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L'istanza salvifica - riflessioni

La via della conoscenza: la discriminazione della realtà di ogni contenuto o inferenza, nel distacco della presenza.
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cielo
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L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da cielo » 12/12/2017, 20:42

Ieri mi è capitato di essere intercettata mentre rileggevo questo brano di Premadharma:

Ti narro del parlare.

Il dialogo è il processo ove due o più essenti offrendo in testimonianza la propria essenza, operano nella reciproca comprensione ampliando la consapevolezza.

Non c’è dialogo dove non c’è offerta.
Non c’è dialogo dove non c’è testimonianza.
Non c’è dialogo dove non c’è comprensione.

Offerta: fluire disinteressato (dove c’è intento di convincere o convertire, non c’è disinteresse).

Testimonianza: descrizione distaccata di un processo/evento (dove c’è inferenza sull’evento - ossia credenza, opinione, presunzione, deduzione, etc. etc. - non c’è distacco né descrizione del processo).

Comprensione: ampliamento del processo cognitivo attraverso l’integrazione (dove c’è confronto, contrasto, proselitismo, coercizione, rivalsa, istanza salvifica, non c’è né cognizione né integrazione).


Il brano è stato condiviso e così è nato il dialogo tra me e il giovane aspirante conoscitore che mi dice:
"Mi piace dove spiega cos'è la comprensione, lo capisco (difatti era in risonanza con le sue riflessioni precedenti sul distacco del bodhisattva (studia il buddhismo) che viene spesso visto come "cinismo" dagli astanti), però io non so cos'è l'istanza salvifica".

Bella domanda, impegnativa, dico io, e tento una spiegazione:
"E' il desiderio di far del bene all'altro, ma orientando le sue scelte...hai presente un vegetariano che fa sentire in colpa un povero cristo carnivoro che si sta per addentare la coscia di pollo?
E' un'istanza salvifica. Oppure quando uno regala un libro sperando che l'altro innesti una riflessione, anche quella, sotto sotto, è un'istanza salvifica. Anche se la scelta vegetariana è salutare e la riflessione su un buon libro per stimolare un percorso conoscitivo, sono "atti a fin di bene" e possono migliorare effettivamente la qualità della vita dell'altro. Come la tisana di salvia per la digestione, chi non la consiglierebbe a un poveretto che non ha digerito, magari con una grattatina di zenzero. E' un'istana salvifica volerlo salvare dal mal di pancia? Sì..soprattutto se l'altro non ti ha detto: "Mi consigli qualcosa per digerire".
Poi però c'è anche l'illusione di essere amati perchè abbiamo fatto "del bene", ci siamo resi utili, o almeno crediamo di averlo fatto.
L'istanza salvifica è una tentazione e sradicarla non è facile.
Perchè la rosa, maturato il suo ciclo e raggiunta la pienezza del profumo, naturale alla sua essenza di rosa, delizia i nasi per il solo fatto di essere rosa, non perchè si propone come portatrice di allettante profumo, non va in giro a dire "venite, venite, qui c'è una rosa profumata!"

Riflettevo sul fatto che sarebbe interessante andare al nocciolo dell'istanza salvifica perchè vista in una certa ottica uno potrebbe anche dire che Premadharma si è sbattuto alla grande per offrire una testimonianza "salvifica", ma non aveva alcuna istanza di salvare nessuno. Infatti sapeva benissimo che non è dato salvare nessuno, se questo non si vuole salvare da sè, e che non c'è nessun altro da salvare. Non c'è l'io e il tu, quelli sono solo l'apparenza di questo piano di manifestazione. Maya.

Sfumature, la mente è perversa, vuole la prova provata della giustezza delle sue pensate. Certi esseri non pensano di amare, amano e basta. E conseguentemente sono naturalmente amati. Danno il ritmo al fluire dell'amore.

La mente vede le ombre in piena luce, ma capita se chiude gli occhi e si tappa il naso per non sentire il profumo della rosa e ammirare i suoi colori cangianti. Troppo concentrata sul proprio colore-odore, ma non quello naturale, quello preparato in laboratorio mescolando tutte le sapienze, in mille diverse combinazioni, e facendo esplodere gli alambicchi con qualche preparato esplosivo personalizzato.

Certi esseri invece, privi di ogni istanza salvifica, di un volere "migliorare il mondo", sono semplicemente rosa profumata che si offre per chi ed a chi serve ricevere quel profumo.
Non è la rosa a decidere di profumare, sono i nasi degli astanti che le si avvicinano a profumarla, a cogliere quell'essenza.
A integrare quel profumo, a comprenderlo in identità.

L'istanza salvifica implica un rivolgere lo sguardo all'esterno, verso il mondo, invece che verso se stessi, attirati nel cuore dall'Essere che lì (simbolicamente) dimora, eterno e immacolato. Quell'Essere che solo permette di svelare, illuminare (dalle tenebre dell'avidya) ciò che siamo.

