Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

Il dialogo dIstruzione

La via della conoscenza: la discriminazione della realtà di ogni contenuto o inferenza, nel distacco della presenza.
Mauro
Messaggi: 1116
Iscritto il: 02/10/2016, 15:06

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da Mauro » 26/12/2016, 15:13

latriplice ha scritto: La liberazione è la comprensione che tu non sei lo sperimentatore ma la consapevolezza, il Testimone non-sperimentatore.
Secondo me tutto si gioca sul significato del termine "comprensione"

Avatar utente
cannaminor
Messaggi: 247
Iscritto il: 31/08/2016, 17:40

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da cannaminor » 26/12/2016, 16:48

latriplice ha scritto:Interessante ed appassionata dissertazione, comunque reca in se una imprecisazione:
Cannaminor ha scritto:

La consapevolezza che testimonia la sfera coscienziale e ciò che in essa appare, testimonia sia ciò che è reale ma anche ciò che non lo è (apparente - non reale).
Non c'è una sola persona al mondo che non abbia detto: io penso (intelletto), io sento (mente-emozioni), io faccio (ego). Queste tre dichiarazioni sono evidenti esempi di sovrapposizione. Districarsi dagli oggetti (stati fisici-emozionali-intellettuali) che appaiono in noi (quella parte della consapevolezza identificata all'upadhi) è un duro lavoro, perché la confusione sembra così naturale. Abbiamo vissuto vite indiscriminate fin dalla fanciullezza e ora ci viene chiesto di mettere in discussione quelle stesse premesse sulle quali la nostra identità è fondata.
Hai ragione, è vero, non si può testimoniare la realtà, la si può solo essere. C'è una frase di nisargadatta che diceva qualcosa del tipo:
Puoi conoscere solo ciò che non sei; ciò che sei lo puoi solo essere.
latriplice ha scritto: La sovrapposizione (confondere il reale con l'apparente) inutile dirlo, causa sofferenza. Vogliamo tutti esserne liberi. Non c'è alcun beneficio nel pensare che qualche esperienza trascendentale e mistica possa prendersi cura di questo problema, perché l'ignoranza e la sovrapposizione sono fortemente radicate.

Perché è da ignoranti dire io penso, io sento, io faccio (in altre parole mi testimonio per quello che sono come da tua esortazione)? Perché c'è soltanto un non-duale "Io", e non ha né corpo né mente, pertanto non pensa, non sente e non fa. Il pensare, il sentire e l'agire appartengono alla realtà apparente (mithya). Esse appartengono al Corpo Sottile (mente-intelletto-ego) non alla consapevolezza. Noi consapevolezza siamo sempre liberi dal Corpo Sottile, dalle esperienze che avvengono in esse inclusi i vari samadhi o stati di unione con il Sé.

Quando diciamo che siamo liberi significa che è qualcosa (il corpo sottile) altro da me (la consapevolezza). E' qualcosa altro da me perché è conosciuto da me (incluso i bisogni espletati in bagno o il nivirkalpa samadhi). Tu non sei ciò che conosci. Quello che conosci è te ma tu non sei esso. Tu sei il conoscitore.

Il Corpo sottile è il luogo in cui avviene l'esperienza. Non ha luogo nella Consapevolezza. Essa appare nella consapevolezza come un sogno appare al jiva dormiente, ma non influisce in alcun modo sulla consapevolezza.

Quando pensi che qualcosa sia successa a te, significa che manchi di discriminazione. Hai confuso te stesso (la consapevolezza) con lo sperimentatore, il Corpo Sottile, che è influenzata dall'esperienza (ecco dove subentra la concezione dell'io-agente).

La liberazione (moksha) non riguarda il rendere lo sperimentatore (il Corpo Sottile) "distaccato", come molti credono, conquistandosi così la libertà. Lo sperimentatore è sempre attaccato all'esperienza.

