Sul Sonno, sul Sogno e sulla Veglia
Inviato: 29/12/2019, 9:57
Volevo parlare del Sonno, del Sogno e della Veglia e del senso e significato che hanno assunto negli anni nel cammino percorso. Cominciamo da una condizione ordinaria di un soggetto, chiamiamolo “marco” che come tutti gli individui qualche volta sogna, talaltra no, ha solo dormito senza sognare (sonno) e per lo più è sveglio nella veglia.
Il soggetto comune delle tre condizioni è sempre marco, un marco di sogno, un marco di veglia, un marco di sonno.
Quando dico soggetto voglio dire colui nel quale mi identifico e sono, colui che è soggetto protagonista del sogno-sognare, della veglia-vegliare, e pure, anche se in questo ultimo caso impropriamente, del sonno-causale. Dico impropriamente perchè in effetti quando dico sonno (senza sogni) sto attestando una assenza di me marco-soggetto-protagonista di sogno e veglia pur nella presenza della condizione di sonno stesso.
Comunque torniamo allora ai primi passi del cammino, quando ad un certo punto, senza una apparente causa, nei sogni si comincia ad essere occasionalmente e parzialmente nel sogno stesso consapevoli di stare sognando. Dico questo in confronto alla condizione ordinaria del sogno in cui si è soggetti-protagonisti del sogno stesso, che si vive nella sua interezza e realtà, pienamente immersi e identificati nel personaggio, nel mio caso marco che vive il sogno al pari della realtà di veglia.
Ad un certo punto comincia a verificarsi uno scollamento, un ritrarsi, uno “sfilarsi fuori” del soggetto dal protagonista di sogno, marco. Nel senso che il protagonista del sogno, marco, continua a vivere e sognare il sogno stesso, ma viene meno inquanto marco-protagonista-attore (del sogno stesso) per assumere invece il ruolo di regista, peraltro “esterno”, al-del sogno stesso.
Ma anche questa raffigurazione è impropria perchè in effetti ciò che si sfila fuori dal protagonista marco non è il marco-soggetto-persona-identità-individuo quanto piuttosto, passatemi il termine, la sua anima, la sua “volontà” oserei dire in questo caso.
Ciò che va ad animare il “regista” a dirigere il sogno nella sua interezza scenografica e di attori, protagonisti e non, tra cui anche quello di marco, è una volontà impersonale, un’anima impersonale, una semplice coscienza, consapevolezza.
Cioè mentre prima marco, viveva e sognava nel vissuto-contenitore stesso del sogno da attore, sia pur protagonista, in piena e totale identificazione del ruolo e attore, così come succube degli eventi e accadimenti che vi avevano luogo, ora invece non c’è più un marco, o meglio marco c’è ancora ma quella volontà-coscienza non guida e non si identifica più in marco, così come nemmeno in un improbabile “regista” (anche se ne ho voluto usare il titolo solo ad esempio del ruolo svolto ) ma semplicemente esercita una volontà al sogno nella sua interezza di attori e accadimenti-avvenimenti.
Ovvero si è passati da un protagonista di sogno che vive il sogno (al pari della veglia) in tutti i suoi accadimenti ed eventi che gli accadono e “piovono addosso” suo malgrado, ad un sogno che viene vissuto-visto in modalità impersonale, ovvero senza entrare negli occhi individuali di alcuno dei personaggi (protagonisti o meno che siano) del sogno. Viene vissuto ma anche "direzionato" (da cui il regista di cui si portava esempio di ruolo) secondo volontà impersonale.
Ora questo che accade col sogno, parallelamente comincia ad accadere con la veglia, là dove dallo stesso protagonista marco di veglia comincia a “sfilarsi fuori” la stessa anima-coscienza-volontà, vorrei chiamarla consapevolezza forse il termine più proprio, una consapevolezza però che è del tutto impersonale, ovvero non riferita a niente e nessuno, una consapevolezza che semplicemente anima la veglia-mondo-realtà nella sua interezza e totalità e che se anche occasionalmente (quanto temerariamente) si può confinare in una sua parte, non ne perde mai l’insieme (di visione) nella sua interezza.
