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Darshana - Riflessioni

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Fedro
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da Fedro » 12/06/2018, 13:32

KaaRa ha scritto:
12/06/2018, 13:14
A causa del fatto che eri già stato chiaro su questo punto, avevo già capito che il problema che evidenziavi era questo. Io non ero stato altrettanto chiaro sul fatto che non necessariamente il pensiero razionale viene alimentato diventando ostacolo, ma può essere strumento, favorendo, paradossalmente, quel balzo che porta la coscienza oltre di esso: allo stesso modo in cui i cinque sensi possono essere alimentati in modo da ostacolare, oppure viceversa possono essere usati come strumento per favorire una osservazione pura nonostante essi non abbiano di per sé niente a che fare con quest'ultima.
Non so se in effetti vi è un diretto collegamento tra manas e buddhi, o almeno so di certo che la buddhi può condizionare il manas, ma non il contrario.
Così come, nessuna conoscenza indiretta (lettura di una ricetta) può portare ad una conoscenza diretta (gusto del piatto).
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KaaRa
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da KaaRa » 12/06/2018, 13:51

Anche io non credo che la buddhi possa essere influenzata dal manas (se qualcuno ha idee o esperienze diverse ce lo dirà) però ho esperienza (che potrebbe essere anche un inganno di qualche tipo, ma per ora non ho modo di constatarlo) del fatto che si può acquietare il manas proprio per averlo usato molto (che di per se può essere anche solo normale sfinimento); ma, se contemporaneamente a ciò si è applicata una giusta equidistanza ("coscienziale", diciamo) dai contenuti di tale lavoro mentale, si ottiene una schiarita che lascia filtrare le intuizioni non mediate, cioè la buddhi (perdona i termini quasi metereologici). Credo sia questo il motivo per cui alcuni Maestri usano una logica sovrabbondante, anche se ovviamente c'è il rischio di usarla solo per erudirsi (e personalmente, se anche io mi ingannassi sulle suddette "schiarite", almeno di sicuro non ho corso il rischio di diventare un mero erudito, visto che non la passerei liscia di fronte a nomi, citazioni, terminologie, ecc. Alla peggio quindi ho solo perso tempo, sperando che mi salvi almeno il fatto che in qualche modo niente vada perduto, essendo infinite le Sue vie, come appunto dicevi...).

ortica
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da ortica » 12/06/2018, 18:12

KaaRa ha scritto:
12/06/2018, 10:52
Ortica, capisco l'importanza che viene data qui alle personalità che sono considerate più Maestri di altri, ma non ho messo dubbi su di loro, viceversa ho cercato di spigare che si può imparare anche in altri modi, anche se qui ha suscitato dubbi non la mia spiegazione ma l'esperienza (esperienza che non può essere messa in dubbio da nessuno, e di cui non ho neanche parlato) con cui io sarei pervenuto a tale "convinzione", che sarebbe inutile se fosse sorta esclusivamente dalla logica, fattore questo che non dovrebbe essere utilizzato in ambito spirituale, mi veniva detto.

L'esperienza di cui parli è questa?
Anche io non credo che la buddhi possa essere influenzata dal manas (se qualcuno ha idee o esperienze diverse ce lo dirà) però ho esperienza (che potrebbe essere anche un inganno di qualche tipo, ma per ora non ho modo di constatarlo) del fatto che si può acquietare il manas proprio per averlo usato molto (che di per se può essere anche solo normale sfinimento); ma, se contemporaneamente a ciò si è applicata una giusta equidistanza ("coscienziale", diciamo) dai contenuti di tale lavoro mentale, si ottiene una schiarita che lascia filtrare le intuizioni non mediate, cioè la buddhi (perdona i termini quasi metereologici).
In caso fosse questa, a me pare esperienza che si inquadra perfettamente nell'ambito di una sādhanā tradizionale.
Se non capisco male, hai utilizzato il manas focalizzando l'attenzione verso un unico pensiero/oggetto - logico, razionale, questo non ha importanza - in sanscrito ekāgratā - distaccandoti al contempo dai contenuti del flusso pensativo (vairāgya).
In tal modo hai riportato la mente ordinaria alla sua funzione di strumento.
Tale pratica è chiamata concentrazione, o meditazione con seme e, se ripetuta con regolarità e costanza (abhyāsa), apre l'accesso alla buddhi, si potrebbe anche dire sintonizza.
Non solo, è propedeutica - dicono - alla meditazione senza seme.