La liberazione è la comprensione che tu non sei lo sperimentatore ma la consapevolezza, il Testimone non-sperimentatore. Quando questo viene compreso la sofferenza cessa. La sofferenza sono i lamenti mentali ed emozionali che aggiungi agli eventi che fanno parte della tua vita.
cannaminor ha scritto:
Ramana, a 16 anni ci mise mezz'ora di tempo a realizzare il Sè, a portare a termine quella discriminazione tra ciò che non era e (svelando-realizzando) ciò che era, ma questo (è) Ramana. E come lui ben pochi "realizzati", "illuminati" etc.
Ormai dovrebbe esserti chiaro che il Vedanta non è un viaggio nello spazio-tempo, in cui gli aspiranti si cimentano per abbattere i tempi della realizzazione. Il Vedanta è un viaggio dall'ignoranza alla Conoscenza.
Sì, però nel momento in cui dici è un viaggio dall'ignoranza alla Conoscenza (da - a) poni sempre una condizione duale e quindi in divenire.

Vedi quando dici:
"La liberazione è la comprensione che tu non sei lo sperimentatore ma la consapevolezza, il Testimone non-sperimentatore "
condivido l'affermazione, la trovo corretta, ma parimenti stai di fatto affermando che è la stessa consapevolezza che prende consapevolezza (comprensione) di essere consapevolezza. Che poi la chiami in un secondo momento Testimone non-sperimentatore, sempre della consapevolezza stiamo parlando.

Quindi liberazione è essere consapevoli di essere? se vuoi le metto in maiuscolo, ma non credo che cambi la sostanza. Al di là quindi di ogni sperimentazione, sperimentato e sperimentatore.

Se è quello che affermi lo condivido, ma resta sempre il problema dello sperimentatore, se vogliamo chiamarlo così, di colui che si identifica e ciò facendo diventa e si crede agente e sperimentatore dell'esperienza e dello sperimentato.

Costui chi è, cosa è? Ma ancor più la domanda è, il che relazione sta "costui" con la consapevolezza di cui prima? Anche che fosse meramente accidentale come magari è, una qualche relazione tra la consapevolezza e lo sperimenatore tu la ravvisi oppure no?
latriplice ha scritto: Pertanto quando ti riferisci a Ramana cosa intendi? Quella parte del Sé (jiva) ignorante della propria natura in quanto Brahman o al Corpo Sottile l'oggetto della propria identificazione?
Ti rispondo che le due coincidono, la parte dimentica e ignorante della sua natura è proprio quella che sperimenta e si identifica nel mondo (IMHO)

latriplice
Messaggi: 624
Iscritto il: 05/12/2016, 14:19

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da latriplice » 28/12/2016, 1:37

Cannaminor ha scritto:

Hai ragione, è vero, non si può testimoniare la realtà, la si può solo essere. C'è una frase di Nisargadatta che diceva qualcosa del tipo:
Puoi conoscere solo ciò che non sei; ciò che sei lo puoi solo essere.
L'altro giorno passando in cucina ho notato una pila di piatti sporchi adagiati nel lavello, e prima di lavarli ho preso in considerazione una lunga serie di azioni necessarie alla loro pulizia. Innanzitutto la consapevolezza nella forma di attenzione fluisce all'esterno attraverso gli occhi fino a permeare l'intero lavello. Questo produce il pensiero: "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò". Per lavare i piatti sono necessarie le mani. Ma le mani non possono muoversi da sole. Esse richiedono energia. Devo respirare ed il sangue circolare attraverso il mio corpo. Da dove proviene l'energia? Essa non si crea da sola e non è cosciente pertanto non può pensare il pensiero che causò l'azione. Il pensiero "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò" fornisce l'energia. Pertanto qualunque azione ha luogo sono un prodotto della conoscenza. Ma neanche il pensiero è cosciente. Dove prende l'energia per muovere gli organi? Il pensiero provenne dal corpo causale, ma anche esso è inerte. E' solo capace di produrre pensiero perché è illuminata dalla consapevolezza, che è una delle tante ragioni per cui non sei l'agente. Se un qualsiasi fare ha luogo, la coscienza che illumina il corpo causale è l'agente. La sua stessa presenza è causa di movimento.
"Il Padre che rimane in me, compie le sue opere (Giovanni 14,10)".
Se, mentre stai leggendo questo ti ritrovi a pensare: " E allora?" o "Già lo sapevo", hai bisogno di riflettere profondamente su questa conoscenza e non considerarla come mera informazione, se lo fai commetti un errore. L'auto-conoscenza (jnana) da sola è in grado di trasformare la tua vita perché non è separata dalla verità. La verità libera. La riflessione è richiesta per convertire l'informazione in auto-conoscenza, e questa avviene al livello dell'intelletto (buddhi). Quando il significato dell'auto-conoscenza viene compreso avviene una trasformazione, un qualitativo spostamento nella tua visione. Non sei più costretto da una visione egocentrica della realtà. Non è comunque completamente corretto dire che fu la conoscenza a causare la trasformazione, sebbene lo sembri. La conoscenza rimuove l'ignoranza e l'intelletto libera dal suo senso di limitazione, si conforma alla verità di ciò che realmente siamo. Quando questo succede la sofferenza cessa.