La stessa consapevolezza impersonale che giace e late nel sonno, nel “piano causale”, che ti fa dire, o meglio essere consapevole di essere, di “sono” (e di non aver sognato)
Vorrei aggiungere una postilla a tutto quanto detto sopra e in un certo senso ad integrazione di quanto si diceva altrove del jiva e della sua identità col brahman.
Questi tre “piani”, stati coscienziali, o come meglio li si vuol chiamare, già per loro denominazione di piani si viene indotti a pensare a condizioni separate e distinte l’una dall’altra, quasi come delle stanze o piani di un edificio, da cui si può entrare (ed uscire) uno per volta, ossia se stai sognado non sei sveglio, se sei nel sonno non sei nella veglia e men che meno nel sogno, etc.
Ciò non è, almeno nella mia piccola ad oggi esperienza di quesi “piani”. Non è così, non c’è separazione ed esclusione l’un dell’altro, al contrario coesistono e sono “permeabili” (forse non è il termine più adatto); c’è trasparenza tra di loro, pur essendo distinguibili e identificabili nell’attenzione tra di loro, sono coesistenti e sovrapponibili. Sono, il termione che più ci si avvicina è e resta quello classico e tradizionale di fenomeno, sono fenomeni che si sovrappongono alla consapevolezza e da lei stessa animati inquanto movimento-movimenti. Un pò come passatemela per quello che vale, come proiettare due diapositive insieme sullo stesso schermo. Ciò che due diapositive proiettate hanno in comune (sullo stesso schermo) è la luce che le proietta. La stessa una luce che proietta immagini-fenomeni diversi. Qui è lo stesso, e la stessa una consapevolezza che proietta ed anima mondi onirici o di veglia. La stessa luce che in se stessa sta nel causale pronta a proiettare qualunque diapositiva gli si pari davanti. Non è propria corretta come analogia ma tant’è.
Quello che maggiormente vorrei far notare è che tra i vari “piani” (continuiamo a chiamarli così…) intercorre un “filo”, una coscienza-consapevolezza-luce comune e unica; una via di discesa e risalita (volendoli continuare a vedere come piani) che va dal brahman al jiva e ritorno, ed è per questo e per questo “filo” che si può dire come da noto aforisma-sutra: Brahman é la realtà, il mondo é apparenza. Il jiva non é altri che Brahman stesso.
Il jiva non è altri che il brahman stesso a motivo di quella stessa consapevolezza che (in ultimo, nel caso del jiva) sono.
Il soggetto comune delle tre condizioni è sempre marco, un marco di sogno, un marco di veglia, un marco di sonno.
Quando dico soggetto voglio dire colui nel quale mi identifico e sono, colui che è soggetto protagonista del sogno-sognare, della veglia-vegliare, e pure, anche se in questo ultimo caso impropriamente, del sonno-causale. Dico impropriamente perchè in effetti quando dico sonno (senza sogni) sto attestando una assenza di me marco-soggetto-protagonista di sogno e veglia pur nella presenza della condizione di sonno stesso.
Comunque torniamo allora ai primi passi del cammino, quando ad un certo punto, senza una apparente causa, nei sogni si comincia ad essere occasionalmente e parzialmente nel sogno stesso consapevoli di stare sognando. Dico questo in confronto alla condizione ordinaria del sogno in cui si è soggetti-protagonisti del sogno stesso, che si vive nella sua interezza e realtà, pienamente immersi e identificati nel personaggio, nel mio caso marco che vive il sogno al pari della realtà di veglia.
Ad un certo punto comincia a verificarsi uno scollamento, un ritrarsi, uno “sfilarsi fuori” del soggetto dal protagonista di sogno, marco. Nel senso che il protagonista del sogno, marco, continua a vivere e sognare il sogno stesso, ma viene meno inquanto marco-protagonista-attore (del sogno stesso) per assumere invece il ruolo di regista, peraltro “esterno”, al-del sogno stesso.
Ma anche questa raffigurazione è impropria perchè in effetti ciò che si sfila fuori dal protagonista marco non è il marco-soggetto-persona-identità-individuo quanto piuttosto, passatemi il termine, la sua anima, la sua “volontà” oserei dire in questo caso.
Ciò che va ad animare il “regista” a dirigere il sogno nella sua interezza scenografica e di attori, protagonisti e non, tra cui anche quello di marco, è una volontà impersonale, un’anima impersonale, una semplice coscienza, consapevolezza.
