate intervenire nel paragone, ad esempio, una donna che secondo voi è più bella, più attraente e più intelligente o meno bella, più grande, più piccola, più robusta. Più magra… E’ una totale menzogna. Ma, dato che alcuni paragoni sono giustificati nella vita concreta, passate senza rendervene conto dai paragoni giustificati (che sono molto rari) a quelli ingiustificati. Per capire se un paragone è giustificato potete adottare questo criterio: è necessario che sia possibile una misurazione. Posso misurare il numero di parole battute al minuto da due dattilografe e, se ho bisogno di una dattilografa veloce, scelgo quella che batte più parole. Posso paragonare la temperatura di due malati perché c’è una gradazione sul termometro, posso paragonare l’altezza di due individui o persino l’intelligenza di due candidati in base alla misurazione del quoziente intellettivo. La mente si permette invece di fare continuamente paragoni ingiustificati, perché in realtà non ha nessuna unità di misura. Sapreste dirmi in base a quale criterio decido che Elisabeth è più bella di Marie o il contrario? Posso paragonare la loro altezza o la misura del loro seno, ma questo non mi porterà certo a conclusioni corrette. Se affermo che Albert è un medico migliore di Bernard, su quale unità di misura mi posso basare? Su nessuna. La ricerca scientifica si fonda sul paragone in base alla misura, ma la mente paragona senza avere nessuna unità di misura. È un paragonare privo di senso, ma che non smettiamo di fare.

Il contrario di paragonare è vedere le differenze, riconoscere che ogni essere è diverso; ma senza dire che uno è meglio e l’altro è peggio, a meno che questa valutazione non sia misurabile. E soprattutto, mantengo ogni elemento al suo posto all’interno della differenza e non paragono ciò che non è paragonabile, ciò che è diverso e unico. Ogni essere umano è unico e ogni sitante di ogni essere umano è unico. Il Christian o la Christiane di questa sera non torneranno mai più. Se Christiane è stanca avremo ancora una Christiane stanca, ma non sarà esattamente la stessa. Il corpo sarà un po' più invecchiato, la contrattura o il rilassamento muscolare non saranno identici, i pensieri non saranno più gli stessi. Nessun fenomeno si produce due volte, una cosa non è mai avvenuta prima e niente ha una sua replica esatta nello spazio. In ogni caso sarà diversa la collocazione spaziale, perché se due cose fossero identiche sotto tutti gli aspetti occuperebbero lo stesso punto nello spazio, di conseguenza si confonderebbero e ne resterebbe soltanto una. Potete quindi affermare con certezza: se c’è un due, sono due cose diverse nel tempo e nello spazio. È la grande legge del mondo della molteplicità, del mondo soggetto al cambiamento e al divenire. Se c’è un due, sono due cose diverse, e nessun paragone è giustificato.

Finché fate paragoni non siete nella verità. Il paragone è non verità, il paragone è errore, il paragone è menzogna. Se vedeste realmente ciò che è, capireste anche che questa percezione libera dall’intervento della mente è amore, è essere completamente d’accordo sul fatto che è ciò che è. Se vi riconosco il diritto di essere ciò che siete intellettualmente ma non fisicamente, o fisicamente ma non emotivamente, se faccio intervenire un termine di paragone pensando che una certa cosa potrebbe essere diversa, non è più vero amore. Il vero amore non paragona mai. L’amore non paragona mai: vede e semplicemente accetta, riconosce. Con lo stesso amore posso scritturare come violinista nella mia orchestra un musicista che suona bene il violino e non uno che lo suona male, ma con lo stesso amore per l’uno o per l’altro. E questo amore c’è soltanto quando la mente è scomparsa.

Va molto più in là di quanto immaginiate. Voi vedete il funzionamento errato che va eliminato completamente, ma vedete meno bene la promessa contenuta nell’eliminazione di questo funzionamento. Se smettete di paragonare e siete veramente uno con ogni oggetto in ogni istante, vedrete ogni oggetto, ogni istante nella sua unicità e incomparabilità, e grazie a questa stessa unicità e incomparabilità vedrete ogni oggetto come espressione diretta dell’assoluto. Quando avrete completamente rinunciato a paragonare, il relativo vi rivelerà l’assoluto. È un’esperienza che farete una volta, la perderete, la rifarete, svanirà; finché sarà sempre a vostra disposizione. Ma prima dovete vedere che fate paragoni: se dico che una cosa è piccola, l’ho già paragonata a una cosa più grande.

