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Ahamkara e buddhi (2)

Teoria e dottrina.
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Fedro
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Ahamkara e buddhi (2)

Messaggio da Fedro » 30/09/2017, 4:39

Tratto da "Opere minori Vol I", Ed.Asram Vidya, Raphael, pag 90-91

In rapporto ai sensi quali organi esterni, la mente viene definita come "organo interno" (antahkarana). Essa, perciò, non è un'entità autonoma ma un veicolo dell'atman che, come gli altri, trae dal Sé la propria consapevolezza e attività.
La mente si struttura in quattro aspetti, ciascuno dei quali inerisce ad una determinata funzione. La mente empirica o sensoriale (manas) è l'aspetto dell'organo interno che è in relazione diretta con i sensi dai quali trae i dati da elaborare. La memoria proiettiva (città), sede della facoltà di immaginazione, costituisce il ricettacolo di tutte le rappresentazioni, sia a livello cosciente che a quello subcosciente; essa definisce anche "la sostanza mentale " nella sua genericità quale condensazione della pura coscienza (cit).

Il senso dell'ego è quella tendenza della mente individuata ad esprimersi autonomamente attraverso un soggetto fittizio (aham = io) nel quale si concentrano l'attività percettiva, quella proiettivo-rappresentativa e quella espressiva. L'ahamkara, propriamente, non è l'ego bensì ciò che produce l'ego contingente in contrapposizione alla condizione esterna o interna. L'ego, perciò, non è il jiva ma ne rappresenta l'espressione contigente o istantanea quale risultato dell'identificazione del riflesso di coscienza con il veicolo corporeo; esso, infatti, si esplica a livello manasico poiché il manas è la sede del ragionamento analitico.

L'intelletto puro, invece, cioè la buddhi o ragion pura, possiede la facoltà dell'intuizione sintetica e manifesta così una qualità di carattere universale benché, come veicolo mentale superiore, appartenga alla sfera del personale. Ciò si comprende tenendo presente che il jiva, emergendo dall'unità ishvarica, si riflette nella buddhi assumendo la caratteristica di persona; perciò é alla buddhi, quale intelletto puro, che il jiva conferisce la propria virtuale universalità.

Nella ricezione dell'Insegnamento e nell'assimilazione della Dottrina il ragionamento manasico può e deve costituire un valido supporto per l'intuizione intellettuale pura e, quindi, per la diretta presa di consapevolezza della Verità.
Se la mente coltiva il dilemma, l'intelletto opta per la chiara evidenza della Realtà, risolvendosi coscienzialmente in essa. Se è necessario crearsi un giusto concetto dell'Infinito è altrettanto indispensabile, poi, non soffermarsi al possesso ma realizzarlo nella coscienza "realizzando in sé l'Infinito", poiché solo nella coscienza può compiersi la trasformazione catartica dell'essere e la sua sublimazione nell'eterno atman.


Tratto da "Opere minori Vol I", Ed. Asram Vidya, Raphael, pag 156-157-158

E' utile riassumere quanto esposto nel presente sutra perchè di importanza rilevante ai fini della comprensione: il Sé - Coscienza pura - si riflette direttamente a livello del veicolo d'intelletto (buddhi) e tale riflessione prende il nome di jiva (vedi anche l'Introduzione). In effetti vi è un veicolo superiore, cioè l'involucro di Beatitudine, più interno rispetto a quello intellettivo (vedi schema a pag.129), che per quanto sostanzialmente sattvico, non è in grado di riflettere la pura luminosità dell'atman ma può solo "rinfrangerla" senza peraltro distorcerla.

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Così, la prima riflessione - e una riflessione si può verificare soltanto in presenza di una certa "condensazione"- avviene a livello dell'intelletto: è dunque nell'intelletto che il jiva si manifesta, cioè si esprime mentre esso principia e ha origine nel piano causale, ove trae dai semi potenziali irrisolti la sua stessa ragion d'essere e di esistere, producendo in sé attività e movimento: nel sonno profondo, infatti, il jiva non si risolve ma rimane soltanto in una condizione di virtualità, assieme ai suoi semi causali.

Il jiva, esprimentesi a livello buddhico, a sua volta dà origine, attraverso quella che è la funzione dell'ahamkara o "generatore dell'io", alla diade-polarità dall'ego empirico e dall'oggetto sperimentato, la quale si situa al livello della mente empirica o manas e trova riscontro nell'oggettività esteriore per mezzo delle varie funzioni sensoriali. La mente costituisce dunque la seconda riflessione (duale e molteplice) della coscienza del jiva, mentre il Sé rimane testimone di ogni riflessione, scissione, polarizzazione e oggettivazione.

In riferimento a ciò si può dare il seguente schema:

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La coppia soggetto-oggetto può esprimersi sia nel piano sottile (stato di sogno, rappresentazione-immaginazione) che in quello grossolano (stato di veglia, percezione sensibile), ossia tanto a livello esclusivamente mentale quanto in quello sensibile esteriore; è dunque ancora al senso dell'io che si deve la proiezione dell'oggetto di conoscenza empirica e onirica (idamkara).

