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Sul servizio: riflessioni

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cannaminor
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Sul servizio: riflessioni

Messaggio da cannaminor » 20/01/2018, 13:10

Non essere servo di nessuno se puoi essere signore di te stesso. (Alterius non sit, qui suus esse potest)

É una massima di Paracelso, Helmrich, 1977, p.40.

Riflettevo su questa massima (pare fosse il motto di Paracelso) anche se l'originale trova luogo in una favola esopiana come da spiegazioni di wiki

Riflettevo nel senso che pur comprendendone il significato, il senso, qualcosa mi stonava, non mi tornava nell'affermazione.
Arrivavo anche a capire quell'"essere signore di te stesso", ma era l'accostamento col "non essere servo di nessuno" che mi stonava.

Personalmente avrei capovolto la massima dicendo: sii servo di tutti (di tutto il creato, dell'intera manifestazione), se vuoi essere signore di te stesso.

Tutto quanto sopra mi ricordava le parole di Giovanni in riferimento a Gesù e alla lavanda dei piedi:

Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell'acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: «Tu, Signore, lavare i piedi a me?» Gesù gli rispose: «Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo». Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!» Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!» Gesù gli disse: «Chi è lavato tutto, non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto; e voi siete purificati, ma non tutti». Perché sapeva chi era colui che lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete netti».
Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io.

Oltre che a quelle di Matteo...

Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «Voi sapete che i prìncipi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti».

Le parole di cui sopra cozzano con il motto prediletto di Paracelso. Gesù stesso dice "Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono" e voglio presumere che lo fosse anche di se stesso, "signore di se stesso", secondo l'accezione del motto di Paracelso.
Però Gesù dice anche, al seguito dell'aver loro lavato i piedi: "Capite quello che vi ho fatto?" "Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io."

Poco prima, alle rimostranze di Pietro che non voleva farsi lavare i piedi Gesù rispondeva: "Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me".

Verrebbe da chiedersi (io me lo chiedo) perchè mai se non ti lavo (se non ti servo) Pietro non dovrebbe avere alcuna parte col maestro, con Gesù?

Cosa è dunque il servire, il servizio in ambito e contesto spirituale-tradizionale? cosa è, e significa il lavare i piedi ai discepoli? e in modo che accogliendo tale servizio i discepoli ne "hanno parte"? parte di che?

Ricordate la massima "liberamente ricevuto, liberamente dato"? forse che l'averne parte sia e rientri nel liberamente ricevuto, liberamente dato?

Cosa si può mai dare e ricevere liberamente, in libertà? forse che il servizio reso dal "servo" è libero? o che il servizio ricevuto dal "padrone" lo è?
Lì non c'è alcuna libertà, lì c'è solo necessità, forse ancor meno della necessità. Nel rapporto servo-padrone entrambi sono schiavi, ognuno dei rispettivi ruoli. Non c'è nessuna libertà. Nessuna libertà di dare, nessuna libertà di ricevere.

Sto parlando di libertà, libertà dall'io e non dell'io. Sto parlando di Colui che più non c'è in quanto è.

Poco tempo fa ho letto una frase, molto breve di premadharma, ma che in questo momento ha molto significato per me.

La frase, in riferimento alla testimonianza di cui si stava parlando, era:

"La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza."

Non esiste il testimone ma esiste (c'è) la testimonianza. Oppure girandola, non c'è nessun testimone, c'è solo (in essere) la testimonianza.

Lo stesso si potrebbe dire in altri ambiti e contesti.

Non c'è nessun agente di azione-agire, c'è solo l'azione-agire (quello che si usa dire in ambito tradizionale l'agire senza agire, azione senza azione).

E quindi, non c'è nessun servo-servitore, c'è solo il servizio, il libero servizio, liberamente ricevuto, liberamente dato, il liberamente averne e prenderne parte, come da parole di Gesù rivolte a Pietro.

Se mi permettete vorrei riprendere spunto da un dialogo di anni fa, il seguente.
Il punto e' un altro. Noi crediamo di essere qualcosa di ben individuato, crediamo di essere un soggetto ben preciso o che per lo meno, esista un soggetto di qualche fatta che possiamo essere.

E' estremamente difficile per un aspirante o per un discepolo comprendere che la sua vera natura, o meglio tutto cio' che egli e', e' proprio quella "sensazione" di essere.

Siamo cosi' abituati a pensare o credere o sentire di essere "qualcosa" (un qualcosa definito e individuato), che ci rifiutiamo di vivere o vedere che noi siamo proprio e solo quello stato che chiamiamo essere.

Adesso mentre scrivo, io non sono certo xx, quello e' un nome che e' stato dato, ne' sono il nome con cui questo ente viene indicato all'anagrafe.

Si', certo questo corpo e' stato partorito all'origine da una donna, ma "io" non sono questo corpo che si usura, che un giorno si disgregherà, ne' e' mia questa mente che permette la postulazione delle parole, ne' esiste un qualche "io" che possa essere definibile.

La pratica del testimone non serve a trovare il testimone (per il semplice fatto che non esiste), ma per trovare la testimonianza.

Poi possiamo chiamarla sat-cit-ananda, atman, brahman, o tao...
Tutti i discorsi di cui prima, sul servire, sull'agire, su questo e quello, avevano tutti un comune denominatore, tutti cercavano, presupponevano, inferivano un soggetto, un soggetto-io (che non c'è), che non esiste per quanto lo si cerchi, ma finchè (per paradosso) non lo si cerca non lo si trova, e si continuerà a credere che ci sia ed esista per tutta la durata della ricerca.

Non c'è nessun ricercatore, nessuno che cammina, nessuno che cerca, ma, e questo è il punto saliente quanto paradossale, c'è la ricerca, c'è il cammino, c'è il servizio e servire, c'è il dharma, l'azione e l'agire, e tutto quanto ne segue e consegue, solo che non c'è l'agente di tutto ciò!

Ma bisogna non-trovarlo o come diceva un saggio: bisogna che Colui che più non c'è sia in quanto è.

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Fedro
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Re: Sul servizio: riflessioni

Messaggio da Fedro » 20/01/2018, 16:02

In altre parole il servizio comincia laddove il soggetto, ( inteso come 'io agente e servitore,) decade.
Sino a quel momento "esiste" un servitore e un asservito, e questo processo visto erroneamente come "libero servire".

Mauro
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Re: Sul servizio: riflessioni

Messaggio da Mauro » 20/01/2018, 16:30

Nel momento in cui sei "signore di te stesso", allora sei anche servo di te stesso!

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