Consideriamo l’anello di plastica che fissa il filo di questo microfono al treppiede. È un piccolo oggetto di plastica e non posso vederlo senza fare paragoni. Se dico che è piccolo, è perché lo paragono a qualcosa di più grande. Se dico che è grande, è perché ho visto degli anelli di plastica dello stesso tipo ma più piccoli. In entrambi i casi faccio intervenire un’altra cosa. E nel momento in cui dico che è nero, dico che non è rosso, blu, bianco o giallo. Il semplice dire che è nero significa paragonarlo ad altri colori, e così via. Non posso definire nulla se non attraverso il paragone. Ma se sono semplicemente conscio di questo oggetto di plastica e se la mente non fa nessun paragone, non posso dire né che è grande né che è piccolo, non ne concepisco più le dimensioni. Capite? Nessuna dimensione. Non è né grande né piccolo, è quello che è ed è infinito. Se vedo qualunque oggetto, anche questo piccolo oggetto insignificante, senza che intervenga nessun paragone, nel momento in cui lo guardo, lo odoro se ha un odore, lo sento se emette un suono, lo vedo come un’espressione della realtà, del brahman. È unico, senza un secondo, senza misura, infinito. Ogni forma, definizione e concetto proviene dalla mente, che funziona solo in base al paragone. Se elimino tutto ciò che sovrappongo all’oggetto, tutto ciò che penso dell’oggetto (e non posso pensare che attraverso il paragone con tutto ciò che non è questo oggetto), lo vedo senza passare attraverso alcun funzionamento mentale, vedo scomparire tutto ciò che potrei dire dell’oggetto. Lo vedo infinito. Di colpo l’oggetto scompare e ciò che si rivela è il brahman, il vuoto, la realtà. Ciò di cui parlo non è una piccola esperienza che vi verrà donata guardando distrattamente per due minuti questo oggetto di plastica. Non crediate che, la prima volta in cui Svamiji ha cercato di farmi sperimentare ciò di cui parlo oggi, sia subito diventato un fatto evidente che non mi ha lasciato mai più. Ma, scoprendo a poco a poco che funzionate per paragoni, più o meno grossolani e più o meno coscienti, più evidenti o meno percepibili, desidererete davvero non paragonare più, vedere l’oggetto così com’è qui e ora, senza che la mente frapponga qualcos’altro. E questa, sì, è la grande esperienza.

Vedo Michèle e percepisco: ha i capelli corti. La percepisco con i capelli corti perché la paragono a Michèle quando aveva i capelli lunghi o a un’altra donna con i capelli lunghi. Allora è finita: non vedo più Michèle. Non sono più uno con lei. Se la vedo con tutta la mia percezione, con tutta la mia testa e il mio cuore, senza nessuna restrizione, e quindi con amore, non interviene nessun paragone. Non posso più dire: è grande o piccola, robusta o magra, bella o brutta. La mente tace. Nell’unicità incomparabile di Michèle scopro che non può esserci altro, che non può essere diversa, e che ciò che oggi, e non quando sarà un saggio liberato, è il brahman e null’altro. Qualunque altra percezione o concetto sono funzionamenti della mente che mi impediscono di vedere il brahman quando vedo Michèle.

Ciò che vale per Michèle vale per tutti. Se eliminate completamente i paragoni vedrete brahman ovunque. Ma la mente si mette immediatamente all’opera, vi allontana dalla realtà e vostro malgrado guardate Christiane e la paragonate a quella che era l’anno scorso, a quella che era stamattina, a quella che potrebbe essere, oppure a un’altra persona. Una Christiane diversa da quella che è qui e ora non esiste. C’è solo la Christiane di questo qui e ora, nient’altro. E quando vedo Christiane non ho bisogno di far intervenire Michèle, né Marie, né Lucette. La mente non vede niente, perché vede tutto attraverso i paragoni.

Se vedete realmente, e se non fate intervenire nessun paragone, andate al di là del normale meccanismo di attrazione e repulsione. È uno stato perfettamente compatibile con la risposta alle necessità oggettive del qui e ora. Un jivanmukta, un saggio universalmente riconosciuto, dirà: “Buongiorno, Ella” se va a trovarlo Ella, “Buongiorno, Sushila” se va a trovarlo Sushila. Ma si può affermare che abbia fatto intervenire un paragone? C’è un funzionamento oggettivo della percezione e dell’intelligenza che è attivo anche in un saggio, almeno quando non è nel nirvikapla samadhi, cioè completamente assorto nel vuoto, nell’assoluto. Ma questo riconoscimento non è un paragone. Svamiji diceva anche: “Guardate e riconoscete”. Ciò non significa paragonare. In questo campo la mente non può che creare confusione, perché ricorrerà sempre ad alcuni paragoni giustificati per mescolarli ad altri assolutamente ingiustificati.

