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Istanza realizzativa

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cielo
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Istanza realizzativa

Messaggio da cielo » 11/10/2017, 10:08

Rileggevo questo articolo "Advaita e neo advaita" pubblicato sul sito e per l'ennesima volta mi sono domandata se ho quella forte istanza realizzativa così come qui descritta:

D. Cosa intende con integralità dell’insegnamento?
R. Sembra essere diffusa la credenza che tutti siano pronti al Vedānta Advaita, una via terminale, la fase più elevata, rarefatta, difficile del cammino spirituale, che necessita l’abbandono di ogni aspetto individuale, la focalizzazione e dissoluzione di ogni contenuto psichico, il totale scioglimento di ogni traccia di esso. Chi è disposto a ciò? Non certo chi è interessato a portare avanti una famiglia, a costituirla, a chi desidera gli affetti conseguenti all’amore, a chi è impegnato a costruire un futuro, a rimpiangere un passato, a crescere al meglio dei figli, a realizzarsi in un lavoro.

D. Mi sta dicendo che tutti costoro secondo lei sono esclusi dall’Advaita?
R. Secondo me? No, certamente. Tutti possono realizzare il Sé che già sono, ci mancherebbe. Ma occorre un requisito fondamentale: deve esserci una forte istanza realizzativa. Così forte da mettere tutto il resto in secondo piano. Se sono altre le priorità, saranno queste che verranno perseguite e una sādhanā asparśa può solo portare problemi e non risoluzioni se le aspirazioni tendono altrove.

Costituita e portata avanti la famiglia. Nel mondo di Cesare è la prima cellula di un corpo vastissimo di cui sono una cellula interdipendente.

Desiderati gli affetti conseguenti all'amore? Fatto, e imparato che è meglio non avere desideri e aspettative, così si coglie quel poco o tanto quando c'è. E poi l'Amore è aldilà di ogni contratto, è solo un bagliore di quella Coscienza che unisce e non separa sulla base della diversità.

No, non sono impegnata a costruire un futuro, perchè il futuro è solo una proiezione mentale, un film che mi gusto con un trailer in anteprima che poi non corrisponde al film. Ogni momento è da spogliare da ogni orpello, altrimenti che presente è?

Rimpiangere il passato? A volte prendo un film dalla cineteca e me lo riguardo, se è troppo romantico o evocativo di passioni interiori, posso perfino piagnucolare un po' e sentire il cuore squarciato. Anche la sofferenza interiore ha il suo fascino, smuove la monotonia della routine quotidiana.

Crescere al meglio dei figli? Sì, ci ho provato, ora sono nella fase silenziosa, essendo adulti, se capita si scambia, a volte si tira qualche improperio sulla gestione casalinga, ma tutto finisce lì. I binari scorrono perlopiù paralleli, negli scambi tra le rotaie, magari durante una passeggiata col cane, si parla della vita e delle sue problematiche. Come genitore mi porto sempre un'aura un po' nebbiosa e negativa, pare, agli occhi dei figli. Cerco di essere positiva, su loro invito. Di sorridere e non fare domande, frutti di un lungo addestramento paramilitare di altre vite.

Realizzarsi in un lavoro? Visto che il lavoro c'è, si tenta di svolgerlo al meglio del tempo che viene pagato, senza troppe escamotage o auto-inganni, ossia senza assumere posizioni di lamentazione, tipiche nell'ambiente lavorativo in cui "loro" caricano sempre i muli trascinandoli in montagna. Chiedo scusa per le ardite metafore, anche perchè la pausa caffè è comunque un diritto irrinunciabile, così come le pause di cinque o dieci minuti dopo le sedute in trans al pc di due o tre ore senza interruzioni.

Bene, ho fatto outing, resta da capire se l'istanza realizzativa c'è o non c'è.
Si parla di "fase più elevata, rarefatta, difficile del cammino spirituale, che necessita l’abbandono di ogni aspetto individuale". In effetti mi piace quando riesco a stare in pace con me stessa senza spingere il corpo e la mente a fare qualcos'altro, a cercare stimoli, seppure nobili, quali ascolto di mantra vedici o recitazione degli stessi, o musica, o posizioni morbide di tai chi chuan al sole del mattino, o preparazione di elaborati manicaretti culinari, letture, conversazioni...Il tempo non si inganna e non si spreca, come il cibo.

Chiudere gli occhi della mente e tornare nel profondo, a quel senso di esistenza appagato in se stesso.
Vivere dentro, al ritmo del respiro, mollare la presa così che i pensieri-onde si plachino in un movimento impercettibile che increspa ancora le acque placide del lago che si può contemplare, a volte.
Ritornare al mondo esterno e ai suoi stimoli è come riprendere il sogno notturno dopo essersi svegliati per qualche minuto per andare in bagno.
Come diceva il saggio, coltivo l'istanza alla rarefazione stando nel mondo, ma non del mondo.
Finchè si è nel mare, si nuota o si galleggia.


