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Maestro e discepolo - dialogo dIstruzione

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cielo
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Maestro e discepolo - dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 01/04/2017, 18:18

Ancora un Dialogo "Cuore a Cuore" tra Nio e Suomy Nona del 06/10/2011 tratto dai Matematici (forum pitagorico).

Lo presento senza commenti (non vengono), ma con alcune parole di Ramana che, al mio sentire, ben si accompagnano al dialogo.

"Se entri nel Cuore dove brilla l'Essere supremo, apri l'occhio della Conoscenza e cerca (per mezzo dell'amore struggente) con la massima sincerità. Allora la verità ti diventerà chiara."
(tratto da Ricordi, vol. 2. Ed. I Pitagorici)

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verso Arunachala

Suomy Nona ha scritto:In ambito metafisico, l'iniziazione è un riconoscimento fra Maestro e discepolo. Un riconoscimento per identità, slegato dalla temporalità, privo di ogni confronto, incomprensibile per la mente umana che esiste anche su categorie quali sequenzialità e tempo. Il Maestro e il discepolo sono due battiti dello stesso cuore, non necessariamente sequenziali (fra l'uno e l'altro battito possono essere intercorsi milioni di battiti). Questo riconoscimento è l'iniziazione, poiché entrambi sono espressione del Sé, non sono certo i corpi a riconoscersi, è il Sé incarnato che si riconosce nel Sé (che può anche essere disincarnato). Possiamo pertanto distinguere fra iniziazione e sadhana nei Piccoli Misteri o mondo di Cesare e iniziazione e sadhana nel regno di Dio, l'una può essere considerata orizzontale, la seconda verticale.
D. Interessante l'accostamento del riconoscimento fra maestro e discepolo con l'iniziazione. Mi chiedevo questo riconoscimento, così come l'iniziazione, è allora reciproca, mutua, ossia sia del discepolo nei confronti del maestro così come del maestro nei confronti del discepolo? Quando il discepolo è pronto compare il maestro, vale anche per il maestro? Quando il maestro è pronto compare il discepolo?

R. Dipende cosa si intende per maestro "pronto", Sri Ramana non ha avuto discepoli, Sri Ramakrishna li ha avuti negli ultimi anni della sua vita. Non c'è una regola, ci sono Shankaracarya che scelgono il proprio successore ben prima di altri. Nel mondo ogni giorno ci sono tutti i battiti di ali di farfalla necessari, né uno di più, né uno di meno.

D. Intendevo dire che non necessariamente tutti i realizzati-illuminati sono dei maestri, ovvero si sono fatti carico ed hanno avuto dei discepoli. Se il termine Maestro è correlato al termine discepolo, ossia se l'uno implica l'altro e viceversa, anche in ottemperanza a quel riconoscimento e iniziazione di cui si parlava, il "pronto" poteva voler dire, per un "Saggio fermamente stabilizzato nel Sè", l'essere pronto a (o dovere-dharma) adempiere a quell'incarico.

R. [Aggiungo che] Tu sottointendi una separazione fra maestro e discepolo, ove già l'amore scioglie ogni separazione. Quale era la necessità per Sri Rama di avere un Maestro? Quale la necessità di Sri Shankara? Ci sono casi ove il Maestro si incarna per un ruolo formale (Vasistha), altri dove è il discepolo a rivestire un ruolo formale (Shankara). Rama che incarna il dharma "deve" avere un guru. Shankara deve farsi discepolo per incarnare la tradizione. Ci sono casi in cui invece c'è una effettività (Ramakrishna e Vivekananda).

D. La separazione, su questo piano (nama-rupa) c'è, a cominciare dall'evidenza che si usa un nome per l'uno (discepolo) ed un nome per l'altro (Maestro). Che l'amore sciolga ogni separazione così come avviene per il riconoscimento-iniziazione di essere lo stesso Sè etc, tutto vero, ma su questo piano sono realizzazioni rare, quelle stesse che i più anelano e aspirano percorrendo una lunga sadhana. Non tutti sono (hanno la consapevolezza...) Shankara, Sri Rama, Vasistha, o Ramana, i più, ben che vada, sarebbero contenti di essere "un Vivekananda", ma anche molto meno.
C'è chi vive una vita da discepolo e da discepolo muore nel corpo fisico senza per questo aver colto quella piena e ferma consapevolezza di Sè; non tutti giungono in questa vita alla meta, alcuni nemmeno partono, se è per questo. Quindi, a mio vedere, quella separazione tra Maestro e discepolo, su questo piano, ha tutta la sua ragion d'essere, non tanto per ottemperare la figura del "Maestro" e\o del "discepolo" in specifiche incarnazioni con fini e scopi tradizionali, che pur serve, quanto invece per tutti quei "poveri cristi" che cercano una luce per dissipare le tenebre.

R. In ogni innamoramento viene meno la separazione. Basta seguire la Via dell'Amore, ove quella di Conoscenza appaia preclusa.