In che modo vedere nel modo corretto? Chiedetevi invece: perché non vediamo nel modo corretto? Cercate la verità? Provate a smascherare gli errori. Cercate di vedere nel modo corretto? Provate a non vedere più nel modo scorretto. È questo che vi consentirà di progredire realisticamente. Siete ancora soggetti all’errore: dovete individuare l’errore. La nota espressione che uso anch’io, “cercatore della verità”, va presa con cautela, perché sarebbe meglio dire: siate cercatori dell’errore. Cercate l’errore ovunque può essere e individuatelo. Quando avrete cancellato tutti gli errori, la verità risplenderà da sé. Siate coscienti del fatto che ancora paragonate. Se prendete la decisione di vedere senza fare confronti, che cosa accadrà? Deciderlo è facile, e poi? Dato che in questo momento il meccanismo del paragone è in atto, fortemente in atto, è impossibile osservare una decisione di questo genere.

La causa della sofferenza, per tutti voi, è il paragone. Paragonate la vostra situazione attuale a quella di un altro, paragonate il vostro destino attuale a quello di un altro, la vostra situazione finanziaria a quella di un altro. Paragonate la vostra solitudine alla felicità di una persona sposata; o, se siete sposati, paragonate i problemi coniugali e il fardello della famiglia alla felicità della solitudine di una persona non sposata. Paragonate ciò che siete oggi a ciò che eravate a trent’anni. Il paragone è l’unica causa della sofferenza, per questo dobbiamo scoprire in che modo funziona.

Senza paragoni, l’anello di plastica di questo microfono perde qualunque misura. La misura c’è solo se c’è paragone. Se guardate questo oggetto di plastica senza fare nessun paragone, lo vedrete finalmente per la prima volta nella vita e lo vedrete infinito: infinito, né grande né piccolo. Se lo vedete in sé stesso, senza nessun paragone con nessun’altra cosa, non potete più dirne niente. E, in un colpo solo, l’anello di plastica è scomparso e si rivela l’assoluto. Potrebbe sembrarvi straordinario, ma riflettete a fondo e vedrete che, anche se questa visione non è immediatamente possibile, non c’è alcun motivo per cui debba essere impossibile.

Denunciare il paragone fa sorgere in chiunque un’obiezione che conosco bene, perché è stata a lungo anche la mia, ovvero che in questo modo si annulla qualunque valutazione del bello e del brutto. Sì, proprio così: se non paragonate, non potete più dire che una cosa è bella o brutta. Se affermo che un pianista suona male, lo faccio attraverso il paragone con la possibilità di suonare diversamente. Dovete ammettere che ci sono vari punti di vista o vari livelli relativi all’approccio alla realtà. La visione ultima non ha più livelli, ma tutte le visioni precedenti sono in qualche misura errate. Se aveste la visione di un saggio, non ci sarebbe più il bello né il brutto; c’è soltanto ciò che è, senza nessun paragone. Questo va detto chiaramente.

Ma ritornando al mondo relativo, è ovvio che se un jivanmukta, un saggio, fa parte della giuria di un concorso musicale al conservatorio, distinguerà un pianista che suona in modo eccellente da un altro che suona male, non c’è dubbio. Ciò detto, sappiamo anche che l’arte non è misurabile. Potete misurare il ritmo con un metronomo, ma misurare il talento di un artista è impossibile. Se leggete le critiche d’arte, non sono mai d’accordo. La carriera di un artista può dipendere da un certo consenso generale, come ad esempio critica e pubblico concordavano sulle qualità di danzatrice di Ludmilla Tchérina, ma nessun artista ha mai ricevuto il consenso unanime. I gusti non si discutono. Dal punto di vista assoluto, non c’è né bello né brutto: da un punto di vista relativo, potete notare che una generazione apprezzava uno stile che la generazione successiva ha rifiutato con disprezzo. L’arte romanica e gotica era considerata orribile nel XVII secolo, ed è tornata di moda solo a partire dal Romanticismo e dal XIX secolo.

Ciò che ha valore oggettivo è conforme alle leggi universali, al dharma. Mi sembra sia di Platone la frase: “Il bello è lo splendore del vero”. È un detto notevole. Ciò che è vero senza un secondo, ciò che è veramente, se lo vediamo, è sempre bello. Il linguaggio quotidiano lo conferma. Un medico può dire: “Ho visto un bell’ascesso”. Se vedete davvero l’ascesso in quanto ascesso, è bello. Se lo paragonate a qualcos’altro, è ripugnante, perché è intervenuta di nuovo la mente.

A volte è possibile sentire la conformità con le leggi, ad esempio nelle forme moderne. Benché non abbiano più alcuna corrispondenza con un punto di vista tradizionale sulla vera arte sacra, può accadere che una nuova forma abbia una bellezza oggettiva, perché la mente non ha avuto modo di intervenire. Basta quindi sottomettersi alle leggi per ottenere un risultato corretto. La costruzione di un edificio può esprimere la nevrosi collettiva di una società o la nevrosi individuale di un architetto, ma la costruzione di un aereo esige di osservare leggi di aereodinamica, di propulsione, di equilibrio e di stabilità talmente precise che non si può non applicarle; e a poco a poco si arriva a una forma funzionale in cui l’io e le emozioni non trovano posto. Riconosciamo: “Questo aereo è bello”, perché tutto è giusto, la lunghezza, il rapporto tra le ali e la fusoliera, e così via. Perché è bello? Perché sono le leggi stesse, le leggi cosmiche, che hanno dettato la forma dell’aereo.