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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 11:11

cielo ha scritto:
11/10/2017, 10:08

Finchè si è nel mare, si nuota o si galleggia.
non mi pare cambi qualcosa per il flusso che precede e procede con l'onda da galleggiare, il pretendere di conoscere la propria istanza realizzativa...
Nel senso: possiamo forse, piuttosto che cavalcare l'onda, accelerarla o frenarla?
Se c'è paura di non farcela intanto... stiamo sicuramente frenando, se invece tentiamo di accelerare il passo, possiamo solo farci del male (e questo caso, lo vedo esposto anche nel dialogo).
Non credo sia per niente semplice, assestarci dove siamo, ovvero con gli strumenti che ci sono consoni:
se siamo in mare, cosa possiamo prevedere o fare , più che essere sempre presenti (galleggiare?) ad ogni evenienza e fissare nel contempo l'orizzonte?
Cos'è in nostro potere e cosa non lo è, e dove nasce l'istanza di sapere di più su ciò; forse su questo dovremmo riflettere?
Mio pensiero estemporaneo

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 11:21

cielo ha scritto:Bene, ho fatto outing, resta da capire se l'istanza realizzativa c'è o non c'è.
A mio avviso per comprendere se vi sia l'ardente aspirazione richiesta dalle scritture fra le qualificazioni imprescindibili alla sadhana advaita è sufficiente misurarla con quanto dicono i Conoscitori.
Sia Ramana che Ramakrishna, rispondendo alle domande dei viandanti, usano il paragone dell'uomo che annega.
L'aspirazione c'è ed è ardente quando è pari al desiderio dell'aria da parte di un colui/colei che sta affogando.
Per quell'uomo/donna c'è solo quello, nient'altro che il desiderio, la brama potentissima dell'aria. Il resto è nulla.
Altrimenti, non c'è.

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 11:56

ortica ha scritto:
11/10/2017, 11:21

L'aspirazione c'è ed è ardente quando è pari al desiderio dell'aria da parte di un colui/colei che sta affogando.
Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?

°°°
Una storiella zen che mi accompagna nei periodi di irrigidimento da dubbi mentali:

Ogni mese, un discepolo era solito scrivere al Maestro un breve resoconto del suo progresso.

Il primo mese, gli scrisse: “Provo un’espansione di coscienza e sperimento la mia unità con l’universo.”
Il Maestro sorrise e gettò la lettera nel cestino.

Il mese seguente , il discepolo gli scrisse: ”Ho finalmente scoperto che il Divino è presente in tutte le cose”.
Il Maestro rimase impassibile.

Al terzo mese, le parole del discepolo esprimevano con entusiasmo: ”Il mistero dell’Uno e dei molti mi è stato rivelato e sono in uno stato di totale meraviglia”. Il Maestro scosse la testa e ancora una volta gettò via la lettera.

Nella lettera seguente il discepolo asseriva: “Nessuno è mai nato, nessuno vive, nessuno muore, perchè l’ego non esiste”.
Il Maestro alzò le braccia al cielo in un gesto di disperazione.

Passò un mese, poi due, poi cinque e infine, dopo un anno di silenzio, il Maestro ritenne fosse giunto il momento di ricordare al discepolo che era suo dovere tenerlo informato sul suo progresso spirituale.

Il discepolo scrisse: ”A ‘chi’ importa?”

Quando il Maestro lesse questa frase, il suo volto s’illuminò di profonda soddisfazione.


(Ramesh Balsekar)

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 12:08

Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 12:12

ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:08
Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.
Infatti l'outing è personale in tal caso, non per interposta persona: in altre parole, tu come la vivi?

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 12:53

Fedro ha scritto:
11/10/2017, 12:12
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:08
Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.
Infatti l'outing è personale in tal caso, non per interposta persona: in altre parole, tu come la vivi?

non sento quel desiderio esclusivo.
ci sono ancora altre priorità.

Mauro
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Mauro » 11/10/2017, 14:32

cielo ha scritto: Finchè si è nel mare, si nuota o si galleggia.
...o si affonda.

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cannaminor
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da cannaminor » 11/10/2017, 14:44

ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:53
Fedro ha scritto:
11/10/2017, 12:12
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:08
Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.
Infatti l'outing è personale in tal caso, non per interposta persona: in altre parole, tu come la vivi?

non sento quel desiderio esclusivo.
ci sono ancora altre priorità.
Non so se potrei chiamarlo "desiderio esclusivo", non solo per il termine esclusivo ma anche per quello di desiderio.
Non so se sia un desiderio e se sia corretto definirlo-chiamarlo tale: Desiderio alla realizzazione?
È davvero un desiderio, un quid che si può desiderare, desiderare la realizzazione, l'illuminazione?
Forse ha più attinenza parlare di desideio alla liberazione, nel senso che si desideri liberarci, essere liberi da una condizione (evidentemente vissuta e creduta per tale) di "prigionia e\o privazione di libertà".

