Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

Aṣṭāvakra Gītā_note

Teoria e dottrina.
Rispondi
cielo
Messaggi: 897
Iscritto il: 01/10/2016, 20:34

Aṣṭāvakra Gītā_note

Messaggio da cielo » 26/11/2017, 11:06

Aṣṭāvakra è accreditato come l'autore della Aṣṭāvakra gītā che significa "canto di Aṣṭāvakra.
Il testo è anche noto come Aṣṭāvakra Saṃhitā.

La Aṣṭāvakra gītā esamina la natura metafisica dell'esistenza e il significato della libertà individuale, presentando la sua tesi, ossia che esiste solo una Realtà suprema (Brahman), l'insieme dell'universo è unità e manifestazione di questa Realtà, tutto è interconnesso. Il Sé (l'Atman, anima) fa parte di quell'Unico, e quella libertà individuale non è il punto finale, ma un dato, un punto di partenza, innato.

Se desideri essere libero,
Conosci te stesso,
la testimonianza di tutti questi,
Il cuore della consapevolezza.

Metti da parte il tuo corpo.
Siediti nella tua consapevolezza.
Sarai subito felice,
per sempre ancora, sempre libero.

(...)

Sei ovunque,
Sempre libero.
Se pensi di essere libero, sei libero.
Se pensi di essere legato, sei legato.
Medita sul Sé.
Uno senza due,
Consapevolezza esaltata.

- Ashtavakra Gita 1.4-14. Traduttore: Thomas Byrom

Secondo Radhakamal Mukerjee, l'Aṣṭāvakra gītā fu probabilmente composta dopo la Bhagavadgītā, ma prima dell'inizio dell'era comune, e attribuita al saggio Aṣṭāvakra in omaggio ai suoi insegnamenti.


Note sui miti.

Ramayana di Valmiki.

Nell'Arania Kanda di Adhyatma Ramayana, il demone Kabandha narra la sua storia a Rama e Lakshmana in cui dice di essere un Gandharva diventato un demone quando rise vedendolo (Ashtavakra). Quando il Gandharva si inchinò ad Aṣṭāvakra, egli gli disse che sarebbe stato liberato dalla maledizione da Rama durante il Treta Yuga.

La saggezza di Aṣṭāvakra su vari aspetti dell'esistenza umana è recitata nel Mahābhārata.
Troviamo ad esempio:
"Una testa grigia non fa un anziano,
Non dagli anni, non dai capelli grigi, né dalle ricchezze, né dalle relazioni, i veggenti fanno la Legge,
Chi è grande per noi è colui che ha imparato.

Purana.

Aṣṭāvakra e Śvetaketu si diressero verso il palazzo di Janaka. Aṣṭāvakra prima affronta il guardiano che cerca di impedire l'entrata al ragazzo.
Convincendo il guardiano di essere ben versato nelle Scritture e quindi "vecchio" anche se di giovane aspetto, Aṣṭāvakra fu lasciato entrare.
Janaka mise alla prova Aṣṭāvakra con domande criptiche a cui Aṣṭāvakra rispose con facilità. Janaka decise allora che Aṣṭāvakra affrontasse Vandin.
Vandin e Aṣṭāvakrainiziarono il dibattito, e fu Vandin a cominciare. Composero alternativamente sei versi estemporanei sui numeri da uno a dodici.
Quando Vandin dovette comporre un verso sul numero tredici, riuscì a farne soltanto metà. Così Aṣṭāvakra completò il verso componendo la seconda metà e vinse il dibattito.

(traduzione di brani da Wikipedia)

ortica
Messaggi: 281
Iscritto il: 17/03/2017, 10:29

Re: Aṣṭāvakra Gītā_note

Messaggio da ortica » 26/11/2017, 11:57

Contestualizzando l'Astavakrasamhita, chi sono i personaggi?
Si tratta di un dialogo fra il Rajarshi (re-veggente) Janaka e lo jnani (conoscitore) Astavakra che - nel dialogo - si pone quale suo guru.
Ma quanti sono come Janaka, rinuncianti che vivono nel mondo ma non sono del mondo?

Vivekananda sostiene ve ne sia stato uno solo:
"E' quasi impossibile lavorare per il bene del mondo nella posizione del capofamiglia. Nell'insieme delle scritture indù esiste l'unica indicazione del re Janaka (il nome significa genitore, creatore, e apparteneva a un re che, sebbene governasse ancora il suo regno per il bene della sua gente, aveva rinunciato a tutto). Ma al giorno d'oggi ci si vuole presentare come Janakas in ogni casa generando figli anno dopo anno, mentre egli non aveva più neppure la coscienza del corpo (videha)".
da Vivekananda, Discorsi ispirati (edizioni I Pitagorici) e The Complete Works of Swami Vivekananda
Volume 7, Conversations And Dialogues

