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Sul silenzio e sul vuoto

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cielo
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Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da cielo » 15/02/2017, 21:21

Premadharma - Ci si accorge quando arriva il momento del silenzio.

Non è più quell'assorbimento che l'aspirante vive saltuariamente, non è più quel pacifico e pieno vuoto in cui certe volte taluni indulgono: non è manolaya. Oh, ci sono molti silenzi, potremmo dire che essi sono una costante, anzi Esso è la costante che inizia a mostrarsi sempre più, sino a divenire l'unico stato, come un'amante che non ammetta concorrenti, cessano i moti mentali, cessano le istanze, etc.

Esiste però un silenzio fatto di opere, che non determina il ritiro dal mondo, ma ottempera il dharma al suo interno, è un silenzio operativo, quello dell'aspirante che ha smesso di indulgere nel superfluo.

Ci si ritira da ciò che è inutile. È inutile dar perle ai cani, è inutile annaffiare una pianta finta, ma se sono entrambi nel nostro dharma, ai primi si darà cibo e ricovero e alla seconda un bel vaso nel luogo più adatto. E se la pianta fosse vera, daremo acqua a tutti, ma la carne solo ai cani.

In quel silenzio si vive il Reale all'interno di maya, consapevoli d'entrambi i domini, con attenzione a non confonderli, pur essendo l'uno il sostrato dell'altro e praticamente uno, per coloro che vivono vedendo il velo di maya, non è tale l'esperienza e così traspongono le intuizioni di un dominio nell'altro. Così verità divengono non appena affermate opinioni se non falsità, perché concettualizzate.

Maya vela la ragion pura e la trasforma nell'assertivo manas, un empirismo che vede in sé le basi della sua esistenza apparente: è il potere velante che fa dire "è questo". Si trasforma una conoscenza indiretta in ignoranza. L'ascolto o sravana è seguito da manana, non dall'asserzione, ma prima di arrivare all'ascolto occorre essersi impadroniti di viveka e vairagya (discriminazione e distacco), attraverso questi raggiungere l'uparati, quel raccoglimento interiore alla base di ogni progresso negli yoga: è da lì che il mumuksutva o anelito muove l'aspirante.

La vita intera è una sadhana, la vita intera è da considerarsi come un'unica azione che percorre quattro fasi o asrama, la preparazione, l'esecuzione, la valutazione e il ritiro. Questa azione può svolgersi entro certi indirizzi o fini o purushartha, affermano i principali esponenti del Vedanta: artha-dharma, il conseguimento del benessere attraverso l'equanimità o onore e il desiderio della realizzazione, kama-moksha.

Qual'è il motore, l'energia che si estrinseca in questo processo? Per l'aspirante discepolo nella tradizione è mumuksutva: l'anelito per l'Ordine, per l'Universale, per il Divino, per la Conoscenza, per l'Uno senza secondo.

È rettificando i guna che il discepolo può intervenire fattivamente nei purushartha e questa rettificazione avviene secondo le predisposizioni individuali o varna.


Bodhananda (dialogo privato, 28 gennaio 2016))

Quando entro in me stesso trovo il vuoto

D. Il vuoto? Lo spazio illimitato intendi?

No, lo Spazio non è il Vuoto. Lo spazio è l'etere, l'akaśa.
Ma lascia perdere [non sforzarti di capire]"



Sul vuoto. Bernadette Roberts. L'esperienza del non sè. - Astrolabio Ubaldini

"La mia passata esperienza mi aveva portato a conoscere intimamente vari tipi e livelli di silenzio. C’è un silenzio interiore; c’è un silenzio che discende dall’esterno; un silenzio che ferma l’esistenza e un silenzio che inghiotte l’universo intero. C’è un silenzio del sé e delle sue facoltà: volontà, pensiero, emozione. C’è un silenzio in cui non c’è nulla, un silenzio in cui c’è qualcosa; c’è infine il silenzio del non-sé e il silenzio di Dio. Se esistesse un sentiero su cui poter segnare le tappe della mia esperienza contemplativa questo sarebbe il sentiero sempre più vasto e profondo del silenzio.

In un’occasione, tuttavia, è sembrato che questa strada fosse giunta al termine: è stato quando sono penetrata in un silenzio da cui non sarei mai totalmente riemersa. Ma, prima di iniziare il racconto, devo fare una premessa: in precedenza, in alcune occasioni, ero sprofondata in un silenzio che pervadeva ogni facoltà in maniera così assoluta da provocarmi una sottile sensazione di paura. Era la paura di essere inghiottita, di perdermi, di essere annullata e cancellata, forse per sempre. In quei momenti, per tenere lontano il terrore, con un movimento interiore abbandonavo il mio destino a Dio. Era come un pensiero, un atto di volontà, una sorta di proiezione. E ogni volta che facevo questo, il silenzio si rompeva e io gradualmente tornavo al mio sé abituale e alla sicurezza. Finché un giorno le cose andarono diversamente.

Nella strada in cui abitavo, poco oltre casa mia, c’era un monastero sul mare, e i pomeriggi in cui potevo liberarmi e uscire mi piaceva trascorrere qualche ora da sola nel silenzio della sua cappella. Quel pomeriggio non era diverso dagli altri. C’era come ogni volta un silenzio diffuso, tentacolare, e come ogni volta io attesi che l’affacciarsi della paura lo rompesse. Ma in quest’occasione la paura non venne. Forse per l’abitudine dell’attesa o perché la paura era sotto controllo, per qualche secondo provai un senso di suspense, di tensione, quasi in attesa che la paura mi toccasse. Durante quei secondi di attesa, provai la sensazione di essere in bilico sull’orlo di un precipizio, o in equilibrio su una corda sottile, avendo il noto (me stessa) da un lato e l’ignoto (Dio) dall’altro. Un movimento di paura avrebbe voluto dire piegare verso il sé e il conosciuto. Sarei passata, questa volta, o sarei ricaduta nel mio sé, come sempre? Dal momento che non era in mio potere muovermi o scegliere, capii che la decisione non era mia; dentro di me era tutto calmo, silenzioso e immoto. In questa calma, non avvertii il momento in cui la paura e la tensione dell’attesa mi abbandonarono. Immobile, continuai ad aspettare un movimento proveniente dall’esterno e quando questo non venne restai semplicemente in una grande calma.