Pertanto la conoscenza non solo causa karma, ma anche la liberazione. L'auto-conoscenza è assoluta e non può essere negata. Perché? C'è mai un momento che tu non sia questa consapevolezza? Nel caso delle stoviglie sporche, la trasformazione causata dalla conoscenza era puramente in termini della rimozione del cibo. L'auto-conoscenza invece cambia la relazione dell'intelletto nei confronti del Sé. Essa dimostra all'intelletto che non è separata dalla sua sorgente.
Cannaminor ha scritto:

Sì, però nel momento in cui dici è un viaggio dall'ignoranza alla Conoscenza (da - a) poni sempre una condizione duale e quindi in divenire.
Quando scopri per ignoranza di aver scambiato la corda per il serpente, dov'é il serpente? C'è mai stato un serpente? La dualità è solo una convinzione dell'intelletto che non ha mai messo in discussione.
Cannaminor ha scritto:

Vedi quando dici: "La liberazione è la comprensione che tu non sei lo sperimentatore ma la consapevolezza, il Testimone non-sperimentatore "
condivido l'affermazione, la trovo corretta, ma parimenti stai di fatto affermando che è la stessa consapevolezza che prende consapevolezza (comprensione) di essere consapevolezza. Che poi la chiami in un secondo momento Testimone non-sperimentatore, sempre della consapevolezza stiamo parlando.

Quindi liberazione è essere consapevoli di essere? se vuoi le metto in maiuscolo, ma non credo che cambi la sostanza. Al di là quindi di ogni sperimentazione, sperimentato e sperimentatore.

Se è quello che affermi lo condivido, ma resta sempre il problema dello sperimentatore, se vogliamo chiamarlo così, di colui che si identifica e ciò facendo diventa e si crede agente e sperimentatore dell'esperienza e dello sperimentato.

Costui chi è, cosa è? Ma ancor più la domanda è, il che relazione sta "costui" con la consapevolezza di cui prima? Anche che fosse meramente accidentale come magari è, una qualche relazione tra la consapevolezza e lo sperimentatore tu la ravvisi oppure no?

L'aspetto paradossale di tutta questa faccenda della liberazione è che è un processo che inizia dall'ego alla ricerca della liberazione che conduce infine alla comprensione che la liberazione non è per l'ego, ma dall'ego. In altre parole attraverso il meccanismo dell'intelletto che assimila l'auto-conoscenza, la consapevolezza identificata al corpo sottile (mente-intelletto-ego) riscopre se stessa in quanto scevra da tale identificazione. Cessa semplicemente l'identificazione con l'entità limitata e separata che erroneamente credeva di essere. Pertanto l'intelletto è il veicolo della liberazione. E ancora più paradossale è il fatto che tutto questo processo avviene nella realtà apparente (maya) di cui la consapevolezza-brahman è il testimone non sperimentatore. Questo perché l'ignoranza di cui la consapevolezza era apparentemente affetta non è mai stata reale.

Fatte queste considerazioni possiamo quindi affermare che qualcuno di fatto possa illuminarsi? E anche se ciò fosse possibile c'è mai stato un momento in cui non si era questa luce (la consapevolezza) in presenza della quale gli oggetti grossolani, sottili e causali giungono in esistenza? Pertanto se qualcuno afferma che si è illuminato come conseguenza di una particolare esperienza non-duale, significa forse che non lo era (la luce) prima che tale esperienza avesse luogo? Se tu sei questa luce della consapevolezza appare ovvio che non c'è mai stato un momento che tu fossi immerso nell'oscurità e che l'istanza di illuminarsi neanche si pone. Qual'è allora il punto cruciale di questa faccenda concernente l'illuminazione?

