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Le reazioni di "qualcuno"

La via della conoscenza: la discriminazione della realtà di ogni contenuto o inferenza, nel distacco della presenza.
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cielo
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Le reazioni di "qualcuno"

Messaggio da cielo » 25/01/2019, 21:22

R. Procediamo lentamente, non abbiamo fretta, cambiate pure posizione se le gambe vi fanno male.

Osserviamo come la palpitazione, la paura e l’ansia siano state provate da “qualcuno”.

Era la reazione di quel qualcuno che stavamo osservando: uno spiegamento di energie sottoposto al tempo, in un vai e vieni che può mantenersi soltanto se c’è qualcuno che lo alimenta.

Ogni intervento, ogni voler fare o non voler fare, significa alimentare questa energia. Quando questo è compreso, afferrato, in quale situazione ci troviamo?

D. È un qualcosa che crea un senso di benessere e finalmente sembra che dentro di sè cominci a vivere qualcosa...

R. Possiamo dare a questa cosa la qualifica di «silenzio»?

D. Sì, finalmente la mente non vola più, non interviene.

R. È uno stato dell’essere che possiamo chiamare di vacuità totale, di assenza di pensieri e di sensazioni.

D. Quando uno non sente più queste sensazioni di paura, ansia, eccetera, allora gli pare di essere vuoto...
È come se non esistesse e questo provoca sensazioni che creano un’altra paura, la paura di non essere vivi.

R. Quando c’è questa comprensione non c’è più alcuna ricapitolazione, né alcuna anticipazione. C’è quello stato che abbiamo designato come silenzio e questo silenzio si applica ad assenza di pensiero ed, evidentemente, anche ad ogni “tessuto” di affettività.

Questo silenzio non è localizzabile, perché se lo fosse, sarebbe localizzabile nel corpo come sensazione e potremmo quindi rappresentarlo in quanto idea.

Potremmo definire questo silenzio come un silenzio totale, una presenza totale, ciò che è totalmente al di fuori di ogni spazio-tempo.

In ciò che è globale, in ciò che è totale, non può esistere nulla al di fuori della sua globalità, della sua totalità.

Quindi, nella percezione della globalità, della totalità, non c’è nessuno che percepisca. È uno stato dell’essere, di identità con questo stato.

D. Verrebbe da pensare che non sia poi neanche possibile ricordare questo stato.

R. Quello che si può chiamare ricordo, se si ammette il termine, io accetto la parola ricordo, non si applica ad una facoltà mentale.

Il ricordo proviene direttamente dall’esperienza stessa. Ma se invece si tratta di ricordo, nel senso di ciò di cui ci si ricorda, in questo caso allora si tratterebbe di memoria.

A questo punto, siccome in questa totalità, la corporalità e la stessa nozione di essere una persona sono incluse, e il fatto che la persona, la nozione della persona e la corporalità si trovino in questa unità, forzatamente è stata percossa da questo silenzio.

Ciò può darci la possibilità, in quanto sensazione corporale, di provare un senso di benessere.

Ma se in seguito l’io, la persona, vuole appropriarsi del silenzio, in quel momento lo capisce soltanto più come oggetto. E in quel momento questo diventa un «problema». E un problema non può trovarsi nella vacuità, cosi ritorna la paura.

D. Allora devo essere proprio stupida, perché sono nel gioco, entro a far parte del vero e del falso e mi torturo continuando a farmi del male...

R. Questo è il solo impedimento perché possa avvenire l’esperienza.

D. Ma se una persona vuole impadronirsi di questo stato di silenzio, vuoi dire che neppure il silenzio riesce ad agire sull’io, ad uccidere la personalità. Voglio dire che allora quest’io non muore mai…

R. Qualcosa che non esiste come può morire?

D. E come fare per ottenere quello stato dell’essere?

R. Vedere in modo preciso quello che non si è.

D. Ancora una cosa. Quando si arriva a questo punto, che cosa c’è? Quando lei parla, comprendo fino a un certo punto, poi devo usare la mente, perché con l’immaginazione non riesco a seguirla... Che cosa devo fare?