Se ammettiamo che l’essere umano abbia accesso ai vari livelli di coscienza, dobbiamo anche ammettere che alcune opere d’arte o alcune architetture testimonino la realtà di questi livelli, e non le emozioni di questo o quell’artista. Riconosciamo che una certa arte è davvero un’arte sacra. Davanti a una chiesa romanica o gotica proviamo un’impressione che si approfondirà con la nostra frequentazione di questo edificio religioso, impressione completamente diversa da quella che proviamo davanti a una chiesa moderna costruita da un architetto di moda e affrescata da pittori anche celebri, ma privi di qualunque conoscenza delle vere leggi della vita spirituale o della vita interiore. È un po' come la differenza tra la stazione ferroviaria Gare de l’Est e la cattedrale di Notre-Dame: siete indotti più facilmente a meditare, a rientrare in voi stessi e a trovare il vostro centro immutabile andando alla cattedrale di Notre-Dame che alla Gare de l’Est. Rimane comunque un punto di vista relativo, perché dal punto di vista del reale è escluso qualunque paragone. Notre-Dame è perfetta e anche la Gare de l’Est è perfetta. Tutto ciò che è, è. Se non fate paragoni, siete costretti a dire: tutto è perfetto. Se fate intervenire tutti i possibili paragoni, direte: è completamente sbagliato; se invece vedete la realtà, direte sempre: è giusto. Non potete raggiungere la visione di un saggio se vi arrogate il diritto di paragonare. Che cos’è la “visione equanime” (sama darsana)? Che cos’è la visione del saggio che vede Dio ovunque e che è al di là del bene e del male? È la visione che non fa più paragoni.

È facile dire: “La verità ultima è al di là del bene e del male, solo gli ignoranti sono ancora prigionieri della visione dualista e della morale”. Vi fa comodo, perché vi permette di far soffrire impunemente gli altri ritenendovi appunto al di là del bene e del male. Poi vi arrogate il diritto di paragonare ciò che vi piace e ciò che non vi piace a qualche altra cosa e, quando vi conviene, fate intervenire di nuovo i concetti di bene e male, bello e brutto. Non è né bene né male: è. Ma, per poterla adottare, questa visione deve diventare una verità e non una menzogna, e dovete rimanerle assolutamente fedeli indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al vostro egoismo.

Questa è la visione ultima. Se la raggiungete, tutto è risolto e vedrete ovunque splendore, vedrete ovunque il brahman. Ramdas avrebbe detto: “Vedrete ovunque Rama”. Svamiji diceva: “Vedrete ovunque la verità”. Vedere senza fare paragoni è la porta sulla visione dell’infinito, ma dovete tenere in conto i paragoni inconsci che non vengono formulati, ma che si esprimono attraverso un’attrazione o una repulsione, un disagio o al contrario una sensazione di agio e di sicurezza. Se questi paragoni incontrollati sono troppo potenti, dovete andarli a scovare nell’inconscio; se invece non lo sono, potrete superarli senza avere per forza bisogno di individuarne la causa ancora sconosciuta. Vedrete che il semplice fatto che una cosa vi piace o non vi piace, o il sentirvi emotivamente toccati da un incontro, significa che è stato attivato un paragone e non avete visto la cosa in sé. Ma potete arrivare a conoscere l’oggetto in sé e poco alla volta ci riuscirete. Se riuscite a essere direttamente uno con ciò che è, senza fare paragoni, non è necessario andare a cercare nell’inconscio.

