Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
Si raccomanda di tenere il forum libero da conflittualità e oscurità di ogni genere.
Grazie

La ricerca interiore attraverso l’osservazione

La via della conoscenza: la discriminazione della realtà di ogni contenuto o inferenza, nel distacco della presenza.
Rispondi
Blu Jiva
Messaggi: 41
Iscritto il: 08/11/2016, 15:05

La ricerca interiore attraverso l’osservazione

Messaggio da Blu Jiva » 13/11/2016, 14:39

Da sempre i Maestri parlano dell’importanza dell’osservazione nella vita di ogni giorno.
Raphael spiega l’osservazione attraverso il procedimento alchemico, quasi accompagna il lettore passo-passo sull’atteggiamento da assumere per una corretta osservazione, suggerendo di prestare attenzione all’attimo presente. Yogananda, attraverso l’incontro con un saggio, ci rende partecipi della scoperta straordinaria dell’introspezione, dell’osservare se stessi per scoprire la reale Essenza.
LA TRIPLICE VIA DEL FUOCO – Raphael [pag. 31/32 Fuoco di Vita 'Sutra 43' Edizioni Åśram Vidyå]
L’osservazione deve essere diretta alle “reazioni”, alle istanze che nascono in te da un determinato stimolo, più che allo strumento di contatto del Centro mercuriale. Così, osserva l’energia-piacevolezza della golosità come nasce, come si precipita nel conscio e come si matura fino all’espressione oggettiva.
Osserva l’energia del fuoco sessuale come nasce, come ti prende, come ti costringe, come ti abbatte.
Osserva come il fuoco dell’autoaffermazione, o della vanità, ecc., nasce, si matura e ti determina.
Osserva la “brama” e la “sete” di esperienze individuate.
Nella pura osservazione, il fuoco mentale deve tacere, i suoi raggi devono risolversi; la discorsività impedisce la pura osservazione. Il pensiero “apre”, quindi chiudi ermeticamente la porta.
Se ascolti un brano di musica, devi solo ascoltare senza interferenze discorsive, diversamente non ascolti. Sii attento, profondamente attento all’attimo presente.
Né devi perderti nell’oggetto di osservazione; devi essere solo consapevole dell’evento e del processo alchemico. Devi, innanzitutto, avere il coraggio di osservare per via diretta e non per via indiretta mediante i sensi, i fuochi fatui che hai acceso e alimentato. Ciò costituisce la “discesa agli inferi” (katabasis). È l’“Opera al Nero”, è la Nigredo. Il nostro “seme” deve essere interrato, deve “morire” per poi rinascere a nuova vita.
Prima di operare la “separazione” completa, devi rettificare la “sostanza”, appesantita e resa piombo dalla coagulazione di potenze qualificate, e “fissare” il Centro-coscienza mercuriale, o il Fuoco mercuriale.
Sappi che le fasi preliminari sono le più importanti, ma spesso vengono sottovalutate, per cui si arriva all’apertura della Porta senza adeguata Dignità.
Se osservi e credi di essere travolto dal morso del “Drago squamoso”, non andare oltre; riconosci di non essere pronto. Continuare l’Opera significherebbe farti inflazionare dalla moltitudine caotica delle proiezioni del Drago. Per iniziare a estrarre l’Oro dalla propria “caverna” occorre un minimo di Solarità, mancando la quale l’Opera porterà di certo gravi conseguenze.
D’altra parte, questo Drago devi affrontarlo perché esso dà inizio all’Opera, in esso giacciono in potenza i materiali alchemici o filosofici.