D. Ma si può davvero scegliere? Si può davvero scegliere se amare piuttosto che conoscere? E, comunque, anche la conoscenza non è pur anch'essa una forma, un aspetto dell'amore? La conoscenza non passa per la comprensione e la comprensione non è forse un aspetto dell'amore. Come si fa ad amare senza comprendere e senza conoscere l'oggetto amato. Non sono alla fine tutti sinonimi della stessa sintesi, della stessa unione in cui viene meno ogni separazione tra l'amante e l'amato e tra il conoscitore ed il conosciuto?

Separazione implica dualità, non-separazione vuol dire unione, unità, uno; nei vangeli viene scritto ut unum sint..

«Non soltanto per questi io prego, ma anche per quelli che, attraverso la loro parola, crederanno in me, che tutti siano una cosa sola (ut omnes unum sint), e come tu, Padre, sei in me e io sono in Te, così anch’essi siano in noi una cosa sola (ut et ipsi in nobis unum sint)..." Giovanni 17, 20

affinchè siano uno, Uno col Padre, come si fa ad essere Uno col Padre?


R. Si può scegliere? Certo che si può scegliere, se così credi. Conoscere per amare? Certo, se così credi. Ma dimmi... se mai ti sei innamorato, conoscevi già quella persona? Possiamo dire no e ci muoviamo in una visione. Diciamo sì e ci muoviamo in un'altra. Oppure...

Amiamo Dio senza conoscerlo... ma anche, amare è transitivo? Io amo Dio, oppure Io sono amore e Dio viene amato dall'amore che sono. O anche Io sono amore e Dio [è] amore?

Con la mente puoi postulare tutte le possibilità, ma tu quale di queste possibilità vivi? Trovala e conformati al varnasrama di tale possibilità.

D. La sua visione del Vedanta sembre precludere ad un insegnamento comune a tutti. Di volta in volta si ha l'impressione che lei proponga un insegnamento puntuale per ciascuno, come se non esistesse un insegnamento unico per tutti. Come è possibile questo?

R. Lei sta chiedendo se esista o meno, nel Vedanta, un cammino codificato? Sì esiste, ma è così ampiamente codificato che si adatta alle potenzialità e possibilità di ciascuno. Se lei dovesse condurre una nave dall'America all'Europa, avrebbe una infinità di tragitti, oltre a poter scegliere fra tanti porti di partenza e di arrivo. Il cammino tradizionale è così, infinitamente possibile, perché contiene la molteplicità dell'essere incarnato. Il fatto che la maggior parte dei culti e dei cammini spirituali e religiosi abbia la trascendenza come meta finale, si declina come la salita verso una vetta, essa avviene su una base di 360º gradi, a seconda di dove si proviene e da qual punto si parte. Sì che si accetti il concetto di reincarnazione e relativa legge di causalità, è autoevidente che in natura non ci sono enti identicamente eguali, ma ciascuno originale e unico, dissimile da ogni altro. Non due gocce d'acqua, non due cristalli di neve, non due gemelli. Ciascuno si muove su vie diverse, interiori ed esteriori, temporali e spaziali.
Così, nonostante un percorso tradizionale sia codificato, esso si mostra plurimo e diverso; né viene solitamente declinato in ogni suo aspetto, onde evitare che le menti se ne impadroniscano in una serie di concettualizzazioni che finiscono per trasformare la legge di Dio in leggi di Cesare con tutte le conseguenze che ne seguono e che possiamo vedere ben esperesse nei regimi teocratici.
D'altra parte, se lei è qui ha abbandonato la pletora di istruttori e pseudo maestri che le illustrano la loro verità superiore a quella altrui, così come ha abbandonato i percorsi comuni a pagamento o quelli del "dobbiamo essere sepolcri imbiancati, costi quel che costi", qui pur nel gruppo è solo ed è lei a dover fare il suo percorso, secondo il suo varnasrama (potenzialità e possibilità).



Ramana Maharshi - Inni ad Arunachala. Otto strofe

6. Solo Tu esisti, O Cuore, emanazione di Coscienza. In Te c’è un misterioso potere che senza di Te è nulla. Da questo potere di manifestazione sorge, insieme con un percipiente, una serie di sottili pensieri oscuri che, alla luce riflessa della mente nel vortice del prarabdha, appaiono all’interno come ombre confuse del mondo e all’esterno come il mondo percepito dai cinque sensi, come un film proiettato da un obiettivo. Che siano percepiti o meno, questi pensieri non sono altro che Te, o Montagna di Grazia.



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cielo
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Re: Maestro e discepolo - dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 09/07/2022, 18:07

«Per la Māṇḍūkya Upaniṣad il Maestro è colui che, versato nei Veda, è assorto nell’Assoluto (1, 2, 12), per la Chāndogya Upaniṣad è colui che rimuove le bende dagli occhi e indirizza il discepolo (6, 14, 2).
Per la Taittirīya Upaniṣad il Maestro è colui che prosegue il lignaggio ammonendo di non interromperlo (1, XI, 1)».


Premadharma
Hanno scritto per i discepoli

(da dialoghi privati)

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