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Discesa nel sensibile - dialogo dIstruzione

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cielo
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Discesa nel sensibile - dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 03/05/2017, 8:40

Questo dialogo, tratto dalla mailing list advaita vedanta, prende spunto da una chiosa di Bodhananda relativa alla discesa nel sensibile.


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Bodhananda:

Nella vita ci sono tanti processi che riguardano l'umano che anela al divino...

Chi ti scrive ha sempre visto con enorme malinconia e dolore i grandi Maestri, patendo per loro quel processo di discesa nel sensibile che è ben più doloroso del processo inverso.

L'ascesi implica il liberarsi di ciò che non è.

Il discendere il farsi carico di ciò che non è.


***

D. Intendiamoci, comprendo l'ottica da cui veniva portata questa affermazione, quella individuata, che vede il salire\scendere, l'anelare al divino e l'eventuale costrizione\dolore che vive il Divino individuandosi, ma tutto ciò non riesco a vederlo se l'ottica diventa:
"La suprema verità è questa: non vi è nè nascita, nè dissoluzione, nè aspirante alla liberazione, nè liberato, nè alcuno che sia in schiavitù" (Gaudapada).
Capisci cosa voglio dire?
La sofferenza richiede l'individuazione e quindi trova legittima esistenza nel caso dell'individuato che "anela al divino", ma nel caso contrario, di un maestro che "discende", il dolore su chi va a gravare?
Non abbiamo forse sempre ammesso che un Maestro ha trasceso l'individuazione, l'io, che non c'è nessun io in quell'essere, se pur vivo con un corpo, e se non c'è un io, il dolore di chi è allora?
Quasi verrebbe da chiedere, ma di quale dolore stiamo parlando, se non c' è un io?


R. Osservazione indubbiamente sensata, ma considera un paio di cose... chi si pone il problema non è certo il Maestro, ma quel discepolo che vede il Maestro e ne immagina la sofferenza.
L'altro aspetto che potremmo considerare è il seguente: è vero che non c'è un io, ma c'è comunque un corpo fenomenico o degli involucri, e il dolore è degli involucri.

Non dimentichiamo che un Maestro, un Realizzato, è distaccato dal fenomenico, avendololo realizzato come manifestazione dell'unica Realtà assoluta, ma questo non equivale ad affermare che egli non sia più umano, il Divino è umano.
Verrebbe meno la grandezza degli Avatara, della sadhana, etc. (che da un certo punto di vista hanno un loro valore).

È la polemica cristiana della natura del Cristo, se egli fosse stato Dio senza essere uomo, che senso avrebbe la sua passione, il suo martirio, la sua resurrezione?
Potremmo considerarlo una sorta di ologramma insenziente, apparso all'improvviso, etc. etc.
La grandezza del Cristo (come quella di Rama, Krishna, Ramakrishna, Ramana, etc.) è tale solo se essi mantengono nel formale la natura umana.
Se un Maestro si rompe un osso, potrà riderne, essere distaccato, ma comunque resta il fatto che quel corpo ha un osso rotto e un osso rotto comporta dolore.
Il distacco non nega, ma integra.
La Realizzazione non scinde, ma unisce i vari piani e in ogni piano si è soggetti alle leggi di quel piano.

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