Credo sia questo il motivo per cui alcuni Maestri usano una logica sovrabbondante, anche se ovviamente c'è il rischio di usarla solo per erudirsi (e personalmente, se anche io mi ingannassi sulle suddette "schiarite", almeno di sicuro non ho corso il rischio di diventare un mero erudito, visto che non la passerei liscia di fronte a nomi, citazioni, terminologie, ecc. Alla peggio quindi ho solo perso tempo, sperando che mi salvi almeno il fatto che in qualche modo niente vada perduto, essendo infinite le Sue vie, come appunto dicevi...).

Non so se hai letto questo Quaderno Advaita&Vedanta, intitolato Il silenzio del pescatore, nel quale un caro fratello testimonia la sua esperienza pluridecennale di costante dialogo con colui che alcuni qui consideriamo Riferimento tradizionale, Premadharma.
A mio avviso risponde bene alle tue affermazioni e alla tua implicita domanda.
Ne riporto qui un passo.

Le parole che all’inizio avevo menzionato, il “mio” parlare con il maestro, il “suo” parlare a me, sia nella soglia del grossolano, così come
del sottile, assumevano adesso un significato diverso; sembrava quasi che le parole spese nel grossolano fossero come l’esca di una lenza che
conduceva nel sottile, e che portava in ultimo al silenzio del “pescatore”.
Un tramite, una via, al silenzio.
È come se il silenzio stesso andasse a pescare. Getta quale esca delle parole, cui i pesci-aspiranti abboccano per loro stessa natura, troppo
tardi per rendersi conto che quelle parole sono legate da una lenza nel sottile, una lenza che porta e dice altro dalle parole stesse, ma che
conduce dritta e inesorabile nel retino del silente pescatore.
Ci si crede pesci, si abbocca alle parole, si seguono le lenze che ci trainano e ci si ritrova in ultimo nel silenzio che noi stessi siamo.


A questo proposito, passando al Brahmasutra, sono ancora ai primi sutra, ma noto l'enorme quantità di sottigliezze logiche (e di quantità di collegamenti e dialoghi), che vanno a commentare sutra immensamente stringati tanto da essere grammaticalmente quasi incomprensibili fuori dal loro contesto. Cosa distingue un logico da un Maestro che usa la logica? (La mia idea è che il cosiddetto Maestro può farne a meno per se, ma, eventualmente, non per spiegare agli altri - se è questo il tipo di insegnamento che vuol dare - gli altri ne hanno invece bisogno - sempre che sia quello il tipo di insegnamento che vogliono).
Idea, la tua, che secondo me è del tutto corretta.
Se hai interesse a un dialogo in merito al nostro studio del Brahmasutra con il commento di Shankara apri un nuovo thread.

cielo
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da cielo » 12/06/2018, 18:46

KaaRa ha scritto:
12/06/2018, 10:52
Ortica, capisco l'importanza che viene data qui alle personalità che sono considerate più Maestri di altri, ma non ho messo dubbi su di loro, viceversa ho cercato di spigare che si può imparare anche in altri modi, anche se qui ha suscitato dubbi non la mia spiegazione ma l'esperienza (esperienza che non può essere messa in dubbio da nessuno, e di cui non ho neanche parlato) con cui io sarei pervenuto a tale "convinzione", che sarebbe inutile se fosse sorta esclusivamente dalla logica, fattore questo che non dovrebbe essere utilizzato in ambito spirituale, mi veniva detto. Hai quindi fatto bene secondo me a cercare di interrompere un conflitto di tal genere, forse però è bene non intervenire a tal fine regolando uno solo dei "litiganti", soprattutto se è quello che si sta difendendo e che cercava di tornare all'argomento principale. A questo proposito, passando al Brahmasutra, sono ancora ai primi sutra, ma noto l'enorme quantità di sottigliezze logiche (e di quantità di collegamenti e dialoghi), che vanno a commentare sutra immensamente stringati tanto da essere grammaticalmente quasi incomprensibili fuori dal loro contesto. Cosa distingue un logico da un Maestro che usa la logica? (La mia idea è che il cosiddetto Maestro può farne a meno per se, ma, eventualmente, non per spiegare agli altri - se è questo il tipo di insegnamento che vuol dare - gli altri ne hanno invece bisogno - sempre che sia quello il tipo di insegnamento che vogliono).
Qui non viene data nessuna importana alle "personalità", ma ai contenuti degli scritti tradizionali.
Diciamo che il "nome-firma" costituisce una garanzia per tutti coloro che si accostano alle fonti, ma cambiando il nome, come ha evidenziato Ortica, resta l'essenza sapienziale dal medesimo sapore.
Dice Raphael: "Ogni tanto la Tradizione cambia vestito o forma, ma la Verità ch’essa contiene è sempre quella, e non può non essere quella” (Raphael, Di là dal dubbio, pag. 88. Edizioni Aśram Vidyā)