E' una riscoperta, è la conoscenza che tu sei e che sei sempre stato l'ordinaria, imperturbabile consapevolezza non-agente e non-duale che è illuminazione, e questo riscoprirsi avviene al livello dell'intelletto (buddhi), perché è quest'ultima in particolare che intrattiene la nozione di essere una entità separata, limitata ed inadeguata e che per sopperire a tale carenza costringa l'intero complesso corpo-mente-sensi a rincorrere gli oggetti (relazioni, persone e cose) in samsara e pertanto a causare la sofferenza tipica dell'essere umano.

Se qualcuno trova questo intervento troppo intellettuale e serba nel cuore la non meno intellettuale concezione che è sufficiente sedersi in silenzio alla presenza di una grande anima illuminata per illuminarsi, sappia almeno che il silenzio non è l'antidoto all'ignoranza, ma la conoscenza espressa a parole lo è.

Mauro
Messaggi: 1116
Iscritto il: 02/10/2016, 15:06

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da Mauro » 28/12/2016, 7:14

latriplice ha scritto:L'altro giorno passando in cucina ho notato una pila di piatti sporchi adagiati nel lavello, e prima di lavarli ho preso in considerazione una lunga serie di azioni necessarie alla loro pulizia. Innanzitutto la consapevolezza nella forma di attenzione fluisce all'esterno attraverso gli occhi fino a permeare l'intero lavello. Questo produce il pensiero: "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò". Per lavare i piatti sono necessarie le mani. Ma le mani non possono muoversi da sole. Esse richiedono energia. Devo respirare ed il sangue circolare attraverso il mio corpo. Da dove proviene l'energia? Essa non si crea da sola e non è cosciente pertanto non può pensare il pensiero che causò l'azione. Il pensiero "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò" fornisce l'energia. Pertanto qualunque azione ha luogo sono un prodotto della conoscenza. Ma neanche il pensiero è cosciente. Dove prende l'energia per muovere gli organi? Il pensiero provenne dal corpo causale, ma anche esso è inerte. E' solo capace di produrre pensiero perché è illuminata dalla consapevolezza, che è una delle tante ragioni per cui non sei l'agente. Se un qualsiasi fare ha luogo, la coscienza che illumina il corpo causale è l'agente. La sua stessa presenza è causa di movimento.
Chiedo venia ma questo è puro concettualismo, latriplice! Avere consapevolezza dei propri atti non è sezionarli nelle loro cause e concause! È viverli nel presente. Imho.

Avatar utente
NowHere
Messaggi: 151
Iscritto il: 03/12/2016, 21:08
Località: Napoli

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da NowHere » 28/12/2016, 8:59

Domanda: la buddhi è un veicolo "inerte" come il corpo causale, oppure è parte della consapevolezza?

Riflettendo e cercando di evocare una risposta, mi viene l'immagine che è anch'essa un veicolo che IO non sono perché la testimonio.

cielo
Messaggi: 897
Iscritto il: 01/10/2016, 20:34

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da cielo » 28/12/2016, 9:05

latriplice ha scritto:
Cannaminor ha scritto:

Hai ragione, è vero, non si può testimoniare la realtà, la si può solo essere. C'è una frase di Nisargadatta che diceva qualcosa del tipo:
Puoi conoscere solo ciò che non sei; ciò che sei lo puoi solo essere.
L'altro giorno passando in cucina ho notato una pila di piatti sporchi adagiati nel lavello, e prima di lavarli ho preso in considerazione una lunga serie di azioni necessarie alla loro pulizia. Innanzitutto la consapevolezza nella forma di attenzione fluisce all'esterno attraverso gli occhi fino a permeare l'intero lavello. Questo produce il pensiero: "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò". Per lavare i piatti sono necessarie le mani. Ma le mani non possono muoversi da sole. Esse richiedono energia. Devo respirare ed il sangue circolare attraverso il mio corpo. Da dove proviene l'energia? Essa non si crea da sola e non è cosciente pertanto non può pensare il pensiero che causò l'azione. Il pensiero "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò" fornisce l'energia. Pertanto qualunque azione ha luogo sono un prodotto della conoscenza. Ma neanche il pensiero è cosciente. Dove prende l'energia per muovere gli organi? Il pensiero provenne dal corpo causale, ma anche esso è inerte. E' solo capace di produrre pensiero perché è illuminata dalla consapevolezza, che è una delle tante ragioni per cui non sei l'agente. Se un qualsiasi fare ha luogo, la coscienza che illumina il corpo causale è l'agente. La sua stessa presenza è causa di movimento.
"Il Padre che rimane in me, compie le sue opere (Giovanni 14,10)".
Se, mentre stai leggendo questo ti ritrovi a pensare: " E allora?" o "Già lo sapevo", hai bisogno di riflettere profondamente su questa conoscenza e non considerarla come mera informazione, se lo fai commetti un errore. L'auto-conoscenza (jnana) da sola è in grado di trasformare la tua vita perché non è separata dalla verità. La verità libera. La riflessione è richiesta per convertire l'informazione in auto-conoscenza, e questa avviene al livello dell'intelletto (buddhi). Quando il significato dell'auto-conoscenza viene compreso avviene una trasformazione, un qualitativo spostamento nella tua visione. Non sei più costretto da una visione egocentrica della realtà. Non è comunque completamente corretto dire che fu la conoscenza a causare la trasformazione, sebbene lo sembri. La conoscenza rimuove l'ignoranza e l'intelletto libera dal suo senso di limitazione, si conforma alla verità di ciò che realmente siamo. Quando questo succede la sofferenza cessa.

Pertanto la conoscenza non solo causa karma, ma anche la liberazione. L'auto-conoscenza è assoluta e non può essere negata. Perché? C'è mai un momento che tu non sia questa consapevolezza? Nel caso delle stoviglie sporche, la trasformazione causata dalla conoscenza era puramente in termini della rimozione del cibo. L'auto-conoscenza invece cambia la relazione dell'intelletto nei confronti del Sé. Essa dimostra all'intelletto che non è separata dalla sua sorgente.
Cannaminor ha scritto:

Sì, però nel momento in cui dici è un viaggio dall'ignoranza alla Conoscenza (da - a) poni sempre una condizione duale e quindi in divenire.
Quando scopri per ignoranza di aver scambiato la corda per il serpente, dov'é il serpente? C'è mai stato un serpente? La dualità è solo una convinzione dell'intelletto che non ha mai messo in discussione.
Cannaminor ha scritto:

Vedi quando dici: "La liberazione è la comprensione che tu non sei lo sperimentatore ma la consapevolezza, il Testimone non-sperimentatore "
condivido l'affermazione, la trovo corretta, ma parimenti stai di fatto affermando che è la stessa consapevolezza che prende consapevolezza (comprensione) di essere consapevolezza. Che poi la chiami in un secondo momento Testimone non-sperimentatore, sempre della consapevolezza stiamo parlando.

Quindi liberazione è essere consapevoli di essere? se vuoi le metto in maiuscolo, ma non credo che cambi la sostanza. Al di là quindi di ogni sperimentazione, sperimentato e sperimentatore.

Se è quello che affermi lo condivido, ma resta sempre il problema dello sperimentatore, se vogliamo chiamarlo così, di colui che si identifica e ciò facendo diventa e si crede agente e sperimentatore dell'esperienza e dello sperimentato.

Costui chi è, cosa è? Ma ancor più la domanda è, il che relazione sta "costui" con la consapevolezza di cui prima? Anche che fosse meramente accidentale come magari è, una qualche relazione tra la consapevolezza e lo sperimentatore tu la ravvisi oppure no?

L'aspetto paradossale di tutta questa faccenda della liberazione è che è un processo che inizia dall'ego alla ricerca della liberazione che conduce infine alla comprensione che la liberazione non è per l'ego, ma dall'ego. In altre parole attraverso il meccanismo dell'intelletto che assimila l'auto-conoscenza, la consapevolezza identificata al corpo sottile (mente-intelletto-ego) riscopre se stessa in quanto scevra da tale identificazione. Cessa semplicemente l'identificazione con l'entità limitata e separata che erroneamente credeva di essere. Pertanto l'intelletto è il veicolo della liberazione. E ancora più paradossale è il fatto che tutto questo processo avviene nella realtà apparente (maya) di cui la consapevolezza-brahman è il testimone non sperimentatore. Questo perché l'ignoranza di cui la consapevolezza era apparentemente affetta non è mai stata reale.