Secondo il celebre esempio del serpente sul sentiero scambiato per tale al posto della corda che realmente è, in un dialogo di Raphael (tratto da Alle Fonti della Vita, pag 68) viene detto quanto segue:
D. La maya ha un suo fondo di realtà?

R. Se fosse reale non potremmo eliminarla. Le dò un esempio: quando al posto del
serpente riconosciamo la corda in quanto ultima realtà, dov'è andata a finire la
maya? Cerchi di intuire questo mistero.
Dove è andata a finire la Maya? dove è andata a finire la prigionia, la liberazione cercata e anelata, la priorità o le priorità poste?

Riconoscere (ri-conoscere) la corda in quanto ultima (e prima realtà), non è un desiderio, non si desidera, non si anela, non è una priorità che si può porre o anteporre nella tabella di marcia della vita; il riconoscimento ad un certo momento nel divenire accade, così sic et simpliciter; non riesco a leggerlo e vederlo come il frutto di un cammino e sadhana, anche se in effetti tale è, ma il riconoscimento ad un certo momento accade, è, si realizza, e forse ci si meraviglia non fosse (accaduto) già prima, visto in un'ottica temporale ed in divenire.

In effetti la corda è sempre stata corda e non è mai stata altro che corda, tutto il resto è in più, sovrapposizione arbitraria che come è venuta se ne è andata, desiderata o meno che fosse.

Raphael domanda al suo interlocutore; dov'è andata a finire la maya? dopo aver ri-conosciuto la corda quale sempre è stata ed era-sarà, dove è andato a finire il serpente, la maya, il divenire?

La nostra vita è tutto un "serpente", visto e sovrapposto al reale, non vediamo la corda, vediamo e viviamo il serpente, gli diamo priorità di vita ed esistenziale, e fintanto che la corda resta un discorso culturale-filosofico-eruditivo, letto o ascoltato da un qualche saggio, le priorità di vita saranno sempre prioritarie, perchè una priorità ha senso e luogo solo in ambito del divenire, di maya e non altrove.

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da cielo » 11/10/2017, 15:04

cannaminor ha scritto:
11/10/2017, 14:44
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:53
Fedro ha scritto:
11/10/2017, 12:12
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:08
Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.
Infatti l'outing è personale in tal caso, non per interposta persona: in altre parole, tu come la vivi?

non sento quel desiderio esclusivo.
ci sono ancora altre priorità.
Non so se potrei chiamarlo "desiderio esclusivo", non solo per il termine esclusivo ma anche per quello di desiderio.
Non so se sia un desiderio e se sia corretto definirlo-chiamarlo tale: Desiderio alla realizzazione?
È davvero un desiderio, un quid che si può desiderare, desiderare la realizzazione, l'illuminazione?
Forse ha più attinenza parlare di desideio alla liberazione, nel senso che si desideri liberarci, essere liberi da una condizione (evidentemente vissuta e creduta per tale) di "prigionia e\o privazione di libertà".

Secondo il celebre esempio del serpente sul sentiero scambiato per tale al posto della corda che realmente è, in un dialogo di Raphael (tratto da Alle Fonti della Vita, pag 68) viene detto quanto segue:
D. La maya ha un suo fondo di realtà?

R. Se fosse reale non potremmo eliminarla. Le dò un esempio: quando al posto del
serpente riconosciamo la corda in quanto ultima realtà, dov'è andata a finire la
maya? Cerchi di intuire questo mistero.
Dove è andata a finire la Maya? dove è andata a finire la prigionia, la liberazione cercata e anelata, la priorità o le priorità poste?

Riconoscere (ri-conoscere) la corda in quanto ultima (e prima realtà), non è un desiderio, non si desidera, non si anela, non è una priorità che si può porre o anteporre nella tabella di marcia della vita; il riconoscimento ad un certo momento nel divenire accade, così sic et simpliciter; non riesco a leggerlo e vederlo come il frutto di un cammino e sadhana, anche se in effetti tale è, ma il riconoscimento ad un certo momento accade, è, si realizza, e forse ci si meraviglia non fosse (accaduto) già prima, visto in un'ottica temporale ed in divenire.

In effetti la corda è sempre stata corda e non è mai stata altro che corda, tutto il resto è in più, sovrapposizione arbitraria che come è venuta se ne è andata, desiderata o meno che fosse.

Raphael domanda al suo interlocutore; dov'è andata a finire la maya? dopo aver ri-conosciuto la corda quale sempre è stata ed era-sarà, dove è andato a finire il serpente, la maya, il divenire?

La nostra vita è tutto un "serpente", visto e sovrapposto al reale, non vediamo la corda, vediamo e viviamo il serpente, gli diamo priorità di vita ed esistenziale, e fintanto che la corda resta un discorso culturale-filosofico-eruditivo, letto o ascoltato da un qualche saggio, le priorità di vita saranno sempre prioritarie, perchè una priorità ha senso e luogo solo in ambito del divenire, di maya e non altrove.