La suora stava agitando rumorosamente le chiavi della cappella. Era l’ora di chiudere, e l’ora di andare a casa, a preparare la cena ai ragazzi. In passato, era sempre stato difficile dovermi improvvisamente strappare a un silenzio profondo: le mie energie in quel momento erano al loro minimo e muovermi richiedeva altrettanto sforzo che sollevare un peso morto. Questa volta invece improvvisamente mi accadde di non pensare ad alzarmi ma di farlo, semplicemente. Penso che non fu una cosa da nulla quello che imparai, perché lasciai la cappella come una foglia portata dal vento. Ero sicura che una volta fuori avrei ritrovato le mie normali energie e il controllo della mia mente, ma quel giorno la cosa fu problematica: ricadevo continuamente nel grande silenzio. Andare verso casa fu una costante lotta contro la completa incoscienza, e quando cercai di approntare la cena fu come voler smuovere una montagna.

Per tre logoranti giorni, non feci che lottare per rimanere sveglia e tenere a bada il silenzio che a ogni secondo minacciava di sopraffarmi. L’unico modo in cui riuscii a sbrigare un minimo di faccende domestiche fu tenendo ostinatamente in mente quello che stavo facendo: adesso sbuccio le carote, adesso le taglio, adesso prendo una pentola, adesso metto l’acqua nella pentola, e così via, fino a quando ero così esausta che dovevo correre a letto. Non facevo in tempo a mettermi giù che sprofondavo nel vuoto. A volte mi sembrava di essere stata fuori di coscienza per ore, quando invece erano passati solo cinque minuti: altre volte avrei giurato che fossero passati solo cinque minuti quando invece si era trattato di ore. In quel vuoto non c’erano sogni, né la coscienza di ciò che mi circondava, non c’erano pensieri né esperienze: non c’era assolutamente nulla.

Il quarto giorno, sentii il silenzio alleggerirsi, così che potei stare sveglia con minore sforzo e, di conseguenza, trovai il coraggio di andare a fare la spesa. Non so come accadde, fatto sta che a un tratto mi trovai a essere scossa da una signora che mi chiedeva se stessi dormendo. Le sorrisi, cercando di orientarmi, poiché sul momento non avevo la più pallida idea di come fossi finita in quel negozio o di cosa stessi facendo. Per cui, dovetti ricominciare tutto da capo: adesso spingo il carrello, adesso devo prendere delle arance, e via dicendo. La mattina del quinto giorno, non riuscii a trovare le pantofole in nessun posto, ma, al momento di preparare la colazione per i ragazzi, aprii il frigo e ci trovai qualcosa di decisamente assurdo.

Al nono giorno, il silenzio era talmente diminuito d’intensità che mi sentii sicura che, ancora un po’, e tutto sarebbe tornato normale. Ma, via via che passavano i giorni e mi riscoprivo in grado di funzionare come al solito, notavo contemporaneamente che c’era qualcosa che mancava, per quanto non riuscissi a toccarlo con mano. Qualcosa, o meglio una parte di me, non era tornato. Una parte di me era ancora in silenzio. Era come se un pezzo della mia mente avesse definitivamente calato la serranda. Me la presi con la memoria, che era l’ultima a tornare; quando questa infine tornò, mi accorsi che era diventata piatta e spenta, come la sbiadita pellicola di un vecchio film. Era morta. Non soltanto il passato lontano, ma anche quello di pochi minuti prima, si erano come svuotati.

Ora, quando qualcosa è morto, si rinuncia presto a volerlo risuscitare; allo stesso modo, quando la memoria si è spenta, uno impara a vivere come non avesse un passato, impara a vivere nel momento presente. Che questo ora potesse avvenire senza sforzo, e non per disperazione, era il risultato positivo di un’esperienza altrimenti massacrante. E anche quando riconquistai la memoria pratica, la capacità di vivere nel presente rimase. Con il ritorno della memoria pratica, tuttavia, ridimensionai la passata nozione di ciò che mancava e decisi che l’aspetto silenzioso della mia mente era in realtà una sorta di ‘assorbimento’, un assorbimento nello sconosciuto, che per me naturalmente era Dio. Era come una continua contemplazione del vasto, silenzioso Inconoscibile, una contemplazione che nessuna attività poteva interrompere. Questo fu un altro gradito risultato dell’esperienza iniziale.

L’interpretazione dell’aspetto silenzioso della mia mente come un ‘essere assorti’ sembrò bastare, come spiegazione, per circa un mese, quando cambiai di nuovo idea e decisi che l’assorbimento era in realtà consapevolezza, un particolare tipo di ‘vedere’; per cui quanto era realmente accaduto non era affatto una chiusura, ma piuttosto un’apertura; non era venuto a mancare nulla, era invece stato aggiunto ‘qualcosa’. Dopo un certo tempo, tuttavia, anche questa idea sembrò inadeguata; in un modo o nell’altro non mi soddisfaceva più; era accaduto qualcos’altro, per cui decisi di andare in biblioteca, per vedere se potevo risolvere il mistero con l’esperienza di qualcun altro.

A questo punto scoprii che, se non fossi riuscita a trovare quanto cercavo nelle opere di san Giovanni della Croce, probabilmente non lo avrei trovato in assoluto. E sebbene le opere del Santo mi fossero familiari, non riuscii a trovarvi nessuna spiegazione della mia specifica esperienza; né mi riuscì di trovarla in un solo libro della biblioteca. Ma fu tornando a casa quel giorno, mentre scendevo giù per la collina, avendo di fronte la vista della vallata e dei monti all’intorno, che a un tratto rivolsi lo sguardo al mio interno: e ciò che vidi mi fece fermare di colpo. Al posto del familiare, seppure non localizzato, centro di me stessa, non c’era nulla: c’era il vuoto. Nello stesso momento in cui vidi questo, fui invasa da un flusso di calma gioia e seppi, finalmente, cos’era ciò che mancava: era il mio ‘sé’.

Fisicamente, fu come se mi fosse stato tolto un grande fardello di dosso; mi sentivo così leggera che lo sguardo mi corse ai piedi, sembrava che non poggiassero a terra. In seguito riflettei sull’esperienza di san Paolo: “Ora non io, ma Cristo vive in me”, e mi resi conto che, nonostante il vuoto, nessun altro era entrato a prendere il mio posto; per cui decisi che Cristo era la gioia, il vuoto stesso; Egli era tutto quanto rimaneva di questa esperienza umana. Per giorni mi portai dentro questa gioia, così grande, in certi momenti, che mi stupivo della solidità della diga e mi chiedevo per quanto tempo ancora avrebbe retto.

