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Ahamkara e buddhi (1)

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cielo
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Ahamkara e buddhi (1)

Messaggio da cielo » 01/10/2017, 9:22

Tratto da "Di là dal dubbio", Ed. Asram Vidya, Raphael, pag 151-157

D - Mi scusi se pongo la domanda in un certo modo, ma se vogliamo capire alcune cose dovremo eliminare quelle concettualizzazioni sentimentali che spesso velano e non svelano la verità. Si è espresso in termini di "senso dell'io", di ahamkara; qualche volta: "io sono questo" e frasi del genere. Ripeto, volendo eliminare dalla verità quelle sovrapposizioni sentimentali di cui parla lo stesso Śamkara, le chiedo: in che cosa consiste questo "senso dell'io", che cosa si nasconde dietro il termine ahamkara?

R - E' assiomatico che l'universo è governato da leggi e non dal sentimento, anche se questo, in particolari condizioni e a livello individuale, può far scattare il funzionamento o l'applicazione di una legge. Abbiamo parlato del Post mortem come di un evento regolato da leggi ben precise, e lo stesso superamento di una legge viene effettuato con l'applicazione di un'altra legge. E' importante capire quali possono essere i mezzi che favoriscono l'applicazione di una legge. Vede, noi siamo soliti guardare lo scopo ultimo e non i mezzi, e questo è un grave errore. La Liberazione, ad esempio, è lo scopo ultimo dell'individuo, e molti sono ossessionati dalla fine più che dall'inizio. L'ahamkara è un "prisma" che scompone il fuoco-luce centrale della buddhi.

- Dunque, l'ahamkara è uno specchio riflettente in noi i colori-qualità della nostra natura?

R - Sì. Le qualità o le varie "colorazioni" della sostanza prakritica.

- Ora, perchè dice, riferendosi all'ahamkara, "io sono questo"?

R - Il prisma è anche vita, quindi è anche coscienza; in natura non vi sono cose prive di vita e di coscienza, cioè di essere (sat) e di consapevolezza (cit). Così questo prisma rifrange determinati colori-qualità della buddhi, spesso deformandoli, e il riflesso della coscienza, oggettivato dal prisma, s'identifica o aderisce alle singole colorazioni.

- Perchè deforma le qualità o i colori? C'è un motivo valido e razionale?

R - La deformazione avviene mediante il manas che è uno strumento psichico che tenta di afferrare e descrivere la realtà formale oggettiva. Il manas si è costruito delle verità che non sono tali, per cui basandosi sul ricordo (subcoscienza) sovrappone alla pura realtà cose che non sono di questa.

- Dunque, l'ahamkara identificandosi con un particolare colore del Fuoco centrale si crede tale?

R - Sì. Avviene questo processo di assimilazione, per cui abbiamo "io sono questo". Ed è tale l'assimilazione e l'identificazione che esso disconosce ogni altra colorazione.

- Ma questo "filtro" può riflettere l'intera composizione luminosa del Fuoco centrale, oppure è destinato a riflettere solo particolari colorazioni?

R - L'ahamkara, è inevitabile, particolarizza, seleziona, scompone l'universale Fuoco centrale; esso rappresenta il principium individuationis, il principio di individuazione della coscienza-qualità universale.

- Così per esso l'unità diventa molteplicità? l'omogeneità eterogeneità?

R - Sì. L'unità della buddhi sattvica, mediante l'ahamkara, diventa molteplicità ed eterogeneità nel manas, oltre al fatto che ogni esperienza viene riferita a un me.

- Insomma, la luce bianca si decompone nelle sue singole unità di colore?

R - Certo. Mediante questo "prisma psichico" ci consideriamo bianchi, verdi, rossi, gialli, ecc., e ognuno difende la sua identità e la sua condizione di esistenza.

- Ciò mi fa concludere che fino a quando esiste l'ahamkara l'individuo rimane individuo contrapposto ad altri individui-colori?

R - E' una conseguenza inevitabile.

- Ora, se parliamo, in riferimento all'uomo, di realizzazione e di manifestazione del principio universale, ciò significa che questo "prisma psichico" può essere aggirato o trasceso?