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.
Forse che avere una forte istanza concentra l'attenzione su un soggetto che a un certo punto si svincola e abbandona l'idea di esistere e di stare desiderando qualcosa? Abbandonando il viaggio, scompare solo il viaggiatore.
Finchè l'Uno non si manifesta, si sta del due, e perchè si manifesti l'Uno, il soggetto della percezione di un qualcosa di risolutivo che faccia vedere la corda al posto del serpente, deve morire, insieme al serpente e alla corda che l'ha generato.

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 17:03

cannaminor ha scritto:
11/10/2017, 14:44
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:53
Fedro ha scritto:
11/10/2017, 12:12
ortica ha scritto:
11/10/2017, 12:08
Fedro ha scritto:Ah boh..ci sono momenti in cui mi sembra di affogare, altri in cui respiro liberamente...
chi misura che cosa?
Ah, non lo so.

Sono i Conoscitori, Ramana e Ramakrishna, che rispondono così.
Mica io.
Infatti l'outing è personale in tal caso, non per interposta persona: in altre parole, tu come la vivi?

non sento quel desiderio esclusivo.
ci sono ancora altre priorità.
Non so se potrei chiamarlo "desiderio esclusivo", non solo per il termine esclusivo ma anche per quello di desiderio.
Non so se sia un desiderio e se sia corretto definirlo-chiamarlo tale: Desiderio alla realizzazione?
È davvero un desiderio, un quid che si può desiderare, desiderare la realizzazione, l'illuminazione?
Forse ha più attinenza parlare di desideio alla liberazione, nel senso che si desideri liberarci, essere liberi da una condizione (evidentemente vissuta e creduta per tale) di "prigionia e\o privazione di libertà".

Secondo il celebre esempio del serpente sul sentiero scambiato per tale al posto della corda che realmente è, in un dialogo di Raphael (tratto da Alle Fonti della Vita, pag 68) viene detto quanto segue:
D. La maya ha un suo fondo di realtà?

R. Se fosse reale non potremmo eliminarla. Le dò un esempio: quando al posto del
serpente riconosciamo la corda in quanto ultima realtà, dov'è andata a finire la
maya? Cerchi di intuire questo mistero.
Dove è andata a finire la Maya? dove è andata a finire la prigionia, la liberazione cercata e anelata, la priorità o le priorità poste?

Riconoscere (ri-conoscere) la corda in quanto ultima (e prima realtà), non è un desiderio, non si desidera, non si anela, non è una priorità che si può porre o anteporre nella tabella di marcia della vita; il riconoscimento ad un certo momento nel divenire accade, così sic et simpliciter; non riesco a leggerlo e vederlo come il frutto di un cammino e sadhana, anche se in effetti tale è, ma il riconoscimento ad un certo momento accade, è, si realizza, e forse ci si meraviglia non fosse (accaduto) già prima, visto in un'ottica temporale ed in divenire.

In effetti la corda è sempre stata corda e non è mai stata altro che corda, tutto il resto è in più, sovrapposizione arbitraria che come è venuta se ne è andata, desiderata o meno che fosse.

Raphael domanda al suo interlocutore; dov'è andata a finire la maya? dopo aver ri-conosciuto la corda quale sempre è stata ed era-sarà, dove è andato a finire il serpente, la maya, il divenire?

La nostra vita è tutto un "serpente", visto e sovrapposto al reale, non vediamo la corda, vediamo e viviamo il serpente, gli diamo priorità di vita ed esistenziale, e fintanto che la corda resta un discorso culturale-filosofico-eruditivo, letto o ascoltato da un qualche saggio, le priorità di vita saranno sempre prioritarie, perchè una priorità ha senso e luogo solo in ambito del divenire, di maya e non altrove.

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.

Le scritture pongono fra le qualificazioni del discepolo alla sadhana advaita l'intensa aspirazione alla realizzazione del Sé.
Questo è indubbio.
Conoscitori quali Ramana e Ramakrishna paragonano l'intensità di quell'aspirazione al desiderio (sarebbe forse meglio chiamarlo bisogno?) di colui/colei che sta annegando per l'aria.
Pure questo è indubbio.
È quindi un desiderio (bisogno) esclusivo?
Direi di si, nel senso che non c'è spazio per altro.
Forse usano quella metafora per aiutarci a comprendere proprio questo, la forza, la pervasività di quell'aspirazione.
Chi la prova? a mio avviso non ha importanza.
C'è solo quella.
Non c'è ego o Maya o pensiero o corda o serpente.
solo il bisogno esclusivo di respirare.