Diversamente, le nostre restano semplici opinioni di aspiranti che tentano di cogliere e com-prendere quell'Essenza.

KaaRa
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da KaaRa » 12/06/2018, 21:15

Vi ringrazio Cielo e Ortica. Non potevate secondo me spiegare meglio di come avete fatto. Posso solo dire che, pur comprendendo (anzi, apprezzando tuttora) la garanzia di cui parla Cielo, quella che ci viene fornita dal nome-forma di chi per tradizione (antico o moderno che sia) viene considerato una fonte autorevole in questi nostri argomenti, ho cominciato già da tempo a "leggere" in quasi tutto e tutti i segni della Fonte. Rimane sempre più difficile saper distinguere chi è saggio e chi no, e non nel senso che non riconosco (pur nei miei limiti) se una parola è evidentemente in linea con le tradizioni più elevate, ma nel senso che da tutto si può veder filtrare la saggezza (questo non impedisce di rapportarsi con le varie cose e persone a seconda di come si mostrano nei loro vari aspetti più formali).
Nei riguardi della forma di concentrazione che Ortica potrebbe aver riconosciuto in ciò che ho descritto, mi viene solo da "invidiare" coloro a cui basta un "nome divino" (o un "oggetto naturale", come diceva Fedro), e a questo proposito chiedo a tutti (magari aprirò un altro argomento, prima ancora di aprirne uno sul Brahmasutra, se ci sarà occasione), nel caso abbiano praticato una attività del genere, qualunque fosse l'oggetto usato: quanto, e con quale intensità e qualità, riuscite a mantenere una concentrazione del genere? E riuscite ad andare oltre alla concentrazione? (Mi riferisco alla "sequenza" concentrazione-meditazione-contemplazione, di cui parla anche Sai Baba, anche se non so se ho invertito gli ultimi due termini).

ortica
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da ortica » 13/06/2018, 11:18

KaaRa ha scritto:
12/06/2018, 21:15
Vi ringrazio Cielo e Ortica. Non potevate secondo me spiegare meglio di come avete fatto. Posso solo dire che, pur comprendendo (anzi, apprezzando tuttora) la garanzia di cui parla Cielo, quella che ci viene fornita dal nome-forma di chi per tradizione (antico o moderno che sia) viene considerato una fonte autorevole in questi nostri argomenti, ho cominciato già da tempo a "leggere" in quasi tutto e tutti i segni della Fonte. Rimane sempre più difficile saper distinguere chi è saggio e chi no, e non nel senso che non riconosco (pur nei miei limiti) se una parola è evidentemente in linea con le tradizioni più elevate, ma nel senso che da tutto si può veder filtrare la saggezza (questo non impedisce di rapportarsi con le varie cose e persone a seconda di come si mostrano nei loro vari aspetti più formali).
Dice la tradizione (Uddhava Gita, l'insegnamento di Krishna ad Uddhava, dallo Srimad Bhagavatam, XI, 7), che Dattatreya l'Avadhuta abbia avuto 24 maestri, fra cui il sole, il vento, il fuoco, la formica, l'acqua, la danzatrice Pingala, il costruttore di archi, etc.
Da ognuno apprese, per poi rinunciare a quanto aveva appreso e perfino alla rinuncia.