A volte uno slancio del cuore può essere l’espressione di una adesione libera da paragoni, ma molto spesso nasce invece da un paragone subconscio o totalmente inconscio. Ritroviamo qui la distinzione tra sentimento ed emozione. Potete sentirvi attratti da qualcuno e provare uno slancio d’amore verso questa persona perché vi ricorda una vostra passata felicità; ma, in circostanze identiche, potrebbe bastare un piccolo particolare per frenarvi dallo stesso slancio. Ad esempio, quella persona che ha fatto qualcosa che vi ha toccato potrebbe avere un enorme paio di baffi che risvegliano in voi qualche emozione latente, impedendovi di provare lo stesso slancio. Finché abbiamo un certo tipo di attrazione avremo anche un certo tipo di repulsione e saremo soggetti a questa attrazione, a uno slancio emotivo verso qualcuno o, al contrario, alla paura e al rifiuto. Potete amare soltanto quando non potete non amare, altrimenti non stiamo parlando della stessa cosa; parliamo di un altro tipo di amore che non è libero, che ci domina e che non ci eviterà questa crudele malattia che consiste nel non amare. Mi chiedo perché vogliamo avere il diritto di non amare, perché ci teniamo così tanto, perché ci sembra una vera e propria aggressione se ci dicono che un giorno dovremo rinunciare a non amare, anche se non amare è la cosa più triste di tutte. Potrei anche dire: la sofferenza è non amare. Se viveste davvero nell’amore, vivreste liberi dalla sofferenza. Ma, anche se ci rivolgiamo a dei ricercatori della verità e dimostriamo loro che un giorno non potranno più non amare, l’io si indignerà di colpo: “Come? Mi rifiutate il diritto di non amare?”. Che follia, perché non poter più non amare è la grazia più meravigliosa che potete ricevere. La liberazione è essere radicati nell’amore. Non lo dico in nome della morale, non dico che bisogna amare gli altri per fare il loro bene; parlo del vostro bene, della vostra felicità. Non conoscerete nessuna vera felicità degna di questo nome finché potrete continuare a non amare.

Sarebbe un vero shock venire d’un tratto a sapere che Ramdas non amava qualcuno. La sua bellezza era l’amore universale che tutti gli riconoscevano. Se fosse mai accaduto a Ramdas di non amare qualcuno, non ci sarebbe più un Ramdas, non ci sarebbe più l’asram e noi ce ne andremmo domani. Se volete ricevere la gioia sfolgorante di Ramdas dovete unire tutte le condizioni necessarie: non potete voltare le spalle alla sua realizzazione e nello stesso tempo beneficiare del suo sorriso immutabile.

Swamiji era intransigente: non lasciava passare nemmeno un paragone. Di conseguenza eravamo estremamente vigili. Che cosa significa: “Oggi il tempo è bello?”. Dite piuttosto: “Non ci sono nuvole nel cielo”, avete enunciato una verità nel mondo relativo. Se invece diciamo: “Il tempo è bello”, emotivamente facciamo intervenire un tempo piovoso che non ci piace: perché mai? È un giudizio totalmente emotivo. Perché dire: “Fa bello” o “Fa brutto”? C’è forse un luogo in cui fa sempre bello, dove c’è sempre il sole e il cielo è azzurro? Sarebbe un luogo desertico, privo di qualunque forma di vita. Espressioni come “fa bello” o “fa brutto” sono menzognere.

“Il paragone è sofferenza”; e l’emozione positiva, in quanto emozione, non vale molto di più. Paragono l’articolo elogiativo apparso sul Figaro sul mio concerto di pianoforte di ieri sera a quello su un altro virtuoso che ha ricevuto quindici righe di meno. Sono felice grazie a un meccanismo comparativo. Oppure paragono la lunghissima coda sul marciapiede davanti alla Salle Pleyel per il mio concerto di violino a un’altra coda di sole tre persone, ed eccomi felice. Questa felicità, che dipende da qualcosa, che nasce dal paragone, è l’altra faccia della sofferenza, è una felicità falsa da cui non dovete farvi ingannare. Ditevi piuttosto: “Vedo la felicità che non dipende da niente, che è sempre presente per il semplice fatto che le cose sono esattamente così come sono”. Se ci facciamo trascinare via in una direzione, ci faremo trascinare anche nell’altra. Sappiate rinunciare a qualunque paragone che vi reca un piacere momentaneo. Rinunciatevi. Nessun paragone, ma ciò che è. Così l’emozione lascerà il posto al sentimento. Date un concerto alla Salle Pleyel e sul marciapiede c’è una coda interminabile. Se non fate paragoni è semplicemente una fila di seicento persone, punto e basta. Non è troppo né troppo poco: è. L’emozione non può più nascere e siete ricondotti a voi stessi. Un giorno, il fatto di essere puramente e semplicemente ricondotti a voi stessi vi radicherà nel sentimento chiamato ananda, che appartiene unicamente all’essere. Per un musicista, la libertà sta nella capacità di suonare con lo stesso afflato in una sala mezza vuota o in una sala da cui sono rimaste fuori ottocento persone. È così, e io suono. Se in sala ci fosse un’unica persona suonerei nello stesso modo, senza alcuna emozione. È questa la vera libertà, non siete più marionette manovrate dalle circostanze. Se il vostro concerto non è stato pubblicizzato con efficacia, o se la stessa sera c’era una trasmissione importante alla televisione, la sala è vuota e voi ne soffrite. Quale dipendenza! Osservate bene, concretamente, il meccanismo: è sempre un meccanismo di comparazione.