L'ho provata una volta, per qualche momento, in circostanze particolari.
Ho sentito quella incredibile forza.
Ma qui e ora non c'è.
Ed è inutile che cerchi di cavarmela con ragionamenti ben costruiti.
Se non c'è non c'è.
Bisogna fare i conti con quanto c'è.
Premadharma ha scritto:Tutti possono realizzare il Sé che già sono, ci mancherebbe. Ma occorre un requisito fondamentale: deve esserci una forte istanza realizzativa. Così forte da mettere tutto il resto in secondo piano. Se sono altre le priorità, saranno queste che verranno perseguite e una sādhanā asparśa può solo portare problemi e non risoluzioni se le aspirazioni tendono altrove. 

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 18:55

cannaminor ha scritto:
11/10/2017, 14:44

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.
sì, anche questo presunto desiderio è una sovrapposizione che nasce dall'opposizione di una (così percepita) polarità corda/serpente, e che svanisce in quanto illusorietà.
Quindi solo la Corda c'è sempre e comunque, al di là di questo specchio per le allodole che pone Maya nel suo divenire, specchio che si infrange insieme alla sua stessa istanza, (e non certo per volere, desiderio di alcuno, ma perchè così evidentemente dev'essere.)
Naturalmente, sinquando si da spazio evidente alla volontà personale, o in altre parole, al libero arbitrio ( che porge sempre meno il suo ventaglio di possibilità) questo discorso ha poco senso.

ortica
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 20:12

Fedro ha scritto:
11/10/2017, 18:55
cannaminor ha scritto:
11/10/2017, 14:44

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.
sì, anche questo presunto desiderio è una sovrapposizione che nasce dall'opposizione di una (così percepita) polarità corda/serpente, e che svanisce in quanto illusorietà.
Quindi solo la Corda c'è sempre e comunque, al di là di questo specchio per le allodole che pone Maya nel suo divenire, specchio che si infrange insieme alla sua stessa istanza, (e non certo per volere, desiderio di alcuno, ma perchè così evidentemente dev'essere.)
Naturalmente, sinquando si da spazio evidente alla volontà personale, o in altre parole, al libero arbitrio ( che porge sempre meno il suo ventaglio di possibilità) questo discorso ha poco senso.
Ho capito bene?
state dicendo che Mumukṣutva (che letteralmente significa desiderio per la liberazione) è illusorio?
certo che lo è, come l'apparenza di qualunque altro fenomeno.
ma da quale punto di vista?

queste sono esattamente le argomentazioni che che da anni va esponendo latriplice, insieme a tutto il satsang movement (neo advaita).

Quindi che facciamo?
buttiamo al macero il Vivekacudamani, Shankara, gli scritti di Ramana, Ramakrishna, Prema Dharma, Raphael?
e andiamo tutti a iscriverci allegramente a un satsang di Jeff Foster (o similaria)?

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 21:05

ortica ha scritto:
11/10/2017, 20:12


Ho capito bene?
state dicendo che Mumukṣutva (che letteralmente significa desiderio per la liberazione) è illusorio?
certo che lo è, come l'apparenza di qualunque altro fenomeno.
ma da quale punto di vista?
No, forse invece non hai capito bene, proprio perché forse hai letto"letteralmente " cosa sia il desiderio di liberazione. Sino a prova contraria è illusorio qualsiasi movimento nel divenire, e dunque se poni in ciò Muuksutva, questo è (o diviene).
Dunque di cosa ti scandalizzi ?
Sin quando si ritiene che questo Anelito sia appannaggio di un ente che crede di poter divenire ciò che mai può (essere) il risultato è impigliarsi nella propria lettura soggettiva e alienata.

Mauro
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Mauro » 11/10/2017, 21:44

Fedro ha scritto: Sin quando si ritiene che questo Anelito sia appannaggio di un ente che crede di poter divenire ciò che mai può (essere) il risultato è impigliarsi nella propria lettura soggettiva e alienata.
Non per polemizzare, ma sai di cosa parli o parli per sentito dire?

ortica
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 11/10/2017, 21:48

Premadharma ha scritto:Certe pratiche di autoconoscenza possono essere considerate estreme e se non ci sono le qualifiche, possono acuire ogni scissura o aspetto interiore non risolto.

"I più puri presupposti [per la liberazione] sono tre e sono dovuti all'influsso del grande Signore (mahapurusa): la nascita in un corpo umano, l'ardente volontà di liberazione (mumuksutvam), la protezione di un Saggio già realizzato."(Vivekacudamani 3)

Per vivere la propria vita, l'ente necessita di motivazioni e di conseguire le proprie priorità e non si può opporre alla vita la folle adesione a credenze quali "tutto questo non esiste", "la vita non è reale", "Tu sei Quello", "Tutto è Brahman", etc.

Sino a quando ci sono istanze che spingono verso altre priorità, la vita si svolge in tale direzione, pertanto per non trasformare le Mahavakya [grandi sentenze vediche comeTat tvam asi: Tu sei Quello] - che sono realizzazioni - in vāsanā [contenuti pronti a emergere e svilupparsi, impressioni mentali subcoscienti], occorre praticare una sadhana che preveda anche il conseguimento dei Purushartha. In questo senso esistono strumenti più adeguati nel karma yoga e nel bhakti yoga.