Considero quest’esperienza il culmine della mia vocazione contemplativa. Era la conclusione di una domanda che mi aveva assillato per anni: dove finisco ‘io’ e comincia Dio? Anno dopo anno, il confine che ci separava era diventato così sottile e vago che per la maggior parte del tempo non riuscivo a vederlo, eppure la mia mente continuava a voler sapere: che cosa è Suo e che cosa mio? Ora il problema era superato. Non c’era più ‘il mio’, c’era soltanto il Suo. Avrei potuto vivere in questo stato di gioia per il resto della vita, ma non era scritto così nel Grande Piano. Sarebbe stata questione di giorni, forse una settimana, e la mia intera vita spirituale – il lavoro, il travaglio, le esperienze e i traguardi d’una vita – sarebbe improvvisamente esplosa in un milione di pezzi mai più recuperabili: senza lasciare nulla, assolutamente nulla."


In effetti, se manca il sè, c'è il vuoto...ma come si fa a parlare del vuoto dove c'è un sè che vuole capire, una mente discorsiva?
"Lascia perdere...."(dice Bodhananda) in effetti, senza esperienza è solo la mente che se la canta e se la suona.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 7:49

In effetti, se manca il sè, c'è il vuoto...ma come si fa a parlare del vuoto dove c'è un sè che vuole capire, una mente discorsiva? "Lascia perdere...."(dice Bodhananda) in effetti, senza esperienza è solo la mente che se la canta e se la suona.
Parli del sè individuale, immagino.
Cioè senza sè individuale, è il Sè impersonale che emerge, per cui il vuoto è vuoto di sè ma pieno del Sè.
Ecco perchè non c'è Dio.
Naturale che Madre Teresa non lo trovasse.
Lampante!
La cosa mi gasa, a voi no?
Mi sento come un bambino che ha fatto la sua prima vera scoperta.
Ma a voi non sembra sensazionale?
Ditemi solo come sprofondare in questo abisso, in fiducia e senza paura, ed il mio compito qui è esaurito.

anam

Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da anam » 16/02/2017, 12:03

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 7:49
In effetti, se manca il sè, c'è il vuoto...ma come si fa a parlare del vuoto dove c'è un sè che vuole capire, una mente discorsiva? "Lascia perdere...."(dice Bodhananda) in effetti, senza esperienza è solo la mente che se la canta e se la suona.
Parli del sè individuale, immagino.
Cioè senza sè individuale, è il Sè impersonale che emerge, per cui il vuoto è vuoto di sè ma pieno del Sè.
Ecco perchè non c'è Dio.
Naturale che Madre Teresa non lo trovasse.
Lampante!
La cosa mi gasa, a voi no?
Mi sento come un bambino che ha fatto la sua prima vera scoperta.
Ma a voi non sembra sensazionale?

A dire il vero no, non mi sembra sensazionale, sebbene lo sia stato ai tempi della prima scoperta.
Diciamo che questo aspetto al momento mi è abbastanza chiaro, nel senso che la mente l'ha capito da tempo.
Il fatto che l'abbia capito, però, non è un gran passo avanti, anzi, per certi versi, è stimolo alla paura.
La mente sa e fa di tutto per evitare la sua estinzione.

Ditemi solo come sprofondare in questo abisso, in fiducia e senza paura, ed il mio compito qui è esaurito.

Come?
Una cura dimagrante. ;)
Dice Sri Chandrasekarendra Saraswati, Swamigal di Kanchi, che l'ego è troppo grasso per passare per la porta stretta, quindi è necessario che dimagrisca.
Tuttavia lo Swamigal chiarisce anche che la cura dimagrante totale è indicata solo a chi si trova nello stadio di vita del samnyasa.
Gli altri possono prepararsi, in adesione al Dharma.
Peraltro, sostiene lo Shankaracharya, la realizzazione finale non giunge da un atto di volontà, nè può provenire da alcuno sforzo, bensì solo abbandonandosi alla Grazia di Ishvara.

Alcune delle esperienze descritte dalla Roberts mi sono note, le sfumature del silenzio, perdersi al supermercato, cadere dentro la potenza della natura, smarrire il senso di distinzione fra soggetto e oggetto; non conosco interamente quanto descrive, perché avendo tuttora impegni di capofamiglia non posso permettermi - pur desiderandolo - di girovagare a lungo fra prati e monti, nè posso sottrarre ore da dedicare alla concentrazione.
Se accade un eccessivo distacco, vi sono conseguenze, pertanto torno ad attenzionare i compiti che la vita mi mette davanti.
Tuttavia mi è stato indicato che qualunque esperienza si presenti, per quanto appaia straordinaria, sia da lasciare andare: "è vero, ma non ci credere", ha sempre detto il riferimento.
Sono poche parole, di grande sostanza.

Infine, per quanto riguarda Madre Teresa non mi esprimo.
Si tratta di un personaggio che, con tutto il rispetto, non mi ha mai convinto.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 13:23

Bene, lieto di sapere che anche per anam questa "realizzazione" è di poca rilevanza.
Beati voi cari colleghi che sapete tutto e non vi stupite più di niente!
Se per voialtri è esperienza così ovvia, randomica, perchè non vi ci tuffate?
Io lo farei, se sapessi come.
Riguardo Madre Teressa, aldilà dei giudizi sulla religiosa, esprimevo il fatto che anche lei abbia vissuto questa sofferenza del vuoto per un "missunderstanding".
Ora bisogna solo capire come poter lasciarsi andare all'abisso.
No, per me non c'entra il "dimagrimento dell'ego".
L'ego semplicemente non c'è nell'abisso.
Per quello fa paura.
La riduzione graduale dell'ego è un altra strada, a mio avviso: inutile quando scopri che dentro di te l'ego proprio non c'è e lo chiamiamo "vuoto".
L' abisso non si cura dell'ego, perchè nell'abisso non c'è proprio.
L'ostacolo, per me, è la paura della perdita della propria individualità.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 13:37

Sto vizio di banalizzare le esperienze altrui mi ha un pò rotto, ragazzi, motivo per cui la mia condivisione pubblica finisce qui.

latriplice
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da latriplice » 16/02/2017, 14:21

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 13:37
Sto vizio di banalizzare le esperienze altrui mi ha un pò rotto, ragazzi, motivo per cui la mia condivisione pubblica finisce qui.