R - Sì; certo, sennò l'individuo non potrebbe mai essere completo e unità.

- In che modo, allora, si può rompere questo specchio limitante?

R - A questo punto intervengono i vari tipi di yoga che - nella loro giusta prospettiva - hanno un unico scopo: risolvere il "prisma" limitante o il "senso dell'io" come fattore di individuazione, di differenziazione.

- E' così che ci ritroviamo centrati nella buddhi sattvica?

R - Sì. La buddhi è "sostanza" che contiene i tre guna o le tre qualità fondamentali, essenziali della vita; oppure possiamo dire che la buddhi contiene le "essenze" delle qualità universali. La combinazione dei tre guna-qualità può essere molto estesa; quindi, possiamo svelare molteplici combinazioni di qualità.

- La buddhi che riferimento ha con il jivatma?

R - La buddhi è il polo negativo e il jivatma quello positivo, dalla loro unione e interrelazione nasce appunto il "prisma psichico" o ahamkara; questo, e quindi anche il manas, sono frutto di una combinazione polare.

- Il jivatma attraverso la buddhi si vede centro esistenziale universale, attraverso il manas, con il condizionamento del "prisma", si vede centro individuale. Stanno così le cose?

R - Sì. L'io manasico corrisponde al riflesso del sole nell'acqua.

- Ha detto prima che scopo dello yoga è di risolvere il fattore di individuazione; però mi risulta che alcune psicologie tentano di realizzare proprio questo processo d'individuazione; però mi risulta che alcune psicologie tentano di realizzare questo processo d'individuazione. Come si spiega ciò?

R - Ci sono coscienze che si sono rese "massa", si sono disperse, non nella buddhi che è unità di sintesi universale, ma nel subconscio collettivo, nell'informe, amorfo caos collettivo; è inevitabile che a queste persone occorre un processo di sintesi e unità, prima di tutto a livello della condizione individuata umana, occorre che escano dallo stato di coscienza di gruppo e si riconoscano individui. Ma chi è già individuo, con il suo centro particolare di coscienza integrato, deve operare una altra sintesi che è quella universale.

- Ciò comporta che la coscienza si modella sull'archetipo universale?

R - Sì.

- Eugène Canselliet, nell'introduzione, a Le Dimore filosofali del Fulcanelli, scrive: "Qui risiede - dal punto di vista alchemico - la presa di coscienza indispensabile, in questo fenomeno di armonia, che nasce dal controllo di due ritmi estranei e grazie al quale l'animo umano può accordare il proprio ritmo col diapson dell'universo e liberarsi dalla sfera limitata dell'individuo" (Ed. Mediterranee, vol. I).
Possiamo dire che corrisponde a quanto stiamo trattando?

R - Sì. L'essere è un Punto di vita che può risolvere i suoi problemi esistenziali, nella misura in cui si accorda con l'universale. Ma ciò implica che deve abbandonare il suo centro particolare di espressione. Di questo abbiamo parlato in precedenza (si veda il capitolo "Vita vibrante").

- Il pericolo della'"abbandono", dell'allentare i sentimenti, gli istinti, ecc. consiste nella possibilità di precipitare nello stato subconscio?

R - Sì. L'abbandono prematuro può portare non nella buddhi, quindi alla superconscienza, ma nel subconscio individuale e spesso in quello collettivo. Il pericolo della droga, ad esempio, è proprio questo.

- Quindi sul piano empirico la "coscienza dell'io" ha la sua validità?

R - Ogni cosa è al suo giusto posto. L'ahamkara, abbiamo detto, individualizza, e, con questo atto d'individuazione, si possono avere precise esperienze esistenziali, anche se limitate.

- Il jivatma attraverso l'occhio della buddhi sattvica vede l'intera gamma dei colori?

R - Sì. Mancando il "prisma" che scinde e particolarizza, il jivatma può vedere la realtà nella sua totalità, nella sua sintesi, nella sua unità. Ciò implica che il suo rapporto con le cose cambia, che la sua visione si dilata e diventa inclusiva, diventa armonia nell'armonia.