R. Non c’è che da ascoltare e rendersi conto del fatto che non si ascolta, che si riceve continuamente dal passato, che si vuole capire in funzione di quello che già si sa.

Non potrete mai comprendere ciò che è nuovo attraverso il vecchio, per comprendere il nuovo, occorre che tutto ciò che è vecchio muoia. Quindi occorre rimanere in una posizione di ascolto in cui non ci sono riferimenti.

Tutto quello che viene ascoltato è totalmente trovato, è un’espansione totale. Ciò che viene ascoltato procede per arrivare alla sua propria conclusione, ma senza che nessuno concluda. E questa conclusione che avviene spontaneamente può avvenire unicamente in un ascolto che sia libero da ogni riferimento.

D. Forse ho fatto un po’ di confusione. Ho pensato che ‘essere’ non significa ‘divenire’. Mi è accaduto, durante delle esperienze dolorose, di avere avuto dei momenti di silenzio in cui tutto mi sembrava chiaro. Però poi, quando successivamente si è presentata una situazione di tipo analogo, ci sono caduta di nuovo in pieno e allora mi sono detta che a furia di fare esperienza forse si riesce a divenire all’essere. Dunque noi non siamo, ma diveniamo e questo mi dispiace.

R. Il considerarsi come un’entità separata conduce automaticamente ad un’oscillazione tra l’essere e il divenire, e questa oscillazione è basata su una struttura costituita dalla memoria. La memoria non è altro che paura e ansietà, aggressione e difesa e non avviene che nel passato, in funzione del passato.

Tutto quello che è sperimentato, tutto quello che è percepito, non è che passato. Nessun oggetto, nessuna percezione è presente, tutto è passato. Soltanto la percezione originaria dell’Essere è presente ed è in questa Presenza che l’apparenza presente-passato-futuro si svolge.

D. Praticamente bisognerebbe vivere ogni minuto come se fosse uno (unico)...

R. Sì. Non c’è che l’Uno. La coscienza e la sua proiezione sono una sola cosa. Non c’è causa, né effetto, non c’è soggetto né oggetto.

I “due” non sono che memoria. Quando si pensa al soggetto e all’oggetto, quando si pensa alla causa o all’effetto, questo pensiero non può mai essere simultaneo. Essi appaiono soltanto in successione, nel tempo. Quindi non c’è l’Uno, ma i due.

D. Spesso ho la sensazione di non vivere, di pensare certe cose e poi di non farle e di farne altre senza pensarle. Come imparare a vivere senza avere la sensazione di vivere?

R. Nessuno vive. Non c’è che la vita. Ascoltate la vita.

D. E se c’è difficoltà nell’ascoltarla?

R. Bisogna vedere in che cosa consiste questa difficoltà.

Tratto da Vedånta - Nº 29 Jean Klein - Un incontro senza scopo Associazione Vidya Bharata, Gruppo Vedanta Citra.


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cielo
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Re: Le reazioni di "qualcuno"

Messaggio da cielo » 28/11/2021, 17:54

cielo ha scritto:
25/01/2019, 21:22
R. Procediamo lentamente, non abbiamo fretta, cambiate pure posizione se le gambe vi fanno male.

Osserviamo come la palpitazione, la paura e l’ansia siano state provate da “qualcuno”.

Era la reazione di quel qualcuno che stavamo osservando: uno spiegamento di energie sottoposto al tempo, in un vai e vieni che può mantenersi soltanto se c’è qualcuno che lo alimenta.

Ogni intervento, ogni voler fare o non voler fare, significa alimentare questa energia. Quando questo è compreso, afferrato, in quale situazione ci troviamo?

D. È un qualcosa che crea un senso di benessere e finalmente sembra che dentro di sè cominci a vivere qualcosa...

R. Possiamo dare a questa cosa la qualifica di «silenzio»?

D. Sì, finalmente la mente non vola più, non interviene.

R. È uno stato dell’essere che possiamo chiamare di vacuità totale, di assenza di pensieri e di sensazioni.

D. Quando uno non sente più queste sensazioni di paura, ansia, eccetera, allora gli pare di essere vuoto...
È come se non esistesse e questo provoca sensazioni che creano un’altra paura, la paura di non essere vivi.