L'ego che non sei, perché stai osservando dall'abisso, si è incazzato. La testimonianza è un dato di fatto.

anam

Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da anam » 16/02/2017, 15:12

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 13:37
Sto vizio di banalizzare le esperienze altrui mi ha un pò rotto, ragazzi, motivo per cui la mia condivisione pubblica finisce qui.

Mi spiace di aver dato luogo, con le mie parole, a questo fraintendimento.
Non intendevo banalizzare alcunchè, se non la mia comprensione solo mentale di certa realtà e talune mie esperienze.
Mi scuso.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 15:53

latriplice ha scritto:
16/02/2017, 14:21
Mauro ha scritto:
16/02/2017, 13:37
Sto vizio di banalizzare le esperienze altrui mi ha un pò rotto, ragazzi, motivo per cui la mia condivisione pubblica finisce qui.

L'ego che non sei, perché stai osservando dall'abisso, si è incazzato. La testimonianza è un dato di fatto.
L'abisso l'ho visto. Non mi ci sono buttato. Quindi l'ego ci sta tutto, con le sue oscillazioni.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 15:55

anam ha scritto:
16/02/2017, 15:12
Mauro ha scritto:
16/02/2017, 13:37
Sto vizio di banalizzare le esperienze altrui mi ha un pò rotto, ragazzi, motivo per cui la mia condivisione pubblica finisce qui.

Mi spiace di aver dato luogo, con le mie parole, a questo fraintendimento.
Non intendevo banalizzare alcunchè, se non la mia comprensione solo mentale di certa realtà e talune mie esperienze.
Mi scuso.
Non c'è problema. Cercherò di capire meglio da solo.

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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da NowHere » 16/02/2017, 16:14

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 13:23
L' abisso non si cura dell'ego, perchè nell'abisso non c'è proprio.
L'ostacolo, per me, è la paura della perdita della propria individualità.
L' "abisso" è ciò che Sei veramente. In fondo l'individualità la perdi ogni notte nel sonno profondo perché l'ego è intermittente, appare e scompare, quindi non c'è niente da temere.
Purtroppo non c'è un atto volitivo per gettarsi nell'abisso, c'è soltanto da riconoscere che la testimonianza dei tre stati accade spontaneamente in ogni attimo del vivere, a prescindere dalle qualità dell'individualità.

Tieniti forte, un abbraccio.

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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da cannaminor » 16/02/2017, 16:57

mauro ha scritto: -Parli del sè individuale, immagino.
Cioè senza sè individuale, è il Sè impersonale che emerge, per cui il vuoto è vuoto di sè ma pieno del Sè.
Ecco perchè non c'è Dio.
Naturale che Madre Teresa non lo trovasse.
Lampante!
La cosa mi gasa, a voi no?
Mi sento come un bambino che ha fatto la sua prima vera scoperta.
Ma a voi non sembra sensazionale?
Ditemi solo come sprofondare in questo abisso, in fiducia e senza paura, ed il mio compito qui è esaurito.

<<Questo yoga che viene denominato "asparsa" (senza alcun contatto), è difficile da comprendere per molti yogi, perché‚ essi, che sentono la paura (dell'annichilimento) laddove non esiste, ne hanno timore>>. (Mandukya Upanisad: III, 39).

Sei in questa situazione, "la paura dell'annichilamento"... ("laddove non esiste", viene anche aggiunto)

Un vuoto che è vuoto di sè ma pieno del Sè. Certo che ne hai paura, timore, un luogo dove il sè, il piccolo sè non ha aderenze, non ha supporti, non ha contorni e limiti di cui definirsi e quindi esistere, il vuoto appunto, l'Abisso, perchè mai dovrebbe essere di qualche attrazione per lui. Per lui è morte, proprio morte, nel senso di non esistenza. Hai un bel da dire che è pieno di Sè, storiella per allocchi dal suo punto di vista, infatti lui lo vede come un abisso, un vuoto nero e senza fine in cui lui cessa di esistere, dove non c'è esistenza alcuna, a cominciare dalla sua, che poi è tutta quella che conta per lui.

Dio? ma quale Dio, per esserci un Dio ci vuole un piccolo sè (io) che lo ami oppure persino che lo odi o lo ignori, ma comunque un "altro" da Dio, che gli dia realtà esistenziale; se non c'è il piccolo sè, se non esiste il piccolo sè, non c'è nemmeno nessun dio come nient'altro. Quel vuoto, quell'abisso è il vuoto del neti neti, del non sono questo non sono quello, della negazione cui non è (ancora?) seguita l'affermazione iti iti, quel "pieno del Sè" di cui parli.

Il problema è che il pieno del Sè, l'iti iti, non è automatico e sequenziale al neti neti, o almeno, forse, fino a che il neti neti non ha raggiunto la sua ultima cifra di negazione. Ogni neti neti è una spanna di abisso che aggiungi, di vuoto e oscurità che sommi, il che non coincide ipso-facto con la luminosità e pienezza del Sè. Forse quella la trovi cadendoci dentro, all'abisso, al vuoto, lasciandotici cadere dentro, non lo so, so comunque che ci vuole una bella dose di coraggio per farlo, seppure dica che la paura che si prova non sussista (laddove non esiste) un pò come diceva non ricordo chi che non ha senso avere paura della morte, dal momento che quando c'è lei non ci sei tu e viceversa, quindi che senso ha averne paura.

Ad ogni modo arrivare sulla soglia dell'abisso e guardare giù a noi, che evidentemente facciamo ancora parte dei "molti yogi", induce ancora una certa paura e timore, sic.

Un abbraccio da un compagno di sponda piscina....

cielo
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da cielo » 16/02/2017, 18:56

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 7:49
In effetti, se manca il sè, c'è il vuoto...ma come si fa a parlare del vuoto dove c'è un sè che vuole capire, una mente discorsiva? "Lascia perdere...."(dice Bodhananda) in effetti, senza esperienza è solo la mente che se la canta e se la suona.
Parli del sè individuale, immagino.
Cioè senza sè individuale, è il Sè impersonale che emerge, per cui il vuoto è vuoto di sè ma pieno del Sè.
Ecco perchè non c'è Dio.
Naturale che Madre Teresa non lo trovasse.
Lampante!
La cosa mi gasa, a voi no?
Mi sento come un bambino che ha fatto la sua prima vera scoperta.
Ma a voi non sembra sensazionale?
Ditemi solo come sprofondare in questo abisso, in fiducia e senza paura, ed il mio compito qui è esaurito.

