latriplice ha scritto: ↑18/02/2017, 1:47
Latriplice ha scritto:
Shankara non presenta il Sé come il culmine di una esperienza estatica e resa permanente attraverso la pratica, anche perché tutte le esperienze indistintamente sono transitorie. Ti immagini una mente perennemente vuota? Anche Ramana andava a comprarsi il giornale dall'edicolante e si teneva occupato nella lettura. Sono queste castronerie da mente vuota che impedisce l'apprezzamento del proprio Sé riflessa e resa palese in una mente pacificata dalla meditazione. Solo la pura conoscenza, data dalla riscoperta di Sé, è permanente, perché non c'è mai stato un momento che io non sia questo Sé. Pertanto le riflessioni di Shankara le ho condivise e le ho fatte mie.
Diciamo che sono conclusioni a cui altri sono giunti sui quali ho riflettuto a lungo ed infine, dissipati i dubbi, condiviso. O mi state chiedendo indirettamente se sono illuminato?
Beh, in verità, non sono illuminato. Ma neanche non illuminato. Sono la luce.
Affermare "Io sono la luce" è "filosoficamente" corretto, però può essere fuorviante ove si non affermi prima di aver realizzato:
"io sono nella Luce" e "la Luce è in me" che rappresentano i necessari passaggi per la realizzazione ultima, Essere la Luce.
Passaggi che portano a liberarsi dell'avidya progressivamente, pur senza escludere la possibilità dell'"illuminazione istantanea".
Nel primo stadio si ha fede che l'Essere che si manifesta indossando la molteplicità dei nomi e delle forme, tra cui la nostra forma, E', unico e solo e tutti ci contiene. Tante candeline a fare la Grande Luce.
Finchè persiste la paura subconscia o palesata che la propria luce si spenga, di lasciare la propria forma, permane l'avidya dell'identificazione.
C'è la Luce e ci siamo noi, fiammelle: dualismo.
Nel secondo stadio: "la Luce è in me", si è iniziato il percorso a ritroso, si cerca dentro, nel cuore, il luogo di nascita di quella Luce imperitura.
Si immagina l'intera manifestazione come l'incarnazione del Divino che si manifesta nell'apparenza dei molteplici jiva e vive il proprio riflesso nell'interiorità dell''individuazione. Secondo i vaisnava, è il lila del Divino che ama sé stesso attraverso l'esperienza. Il nascere e il morire è solo un'apparenza dei suoi involucri, Lui è l'eternamente desto, non nasce né muore. Lui è la Luce in me.
Si riconosce la piena libertà dell'Essere di manifestarsi attraverso l'incarnazione, di esistere in un "me". I due sono uno, si tenta di approdare al Divino impersonale che illumina dall'interno l'io-persona. Non c'è io e non c'è Dio, c'è la Luce.
Nel terzo stadio, Io sono la Luce è la piena identità, c'è poco da dire essendo non pensabile, indefinibile, ciò da cui le parole recedono.
E' la non-dualità, ma quanti?
Se la teorizziamo stiamo costruendo semplici credenze, crediamo in questo e in quello, impastiamo e modelliamo le parole di altri ricercatori o Conoscitori che ci hanno risvegliato l'intuizione e stimolato l'aspirazione, l'anelito ardente che è come un fuoco da tenere sempre acceso, per adattarle alle nostre credenze, anche se lo facciamo in "buona fede" cercando di offrire i frutti delle nostre ricerche e di spiegare a noi stessi l'incomprensibile attraverso l'esposizione tramite le parole. Ma mai dimenticare che la mente non ci arriverà, è meglio arrendersi, secondo me, a questa evidenza, anche se piace disquisire. Il neti neti ci aiuta in questo denudamento di ciò che crediamo "vero".
Nella realtà la maggioranza dei ricercatori tende a considerare la non dualità un ulteriore "quello" in cui credere, su cui concettualizzare.
Meglio duque non perdere tempo per dimostrare l'indimostrabile, quando saremo la Luce lo sapremo, anche se non ci sarà nessuno ad affermarlo. La Luce semplicemente si manifesterà senza un me.
Come spesso viene detto: "la rana si mostra quando al girino cade la coda".
Nel frattempo il rischio, per ognuno, è di affermare la propria visione come autentica, e ciò implica, al mio vedere, che il cammino finale non è nemmeno vicino da iniziare. Invece, rimanendo girino nello stagno è possibile e necessario un confronto che riconosca nell'altro non un tramite per l'autoaffermazione, ma un compagno di cordata che potrebbe sempre passare un rampone più adeguato ad affrontare quella specifica parete di roccia.
Non ci sono né tecniche, né scorciatoie, nè formule, solo Vita da vivere nel distacco dai frutti delle azioni, comprese le concettualizzazioni sulla non dualità che inevitabilmente sorgono accostando certi "grandi" che le espongono.