Tratto da "Di là dal dubbio" Ed. Asram Vidya, Raphael, pag 162-165

R - L'altra volta abbiamo parlato dell'ahamkara; ebbene, questo "senso dell'io" ha modellato mediante il manas tanti eventi, fantasmi, forme-immagini e deformazioni cristallizzate, coagulate, sì da ridurre la coscienza in completa schiavitù. Il nostro compito, oggi, è di risolvere questa massa caotica di cristallizzazioni e di aprire la gabbia a quel riflesso di coscienza imprigionato.
La meditazione rappresenta un valido strumento di soluzione del mondo infero cristallizzato e di fissazione della coscienza nella buddhi. E' ovvio che per dissolvere le cristallizzazioni, le maculazioni, le creazioni infere o subconscie ha molta importanza, senza dubbio, comprendere su che livello occorre operare per poter attuare il solve e il coagula.

Si accennava in precedenza che il piano fisico grossolano è formato di cinque elementi simbolicamente rappresentati dalla terra, dall'acqua, dall'aria, dal fuoco e dall'etere. L'akaśa è la quintessenza della materia (il suo corrispondente superiore è l'akasa universale o Acque primordiali), e gli altri elementi (fuoco, aria, ecc.; oppure solido, liquido, gassoso, ecc.) nascono da esso. Noi siamo composti di metalli, di minerali, di elementi chimici che hanno origine dall'akasa. Se teniamo presente questa considerazione dovremo capire che per riplasmare un corpo bisogna operare o meditare a livello dell'akaśa, mediante il fuoco solare manasico. Però questo tipo di meditazione appartiene allo Hata yoga che mira a rendere il corpo longevo, armonico e esente da malattie.
Il compito, invece, di chi vuole risolvere l'ahamkara è un altro per cui la posizione di coscienza di questi si sposta, come cambia pure la materia prima su cui deve operare.Se là avevamo il manas come fuoco plasmatore e l'akasa come materia da plasmare; qui, invece, abbiamo il manas come materia da plasmare e la buddhi sattvica come fuoco plasmatore. Ciò implica che occorre "separare" il fuoco e l'aria dalla terra e dall'acqua; poi con la potenza del Fuoco dissolvere l'aria manasica individuata ricomponendola o coagulandola sul nuovo archetipo: la posizione di coscienza, per poter costituire il supporto del tutto, deve trovarsi nel livello più profondo dell'essere, sennò l'operazione di meditazione creativa non ottiene il suo effetto.
[vedere post Soluzione Alchimia]

- Dunque, per trasformare se stessi non basta mettersi a gambe incrociate e pregare con le labbra, questo penso che sia ovvio; non crede?

R - "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lungi da me", dice Gesù. Il più delle volte la meditazione rappresenta una semplice riflessione su qualche contenuto mentale, una ripetizione meccanica di suoni o parole o qualche immaginazione di simboli. Spesso si ottiene un miglioramento della condizione psico-fisica, ed è già qualcosa per molti.

- Così, la posizione coscienziale di chi vuole trasformare il manas deve trovarsi dietro lo stesso manas?

R - Sì, certo; come il manas è dietro i cinque elementi, quindi dietro l'akasa materiale, così la buddhi è dietro il manas. Fino a quando si opera nell'ambito dell'individuato basta usare il manas come strumento operativo, ma se si vuole rompere la circonferenza dell'individuato allora occorre portarsi nella buddhi.

Tutto ciò è anche in riferimento alla Qabbalah. Così, se si vuole operare su Yesod e Malkuth si deve prendere come fuoco plasmatore la sephirah Hod. Hod è la sfera della magia, ma anche dello psichico individuato. Se si vuole operare su Hod, occorre che la coscienza esca dal quaternario inferiore e si ponga in Tiphereth che rappresenta la sfera sovraindividuale (nota: Per ulteriori ragguagli sulla Qabbalah si veda 'Ehjeh 'Asher 'Ehjeh (Io sono Colui che sono) di Raphael. Ed Asram Vidya; fine nota).

[tratto da forum pitagorico - Raphael]

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