Da un certo punto di vista alcuni considerano l'Advaita come un cortocircuito dei cammini prescritti (karma, bhakti e jnana) nell'ambito dei vari culti, ma questo semplicemente perché ne rappresenta il naturale epilogo.

Naturale però non significa comune; è l'epilogo di una vita che segue un percorso della unica tradizione metafisica universale, il sanathana dharma o philosophia perennis o piccoli e grandi misteri.

Altrimenti i rischi di un approccio errato alla non dualità sono il qualunquismo, il nichilismo, l'autodistruzione, la depressione...
Prema Dharma, 8/3/2014



Questa è la Tradizione, poi ognuno è libero di credere quel che più gli fa comodo, di seguire tutti i satsang, di proclamarsi auto realizzato.

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Fedro
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da Fedro » 11/10/2017, 21:54

E questa citazione è inerente all'argomento che stavamo toccando?
Qualcuno stava contraddicendo quel che citi?

latriplice
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da latriplice » 11/10/2017, 23:25

A quanto vedo, la latriplicite sta facendo effetto. :D

latriplice
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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da latriplice » 12/10/2017, 0:06

ortica ha scritto:
11/10/2017, 20:12
Fedro ha scritto:
11/10/2017, 18:55
cannaminor ha scritto:
11/10/2017, 14:44

La Corda, la Realtà non è una priorità che si può porre a confronto ed in gara con il divenire, non si può desiderare ciò che è, o meglio lo si può desiderare nell'ambito del divenire, là dove la corda viene atterrata sullo stesso piano del serpente e delle altre "priorità" esistenziali, altrimenti no.

Trovo sempre più difficile cogliere il senso delle parole "anelito alla realizzazione", o "istanza realizzativa" perchè di base e fondo non posso non chiedermi; ma chi è (il soggetto) che anela, chi è che desidera? Non ci si può non chiederlo quando si pone sul piatto un tale desiderio espresso.
sì, anche questo presunto desiderio è una sovrapposizione che nasce dall'opposizione di una (così percepita) polarità corda/serpente, e che svanisce in quanto illusorietà.
Quindi solo la Corda c'è sempre e comunque, al di là di questo specchio per le allodole che pone Maya nel suo divenire, specchio che si infrange insieme alla sua stessa istanza, (e non certo per volere, desiderio di alcuno, ma perchè così evidentemente dev'essere.)
Naturalmente, sinquando si da spazio evidente alla volontà personale, o in altre parole, al libero arbitrio ( che porge sempre meno il suo ventaglio di possibilità) questo discorso ha poco senso.
Ho capito bene?
state dicendo che Mumukṣutva (che letteralmente significa desiderio per la liberazione) è illusorio?
certo che lo è, come l'apparenza di qualunque altro fenomeno.
ma da quale punto di vista?

queste sono esattamente le argomentazioni che che da anni va esponendo latriplice, insieme a tutto il satsang movement (neo advaita).

Quindi che facciamo?
buttiamo al macero il Vivekacudamani, Shankara, gli scritti di Ramana, Ramakrishna, Prema Dharma, Raphael?
e andiamo tutti a iscriverci allegramente a un satsang di Jeff Foster (o similaria)?
Giunge il punto di buttare al macero tutto, compresa l'istanza di presenziare ad un satsang. E a tal proposito, il divenire, vediamo cosa dice Raphael
anche se può sembrare OT. Il sottoscritto per inciso, è in linea con ciò che dice Raphael.

Considerazioni sulla natura dell’Essere
(commento sulla Mandukya Karika)

Sostenere come fanno alcuni, che un Dio crei i vari enti e gli universi rendendoli poi incapaci per tutta l’eternità’ di reintegrarsi in Esso, significa ammettere una serie di incongruenze e lacune da cui difficilmente si potrà uscire, oltre al fatto che questo Dio, così concepito, presenta una buona dose di cinismo. Si può affermare:

1) Se Dio e’ causa e gli enti sono effetti, si dovrà riconoscere che gli effetti possono reintegrarsi nella causa perché essi sono modificazioni di quella. Così nella dimensione grossolana, l’energia si risolve in massa e questa può risolversi in energia. Un effetto non può essere distinto dalla causa, ne’ quindi causa ed effetto possono considerarsi dualità assoluta. Anzi, l’effetto e’ la stessa causa che si configura come una determinata “modalità”di essere.

2) Se gli enti autocoscienti sono emanazione o creazione di Dio, allora essi sono della stessa natura di Dio, anche se esprimenti suoi “particolari” aspetti, dal momento che dal nulla , o da una assoluta non-realta’, nulla può venire ad essere. Se la natura e’ identica, ci si chiede, in che senso una sola natura debba trovarsi in contrapposizione con sé stessa.