R. Quando c’è questa comprensione non c’è più alcuna ricapitolazione, né alcuna anticipazione. C’è quello stato che abbiamo designato come silenzio e questo silenzio si applica ad assenza di pensiero ed, evidentemente, anche ad ogni “tessuto” di affettività.

Questo silenzio non è localizzabile, perché se lo fosse, sarebbe localizzabile nel corpo come sensazione e potremmo quindi rappresentarlo in quanto idea.

Potremmo definire questo silenzio come un silenzio totale, una presenza totale, ciò che è totalmente al di fuori di ogni spazio-tempo.

In ciò che è globale, in ciò che è totale, non può esistere nulla al di fuori della sua globalità, della sua totalità.

Quindi, nella percezione della globalità, della totalità, non c’è nessuno che percepisca. È uno stato dell’essere, di identità con questo stato.

D. Verrebbe da pensare che non sia poi neanche possibile ricordare questo stato.

R. Quello che si può chiamare ricordo, se si ammette il termine, io accetto la parola ricordo, non si applica ad una facoltà mentale.

Il ricordo proviene direttamente dall’esperienza stessa. Ma se invece si tratta di ricordo, nel senso di ciò di cui ci si ricorda, in questo caso allora si tratterebbe di memoria.

A questo punto, siccome in questa totalità, la corporalità e la stessa nozione di essere una persona sono incluse, e il fatto che la persona, la nozione della persona e la corporalità si trovino in questa unità, forzatamente è stata percossa da questo silenzio.

Ciò può darci la possibilità, in quanto sensazione corporale, di provare un senso di benessere.

Ma se in seguito l’io, la persona, vuole appropriarsi del silenzio, in quel momento lo capisce soltanto più come oggetto. E in quel momento questo diventa un «problema». E un problema non può trovarsi nella vacuità, cosi ritorna la paura.

D. Allora devo essere proprio stupida, perché sono nel gioco, entro a far parte del vero e del falso e mi torturo continuando a farmi del male...

R. Questo è il solo impedimento perché possa avvenire l’esperienza.

D. Ma se una persona vuole impadronirsi di questo stato di silenzio, vuoi dire che neppure il silenzio riesce ad agire sull’io, ad uccidere la personalità. Voglio dire che allora quest’io non muore mai…

R. Qualcosa che non esiste come può morire?

D. E come fare per ottenere quello stato dell’essere?

R. Vedere in modo preciso quello che non si è.

D. Ancora una cosa. Quando si arriva a questo punto, che cosa c’è? Quando lei parla, comprendo fino a un certo punto, poi devo usare la mente, perché con l’immaginazione non riesco a seguirla... Che cosa devo fare?

R. Non c’è che da ascoltare e rendersi conto del fatto che non si ascolta, che si riceve continuamente dal passato, che si vuole capire in funzione di quello che già si sa.

Non potrete mai comprendere ciò che è nuovo attraverso il vecchio, per comprendere il nuovo, occorre che tutto ciò che è vecchio muoia. Quindi occorre rimanere in una posizione di ascolto in cui non ci sono riferimenti.


Tutto quello che viene ascoltato è totalmente trovato, è un’espansione totale. Ciò che viene ascoltato procede per arrivare alla sua propria conclusione, ma senza che nessuno concluda. E questa conclusione che avviene spontaneamente può avvenire unicamente in un ascolto che sia libero da ogni riferimento.

D. Forse ho fatto un po’ di confusione. Ho pensato che ‘essere’ non significa ‘divenire’. Mi è accaduto, durante delle esperienze dolorose, di avere avuto dei momenti di silenzio in cui tutto mi sembrava chiaro. Però poi, quando successivamente si è presentata una situazione di tipo analogo, ci sono caduta di nuovo in pieno e allora mi sono detta che a furia di fare esperienza forse si riesce a divenire all’essere. Dunque noi non siamo, ma diveniamo e questo mi dispiace.