E questa luce autorisplendente è da portare/sperimentare dentro, nell'interiorità, non fuori nel mondo, per "salvarlo".
Essere fiore che profuma per tutto e per tutti coloro che gli si accostano, e che anche se non c'è nessuno, profuma lo stesso.
Abbandonare l'istanza salvifica è comprensione, si cerca dentro, perchè si è Dentro (Quello).
Certe testimonianze ci indicano solo la via, la direzione, ma è il "dentro sè stessi" la meta: c'è solo Tvam, che è Tat.
Non ci sono maestri e insegnamenti nel "Tu sei Quello", c'è solo l'Essere e nessun altro (senza secondo).
Comprendere che non c'è un altro da salvare, ma da integrare nell'amore, riuscendoci, è comprendere quel Tu.

shanti

"R. "Che cosa intendiamo per comprensione? Vi prego, cerchiamo di afferrare assieme questo concetto, altrimenti il nostro non è un dialogo realizzativo, ma una semplice conversazione da salotto. Se a un individuo viene detto che la strada che sta seguendo è senza alcuna uscita, che se desidera arrivare alla mèta deve prendere quella opposta e lui, pur affermando d'aver capito, continua a percorrere il vicolo cieco, vuol dire che non ha invero compreso.
Comprendere significa prendere con sé un dato, integrare un contenuto concettuale, penetrare l'essenza di una cosa. Dunque, se comprendiamo la nostra vera Essenza, non possiamo non essere quell'Essenza, in ogni luogo, tempo e
causalità.
Bene. Diciamo dunque che deve arrivare alla vera comprensione delle cose, la quale, a sua volta, maturerà un effluvio e un irraggiamento qualitativi che potranno dimostrarsi come donazione pedagogica o altro. Possiamo anzi dire che
l'atto d'amore si matura quando vive in noi la vera comprensione.
Comprendere significa amare, donare; significa condividere, non è vero? L'Ideale dell'uomo consiste nel realizzarsi, nel vivere la vera Essenza principiale, tutto il resto è una conseguenza logica. Il fiore che è arrivato a maturità non
può non profumare, e tutti coloro che gli si avvicinano possono assaporare la fragranza del suo profumo e la bellezza della sua geometria.
Un Risvegliato è Bellezza, è Profumo, è Geometria e, con la sua sola presenza, impone un ritmo
nello spazio. Questa condizione è non-duale."
(Raphael, tratto da Alle fonti della vita)

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da Fedro » 13/12/2017, 7:02

Rimane ancora un'istanza salvifica di cui ci si dimentica: quella verso se stessi.
Il trovarsi piuttosto che perdersi ( perché non c'è nulla da trovare realmente) mi pare lo sia ancora, istanza salvifica.
C'è una forma di esorcismo nel cercarsi, che ci mantiene a galla comunque, un utile salvagente per l'io.

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da cielo » 13/12/2017, 10:35

Fedro ha scritto:
13/12/2017, 7:02
Rimane ancora un'istanza salvifica di cui ci si dimentica: quella verso se stessi.
Il trovarsi piuttosto che perdersi ( perché non c'è nulla da trovare realmente) mi pare lo sia ancora, istanza salvifica.
C'è una forma di esorcismo nel cercarsi, che ci mantiene a galla comunque, un utile salvagente per l'io.
Della serie "io mi salverò", ma tu non lo so? ( :) )

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da Fedro » 13/12/2017, 15:24


Della serie "io mi salverò", ma tu non lo so? ( :) )
Io? Tu?
No, non ho capito davvero..

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da cielo » 13/12/2017, 18:35

Fedro ha scritto:
13/12/2017, 15:24

Della serie "io mi salverò", ma tu non lo so? ( :) )
Io? Tu?
No, non ho capito davvero..
beato te che hai ormai un'ottica non duale, io, ahimè, continuo a vedere e patire il me e il te.
(in ogni caso giocavo)

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da Fedro » 13/12/2017, 19:26

cielo ha scritto:
13/12/2017, 18:35
beato te che hai ormai un'ottica non duale, io, ahimè, continuo a vedere e patire il me e il te.
(in ogni caso giocavo)
che c'ho un ottica..è fuor di dubbio :)
In ogni caso, riflettevo su ciò che si vive, e non c'è molto da essere beati, quando scopri che ti sei lasciato un posticino in cui salvarti..

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da cielo » 14/12/2017, 18:37

Fedro ha scritto:
13/12/2017, 19:26
cielo ha scritto:
13/12/2017, 18:35
beato te che hai ormai un'ottica non duale, io, ahimè, continuo a vedere e patire il me e il te.
(in ogni caso giocavo)
che c'ho un ottica..è fuor di dubbio :)
In ogni caso, riflettevo su ciò che si vive, e non c'è molto da essere beati, quando scopri che ti sei lasciato un posticino in cui salvarti..
Salvarti da cosa? Dai tuoi stessi pensieri o sentimenti?