3) Se gli enti autocoscienti non avessero la possibilità di “comprendere” il proprio “Genitore” e di ritornare ad Esso, sarebbero eternamente manchevoli, incompiuti, alienati e orfani, e se fossero tali non vi sarebbe per essi alcuna espansione di coscienza, ne’ perfezione che possa colmare la loro eterna ed assoluta incompiutezza. Sotto questa prospettiva la stessa concezione dell’evoluzione postulata dai dualisti diventa una “concessione” superflua, perché non risolve il problema essenziale, risultando solo un giuoco inutile e beffardo.

4) Se gli enti e l’universo sono creazioni con un inizio, devono avere anche una fine; ora, quando essi avranno termine dove andranno? Si dissolveranno nel nulla? Il nulla non esiste nella realtà, può esistere solo come categoria mentale. Se, invece, non hanno nascita e fine, allora sono infiniti ed eterni quanto la causa prima, e poiché due infiniti paralleli o contrapposti non possono coesistere perché si annullerebbero reciprocamente, si può dedurre che i due non possono non essere unità indivisa.

5) Se Dio e’ Persona e ha in sé Intelligenza e Potenza, perché sarebbe portato a creare o emanare degli enti e dei dati che sarebbero poi eternamente manchevoli e alienati? E se anche si postulasse un mediatore tra Dio e gli uomini, che fungesse da legame, rimarrebbe pur sempre il fatto che questi ultimi sarebbero ugualmente privati di ricongiungersi al “Genitore”.

6) Se Dio, in quanto totalità, e’ unità assoluta, potrà mai trovarsi in esso una dualità irriducibile? Da quanto brevemente e’ stato esposto, si deduce che gli enti non sono altro – nella loro più profonda essenza – che la causa prima, e non possono non esserlo e solo in modo apparente
possono credersi incompiuti, limitati e separati. L’ente può “credersi” un….serpente, ma in effetti e’ sempre stato e sempre sara’ la … corda.
Può circoscriversi, può limitarsi, se lo crede, ma cio’ sara’ sempre in termini di relatività, di apparenza; può considerarsi un uomo un Deva, o altro, ma e’ pur sempre Brahman, che appare questo o quello. “E’ per virtù di maya che Brahman appare universo” dicono i Veda.

La piu’ grande tragedia che possa capitare ad un vivente e’ quella – seguendo la concezione di alcune dottrine evoluzionistiche- di essere creato da un Ente supremo, per il semplice motivo di evolversi all’infinito; cosi’ egli e’ forzatamente sospinto ad elevarsi per espandere sempre più
orizzontalmente la sua coscienza e chiedere maggiore perfezione, la quale rimane pur sempre relativa perché la progressione della perfezione e’ all’infinito. L’ente, per quanto possa innalzarsi e dilatarsi, ha di fronte a sé un ulteriore gradino da superare che, sebbene superiore al precedente,e’ugualmente manchevole e imperfetto di fronte al susseguente.

In altri termini, si asserisce un dualismo assoluto: da una parte un Perfetto ( lo si deve ammettere se si postulano degli enti perfettibili ), dall’altra una molteplicità – da esso creata – che e’ imperfetta o perfettibile all’infinito, senza una fine, senza la speranza della completa maturazione.

E l’ente, sapendo a priori che il suo destino “forzato” e’ pur sempre l’imperfezione, quindi l’incompiutezza e il conflitto, non può- legge permettendo- non fermarsi dov’e’, nel posto o nel gradino su cui gia’ si trova, rifiutando quel processo evoluzionistico all’infinito che si dimostra,
in ultima analisi, come un procedere senza soluzione o, peggio ancora, come una tragica beffa. Tra un individuo umano imperfetto e un Ente-Logos, o un ancor più eccelso Essere imperfetto, e’ consigliabile rimanere un individuo umano, se non altro per la minore responsabilità che si ha.

Quando il problema evolutivo lo si pone in termini di un “sempre più”, di “carriera gerarchica o spirituale”, nella coscienza dell’ente non può non scatenarsi un grande travaglio, una tensione e perfino uno spirito di competizione. Quando gli enti sono trascinati forzatamente ad accrescersi a
dismisura in un perpetuo divenire senza fondo, costretti a ricevere mansioni e responsabilità di sempre maggiore importanza e ampiezza, la vita diventa lotta, diventa angoscia senza neanche la consolazione della soluzione. Altri evoluzionisti sostengono invece che gli enti, nati imperfetti e
manchevoli, evolvendo nel tempo-spazio, raggiungeranno l’assolutezza. Questi concedono qualcosa di più dei precedenti evoluzionisti, ma fanno dipendere l’Assoluto dal tempo. Il termine “divenire” qui e’ appropriato perché, invero, l’ente-zero non e’ Assoluto, ma lo “diverrà”.