R. Il considerarsi come un’entità separata conduce automaticamente ad un’oscillazione tra l’essere e il divenire, e questa oscillazione è basata su una struttura costituita dalla memoria. La memoria non è altro che paura e ansietà, aggressione e difesa e non avviene che nel passato, in funzione del passato.

Tutto quello che è sperimentato, tutto quello che è percepito, non è che passato. Nessun oggetto, nessuna percezione è presente, tutto è passato. Soltanto la percezione originaria dell’Essere è presente ed è in questa Presenza che l’apparenza presente-passato-futuro si svolge.

D. Praticamente bisognerebbe vivere ogni minuto come se fosse uno (unico)...

R. Sì. Non c’è che l’Uno. La coscienza e la sua proiezione sono una sola cosa. Non c’è causa, né effetto, non c’è soggetto né oggetto.

I “due” non sono che memoria. Quando si pensa al soggetto e all’oggetto, quando si pensa alla causa o all’effetto, questo pensiero non può mai essere simultaneo. Essi appaiono soltanto in successione, nel tempo. Quindi non c’è l’Uno, ma i due.

D. Spesso ho la sensazione di non vivere, di pensare certe cose e poi di non farle e di farne altre senza pensarle. Come imparare a vivere senza avere la sensazione di vivere?

R. Nessuno vive. Non c’è che la vita. Ascoltate la vita.

D. E se c’è difficoltà nell’ascoltarla?

R. Bisogna vedere in che cosa consiste questa difficoltà.


Casualmente mi è capitato di rileggere questo brano di Jean Klein e di cogliere la piena risonanza con questo passaggio di Premadharma su cui in altro 3D si è scambiato:

«Il percorso è la nostra stessa vita. Possiamo viverla in fuga, immaginando futuri migliori o rimpiangendo passati migliori, oppure possiamo viverla nel presente (quindi nel distacco e discriminazione, o dedita al Divino, o dedita al distacco dai frutti delle azioni), sempre più consapevoli di Essa e del Suo significato. »

Premadharma ci richiama al nostro percorso "tradizionale": karma,bhakti, jnana.
Identificare la priorità, stare nel proprio varna (colore) e adempiere alle responsabilità dello stadio di vita in cui ci si trova a vivere, per età, condizione sociale, scelta.
Discriminando nel distacco tra ciò che è, e ciò che non è.

Che sia questo anche un modo per vedere in che cosa consiste la difficoltà di ascoltare la Vita che Klein lasciava "in sospeso" (scopritevela da soli).

Forse l' anteporre l''interesse/desiderio/preferenza/scelta individuale agli accadimenti che la Vita ci propina, e lamentarsi, non provando gratitudine per ciò che si ha, o incolpando la vita stessa o, peggio, gli altri partecipanti al gioco?

Per poi non risultarne mai contenti (della vita) perchè il frutto atteso non è mai quello immaginato quando confrontato ad altri frutti depositati nella banca dei semi della memoria? E perchè ciò che è impermanente tende a svanire come una nuvola e a riformarsi quando il vento soffia di nuovo cambiando direzione?

La tradizione non si contraddice mai, la testimonianza è unica, sono le stesse note suonate con ritmi e coloriture melodiche diverse.

blue_scouter
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Iscritto il: 24/01/2019, 12:58

Re: Le reazioni di "qualcuno"

Messaggio da blue_scouter » 29/11/2021, 21:15

Mi hanno sempre affascinato i colori (varṇa) e le sfumature, così come mi hanno sempre affascinato i suoni e gli accordi, insomma la pittura e la musica. Un mondo in cui i colori si spengono e la musica tace (per sempre!) mi alletta ben poco. Poi, andando a zonzo nel forum ho trovato questo sutra (il n. 17) di Raphael:

« Colui che mira all’ultima Realtà non si preoccupa delle cose del mondo perché gli sembrano evanescenti e senza senso. Si interessa della costante su cui le cose, come un arcobaleno con i suoi colori, appaiono e scompaiono.» [Raphael, La triplice via del Fuoco, Parmenides, p.186]

Mi sembrava dunque che ciò avesse messo a tacere il mio diletto (colori e musica), eppure rileggendo lo stesso testo di cui sopra trovo scritto questo (sutra nn. 15, 17 pag. 82):

«15.Risuona le corde dell’arcobaleno e rapisci l’orecchio dell’uomo disattento alla musica delle sfere. […] 17.Se trovi la tua Nota fondamentale e la risuoni, con l’alito dell’Eros, il corpo ti risponde. Medita su quelle leggi che sottostanno alla relazione tra mente e suono, tra coscienza e luce o fuoco. […]»

Ebbene forse è proprio questo il «segreto» (si fa per dire…) per «stare con quello che c’è»: trovare nell’apparente caos quotidiano la propria Nota fondamentale e farla vibrare su armoniche sempre più elevate. Fino al Cielo.
Buon inizio Avvento a tutti!

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Fedro
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Re: Le reazioni di "qualcuno"

Messaggio da Fedro » 30/11/2021, 8:23

blue_scouter ha scritto:
29/11/2021, 21:15
Mi hanno sempre affascinato i colori (varṇa) e le sfumature, così come mi hanno sempre affascinato i suoni e gli accordi, insomma la pittura e la musica. Un mondo in cui i colori si spengono e la musica tace (per sempre!) mi alletta ben poco. Poi, andando a zonzo nel forum ho trovato questo sutra (il n. 17) di Raphael:

« Colui che mira all’ultima Realtà non si preoccupa delle cose del mondo perché gli sembrano evanescenti e senza senso. Si interessa della costante su cui le cose, come un arcobaleno con i suoi colori, appaiono e scompaiono.» [Raphael, La triplice via del Fuoco, Parmenides, p.186]

Mi sembrava dunque che ciò avesse messo a tacere il mio diletto (colori e musica), eppure rileggendo lo stesso testo di cui sopra trovo scritto questo (sutra nn. 15, 17 pag. 82):

«15.Risuona le corde dell’arcobaleno e rapisci l’orecchio dell’uomo disattento alla musica delle sfere. […] 17.Se trovi la tua Nota fondamentale e la risuoni, con l’alito dell’Eros, il corpo ti risponde. Medita su quelle leggi che sottostanno alla relazione tra mente e suono, tra coscienza e luce o fuoco. […]»

Ebbene forse è proprio questo il «segreto» (si fa per dire…) per «stare con quello che c’è»: trovare nell’apparente caos quotidiano la propria Nota fondamentale e farla vibrare su armoniche sempre più elevate. Fino al Cielo.
Buon inizio Avvento a tutti!
Da come la leggo, tutto mi sembra sempre al posto giusto per com'è: che sia il ragno sul muro, il cielo alla finestra, le ninfee di Monet in cornice, la radio che canta, il bimbo che piange (anche quando impreco che così non è)
Poi se non evado da questo momento, sia col pensiero che con l'emozione, può emergere una nota più alta (un'attitudine che può diventare pratica) che vibra in un unico colore/nota/armonia, e che le precedenti contiene.
Inoltre, stando molto fermi, con quello che c'è, che è oltre ciò che accade, può avvenire che tutto scolori e ci si fermi lì, a contemplare lo scolorire di luci non più attraenti come prima.
Tornando al qui, adesso e contemplando un semplice filo d'erba, posso trovare in esso più realtà e vita (Tao è pure questo per me) rispetto a qualsiasi (anche altissimo) pensiero.
Così in alto come in basso, dicono; e d'altronde è tutta un'altra bussola a cui riferirci.
Buon colore musica Musica silenzio e contemplazione a te, e grazie.
Il dialogo aiuta a fare luce in se stessi innanzitutto, e se va bene, un po' anche agli altri, nel riconoscersi nelle stesse parole.

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