Cioè mentre prima marco, viveva e sognava nel vissuto-contenitore stesso del sogno da attore, sia pur protagonista, in piena e totale identificazione del ruolo e attore, così come succube degli eventi e accadimenti che vi avevano luogo, ora invece non c’è più un marco, o meglio marco c’è ancora ma quella volontà-coscienza non guida e non si identifica più in marco, così come nemmeno in un improbabile “regista” (anche se ne ho voluto usare il titolo solo ad esempio del ruolo svolto ) ma semplicemente esercita una volontà al sogno nella sua interezza di attori e accadimenti-avvenimenti.
Ovvero si è passati da un protagonista di sogno che vive il sogno (al pari della veglia) in tutti i suoi accadimenti ed eventi che gli accadono e “piovono addosso” suo malgrado, ad un sogno che viene vissuto-visto in modalità impersonale, ovvero senza entrare negli occhi individuali di alcuno dei personaggi (protagonisti o meno che siano) del sogno. Viene vissuto ma anche "direzionato" (da cui il regista di cui si portava esempio di ruolo) secondo volontà impersonale.
Ora questo che accade col sogno, parallelamente comincia ad accadere con la veglia, là dove dallo stesso protagonista marco di veglia comincia a “sfilarsi fuori” la stessa anima-coscienza-volontà, vorrei chiamarla consapevolezza forse il termine più proprio, una consapevolezza però che è del tutto impersonale, ovvero non riferita a niente e nessuno, una consapevolezza che semplicemente anima la veglia-mondo-realtà nella sua interezza e totalità e che se anche occasionalmente (quanto temerariamente) si può confinare in una sua parte, non ne perde mai l’insieme (di visione) nella sua interezza.
La stessa consapevolezza impersonale che giace e late nel sonno, nel “piano causale”, che ti fa dire, o meglio essere consapevole di essere, di “sono” (e di non aver sognato)
Vorrei aggiungere una postilla a tutto quanto detto sopra e in un certo senso ad integrazione di quanto si diceva altrove del jiva e della sua identità col brahman.
Questi tre “piani”, stati coscienziali, o come meglio li si vuol chiamare, già per loro denominazione di piani si viene indotti a pensare a condizioni separate e distinte l’una dall’altra, quasi come delle stanze o piani di un edificio, da cui si può entrare (ed uscire) uno per volta, ossia se stai sognado non sei sveglio, se sei nel sonno non sei nella veglia e men che meno nel sogno, etc.
Ciò non è, almeno nella mia piccola ad oggi esperienza di quesi “piani”. Non è così, non c’è separazione ed esclusione l’un dell’altro, al contrario coesistono e sono “permeabili” (forse non è il termine più adatto); c’è trasparenza tra di loro, pur essendo distinguibili e identificabili nell’attenzione tra di loro, sono coesistenti e sovrapponibili. Sono, il termione che più ci si avvicina è e resta quello classico e tradizionale di fenomeno, sono fenomeni che si sovrappongono alla consapevolezza e da lei stessa animati inquanto movimento-movimenti. Un pò come passatemela per quello che vale, come proiettare due diapositive insieme sullo stesso schermo. Ciò che due diapositive proiettate hanno in comune (sullo stesso schermo) è la luce che le proietta. La stessa una luce che proietta immagini-fenomeni diversi. Qui è lo stesso, e la stessa una consapevolezza che proietta ed anima mondi onirici o di veglia. La stessa luce che in se stessa sta nel causale pronta a proiettare qualunque diapositiva gli si pari davanti. Non è propria corretta come analogia ma tant’è.
Quello che maggiormente vorrei far notare è che tra i vari “piani” (continuiamo a chiamarli così…) intercorre un “filo”, una coscienza-consapevolezza-luce comune e unica; una via di discesa e risalita (volendoli continuare a vedere come piani) che va dal brahman al jiva e ritorno, ed è per questo e per questo “filo” che si può dire come da noto aforisma-sutra: Brahman é la realtà, il mondo é apparenza. Il jiva non é altri che Brahman stesso.
Il jiva non è altri che il brahman stesso a motivo di quella stessa consapevolezza che (in ultimo, nel caso del jiva) sono.