Se non siete nel mondo reale, ma in un mondo di vostra creazione, il vostro comportamento rimarrà soggettivo: non sapete quale sia l’azione giusta né quello che va fatto, deciso, scelto o rifiutato. Se invece siete totalmente nel mondo reale, è il mondo reale che detta il vostro comportamento. Nel relativo, nel qui e ora, percepite che per voi, in queste attuali condizioni e circostanze, l’azione giusta è questa. Non l’azione giusta rispetto a un assoluto di vostra ideazione, ma l’azione giusta nel relativo, e questa azione assolutamente giusta nel relativo è assoluta. Non occorre cercare altro, altrimenti la mente fabbricherebbe altre invenzioni. Troverete l’assoluto nel relativo vedendolo esattamente così com’è; troverete l’illimitato nel limitato, a condizione di non fare paragoni.

Arriviamo sempre allo stesso punto, espresso nel verbo sanscrito asti, “è”. Se andate fino in fondo scoprirete l’atman, il brahman. È la grande rivelazione. Se giungo all’unico punto a cui conducono tutti gli aspetti dell’insegnamento, arrivo sempre qui: è, asti. In quanto io che faceva paragoni, sono scomparso; c’è la pura visione che riconosce “è”, senza alcun paragone. E quando dico “è” scompare anche il fenomeno separato. Vi ho appena spiegato che questo piccolo anello di plastica è infinito: rimane soltanto “è” e non c’è più nero, grande o piccolo, che erano tutti termini di paragone. Sono scomparso io ed è scomparso l’anello di plastica. Che cosa rimane? Il brahman, il non due, uno senza secondo. “Nell’universo non c’è posto per il due”.

L’aspetto interessante è che, invece di prendere un oggetto di culto intarsiato di pietre preziose o un mandala tibetano esoterico e misterioso, prendo questo pezzo di plastica che ho davanti gli occhi e vi dico: l’intero universo, l’insegnamento, tutto, è contenuto qui dentro. Ma all’inizio abbiamo una buddhi ancora troppo grossolana perché il pezzo di plastica ci possa interessare; quello che ci interessa è che la persona che amiamo ci ami, che i nostri problemi economici scompaiano o che non ci sentiamo più così stanchi. Bene, ma se siamo davvero interessati alla realtà, è straordinario sapere che basta un pezzetto di plastica per scoprire l’eterno, l’infinito, il brahman. È molto semplice.

Ma anche parlare di complessità e semplicità è fare paragoni. È semplice in rapporto alla complessità e complesso in rapporto alla semplicità. In assenza di paragoni, non c’è semplicità né complessità. Non è semplice né complesso; è. Non sto giocando con le parole: se una cosa ci sembra complessa, è perché pensiamo che potrebbe essere semplice. È, né semplice né complessa.

Abbiamo toccato il nucleo dell’insegnamento, ma non potete assimilare tutto in una sera. Lasciamo la bellezza dell’assoluto, di cui non si può dire che AUM (e anche AUM è troppo), e torniamo al relativo. Oggi ho capito, domani non capirò più. Un giorno, utilizzando una minuscola pietruzza che aveva raccolto, grande forse un paio di millimetri, Swamiji mi condusse passo passo a vedere che quella pietruzza non era né grande né piccola, ma unica, senza un secondo e quindi infinita; e a poco a poco, prendendo a supporto quella minuscola pietruzza, la mente smise di paragonare e vidi il brahman: io non esistevo più e la pietruzza non esisteva più. Poi questa visione non si ripresentò per settimane. Swamiji mi conduceva di nuovo passo passo, ma io non ci riuscivo più, non capivo più, ero teso e deluso. Occorre una buddhi molto sottile per vedere Quello. Altrimenti vi fermate a metà strada e nel vostro torpore pensate: “Comunque sia, chi se ne frega di vedere il brahman in un pezzo di plastica! L’importante è che il registratore funzioni e la registrazione sia venuta bene, tutto qui".

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Re: Uno senza secondo

Messaggio da Fedro » 26/02/2022, 9:06

dice Dejardins:
È facile dire: “La verità ultima è al di là del bene e del male, solo gli ignoranti sono ancora prigionieri della visione dualista e della morale”. Vi fa comodo, perché vi permette di far soffrire impunemente gli altri ritenendovi appunto al di là del bene e del male. Poi vi arrogate il diritto di paragonare ciò che vi piace e ciò che non vi piace a qualche altra cosa e, quando vi conviene, fate intervenire di nuovo i concetti di bene e male, bello e brutto. Non è né bene né male: è. Ma, per poterla adottare, questa visione deve diventare una verità e non una menzogna, e dovete rimanerle assolutamente fedeli indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al vostro egoismo.
Esattamente!
Quindi?
Chi riesce a rimanere fedele a questa visione, indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al nostro egoismo?
Se questo assoluto dell' Uno senza secondo diviene sempre il giusto, bello e quindi ci piace...lo stiamo o no contrapponendo a qualcosa che non lo è?
Dunque lo stiamo vivendo realmente, o siamo anche noi prigionieri di ciò che additiamo come non bello, non vero ecc?
Dunque triplice, è per te una realtà quello afferma Dejardins, oppure la tua mente la ritiene corretta, quindi stai "dalla sua parte" a prescindere se ciò lo vivi come realtà?
Forse allora manca qui ancora un elemento, la fiducia in ciò che è, oltre le credenze esposte dalla nostra mente:
e dove finisce una credenza (mente) e inizia la vera fiducia (cuore)?
E qui si apre un'altro capitolo...e mi pare che lo stesso Dejardins vi dedichi un intero libro di dialoghi, su questo.