Il sè individuale lo definirei come una sorta di convenzione che si rinnova ogni mattina al momento del risveglio dal sonno.
C'è un momento in cui sembrano sfumare i sogni, i ricordi balenano ancora qualche attimo nella mente, a volte si afferrano "per la coda" e sovviene qualche flash di film vissuti "con un io" che li ricorda, ma poi l'io della veglia, la tal dei tali, deve agire col veicolo grossolano e inizia la sequenza delle azioni che portano da un posto all'altro, nella casa.
Uno yogi un po' serio, che non è il mio caso perchè sono priva di regole e di ordine interno, ahimè, inizia la giornata ricordandosi di ringraziare per la vita che ancora anima il corpo e dedica le azioni che compirà al servizio del dharma o della Madre Divina, o di qualcos'altro che connetta il microcosmo che si è svegliato, "l'io", al macrocosmo che lo accoglie con un giorno tutto nuovo da vivere. L'io inevitabilmente porta al tu, e ogni giorni si incontrano tanti "tu".

Poi (gli yogi seri) qualche asana, pranayama, riti di purificazione vari (lavare la faccia, i denti, o la doccia, evacuazione scorie), mantra, preghiere, medicine e rimedi, forse colazione...Le azioni scorrono, anch'io in caso di connessione alterna con l'io che non gliene può fregar di meno di stare nel ruolo e scappa da tutte le parti come mercurio vivo, mi ripeto le azioni da compiere per riuscire a portare la carcassa fuori di casa.
Si dice, e io amo pensarlo, e così onorarla, che Madre Teresa fosse un'emanazione di Kali la nera.
In lei la battaglia contro Shiva stesso. Il piede sul suo cuore, le teste mozzate ad ornare il collo. Una suora, vita dedicata al sacrificio del Cristo. Portare la Croce.
Terribile la sua vita, a me pare evidente che Kali destinata a combattere ogni istante urli il dolore e l'angoscia di un mondo che patisce malattia, morte, solitudine e povertà.
Madre Kali danza in quell'abisso di paura, dolore e morte.
Come potrebbe assestarsi nella Luce se il suo compito è quello di dar espressione e mostrare al mondo il buio stesso dei miseri della terra e ridargli la dignità di esseri umani perfetti, da amare? La luce è nel prossimo, in quei bambini che stringe al cuore e nei vecchi, magri indiani mutilati che imbocca o a cui dà conforto.
Luce purissima, nonostante le piaghe della lebbra, la malattia terminale, la solitudine dei marciapiedi di Calcutta. Abbandonati da tutti, ma non certo dalla Madre Divina, che per loro combatte.
"Fammi soffrire sempre di più Signore", dice a un certo punto Madre Teresa. Lo chiede anche la madre di Arjuna a Krishna: "Dammi altro dolore".
Per Kali la sofferenza è la Realtà. E in quella Realtà splende la Sua Bellezza senza tempo, senza più separazione alcuna con l'Amato.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 19:17

Quel "Vuoto" è privo di certe derive devozionali, per fortuna.
Per quello Madre Teresa non vi trovava Dio, nonostante le avessero inculcato che "Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo".
Non lo trovava semplicemente perchè lì, Dio non c'è.

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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da cielo » 16/02/2017, 20:15

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 19:17
Quel "Vuoto" è privo di certe derive devozionali, per fortuna.
Per quello Madre Teresa non vi trovava Dio, nonostante le avessero inculcato che "Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo".
Non lo trovava semplicemente perchè lì, Dio non c'è.

Difatti, Dio è un altra convenzione con cui si crea un Tu supremo con cui dialogare senza timore, ma la vera devozione è tutta interiore, puro anelito all'unione, al ritorno a quella Sorgente da cui, volente o nolente ha preso avvio quel sogno che tanto ci appassiona, da cui si è mosso il raggio di sole per illuminare quel quadretto di manifestazione. Una volta esaurita la spinta all'esterno, non resta nulla, nè io, nè Dio.
Dio serve a volte all'io, come anche il tu, gli dà apparenza e consistenza.

Mauro
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da Mauro » 16/02/2017, 20:28

Comincio a pensare che mi butterò nell'abisso pur di non sentir più parlare di devozione. Almeno lì non c'è sta roba

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NowHere
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da NowHere » 16/02/2017, 20:44

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 20:28
Comincio a pensare che mi butterò nell'abisso pur di non sentir più parlare di devozione. Almeno lì non c'è sta roba
Ahahahah :lol:
In fondo la vera devozione è proprio la ricerca.
All'inizio si cerca un "qualcosa", poi ci si rende conto che questo qualcosa non può essere definito perché non ha limite e soprattutto non può essere "esterno". Allora il dito che puntava all'esterno rotea di 180° verso il soggetto, ed è qui che si spalanca l'abisso.

latriplice
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da latriplice » 17/02/2017, 16:34

Mauro ha scritto:
16/02/2017, 20:28
Comincio a pensare che mi butterò nell'abisso pur di non sentir più parlare di devozione. Almeno lì non c'è sta roba

Se intendi buttartici nell'abisso, posso indicarti come dai materiali che ho raccolto qua e là, la meditazione che ho messo a punto dove puoi trovare della roba interessante. Come sai i tre stati esistenziali di veglia, sogno e sonno sono simbolizzati da tre suoni, ed il “quarto stato”, l’illimitato Io, viene indicato come privo di suono. La meditazione sui tre stati conferisce certi benefici, ma la meditazione sul silenzio con la giusta comprensione produce la liberazione (moksha). Il silenzio ha una valenza duplice. Silenzio relativo, uno stato negativo, è semplicemente l’assenza di suono e non il Sé. Dal momento che il suono produce distrazione, la letteratura spirituale spesso prescrive di coltivare silenzio relativo. Ma la definizione di suono delle Upanishad include sia il rumore mentale che emozionale. Spesso, solo in presenza del silenzio relativo, ci rendiamo conto quanto la nostra coscienza sia disturbata. L’assenza del pensiero è anch’essa silenzio relativo. Questo è il motivo per cui una mente vuota non è illuminazione. Il secondo tipo di silenzio è “assoluto”. Assoluto significa non in opposizione al suono. Il silenzio assoluto è meglio realizzato in presenza del silenzio relativo e può essere proficuamente descritto come il silenzio/consapevolezza a causa della quale sia il suono e la sua assenza, silenzio relativo, sono conosciuti. Il silenzio assoluto è il Sé, l’illimitato Io. Pertanto come raggiungere il silenzio assoluto?