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da Fedro » 14/12/2017, 21:34

cielo ha scritto:
14/12/2017, 18:37
Fedro ha scritto:
13/12/2017, 19:26
cielo ha scritto:
13/12/2017, 18:35
beato te che hai ormai un'ottica non duale, io, ahimè, continuo a vedere e patire il me e il te.
(in ogni caso giocavo)
che c'ho un ottica..è fuor di dubbio :)
In ogni caso, riflettevo su ciò che si vive, e non c'è molto da essere beati, quando scopri che ti sei lasciato un posticino in cui salvarti..
Salvarti da cosa? Dai tuoi stessi pensieri o sentimenti?
Non salvarti da qualcosa, ma in quanto ti ritieni "qualcosa"

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Re: L'istanza salvifica - riflessioni

Messaggio da cannaminor » 14/12/2017, 23:19

Mi permetto di riportare un brano tratto da "Alle Fonti della Vita" (pag 19-24, Edizioni Asram Vidya, Raphael) che trovo pertinente all' "istanza salvifica" di cui si sta parlando...

R. Che cosa intendiamo per comprensione? Vi prego, cerchiamo di afferrare assieme questo concetto, altrimenti il nostro non è un dialogo realizzativo, ma una semplice conversazione da salotto. Se a un individuo viene detto che la strada che sta seguendo è senza alcuna uscita, che se desidera arrivare alla mèta deve prendere quella opposta e lui, pur affermando d'aver capito, continua a percorrere il vicolo cieco, vuol dire che non ha invero compreso. Comprendere significa prendere con sé un dato, integrare un contenuto concettuale, penetrare l'essenza di una cosa. Dunque, se comprendiamo la nostra vera Essenza, non possiamo non essere quell'Essenza, in ogni luogo, tempo e causalità.

D. Questo atto del comprendersi richiede tempo, ritiro dal mondo e solitudine. Come posso io, che lavoro quotidianamente e che mi trovo in questo mondo così frenetico, giungere a quello stato favorevole?

R. Per comprenderci dobbiamo proprio ritirarci nella giungla o in montagna? Sia che stiamo in città, in campagna o altrove, noi portiamo ovunque il nostro conflitto e la nostra incompiutezza. Possiamo trovarci in alta montagna, circondati da solitudine, e avere una mente irrequieta e tutt'altro che
silenziosa; ciò può non accadere invece dimorando in città. Il raccoglimento è un'attitudine mentale. La comprensione di sé non dipende dal luogo e dal tempo; l'io, purtroppo, cerca sempre di evadere il problema di fondo.
Possiamo comprenderci quando siamo oberati dal lavoro? Chi è che lavora? Che relazione c'è tra noi e il lavoro? Che cos'è il lavoro? Possiamo lavorare pur stando altrove con la mente? Mentre camminiamo, per esempio, possiamo pensare a un qualunque avvenimento?
Scoprire tutto ciò significa comprendersi e questo processo lo si può realizzare in qualunque condizione psico-fisiologica.

D. Ho sempre pensato che l'ideale dell'uomo debba essere quello di amare il suo prossimo. Crede che ci sia un ideale più alto?

R. Per rispondere a questa domanda mi occorrerebbe più tempo; cercherò comunque, nei limiti che mi sono consentiti, di puntualizzare il problema. Prima di tutto vorrei chiedere che cosa intende lei per amore; dobbiamo partire da un punto ben preciso e chiaro sennò non potremo... comprenderci.

D. (dopo qualche reticenza) Essere utili agli altri, servire gli altri, non combatterci. Tutto questo per me è amore.

R. Dunque, occorre servire ed essere utili agli altri; ma ciò implica un conoscere, oltre a una maturità del donante, non le sembra? Un cieco può mai guidare altri ciechi?

D. Certamente no.

R. Chi dà deve avere, chi vuole insegnare deve conoscere, chi vuole amare gli altri deve possedere l'amore, altrimenti che cosa dà? Lei annuisce, ma forse non mi segue in modo adeguato. Mi seguite tutti voi? Il problema è molto delicato e impegnativo. Cerchiamo di creare una giusta attenzione senza resistenze subconsce. Possiamo scoprire assieme tante cose inusitate.

D. Noto che ci sono molte implicanze nella mia domanda...

R. Non ha importanza, il problema è stato posto. Portiamolo avanti per quanto ci è consentito. Facciamo un esempio: un potenziale educatore se vuole educare gli altri, e quindi servire e amare, che cosa deve fare?