cielo
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Re: Uno senza secondo

Messaggio da cielo » 26/02/2022, 10:59

Fedro ha scritto:
26/02/2022, 9:06
dice Dejardins:
È facile dire: “La verità ultima è al di là del bene e del male, solo gli ignoranti sono ancora prigionieri della visione dualista e della morale”. Vi fa comodo, perché vi permette di far soffrire impunemente gli altri ritenendovi appunto al di là del bene e del male. Poi vi arrogate il diritto di paragonare ciò che vi piace e ciò che non vi piace a qualche altra cosa e, quando vi conviene, fate intervenire di nuovo i concetti di bene e male, bello e brutto. Non è né bene né male: è. Ma, per poterla adottare, questa visione deve diventare una verità e non una menzogna, e dovete rimanerle assolutamente fedeli indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al vostro egoismo.
Esattamente!
Quindi?
Chi riesce a rimanere fedele a questa visione, indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al nostro egoismo?
Se questo assoluto dell' Uno senza secondo diviene sempre il giusto, bello e quindi ci piace...lo stiamo o no contrapponendo a qualcosa che non lo è?
Dunque lo stiamo vivendo realmente, o siamo anche noi prigionieri di ciò che additiamo come non bello, non vero ecc?
Dunque triplice, è per te una realtà quello afferma Dejardins, oppure la tua mente la ritiene corretta, quindi stai "dalla sua parte" a prescindere se ciò lo vivi come realtà?
Forse allora manca qui ancora un elemento, la fiducia in ciò che è, oltre le credenze esposte dalla nostra mente:
e dove finisce una credenza (mente) e inizia la vera fiducia (cuore)?
E qui si apre un'altro capitolo...e mi pare che lo stesso Dejardins vi dedichi un intero libro di dialoghi, su questo.
La responsabilità della visione è sempre e solo personale.
Ugualmente l'aderenza ai comodi dell'io che manipola le teorie a proprio vantaggio, ben stretto alle proprie credenze e attaccamenti cristallizzati come roccia su cui arrampicarsi ( o muri, anche da imbiancare per renderli più attraenti).

"Chi riesce a rimanere fedele a a questa visione, indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al nostro egoismo" non può ( e non dovrebbe) diventare domanda per l'altro.

Al massimo domanda a cui rispondere in sè stessi tramite la famosa autoindagine, tanto simile all'esame di coscienza dei tempi del catechismo insegnato dalle suorine dell'asilo.

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Re: Uno senza secondo

Messaggio da Fedro » 26/02/2022, 11:35

cielo ha scritto:
26/02/2022, 10:59

La responsabilità della visione è sempre e solo personale.
Ugualmente l'aderenza ai comodi dell'io che manipola le teorie a proprio vantaggio, ben stretto alle proprie credenze e attaccamenti cristallizzati come roccia su cui arrampicarsi ( o muri, anche da imbiancare per renderli più attraenti).

"Chi riesce a rimanere fedele a a questa visione, indipendentemente dalle situazioni e dalle circostanze, e non solo quando fa comodo al nostro egoismo" non può ( e non dovrebbe) diventare domanda per l'altro.

Al massimo domanda a cui rispondere in sè stessi tramite la famosa autoindagine, tanto simile all'esame di coscienza dei tempi del catechismo insegnato dalle suorine dell'asilo.
chissà perchè hai tirato fuori l'esame di coscienza del catechismo delle suorine dell'asilo...
magari è una proiezione della propria autoindagine sull'altro oppure è semplice ironia, e in tal caso a che pro?
Dunque chiedo: quale sarebbe il problema a confrontarsi ma sopratutto condividere e testimoniarsi circa ciò si propone, ovvero cercando di intraprenderlo in questo ambito (eventualmente) e quindi non nel giudizio tipico delle suorine?
Non ti nascondo che mi sarei stufato di questi interventi (direi da buonista spirituale) pronti a bacchettare perchè si osa chiedere senza obbligo in un coinvolgimento diretto ( se lo si vuole intraprendere...mica è d'obbligo eh?).
Ovviamente, quindi, le mie osservazioni nascono nell'ambito personale e a queste rispondono; ho semplicemente osservato come la vivo io ed eventualmente latriplice, se vuole "coinvolgersi" nel dialogo, lo farebbe comunque liberamente e nella responsabilità della sua visione personale.
PS Se questo forum è morto, credo sia proprio per quest'ansia del bacchettare, dunque non meravigliamoci dopo...