UNA TECNICA SEMPLICE

La seguente tecnica, introduce il meditante, il ricercatore, all’Io illimitato, il cercato.


IL CORPO

Il nostro rapporto con il corpo si riflette nel modo in cui ci sediamo. Se mantenere la schiena dritta risulta difficile per ragioni fisiche, sdraiarsi è accettabile se la tendenza a dormire può essere superata man mano che la mente si svuota. Alcuni vanno per la posizione del loto, altri per pose meditative più semplici sviluppate dall’Hatha Yoga. In India dove lo yoga si è evoluto, le persone non disponevano di mobili pertanto sedersi a gambe incrociate per terra veniva spontaneo. Se sedersi a gambe incrociate alla lunga ti causa dei dolori a tal punto da impedire la meditazione, meglio optare per una comoda poltrona, e prepararsi per una breve vacanza.


ATTIDUDINE

Per quanto riguarda l’aspetto interiore la posa deve essere regale: benevolo, posato, nobile e generoso. Si suggerisce uno stato mentale attento, sensibile ed indagatore, come un botanico che esamina pazientemente un fiore delicato. Il meditante dovrebbe considerare la meditazione come un pomeriggio sulla spiaggia e non come una escursione nelle miniere. Quando gli occhi sono chiusi e ti trovi nella giusta attitudine, cosa c’è dopo? Chiedi per aiuto. Ovviamente se sapevi chi eri non staresti meditando in primo luogo, pertanto nel sederti stai ammettendo davvero che non sai nulla, l’ingrediente più essenziale. Indipendentemente dalla forma che l’invocazione assume, sia esso un potere elevato, Dio, uno spirito guida, un santo o la figura di un maestro illuminato, l’illimitato Io risponderà. Dopotutto è stato il Sé ad impiantare l’idea della meditazione in primo luogo, pertanto tutto ciò che deve accadere, accadrà. Sii determinato a lasciare le tue preoccupazioni e coinvolgimenti emotivi e a meditare in un posto che non viene utilizzato per altre attività. Sentiti soddisfatto che stai facendo uno sforzo per meditare e libera la mente dal ricordo di precedenti meditazioni buone o cattive. Cercare di migliorare una cattiva meditazione o riprodurre una buona è inutile e serve solo ad agitare la mente.


SCANSIONE DEL CORPO

Dopo l’invocazione, la prima parte della meditazione comporta la scansione ed il rilassamento del corpo dai piedi in su. Se trovi difficoltoso a rilassare i piedi usa un po’ di visualizzazione. Immagina di essere nei tuoi piedi come una palla di coscienza piena di luce calda e pacifica, ed espandi la tua presenza fino a quando i piedi sono svuotati dalla tensione. Poi portati sulle gambe e rilassa tutti i muscoli, allentando la tensione nelle caviglie, ginocchia e fianchi. Prenditi il tuo tempo. Può sembrare un trucco a buon mercato, ma non è così inverosimile come appare perché il corpo è un vasto campo di coscienza, non un semplice agglomerato di materia. Se la “palla di luce” non funziona fisicamente, passa alle regioni addominali incluso lo stomaco per neutralizzare energie negative latenti come la paura. Spostati su ed esplora il petto poiché la sua connessione con il centro emotivo permette l’odio, il risentimento e la rabbia di stazionare lì, pertanto in quell’area i muscoli sono prevalentemente tesi. Scansiona piacevolmente quest’area lasciandola luminosa e rilassata poi dirigiti al collo e alle spalle dove molta tensione mentale si accumula, quindi sii paziente. Una volta terminata di scansionare quest’area passa alle punte delle tue dita e sciogli la tensione nelle braccia come hai fatto con le gambe e poi rifai il collo e le spalle. Il volto che portiamo in giro per il mondo di solito non è il nostro vero volto così dobbiamo fare qualcosa per riportarlo alla normalità. Lavora attorno il mento, bocca e guancie per primo, poi spostati agli occhi e la fronte. Troverai un sacco di vibrazioni che si aggirano in queste regioni pertanto libera i muscoli facciali che li sostengono e lasciali dissolvere. Quando hai terminato con il viso esso deve essere inespressivo. Un sorriso o un corrugamento della fronte significa che la tensione non è stata trattata ed è ancora presente. Aspira all’espressione indifferente del Buddha, o al viso pacifico dei morti. L’idea che è alla base di questo scansionamento e rilassamento è quello di preparare la tua uscita dal corpo. Pensare al corpo come se fosse un’automobile e tu come conducente può essere utile. Sei tornato alla sera da una lunga giornata sulla strada e stai per parcheggiare l’auto in garage e recarti nella tua calda ed accogliente dimora. Assicurati che sia tutto a posto e ora dirigi l’attenzione al respiro.


IL RESPIRO

Il respiro, come avrai probabilmente notato, si alterna ritmicamente da solo. L’idea nella prima parte di questa meditazione è quella di osservare il respiro, non di respirare consciamente, anche se si può notare che porre l’attenzione su di esso alteri la sua spontaneità. Non preoccuparti, presto si stabilizzerà per tornare al suo consueto ritmo. Sebbene una sofisticata scienza dello yoga sul controllo del respiro si sia evoluta, lavorare con il respiro non è profondo. Finché ci stiamo occupando della meditazione non vogliamo controllare nulla. Controllo significa ego e un sacco di lavoro. E il nocciolo della meditazione è quello di rilassarsi, non soltanto fisicamente ma anche mentalmente. Osservare il respiro dà alla mente qualcosa da fare impedendole di vagare qua e là. In poco tempo il meditante troverà l’osservazione del respiro noioso. Eccellente, imparare a godere della noia è uno dei benefici della meditazione. Giunti a questo punto sincronizziamo l’attenzione con il movimento ritmico del respiro: durante la fase di inspirazione il flusso dell’attenzione viene rivolta all’interno e durante la fase di espirazione verso l’esterno cercando il più possibile di condividerne l’alternanza senza distrarsi dalle eventuali escursioni mentali. Non te la prendere se non funziona immediatamente, prenditi il tuo tempo. Chiunque può farlo. In ogni caso la meditazione non concerne il respiro. Il respiro è solo uno strumento. Quanto si dovrebbe lavorare con il respiro? Non esiste una regola precisa, qualche volta cinque o dieci minuti, a volte di più. Quello che stai cercando è un segno che la mente stia diventando tranquilla e silenziosa, perché si assesta rapidamente quando condivide il ritmo del respiro. Eventualmente puoi incrementare l’attenzione per liberare pensieri e emozioni repressi quando espiri. Non relazionarti o analizzare i pensieri a questo punto, semplicemente presta attenzione a ciò che stai facendo e la mente si svuoterà da sola. Proprio come l’espirazione purifica il corpo, liberare pensieri disintossica la mente. Da una prospettiva meditativa, la relazione del meditante con i pensieri è più importante dei pensieri stessi. Più tardi, quando stai osservando dal Sé può essere utile analizzarli, anche se in definitiva tutti i pensieri sono inutili. Inoltre non ti preoccupare di perderli perché torneranno comunque, la mente non si svuoterà mai completamente. Il punto è quello di allentare la pressione, aiutarla a calmarsi.


