ortica ha scritto: ↑30/12/2019, 10:39
La necessità della qualificazione (o idoneità, o predisposizione) non esclude la possibilità che la vita ci offre generosamente di apprendere da tutti e da tutto, dal cane come dal filo d'erba, dallo scarafaggio e dal terremoto, dai nemici e dagli amici, dalle stelle e dagli asteroidi.
Ogni essente e ogni fenomeno ci è maestro.
Poi c'è il Maestro, incarnazione vivente della Tradizione, in cui, se si è toccati alla grazia, si potrà vedere in trasparenza risplendere in purezza la luce del Sé.
Quella stessa luce che vibra e anima ciascuno di noi, solo più oscurata dalle sovrapposizioni.
Fedro ha scritto: ↑30/12/2019, 11:07
In effetti sarebbe bello sapere se sia stata Laskmi ad abbeverarsi da Ramana o viceversa
ortica ha scritto: ↑30/12/2019, 10:46
c'è differenza?
Per Ramana, dal suo punto di vista, sicuramente no, visto che soleva dire: non ci sono altri.
Fedro ha scritto: ↑30/12/2019, 10:44
Certo, comunque per me, il punto è che per Ramana, Laskmi fosse illuminata, pur non indossando il corpo umano, requisito essenziale per la Tradizione
ortica ha scritto: ↑30/12/2019, 10:46
Eccezione che non fa che confermare la regola.
Come lo stesso Ramana è stato, una straordinaria eccezione.
Tant'è che se noialtri dovessimo sperimentare il terrore della morte - come accaduto a Ramana - ci porterebbero al pronto soccorso in preda a un attacco di panico.
Altroché liberazione!
Ogni essente e ogni fenomeno ci è maestro….
I maestri, i “realizzati” vanno anche oltre sostenendo non c’è nulla (altro da loro) che non sia realizzato, che la realizzazione è (ogni cosa, loro compresi, volendo tradurre l’unita della realizzazione in termini di molteplice e alterità).
Non ho mai trovato un maestro, un realizzato, un illuminato, o come lo si voglia definire dire-affermare di se stesso esserlo, come non l’ho mai trovato nessuno di costoro dire alcunchè in riferimento alla loro presunta identità-individualità che io invece vedevo e accusavo (di vedere).
Nell’ambito del molteplice, dell’alterità, del divenire, del fenomeno e fenomenico, tutto è possibile e come diceva qualcuno non c’è un cristallo di ghiaccio uguale all’atro, vero, tutto vero, così come si potrebbe dire volendo fare un’analogia che non c’è una brocca (piena d’etere ed immersa nell’etere stesso) uguale all’altra. Sono tutte diverse e molteplici, tutte distinte e altro da me (brocca) eppure come dice il noto esempio sono tutte parimenti piene delle stesso identico etere, tutte quante e non solo, non solo lo sono piene dentro, ciascuna di loro, ma lo sono piene anche del di fuori di ognuna di esse.
Si parla di grazia, di essere toccati dalla grazia del maestro, di apprendere, etc. Si parla di sovrapposizioni che velano la luce-etere...si ma quali e di chi le sovrapposizioni?
Partiamo dall’inizio, dalla semplice alterità, dall’altro da noi da cui discende il molteplice delle brocche. Se vedo delle brocche , se vedo l’alterità-molteplicità delle brocche, senza entrare nel merito della singola alterità, di quanto sia diversa e altra dalle altre, perchè le vedo? Secondo voi le sovrapposizioni di chi mi fanno vedere le brocche, il molteplice, l’altro da me e quindi in ultimo, ma forse per primo, me stesso?
Non pensiamo che siano le nostre stesse sovrapposizioni a farci vedere brocche, serpenti, e quant’altro?
Se così è allora si spiega perchè il “realizzato” che non ha più sovrapposizioni, vede realizzazione ovunque, leggasi vede etere ovunque, e solo quello, ossia non vede più brocche, nè la “sua” nè le “altrui”. Questo perchè sia la sua che le altrui “brocche” (da cui il molteplice) sono-sarebbero frutto delle “sue” sovrapposizioni, che non ha più…
Se accogliamo questa tesi di procedere e leggere, ne consegue che tutte le varie categorie e meriti dagli aspiranti ai maestri, di tutto e di più sono solo semplicemente variazioni e varianti delle nostre stesse sovrapposizioni con cui vediamo sì le brocche, ma non solo, le brocche maestri, le brocche aspiranti, le brocche poveri scemi illusi come quelle geni incompresi e via dicendo tutta la scala dei valori e giudizi, con cui giudichiamo e valutiamo le brocche e non solo.
Quello che noi definiamo un maestro, o meglio quando noi definiamo un maestro (il che mi ricorda che si usava dire che sono i discepoli a “fare e nominare” i maestri e non mai gli stessi da sè medesimi, come si diceva prima) in effetti stiamo definendo e nomando una brocca, che per un qualche motivo legato alle nostre stesse sovrapposizioni (occhiali e lenti da vista?, mentale e credenze, etc?) ce lo fa vedere per tale.
Ci scordiamo, sin troppo spesso che dentro quella brocca da noi arbitrariamente vista (come maestro e non solo), c’è lo stesso identico etere-luce che c’è in ogni brocca, e non solo, che così come “dentro” ma anche “fuori” da tutte le molteplici brocche, c’è l’unico elemento della cui grazia ci dovrebbe e potrebbe mai interessare, l’etere-luce-fuoco.
L’eccezzionalità di un Ramana, di un Raphael, di un Premadharma, e via dicendo sta solo ed unicamente nelle nostre “sovrapposizioni” se così le abbiamo volute chiamare. Un ramana non è in alcun modo diverso e altro da un raphael, da un premadharma, da un bodhananda, da un cristo e da un buddha, etc, perchè ciò che li rende tali, anzi ciò che sono nella loro e unica essenza è quell’unico etere-luce-fuoco che mi ripeto siamo noi e solo noi ad arbitrariamente voler collocare e confinare (incarnare?) in una brocca dal dei tali, ma questo è un nostro limite (di visione) non il loro.
Se vediamo e vogliamo continuare a vedere serpenti al posto della unica corda, non è certo colpa o merito del serpente e nemmeno della corda, è solo a tutta evidenza, se colpa vogliamo chiamarla, nostra, solo ed unicamente nostra e della nostra ignoranza-avidya, delle nostre “sovrapposizioni” che non decidiamo mai di affrontare e risolvere, rimandando sempre a domani, al divenire, alle brocche in tutte le loro forme e varianti, sempre fuori, sempre nell’altro e all’altro da noi, e così facendo non ci rendiamo conto che nel definire e rimarcare il limite che segna e marca-definisce l’altro da noi, stiamo di fatto segnando e rimarcando e definendo noi stessi, e la nostra stessa individualità e “sovrapposizioni”.
Le sovrapposizioni sono le brocche, sono la brocca, che limita e definisce un etere fuori ed uno dentro, in un mare magnum di etere che non è nè dentro nè fuori ma solo etere.