Ma Dattatreya era, appunto, un Avadhuta.

Ai comuni mortali più fortunati, e predisposti, si palesa talvolta la Grazia del Maestro, la tradizione vivente, e tutto diviene più semplice, anche imparare dal sole, dal vento, etc.

Nei riguardi della forma di concentrazione che Ortica potrebbe aver riconosciuto in ciò che ho descritto, mi viene solo da "invidiare" coloro a cui basta un "nome divino" (o un "oggetto naturale", come diceva Fedro), e a questo proposito chiedo a tutti (magari aprirò un altro argomento, prima ancora di aprirne uno sul Brahmasutra, se ci sarà occasione), nel caso abbiano praticato una attività del genere, qualunque fosse l'oggetto usato: quanto, e con quale intensità e qualità, riuscite a mantenere una concentrazione del genere? E riuscite ad andare oltre alla concentrazione? (Mi riferisco alla "sequenza" concentrazione-meditazione-contemplazione, di cui parla anche Sai Baba, anche se non so se ho invertito gli ultimi due termini).
La massima intensità di concentrazione si mantiene senza sforzo nelle ore beate (ahimè troppo poche) in cui lavoro sui testi sacri.
Il mondo esterno, i pensieri, le sensazioni fisiche, il senso dell'io, tutto scompare, assorbito dalla parola del Maestro.
Potrei andare avanti per giorni, senza mangiare nè bere, senza necessità di sorta, se non fossi chiamata dalle esigenze del quotidiano.
Per il resto da tempo, salvo casi particolari in cui sento la necessità di ricentrarmi, ho abbandonato la pratica formale della concentrazione seduta o camminata, seguendo le indicazioni del Riferimento di portare l'attenzione nella vita quotidiana, cogliendomi peraltro quasi sempre distratta.
:lol:
Cerco di espletare lo svadharma, in base al varnasrama, dedicando ogni azione al Divino.

Se mi posso permettere un suggerimento, non farne un'ossessione, vivi finché ci sarà l'istanza a sperimentare questa vita.

cielo
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da cielo » 13/06/2018, 19:35

KaaRa ha scritto:
12/06/2018, 21:15
Vi ringrazio Cielo e Ortica. Non potevate secondo me spiegare meglio di come avete fatto. Posso solo dire che, pur comprendendo (anzi, apprezzando tuttora) la garanzia di cui parla Cielo, quella che ci viene fornita dal nome-forma di chi per tradizione (antico o moderno che sia) viene considerato una fonte autorevole in questi nostri argomenti, ho cominciato già da tempo a "leggere" in quasi tutto e tutti i segni della Fonte. Rimane sempre più difficile saper distinguere chi è saggio e chi no, e non nel senso che non riconosco (pur nei miei limiti) se una parola è evidentemente in linea con le tradizioni più elevate, ma nel senso che da tutto si può veder filtrare la saggezza (questo non impedisce di rapportarsi con le varie cose e persone a seconda di come si mostrano nei loro vari aspetti più formali).

Nei riguardi della forma di concentrazione che Ortica potrebbe aver riconosciuto in ciò che ho descritto, mi viene solo da "invidiare" coloro a cui basta un "nome divino" (o un "oggetto naturale", come diceva Fedro), e a questo proposito chiedo a tutti (magari aprirò un altro argomento, prima ancora di aprirne uno sul Brahmasutra, se ci sarà occasione), nel caso abbiano praticato una attività del genere, qualunque fosse l'oggetto usato: quanto, e con quale intensità e qualità, riuscite a mantenere una concentrazione del genere? E riuscite ad andare oltre alla concentrazione? (Mi riferisco alla "sequenza" concentrazione-meditazione-contemplazione, di cui parla anche Sai Baba, anche se non so se ho invertito gli ultimi due termini).
I termini concentrazione-meditazione-contemplazione sono corretti e ricalcano gli yoga sutra di Patanjali: dhāranā, dhyāna e samādhi.

Per come la vedo io fare confronti tra "me" e gli "altri" che praticano così e cosà e riferiscono sul livello di concentrazione raggiunto o che ritengono di aver raggiunto serve a poco.
Il seme su cui ci si concentra si presume che abbia prima o poi un frutto, frutto destinato a finire anch'esso in modo da dar luogo a un altro seme che a sua volta germoglierà.