IL SILENZIO

La mente diventa silenziosa quando cominci ad essere consapevole di tutti i tipi di suoni di cui non eri precedentemente consapevole. Non hai mai sentito il ticchettio dell’orologio perché la mente, precedentemente occupata con i suoi pensieri, si sta svuotando. Puoi sentire il battito del cuore, il suono ritmico del respiro, frammenti di conversazioni che si svolgono ad isolati di distanza, il ronzio del frigorifero in cucina, una mosca che ronza pigramente nella stanza accanto. I pensieri possono amplificarsi fuori misura o rallentarsi come se arrancassero nella melassa. Potresti iniziare a captarli sul nascere piuttosto che alla fine del loro ciclo. Noterai queste cose perché ora sei circondato da una bolla di silenzio che, a seconda della quiete della mente, è appena percettibile. Quando il Silenzio appare come una presenza tangibile sposta la tua attenzione dal respiro e fissalo sul silenzio. Per il semplice motivo che ha servito il suo scopo, il respiro dovrebbe cadere fuori dalla sfera coscienziale o sembrare molto leggero, debole, lontano e irrilevante. A volte la mente viene completamente inghiottito dal silenzio e ti ritrovi nel profondo del tuo Sé, ignaro del respiro, i rumori nella stanza, i tuoi pensieri, assolutamente tutto, uno stato simile al sonno cosciente. Il tempo si dissolve e vieni soverchiato da una estatica pienezza e tranquillità difficile da descrivere. Molte esperienze inusuali possono accadere quando la mente si trova in questo stato di totale rilassamento. Lasciale accadere e non ti aggrappare a loro. Tutte le esperienze, come i pensieri, sono essenzialmente transitori, non soggette al controllo dell’ego. E lo scopo della meditazione non è quella di produrre delle specifiche e piacevoli esperienze, ma di indagare nella natura del Sé e della mente. A meno che tu non sia orientato al nivirkalpa samadhi, lo stato senza pensieri che non ti darà l’auto-conoscenza, rimani vigile e permetti i sensi e la mente di funzionare. La presenza di pensiero non influenza il Silenzio. La situazione ideale è quello di osservare i pensieri e i suoni che appaiono e scompaiono fuori dal silenzio come fantasmi. La consapevolezza silente ed in pace in cui essi appaiono viene vissuta come una presenza inscuotibile, reale, luminosa ed eterna. L’esperienza del Silenzio è l’essenza della meditazione perché permette al meditante di osservare in prima persona, l’inconsistenza ed irrealtà dello strumento corpo/mente in un modo che leggere libri o l’ascolto di satsang non potrà mai fare. Se l’ego insiste nell’intromettersi facendosi sentire a disagio per via del Silenzio, cercando di distrarre come un bambino capriccioso, gli puoi insegnare la resa e permettere i pensieri e le emozioni di sorgere e tramontare senza interferenze. Puoi considerare il Silenzio come l’altare del tempio interiore e ricavare un grande piacere nel testimoniare il loro andirivieni. La disciplina della meditazione comporta una lotta con l’ego nel mantenere l’attenzione fissata sul Silenzio. Se il Silenzio è particolarmente profondo o radiante, l’ego sarà così stordito da arrendersi completamente. Ma questo non sempre succede, non perché il Silenzio è poco attraente, ma perché potenti samskara trascinano l’attenzione da un’altra parte. Difficile che si possa pensare di visualizzare o cantare in questo momento perché l’esperienza del Silenzio stesso è affascinante e appagante. Tuttavia, a volte il mantra nasce spontaneamente cantando se stessa. Di tanto in tanto, quando una parte particolarmente sottile dell’inconscio è attiva, delle visioni interne meravigliose possono manifestarsi.


IL PUNTO

La meditazione non sta creando il Silenzio, anche se può sembrare così. Il Silenzio è il sostrato di tutte le esperienze, la coscienza auto-luminosa che è la sorgente di ogni percezione, l’illimitato Io. La tecnica meditativa semplicemente assorbe sufficiente coscienza dal corpo e la mente da consentire il sempre presente e apparentemente celato Silenzio di manifestarsi. Una volta che il meditante è abile nel contattare il Silenzio, la domanda di ciò che il Silenzio è ed il tipo di relazione che si vuole instaurare sorgerà spontaneamente. Sebbene non ci siano delle regole, si può incoraggiare il meditante ad esplorare i confini tra il suo sé di veglia e di sogno ed il Silenzio. Il Silenzio è la manifestazione più tangibile del Sé, la realizzazione della quale libera dalla sofferenza. Ci sono molti modi di relazionarsi al Sé, tra cui quello di vederlo come un intimo amante amichevole in presenza del quale mi sento terribilmente a mio agio. Prova ad arrenderti, fondendoti nel suo abbraccio compassionevole, permettendo al meditante di dissolversi in esso. Quando l’ego si apre al Silenzio, la sua acqua pura inonda il corpo e la mente permettendo la loro guarigione. Comunque non sempre il Silenzio può apparire come pace totale, il senso di essere completamente a risposo, soddisfatto sereno e distaccato, “La pace di Dio, che supera ogni intelligenza” (Filippesi 4:7). Oppure come un inspiegabile gorgoglio di beatitudine, o come illimitatezza, vuoto o pienezza. Il contatto della mente con il Sé può essere descritto in molti modi, tutti ugualmente validi,

ma esperienza del Sé attraverso la mente non è auto-conoscenza o illuminazione. L’illuminazione è la riscoperta di se stessi in quanto il Sé.

