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Bodhānanda - frammenti di dialoghi 1999

Teoria e dottrina.
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cielo
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Bodhānanda - frammenti di dialoghi 1999

Messaggio da cielo » 03/05/2020, 20:47

Alcuni frammenti di dialoghi del 1999 (archivio mailing list)

TEORIE

D. Alle volte è così buffo il cammino...teorizziamo, parliamo dei Maestri, di come sono e come non sono, teorizziamo su come sia il cammino e poi di cosa sarà dopo la realizzazione...Poi ci sono dei fratelli, che con la massima semplicità sintetizzano il tutto nel semplice vivere. Che d'altra parte è l'unica possibilità che abbiamo!

R. Qualcuno dice:
Prima della sperimentazione del Sè, tagliare la legna e portare l'acqua al pozzo
Dopo la sperimentazione del Sè, tagliare l'acqua e portare la legna al pozzo
Dopo la Realizzazione del Sè, tagliare la legna e portare l'acqua al pozzo .


RUMINARE SUL PASSATO

D. Mi colpisce una frase che ho letto: "Le parole con cui descrivi la tua esperienza creano la tua realtà" e le problematiche connesse al ruminare sul passato che genera dolore?

R. È sembrato, a chi legge, che un po’ tutti ci siamo imbarcati in questa disamina del passato.
Una volta che si è colto, occorre anche lasciarlo andare senza trattenerlo.
Mantenerlo nella sfera del conscio può produrre una serie di altri attaccamenti e reazioni, sempre psicologiche.
Identificata la "causa", essa va convissuta, non pensata o elaborata. Nè altri possono intervenire in essa, se non a prenderla come spunto e vedere se in noi qualcosa risuona.
Non dimentichiamoci che occorre un'osservazione distaccata continua... quindi non aderire nemmeno al più brillante dei risultati.


ESPERIENZA

D. Io sempre più spesso penso che siano proprio i 'contenuti dottrinali, sociali, culturali' a modellare l'esperienza.

R. Vero, anche perchè l'apprensione dall'esperienza avviene attraverso il manas o mente dianoetica che è l'insieme e la risultante dei contenuti.
Ma se l'esperienza viene vissuta da un ente che nulla contiene, non c'e mente che veda o rifletta l'esperienza, pertanto non c'è esperienza o meglio non c'è sforzo... intenzione... se invece per esperienza intendiamo la Realizzazione... a sentire chi pare l'abbia vissuta (e qui andiamo nel credere) pare sia la medesima...


DISQUISIZIONI

D. Non vorrei apparire saccente, o parlare da chissà quale pulpito, volevo esprimere (è l'io che parla/scrive) un mio parere sulle disquisizioni in genere. Mi sembra di aver compreso dallo studio e dalla pratica di meditazione che è questo io che dobbiamo "zittire" per permettere alla mente sintetica di manifestarsi, per permettere l'accesso allo Spirito, alla voce del Satguru.

R. Ma il "dovere zittire" non appartiene anch'esso a quell'ambito, non è l'effetto di una disquisizione o di un credo?
E lo stesso zittire non potrebbe essere effetto dell'esaurirsi della disquisizione perchè oramai esposta, se esposta nell'osservazione?

D. Credo di capire che se filosofeggiamo con la mente razionale, analitica, limitata, sulla Realtà, sulla Verità, sullo Spirito o sui messaggi dei vari Maestri, non facciamo altro che alimentare il nostro io, la nostra mente razionale-analitica. Essa, peraltro, essendo illusoria e limitata come i nostri cinque sensi come può avere un'appercezione* di quanto sopra detto?

R. Alcuni non speculano sui Maestri, ma sembrano usarli per vedere se stessi con spietatezza

D. La sadhana mi porta, nella quotidianità, a non abbassare "la guardia" nei confronti dell'io "camaleonte" e a cercare di tenere a mente che è tutto impermanente, che non siamo soli e che Io sono Lui, anche se è un'appercezione.

R. Vero. Ma c'è anche chi si trova su un percorso in cui non può tenere a mente nulla se non il presente che vive, essendo più reale anche delle parole di un Maestro.

*appercezione: termine filosofico introdotto da G. Leibniz per indicare l’atto riflessivo attraverso cui l’uomo diviene consapevole delle sue percezioni, che di per sé possono anche rimanere inavvertite; l’a. è dunque il fondamento ultimo della coscienza e dell’io. I. Kant chiamò a. l’autocoscienza e a. pura (o originaria) quell’‘Io penso’ che «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni», costituendo «l’unità trascendentale dell’autocoscienza». L’a. pura si distingue dall’a. empirica, che è la coscienza nella totalità del suo contenuto, in cui l’Io penso è fuso col dato dell’intuizione sensibile. (Treccani)



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