Fatte queste considerazioni possiamo quindi affermare che qualcuno di fatto possa illuminarsi? E anche se ciò fosse possibile c'è mai stato un momento in cui non si era questa luce (la consapevolezza) in presenza della quale gli oggetti grossolani, sottili e causali giungono in esistenza? Pertanto se qualcuno afferma che si è illuminato come conseguenza di una particolare esperienza non-duale, significa forse che non lo era (la luce) prima che tale esperienza avesse luogo? Se tu sei questa luce della consapevolezza appare ovvio che non c'è mai stato un momento che tu fossi immerso nell'oscurità e che l'istanza di illuminarsi neanche si pone. Qual'è allora il punto cruciale di questa faccenda concernente l'illuminazione?

E' una riscoperta, è la conoscenza che tu sei e che sei sempre stato l'ordinaria, imperturbabile consapevolezza non-agente e non-duale che è illuminazione, e questo riscoprirsi avviene al livello dell'intelletto (buddhi), perché è quest'ultima in particolare che intrattiene la nozione di essere una entità separata, limitata ed inadeguata e che per sopperire a tale carenza costringa l'intero complesso corpo-mente-sensi a rincorrere gli oggetti (relazioni, persone e cose) in samsara e pertanto a causare la sofferenza tipica dell'essere umano.

Se qualcuno trova questo intervento troppo intellettuale e serba nel cuore la non meno intellettuale concezione che è sufficiente sedersi in silenzio alla presenza di una grande anima illuminata per illuminarsi, sappia almeno che il silenzio non è l'antidoto all'ignoranza, ma la conoscenza espressa a parole lo è.
La tua visione filosofica è molto profonda e ben circostanziata da autorevoli Riferimenti, ma esaurire la dualità tra bene e male, azione e inazione, parole e silenzio, virtù e vizio, è sempre e solo opera personale in cui progressivamente viene abbandonato ogni strumento o tecnica ascetica (compresi meditazione o tentativi di connessione con la Grazia del Guru, sempre disponibile essendo l'imperituro Sè).
L'abbandono è implicito dalla consapevolezza che ogni strumento è sempre e comunque parte della dualità del mondo fenomenico in cui siamo immersi come girini (future ranocchie) nello stagno dell'incarnazione, o samsara.
Quando ogni differenziazione interiore si è esaurita e nulla si contrappone interiormente per creare quella separazione che dia consistenza a ciò che si crede reale (l'io sono tal dei tali) viene spontaneamente meno ogni possibile disquisizione sulla Verità e sulla sua natura.
Pur se osservati i fenomeni interiori continuano ad apparire e prendere coscienza che non sono che il riverbero di un qualunque fenomeno esterno è da mettere in pratica.
Quando i fenomeni non reali si dissolvono spontaneamente e istantaneamente si comincia a intravedere lo schermo e l'apparenza di ogni fenomeno, ma rimanere stabilizzati sullo schermo implica un lungo viaggio in cui la solitudine può essere pesante se non si ha un po' di luce per intravedere dove ci porterà il prossimo passo.

latriplice
Messaggi: 624
Iscritto il: 05/12/2016, 14:19

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da latriplice » 29/12/2016, 15:36

Mauro ha scritto:
latriplice ha scritto:L'altro giorno passando in cucina ho notato una pila di piatti sporchi adagiati nel lavello, e prima di lavarli ho preso in considerazione una lunga serie di azioni necessarie alla loro pulizia. Innanzitutto la consapevolezza nella forma di attenzione fluisce all'esterno attraverso gli occhi fino a permeare l'intero lavello. Questo produce il pensiero: "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò". Per lavare i piatti sono necessarie le mani. Ma le mani non possono muoversi da sole. Esse richiedono energia. Devo respirare ed il sangue circolare attraverso il mio corpo. Da dove proviene l'energia? Essa non si crea da sola e non è cosciente pertanto non può pensare il pensiero che causò l'azione. Il pensiero "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò" fornisce l'energia. Pertanto qualunque azione ha luogo sono un prodotto della conoscenza. Ma neanche il pensiero è cosciente. Dove prende l'energia per muovere gli organi? Il pensiero provenne dal corpo causale, ma anche esso è inerte. E' solo capace di produrre pensiero perché è illuminata dalla consapevolezza, che è una delle tante ragioni per cui non sei l'agente. Se un qualsiasi fare ha luogo, la coscienza che illumina il corpo causale è l'agente. La sua stessa presenza è causa di movimento.
Chiedo venia ma questo è puro concettualismo, latriplice! Avere consapevolezza dei propri atti non è sezionarli nelle loro cause e concause! È viverli nel presente. Imho.
Puro concettualismo? Parlerei piuttosto di una sana e illuminante constatazione.