Quindi non confrontare la "tua" intensità con quella altrui anche perchè purtroppo o per fortuna non è stato ancora inventato il misuratore di concentrazione.
La miglior pratica è quella che sorge da sè, non è una medicina amara da prendere perchè mi fa bene, è qualcosa che faccio e siccome scopro che mi piace fare, continuo a farla. Se poi mi farà bene si vedrà.
Il processo di interiorizzazione richiede il distacco dalle sollecitazioni esterne e dal desisderio di conoscere il mondo, e un "oggetto" a cui ancorarsi (un'immagine e un suono, o il respiro che entra e che esce) aiuta. E' un sostegno, un filo per evitare di stare fuori dall'interiorità, e di pensare proiettando i pensieri all'esterno, a percepire il mondo.
Un po' come contare le pecorelle per addormentarsi, evita che la mente pensi tenendo sveglio il corpo stanco.

cielo
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Re: Darshana - Riflessioni

Messaggio da cielo » 17/06/2018, 19:09

Vorrei completare queste riflessione sul tema darshana, inteso come punto di vista, con un brano tratto dal Quaderno Vedanta di luglio, n. 156, ora pubblicato qui, dal quale avevo tratto alcuni brani.

Nel corso del dialogo sul tema "darśana" si apre un dibattito tra i partecipanti che devia dall’oggetto su cui dovrebbe focalizzarsi la discussione verso interpretazioni sulla pratica e l’insegnamento dello yoga, del tantra, e relative esperienze di samādhi più o meno consapevoli; al termine c'è questo intervento che riprende la metafora dei ciechi che tentano di descrivere un elefante:

Premadharma.: La lettura dei diversi interventi, mostra come dei ciechi che descrivono l'elefante secondo la propria esperienza che non può essere visiva, ne possano solo dare descrizione secondo il tatto ed eventualmente odorato, udito e gusto.
Mancando la vista ecco che c'è chi descriverà i tronchi delle gambe, chi l'otre della pancia, chi le foglie delle orecchie, chi il serpente della proboscide e chi i pugnali delle zanne.
La comprensione di un insegnamento tradizionale necessita dell'accettazione e del rispetto dell'esistenza degli altri punti di vista. Questo significa non solo che gli altri darśana hanno un loro grado di realtà, ma che il negarli o il crederne uno migliore mostra semplicemente come chi li nega viva fuori da ogni consapevolezza del fenomenico.
Non esiste un darśana migliore, esiste il proprio darśana ed è in quello che occorre misurarsi e crescere. Ci sono troppe persone che continuano a sostenere il proprio punto di vista "contro" e questo mostra una mancanza di pratica, perché se l'altro vive una diversa posizione coscienziale, è quella ad essergli propria, non certo la nostra.
Ogni tanto qualcuno afferma che invece è possibile risvegliare gli altri. Senza entrare in merito a questa affermazione, solitamente con essa si fa riferimento a Maestri cui i poi-risvegliati si erano rivolti; in tal caso c'era una precisa istanza di richiesta e la figura solitamente era una persona che aveva realizzato il Sé.
Qui invece si parla di persone dedite alla vita mondana, alle sue necessità, che avendo letto qualche libro e fatta qualche esperienza, professano la propria esperienza delle zampe dell'elefante come unica a cui tutti dovrebbero indirizzarsi.
Non esiste un unico cammino, se così indicato. Il cammino è unico, ma con modalità così diverse che mentre le si pratica sembrano dei cammini fra loro diversi.

Continuando a parlare di darśana, esiste spazio per altro nella vita di chi pratica?
C'è chi ha famiglia, chi ha responsabilità lavorative o altre. Se da giovani si ha del tempo, nella vita di capofamiglia questo tempo scompare.
Osservo i miei riferimenti e vedo che la loro vita è sì dedicata al servizio, ma non hanno tutto questo tempo a disposizione.
Com'è che certa gente ha tanto tempo e sembra sprecarlo? Verrebbe da chiedersi se non fosse possibile rubarne le briciole lasciate cadere per terra dalla tovaglia, come degli uccelli.

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