La questione di cosa illumina la beatifica, silente e pacifica presenza deve essere risolta. Com’è questo Sé che viene regolarmente ignorato nella veglia, sogno e sonno profondo ed è improvvisamente disponibile per l’esperienza? Non può essere conosciuto tramite i sensi o attraverso la mente dominata dai suoi processi emotivi e di pensiero, pertanto come viene conosciuto? C’è qualcun altro che lo sta illuminando o vive di luce propria? Qual è la natura del Sé e come si relaziona al “me” che penso di essere? La meditazione con tutti i suoi piccoli trucchi riguardo il respiro e la mente, semplicemente crea un ambiente interno favorevole all’esplorazione del Sé. Molti cercatori hanno una nozione esagerata e fantastica sulla illuminazione. Per il semplice motivo che la loro visione è così irrealistica, non la colgono nemmeno quando l’illuminazione li sta fissando direttamente in faccia. La migliore fonte di conoscenza sulla natura del Sé sono le scritture, particolarmente i vecchi testi come la Mandukya e altre Upanishads per esempio. Queste fonti che rappresentano una conoscenza collettiva, pura ed effettiva, sono degne di fiducia perché alcun specifico ego ne è responsabile. Per esempio i seguenti versi da un testo dell’ottavo secolo, l’Atma Bodha di Shankaracharya, una riformulazione delle idee presenti nelle Upanishads scritte in prima persona, rappresenta il Sé in quanto conoscenza pura.

"Nel negare i condizionamenti con la conoscenza “Io non sono questo”
Realizza la tua identità come il Sé come indicato dalle scritture.
I tre corpi (di veglia, sogno e sonno) sono oggetti percepiti e deperibili come bolle.
Realizza attraverso la pura discriminazione io non sono loro.
Io sono l’infinita Coscienza pura e non-duale.
Perché sono altro dal corpo non soffro i suoi cambiamenti.
Non sono nato né muoio.
Non ho organi di senso pertanto non sono coinvolto dal mondo.
Perché sono altro dalla mente sono libero dal dolore, attaccamento, malizia e paura.
La scrittura dice che sono puro, senza pensiero e desiderio pertanto io sono.
Non ho attributi.
Vivo senza respirare.
Sono eterno, senza forma e sempre libero.
Io sono lo stesso in tutto, riempiendo tutte le cose con l’essere.
Io sono l’infinita Coscienza pura e non-duale."



Buon viaggio. ;)

scriba
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da scriba » 17/02/2017, 22:06

Sono riflessioni tue, Latriplice?

latriplice
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da latriplice » 17/02/2017, 23:49

scriba ha scritto:
17/02/2017, 22:06
Sono riflessioni tue, Latriplice?

Shankara non presenta il Sé come il culmine di una esperienza estatica e resa permanente attraverso la pratica, anche perché tutte le esperienze indistintamente sono transitorie. Ti immagini una mente perennemente vuota? Anche Ramana andava a comprarsi il giornale dall'edicolante e si teneva occupato nella lettura. Sono queste castronerie da mente vuota che impedisce l'apprezzamento del proprio Sé riflessa e resa palese in una mente pacificata dalla meditazione. Solo la pura conoscenza, data dalla riscoperta di Sé, è permanente, perché non c'è mai stato un momento che io non sia questo Sé. Pertanto le riflessioni di Shankara le ho condivise e le ho fatte mie.

Non si sta mirando al silenzio relativo, l'assenza di suono, meta del nivirkalpa samadhi, anche perché terminata l'esperienza si torna giusto ignoranti come prima. Sono invece un convinto assertore del savikalpa samadhi in cui, tramite l'ausilio dell'intelletto, è possibile condurre l'auto-indagine e discernere tra uno stato mentale ricondotto al silenzio relativo (nei confronti dei suoni) e la presenza del Silenzio Assoluto testimone di quel silenzio relativo (e dei suoni) e possibilmente riconosciuto per auto-immedesimazione o conoscenza per identità. Tecnicamente questo si definisce illuminazione.

Pertanto:

La questione di cosa illumina la beatifica, silente e pacifica presenza deve essere risolta. Com’è questo Sé che viene regolarmente ignorato nella veglia, sogno e sonno profondo ed è improvvisamente disponibile per l’esperienza? Non può essere conosciuto tramite i sensi o attraverso la mente dominata dai suoi processi emotivi e di pensiero, pertanto come viene conosciuto? C’è qualcun altro che lo sta illuminando o vive di luce propria? Qual è la natura del Sé e come si relaziona al “me” che penso di essere?

scriba
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Re: Sul silenzio e sul vuoto

Messaggio da scriba » 18/02/2017, 0:36

latriplice ha scritto:
17/02/2017, 23:49
scriba ha scritto:
17/02/2017, 22:06
Sono riflessioni tue, Latriplice?

Shankara non presenta il Sé come il culmine di una esperienza estatica e resa permanente attraverso la pratica, anche perché tutte le esperienze indistintamente sono transitorie. Ti immagini una mente perennemente vuota? Anche Ramana andava a comprarsi il giornale dall'edicolante e si teneva occupato nella lettura. Sono queste castronerie da mente vuota che impedisce l'apprezzamento del proprio Sé riflessa e resa palese in una mente pacificata dalla meditazione. Solo la pura conoscenza, data dalla riscoperta di Sé, è permanente, perché non c'è mai stato un momento che io non sia questo Sé. Pertanto le riflessioni di Shankara le ho condivise e le ho fatte mie.

Non si sta mirando al silenzio relativo, l'assenza di suono, meta del nivirkalpa samadhi, anche perché terminata l'esperienza si torna giusto ignoranti come prima. Sono invece un convinto assertore del savikalpa samadhi in cui, tramite l'ausilio dell'intelletto, è possibile condurre l'auto-indagine e discernere tra uno stato mentale ricondotto al silenzio relativo (nei confronti dei suoni) e la presenza del Silenzio Assoluto testimone di quel silenzio relativo (e dei suoni) e possibilmente riconosciuto per auto-immedesimazione o conoscenza per identità. Tecnicamente questo si definisce illuminazione.

Pertanto:

La questione di cosa illumina la beatifica, silente e pacifica presenza deve essere risolta. Com’è questo Sé che viene regolarmente ignorato nella veglia, sogno e sonno profondo ed è improvvisamente disponibile per l’esperienza? Non può essere conosciuto tramite i sensi o attraverso la mente dominata dai suoi processi emotivi e di pensiero, pertanto come viene conosciuto? C’è qualcun altro che lo sta illuminando o vive di luce propria? Qual è la natura del Sé e come si relaziona al “me” che penso di essere?


Era un sì o un no?

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