In altri termini, per codesti evoluzionisti il tempo, o il divenire, porta all’ESSERE: però il Budda, in accordo con tutte le Tradizioni, sostiene che, “andando”, non si arriva mai. Ma come si può divenire se gia’ non si e’? e se gia’ si e’non v’e’ alcun motivo per divenire. Se il termine evoluzione significa passare da uno stato di natura ad un altro, cio’ significa invalidare il principio d’identità’ dell’essere, il che non e’ conforma a ragione, perché un dato la cui natura e’ A non può trasformarsi in uno la cui natura e’ B. Un meno non può divenire un più, e un non-Dio un Dio.

Se l’ente non ha in sé la potenzialità di Essere, mai potrà raggiungere lo stato dell’Essere, Inoltre il tempo-spazio non e’ altro che una “finzione” mentale, un sistema di coordinate che risponde ad una categoria di pensiero. L’Assoluto non può dipendere da condizioni di tempo-spazio-causa, perché non vive di categorie mentali. L’Assoluto o l’Infinito e’ totale pienezza che si completa in séstesso. Il divenire porta al divenire e l’Essere porta all’Essere. Una quantità di ignoranza più una quantità di ignoranza divengono solo due quantità di ignoranza, non gia’ la conoscenza.

Nel divenire, e teorizzando il divenire, si pospongono necessariamente i problemi fondamentali dell’ente. Chi vuole uscire dal divenire-movimento-cangiamento (samsara) deve fermarsi, deve reintegrarsi nel “Motore Immobile”che, con la sua sola presenza, da’ vita a tutte le apparenze.

L’Assoluto - come si e’ gia’ accennato- non e’ tempo infinito, considerato come una successione odurata illimitata, ne’ spazio infinito, considerato come infinita grandezza ( questi si trovano sul piano del relativo), ma l’Assoluto, nella sua vera accezione, e’ senza tempo, senza spazio, senzasecondo.

Un dato comune agli evoluzionisti – ma cio’ e’ una conseguenza inevitabile – e’ di considerare l’”esperienza” un basilare e indispensabile fattore di evoluzione, di avanzamento, di progresso. L’esperienza, essendo un procedimento di ordine empirico e dualistico, non puo’ portare all’Essere, al Non-Agente, al Motore Immobile. L’Essere non può dipendere da cose che appartengono alla dimensione del contingente, del fenomenico o della maya, perche’ non dipende, come prima si e’ detto, da tempo-spazio-causa.

L’esperienza empirica e’ l’effetto dell’azione, e’ frutto dell’agire; l’esperire implica muoversi. L’azione e’ karma – usato questo termine nel contesto più ampio- e il karma e l’avidya (ignoranza del se’) sono i fattori indissolubili che portano alla trasmigrazione. Karma-azione e’ desiderio
irrequieto e fame di acquisizioni che servono come appoggio e giustificazione per la perpetuazione dell’io. L’esperienza-azione implica estroversione, uscir fuori dalla propria aseità, ma la realizzazione e la compiutezza non si trovano fuori dell’Essere;

l’Essere lo si realizza solo con un atto di consapevolezza immediata, di “enstasi”che non e’ frutto dell’agire o dello sperimentare, ma del “Contemplare”, del “Vedere”, del “Conoscere”; ne’, ancora, si può ricondurre la realizzazione ad una esperienza sensibile. Diremo che l’ente, una volta proiettatosi fuori di se’, “oblia” il suo stato naturale, costringendosi nella sperimentazione samsarica (mito di Narciso), ma e’ proprio quando la sperimentazione cessa che l’ente, ripiegando su sé stesso, si ritrova Essere senza moto.

L’esperienza empirica, più che lo strumento di ascesi, e’ strumento che perpetua la dualità Essere-divenire. Possiamo affermare che l’autentica esperienza porta al riconoscimento della non-esperienza, porta al riconoscimento del morire all’esperienza, e cio’ e’ un aspetto sivaita, essendo
Siva il principio che va di là dalle forme, di là dai nomi, di là dalla sperimentazione. Di conseguenza, la stessa liberazione-realizzazione non implica un “muoversi”, un “trasformarsi in altro”, un alterarsi, un mutarsi, ma implica solo un comprendersi, un riconoscersi,un Essere.


Raphael


"...ma implica solo un comprendersi, un riconoscersi,un Essere..."

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Re: Istanza realizzativa

Messaggio da ortica » 12/10/2017, 0:36

latriplice ha scritto:Giunge il punto di buttare al macero tutto, compresa l'istanza di presenziare ad un satsang. E a tal proposito, il divenire, vediamo cosa dice Raphael
anche se può sembrare OT. Il sottoscritto per inciso, è in linea con ciò che dice Raphael.
Certamente, arriva quel punto, in un talquando.

Come non condividere le parole chiarissime di Raphael?
Nessuna azione può esser causa dell'incausato, non v'è, nel divenire, alcuna strada che conduca all'essere.
E tuttavia bisogna agire.
Ti dirò di più, può accadere che ci si nasconda dietro l'alibi della mancanza di qualificazioni, pur di non andare oltre, per paura o attaccamento alla vita.
Il discrimine è sottile, quale filo di rasoio.


ॐ नमः शिवाय

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