E il suo maestro Ramakrishna:
"Si può vivere nel mondo dopo aver ottenuto l'amore per Dio. E' come tagliare il frutto dell'albero del pane dopo essersi strofinati le mani con dell'olio; il succo appicicoso del frutto non le imbratterà. Il mondo è come l'acqua e la mente come il latte. Se si mette del latte nell'acqua, esso si mescolerà con l'acqua. Ma mettete prima il latte in un posto tranquillo e lasciate che si trasformi in caglio. Dopo di che da questo si può estrarre il burro. Quel burro può essere messo nell'acqua e non vi si mescolerà, ma vi galleggerà sopra.
Vivere nel mondo con uno spirito distaccato è molto difficile. Non basta semplicemente dire di essere Re Janaka. Di quanta austerità fece pratica Janaka! Quanto rimase a lungo nella stessa posizione, con la testa in giù e i piedi in su! Ma voi non dovete praticare queste discipline estreme. Però vi occorre la sadhana; dovreste vivere da soli. Potete vivere da persone di famiglia dopo aver raggiunto in solitudine la conoscenza e l'amore divini. Il latte si trasforma in caglio solo quando non viene agitato. Il caglio non si forma se il latte viene mosso spesso da un posto ad un altro o se viene agitato troppo".

da Il Vangelo di Sri Ramakrishna, versione integrale. (edizioni I Pitagorici)


Se, osservandoci il più obiettivamente possibile, riconosciamo che non siamo rinuncianti come il Rajarshi Janaka poichè in noi permane anche solo una debolissima traccia di attaccamento verso un qualunque aspetto della vita apparente, dovremmo onestamente dirci che possiamo sì intravvedere l'obiettivo, ma non raggiungerlo.
A mio avviso, studiare testi come l'Astavakrasamhita in mancanza delle richieste qualificazioni (più volte peraltro indicate nella presentazione dello scritto) è ottima pratica in quanto d'ausilio alla purificazione e trasformazione della mente, ma certo non si può sostenere che sia sufficiente leggere un libro, quale che sia, per essere e non più limitarsi ad esistere.

ortica
Messaggi: 281
Iscritto il: 17/03/2017, 10:29

Re: Aṣṭāvakra Gītā_note

Messaggio da ortica » 26/11/2017, 11:59

Si suggerisce a chi senta di accostarsi allo studio e alla riflessione dell'Astavakrasamhita la traduzione in italiano (con testo sanscrito traslitterato) ad opera del Kevalasangha che si trova nel sito Testi della Conoscenza tradizionale.



Questa la traduzione dei primi cinque sutra del primo adhyaya, seguiti da breve annotazione:


Janaka disse:

1.1. In che modo [l’essere] consegue la conoscenza? Come avverrà la liberazione? E come viene raggiunto il distacco? Rivelami [tutto] questo, o Signore.


Astavakra rispose:

1.2. Se aspiri alla liberazione, figlio mio, abbandona gli oggetti [sensoriali] come fossero veleno e onora l’indulgenza, la rettitudine, la compassione, l’appagamento e la verità come fossero nettare.
1.3. Non [sei] la terra, né l’acqua, né il fuoco, né l’aria, né lo spazio, o riverito. Per [conseguire] la liberazione devi conoscere il loro testimone che è l’åtman della natura di [pura] Coscienza.
1.4. Se, essendoti separato dal [pensiero di essere il] corpo, dimorerai stabilmente riposando nella Coscienza, sarai certo immediatamente felice, pacifcato e libero dalla schiavitù.
1.5. Tu non sei un bråhmana, ecc., non appartieni a un ordine sociale (varna) o stadio di vita (asrama) né sei nella portata dei sensi. Senza contatto e privo di forma, sei il Testimone della totalità: [perciò] sii felice!


La nostra più profonda e autentica natura è Essere, Coscienza e Beatitudine assoluti (sat-cit-ånanda). Non sono attributi, né sovrapposizioni o qualificazioni limitanti ma i tre aspeti, coessenziali e inscindibili, di una natura unica e autoesistente, in sé non-definibile in quanto Essenza non-duale e priva di origine, quindi trascendente anche rispetto a ogni determinazione e parametro dimensionale (spazio-tempo-causa) o designazione concettuale (nome-forma-qualità).
La stessa Scrittura ci insegna che l’Essere è Coscienza e Beatitudine al di là di ogni limitazione o rappresentazione, e tale natura è il nostro e unico Sé, l’åtman, sempre puro, infinito, non-nato e immortale. Nonostante ciò, quando ci identifichiamo erroneamente all’aggregato psicofsico, che nasce, cresce e muore, crediamo di essere un corpo oggetto dei sensi ed esposto a ogni genere di danno e malattia, o di incarnare un qualsiasi ruolo che potrà assorbirci magari tuta l’esistenza; tutavia queste sono tutte sovrapposizioni capaci di generare in noi la nozione della sofferenza, ma comunque destinate a dissolversi di fronte allo svelarsi della Conoscenza.

Astavakrasamhita, a cura del Kevalasangha

Rispondi