Alla vista delle stoviglie sporche si è attivata una particolare vasana per le pulizie che giaceva in potenza nel Corpo Causale che si è manifestata nel corpo sottile sottoforma del pensiero: "Ci sono delle stoviglie sporche e adesso le pulirò". La conoscenza che implicitamente indica la presenza della consapevolezza ha attivato una predisposizione inconscia immagazzinata nel Corpo Causale che a sua volta ha prodotto nel corpo sottile (mente, intelletto, ego) il pensiero che ha sua volta ha innescato una emozione per trasformare tale pensiero in azione ed infine a chiudere l'intero ciclo e ultimo anello della catena, l'attribuzione della paternità dell'azione da parte del pagliaccio al centro del palcoscenico a prendersi l'applauso (ego). Si chiama karma. Pura e semplice constatazione.

La pressione che avvertiamo in presenza di un flusso inarrestabile di pensieri, attrazioni, repulsioni, paure e desideri è la diretta conseguenza di tendenze inconsce che premono incessantemente per manifestarsi e generare il karma. E' un processo del tutto impersonale e l'orientamento che l'azione prende dipende da quale guna è prevalente nel Corpo Causale.

Dalla prospettiva dell'intelletto, e' egli stesso che riflette, discrimina e delibera, dando l'impressione che sia lui a decidere alimentando di conseguenza quella malsana idea del libero arbitrio e che il karma gli appartenga.

Dalla prospettiva della consapevolezza invece è l'intelletto che riflette, discrimina e delibera perché è programmato a farlo in quanto meccanismo di una immensa macchina che è il campo dharmico (Ishwara, maya, triguna).

Tra le tante vasane disponibili ma non opzionabili, perché non sta a noi in quanto corpi sottili decidere quali vasana portare in espressione, c'è quella dell'istanza alla ricerca interiore, quella che ci ha condotti qui.

Mauro
Messaggi: 1116
Iscritto il: 02/10/2016, 15:06

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da Mauro » 29/12/2016, 16:04

Ti è capitato mai, latriplice, durante la meditazione, di avvertire il corpo sempre più pesante o sempre più esteso e per questo «perderne il controllo"?
Ecco, quando dico: "concettualizzare" un singolo atto, intendo quell'analizzare gli aspetti che lo contraddistinguono secondo lo schema mentale, che non può cogliere questi aspetti tutti insieme ma in sequenza, e il loro "sezionamento" crea quella sensazione di "pesantezza" o di "espansione" di cui parlavo sopra a proposito del corpo, per cui l'atto risulta "congelato", a partire dal momento in cui lo si "seziona", come nel paradosso di Zenone, e il cui risultato è l'opposto della consapevolezza dell'atto stesso, che, a mio avviso, si deve avere nel cogliere l'atto nell'istante in cui si compie, in una sintesi.

latriplice
Messaggi: 624
Iscritto il: 05/12/2016, 14:19

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da latriplice » 29/12/2016, 16:20

Scusami Mauro,

Nella mia analisi stavo applicando il metodo raccomandato dal Vedanta: l'auto - indagine.

Mauro
Messaggi: 1116
Iscritto il: 02/10/2016, 15:06

Re: Il dialogo dIstruzione

Messaggio da Mauro » 29/12/2016, 16:31

latriplice ha scritto:Scusami Mauro,

Nella mia analisi stavo applicando il metodo raccomandato dal Vedanta: l'auto - indagine.
Allora ho compreso male perchè quella che hai descritto, da come l'ho letta io, non appare come una indagine interiore, ma esteriore, cioè di discriminazione analitica degli elementi costituenti un atto.

Rispondi