AUTOBIOGRAFIA DI UNO YOGI – Paramahansa Yogananda [pag. 49/50/51 Edizioni Astrolabio)
[…] «Dio è semplice. Ogni altra cosa è complessa. Non cercare valori assoluti nel mondo relativo della natura».
Queste perentorie considerazioni filosofiche, espresse con voce sommessa, mi giunsero all’orecchio mentre contemplavo in un tempio l’immagine di Kali. Mi voltai e mi trovai faccia a faccia con un uomo alto, il cui abbigliamento, o meglio la cui mancanza di abbigliamento, rivelava trattarsi di un sadhu errante.
«Siete proprio riuscito a leggere i miei pensieri e a comprendere lo sconcerto che provo!», esclamai, sorridendo con gratitudine. «La coesistenza disordinata degli aspetti benevoli e di quelli terribili della natura, simboleggiata dalla dea Kali, ha confuso menti assai più sagge della mia!».
«Pochi sono coloro che risolvono il suo mistero! Il bene e il male sono l’enigma che la vita, come una sfinge, sottopone all’intelligenza umana. Poiché la maggior parte degli uomini non cerca la soluzione, paga con la propria vita, oggi, così come ai tempi di Tebe. Di tanto in tanto emerge una figura solitaria che non accetta la sconfitta, e dalla dualità di maya riesce a cogliere la verità indivisibile dell’unità».
«Parlate con molta convinzione, signore».
«Mi sono a lungo dedicato a un’imparziale introspezione, metodo squisitamente doloroso per accostarsi alla saggezza. L’esame scrupoloso di se stessi, l’inesorabile analisi dei propri pensieri, è un’esperienza dura e sconvolgente, capace di ridurre in polvere l’ego più tenace. Ma la vera autoanalisi rende matematicamente saggi. Il metodo della libera “espressione di se stessi” e della ricerca di riconoscimenti personali, invece, fa diventare egoisti, convinti di avere il diritto di dare la propria interpretazione personale di Dio e dell’universo».
«Non c’è dubbio: la verità si ritrae umilmente dinanzi a una originalità così arrogante». Cominciavo ad appassionarmi alla discussione.
«L’uomo non è in grado di comprendere le verità eterne finché non si libera di ogni falsa pretesa. La mente umana, se messa a nudo fino a rivelare la melma accumulata nei secoli, brulica di creature ripugnanti: le innumerevoli illusioni terrene. Le lotte sui campi di battaglia diventano insignificanti, se paragonate ai conflitti di colui che affronta per la prima volta i nemici interiori! Questi non sono avversari umani, che si lasciano sopraffare da un terribile spiegamento di forze! Onnipresenti, infaticabili, ossessionanti perfino nel sonno, subdolamente muniti di armi mefitiche, questi soldati, i nostri ciechi desideri, cercano di annientarci tutti. Stolto è colui che seppellisce i propri ideali per arrendersi al destino comune. Chi è mai costui, se non una creatura imponente, insensibile, spregevole».
“Rispettabile signore, non provate compassione per le masse insicure e confuse?».
Il saggio tacque per un istante, poi rispose indirettamente.
«Spesso è sconcertante poter amare sia il Dio indivisibile, custode di tutte le virtù, sia l’uomo visibile, che sembra non possederne alcuna! Ma l’ingegnosità dell’uomo è pari al suo sgomento. La ricerca interiore ben presto rivela l’esistenza di un elemento che accomuna ogni mente umana: il profondo vincolo del movente egoistico. In questo senso, almeno, si manifesta la fratellanza fra gli uomini. Tale scoperta suscita in noi un’attonita umiltà, che si trasforma in compassione per i nostri simili incapaci di vedere le forze risanatrici dell’anima che attendono di essere scoperte».
«I santi di ogni tempo, signore, hanno provato gli stessi sentimenti che provate voi per le sofferenze del mondo».
«Solo una persona superficiale può rimanere insensibile di fronte alle sventure che turbano la vita dei propri simili, perché è immersa nel mondo ristretto delle proprie sofferenze». Il viso austero del sadhu si era notevolmente addolcito. «Colui che usa il bisturi dell’introspezione per analizzare se stesso con inesorabile severità sentirà espandersi dentro di sé la compassione per il mondo intero e sarà libero dalle assordanti richieste dell’ego. L’amore di Dio fiorisce su questo terreno. La creatura si rivolge finalmente al suo Creatore, se non altro per porgli, angosciata, questa domanda: “Perché, Signore, perché?”. Sotto le sferzate degradanti del dolore, l’uomo è sospinto infine verso la Presenza infinita, la cui bellezza dovrebbe da sola bastare ad attirarlo a Sé».[…]

Rispondi