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Re: Uno senza secondo

Messaggio da Fedro » 27/02/2022, 8:00

Stamattina mi è sorta l'esigenza di chiarire il processo di questi miei interventi sui brani proposti qui da Latriplice.
Anche perché, il flusso dei dialoghi, ha per ciascuno un proprio valore o interpretazione (anche riguardo al cosiddetto "silenzio stampa", quando ne consegue).
Pensavo prima di farlo in privato, lontano da occhi cosidetti indiscreti, poi invece mi è sembrato corretto continuare o finire laddove avevo cominciato, non avendo bisogno di aggiustar maschere o tenerle belle dritte.
In sintesi: ho sentito l'esigenza di dire la mia circa questo lungo brano di Dejardins, non certo per contestarlo, ma per come invece la vivevo io, nel momento in cui l'ho posta, insieme ai miei dubbi della circostanza. Comunque un processo di esposizione e chiarificazione personale che è stata esposta anche come dubbi, esposti incidentalmente all'interlocutore di turno, quindi Latriplice che aveva pubblicato il brano.
Magari veniva fuori il suo punto di osservazione e che avrebbe distrutto il mio castello di carta... può accadere.
Invece, egli aggiunge altra carne al fuoco, e anche stavolta mi risuona come semplificazione del pensiero assoluto, come se mancasse un anello, un passaggio (e che ovviamente potrebbe rappresentare una semplice carenza o comunque di vissuto diverso e limitato a ciò che sono qui e ora).
Molto spesso sono dei colpi a perdere, poiché le nostre osservazioni personali (e che in fondo poniamo a noi stessi, in una testimonianza) non producono risposte nell'altro oppure solleticano la propria Santa Inquisizione interiore (e ciascuno ha la sua) e mi riferisco qui all'ultima risposta di Cielo, e che ha deviato, secondo me, da quelle che erano le intenzioni che mi proponevo. Niente di grave comunque, se non per la nostra proiezione dell'io, che per un'attimo si sente attaccata, il nostro piccolo e per giunta inutile mondo interiore, costruito sulle solite narrazioni complottiste dell'io fittizio che lo tengono in piedi, finquando lo vogliamo.

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Re: Uno senza secondo

Messaggio da cielo » 27/02/2022, 8:12

Anche io mi sarei stufata di interventi che interpretano gli scritti altrui, giudicandoli in modo un po' critico. Le antenne hanno vibrato...lo spirito da crocerossina che entro mi rugge (ancora un pochino) ha alzato il sopracciglio.

Buonista spirituale, bacchettatrice e magari pure bigotta avendo richiamato un ricordo di bambina in cui le suore dell'asilo a noi cinquenni ci invitavano ogni sera a ripercorrere la giornata avuta osservando eventuali mancanze, o i "peccati". L'autoindagine proposta da Ramana Mahārṣi ugualmente invita ad osservare la distrazione dell'attenzione da ciò che è, per dirigerla verso il mondo.
Vabbè pazienza, probabilmente mi merito questi falli sul campo.

Erano riflessioni scaturite dal fatto che, secondo me, non serve domandare all'altro se quanto proposto tramite un brano qui copiaincollato abbia o meno riscontro. Se ce lo vuol dire ce lo dirà. Meglio dire ciò che risuona, senza prendere la via rapida del:
"Quindi?" (letture possibili: che ce l'hai postato a fare? L'ho letto e mi sembra scontato...andiamo oltre queste ovvietà ecc. ecc.)

Meglio domandare a sè stessi, prima che all'altro, secondo me. (Non ne ho messi a sufficienza nel precedente post, distrazione quasi imperdonabile, i secondo me, a mio avviso, forse, secondo mia opinione sono fondamentali, soprattutto su un forum vedanta che ha come fulcro la non contrapposizione).

Non mi sembrano, ma forse mi sbaglio, riflessioni del tutto nate nell'ambito personale e che a queste rispondano.

Dunque triplice, è per te una realtà quello afferma Dejardins, oppure la tua mente la ritiene corretta, quindi stai "dalla sua parte" a prescindere se ciò lo vivi come realtà? Forse allora manca qui ancora un elemento, la fiducia in ciò che è, oltre le credenze esposte dalla nostra mente: e dove finisce una credenza (mente) e inizia la vera fiducia (cuore)?)

Ma nel complesso hai ragione e condivido, è una domanda cruciale, a cui ognuno prima o poi si dovrà rispondere:

"Dove finisce una credenza (mente) e inizia la vera fiducia (cuore)?"

Buona domenica, qui, dalla sala di rianimazione del forum.

PS: scritto prima dell'ultimo brano di Fedro che ora mi leggo

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