In base a questo processo di scissione si comprende come la mente può proiettare e oggettivare una moltitudine indefinita di coppie soggetto-oggetto mostrando così la prerogativa a sperimentare incessantemente una irrisolubile dualismo conflittuale.
La scissione buddhica nel vedente (drastr) e nel veduto (drsya) rappresenta l'espressione dell'indefinita capacità insita nella casualità-unità jivaica: la dualità, diremmo, è contenuta nell'unità (di coscienza), per cui è solo risolvendo la stessa unità (jiva, Isvara) che si realizza la Non-dualità quindi l'infinita possibilità (atman).

Il dualismo mentale va e viene e costituisce, nella sua attualità e potenzialità, il movimento inerziale che mantiene la qualificazione jivaica, ovvero l'esistenza stessa del jiva: riassorbito ed estinto il moto interno, il jiva si risolve nell'atman che ne rappresenta la Fonte.
D'altronde, il movimento deve procedere da un punto fermo, e il divenire fenomenico, che caratterizza i diversi involucri, si impernia sul Centro infinito e immobile della Coscienza; il Sé è allora l'intimo Testimone immutabile di ogni oggettività mutevole, fluttuante, esteriore e inconsistente.


Tratto da "Vivekacudamani", Ed Asram Vidya, Raphael, pag 107-108-109

LA GUAINA DELL'INTELLETTO - (Vijnanamayakosa)

184. Associata agli organi percettivi (indriyaih), la buddhi, con le sue modificazioni (sarvrttih), prende le caratteristiche (laksanah) di agente sperimentatore. Essa rappresenta la guaina dell'intelletto (vijnanamayakosah) ed è causa di trasmigrazione (samsarakaranam).

La buddhi è la più alta facoltà discriminativa che l'individuo possieda; potremmo considerarla percezione intuitiva, discernimento immediato, trovandosi essa molto vicina all'atman. È di là dalla mente-sensazione e ha poteri più sicuri che trascendono il sentire egoico. Benché facoltà intelligente - riflette infatti il cit dell'atman - tuttavia è un semplice veicolo-guaina del Sé, quindi soggetta a trasmigrazione. Fusa con l'involucro mentale-sensoriale produce il senso dell'io (ahamkara) per cui si riconosce quale agente o soggetto percettivo-agente.

Ciò che l'aspirante deve attuare è lo svincolo del veicolo buddhico dal manas-kama. In questa condizione il potere ottenebrante manasico-sensoriale viene a perdersi e la buddhi sattvica, finalmente liberata, riflette meglio la conoscenza atmica. In altri termini, possiamo avere l'intuizione istintiva che riguarda il complesso psico-fisico sensoriale sub-connscio e l'intuizione intellettiva super-conscia che - libera ormai da condizionamenti sub-consci - può riflettere meglio la luce del Sé.

Quando essa è identificata col complesso manasico-sensoriale opera a pro dell'io o egotismo, quindi favorisce l'espansione dell'io-samsarico con il relativo conflitto; quando invece è sganciata da quel complesso opera a pro della super-coscienza, quindi per istanze di ricerche universali, sintetiche. La buddhi, inoltre, svincolata dai legami del desiderio individuale sensoriale, favorisce l'amore e la comprensione universali (amare è comprendere).

Gli stadi di coscienza dell'individuo possono essere questi:

1) Corpo grossolano, Corpo pranico, Corpo mentale ------> Complesso sensoriale egocentrico - L'uomo animale - Appagamento acquisitivo - Intelligenza istintiva - Sperimentazione samsarica.

2) Corpo intellettivo, Corpo di Beatitudine --------> Complesso percettivo degli universali - Conoscenza-Saggezza - Spirito di ricerca - Percezione dell'Armonia - L'uomo spirituale

3) Atman ---------> Piano della compiutezza

Nel secondo stadio, come si può vedere, il corpo intellettivo è sganciato dal complesso sensoriale egocentrico ed è operante sul piano della pura ricerca. L'individuo del primo stadio è guidato dall'opinione, che è di ordine egocentrico e mutevole; quello del secondo stadio, dall'idea che è di ordine impersonale e universale.
I veri ricercatori - scevri di interessi egoistici - a qualunque dimensione possono operare, si trovano con la buddhi fortemente dissociata dal complesso sensoriale egocentrico, per cui essa riflette in modo più chiaro la luce del sat-cit-ananda dell'atman.

Il secondo stadio costituisce, potremmo dire, un ponte che immette direttamente nell'atman[/u]. I ricercatori della Conoscenza vedantica dovrebbero porre la loro attenzione su questo stadio, quindi sul piano della ricerca pura. Un jnanin deve aver completamente superato e trasceso l'intero processo mentale delineato in:

- Percezione sensoriale
- Interpretazione dei dati percettivi
- Conoscenza empirica.

Non bisogna dimenticare che l'Advaita è una metafisica quindi la sua mèta è: ricerca dell'assoluto e della verità ultima di la da ogni sentire emotivo-eruditivo e da ogni aspetto devozionale.

(Originariamente pubblicato da namarupa sul forum de I Pitagorici)

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