D. Arrivare prima di tutto alla conoscenza.

R. Bene. Diciamo dunque che deve arrivare alla vera comprensione delle cose, la quale, a sua volta, maturerà un effluvio e un irraggiamento qualitativi che potranno dimostrarsi come donazione pedagogica o altro. Possiamo anzi dire che l'atto d'amore si matura quando vive in noi la vera comprensione.
Comprendere significa amare, donare; significa condividere, non è vero? L'Ideale dell'uomo consiste nel realizzarsi, nel vivere la vera Essenza principiale, tutto il resto è una conseguenza logica. Il fiore che è arrivato a maturità non può non profumare, e tutti coloro che gli si avvicinano possono assaporare la fragranza del suo profumo e la bellezza della sua geometria. Un Risvegliato è Bellezza, è Profumo, è Geometria e, con la sua sola presenza, impone un ritmo nello spazio. Questa condizione è non-duale.

D. Che cosa significa quest'ultima affermazione?

R. Significa che il vero amore non è quello emotivo o sessuale che implica desiderio esclusivo e conflittuale, appropriazione e ritorno di qualche cosa.

D. Quell'amore di cui parlavamo prima non implica ugualmente dualità, non devono sempre esserci due persone?

R. Ritorniamo allo stato di libera attenzione. Queste sono sfumature troppo delicate per permettere alla mente di divagare. Quando dico che il fiore profuma, la qualità profumo si svela in modo indipendente dall'esistenza o meno di persone o cose esterne. Il sole brilla di luce propria in modo indipendente dall'esistenza o meno dei pianeti. In questo moto non ci sono appropriazione, desiderio, schiavitù, non ci sono né memoria né dualità: comprendete? Questa condizione Patanjali la chiama kaivalya, isolamento da tutte le possibili dualità, Solitudine divina. Ciò implica un irraggiare, un dare senza ricevere, senza il ritorno di qualche cosa. Là dove c'è desiderio c'è sempre dualità e conflitto, quindi incompiutezza. Noi abbiamo scambiato più o meno il desiderio con l'amore. L'io desidera sempre: macchine, sesso, poltrone di comando e perfino il paradiso, ma è solo per godere, per trovare la sua tranquillità emotiva, per soddisfare le sue brame subconsce.

D. Allora, se io amo una persona non devo chiedere niente? Devo lasciarla andare?

R. Mi sembra ovvio; se c'è puro amore non può esserci alcuna richiesta; se invece c'è desiderio le cose stanno in modo diverso. Cerchi di riflettere, la prego. Noi siamo qui per comprenderci, quindi per amarci.

Può la luce volere la luce se è essa stessa luce?
Può la conoscenza volere la conoscenza se è essa stessa conoscenza?
Può la vita volere la vita se è essa stessa vita?
Può l'amore volere l'amore se è esso stesso amore?


D. E' meraviglioso tutto questo; nello stesso tempo è terribile, almeno per me, riconoscere certi comportamenti o certi impulsi umani.

R. Non deve rattristarsi; l'uomo deve avere il coraggio di affrontare i propri nemici interni se vuole raggiungere la sua vera mèta, il suo più autentico Ideale: la Realizzazione dell'Essenza.

D. Qual è il più terribile nemico dell'uomo?

R. L'ignoranza.

D. Come possiamo sconfiggerla? Sa indicarci una strada?

R. Solo con la Realizzazione, con il risvegliarsi a quello che in realtà si è, e ciò implica la comprensione di cui parlavamo prima.

D. Come si può ottenere questa Realizzazione?

R. Non si tratta di acquisire, conquistare o ottenere qualche cosa; invero, non potremo mai conquistare qualche cosa che non abbiamo in modo potenziale. Virtualmente noi siamo già realizzati, occorre solo dimostrarlo a livello conscio.

D. Il sentiero Vedanta, che io apprezzo molto, afferma che noi siamo Brahman, ma non ci riconosciamo come tale perché la maya si frappone tra noi ed Esso. In che modo posso eliminare questo velo che m'impedisce di trovarmi in quello che realmente sono?

R. Con la spada della discriminazione e con la luce dell'illuminazione che ne è una conseguenza. Occorre separare il Reale dall'irreale, il Sé dal non-Sé, la vera Conoscenza dalla cognizione eruditiva e dall'accumulo, il noumeno dal fenomeno, l'atman dal complesso veicolare o strumento di contatto. Riconosciamo prima di tutto che siamo l'atman, o, per parlare in termini occidentali, una Scintilla di Dio. Dobbiamo riprendere questa condizione principiale. L'ignoranza metafisica ha obnubilato la nostra coscienza, ma questa ignoranza è solo un fantasma che va e viene e può essere distrutto; dipende dalla direzione che vogliamo dare alla mente. Sankara afferma che la mente ci ha portati nella schiavitù, ma è la stessa mente che ci porterà alla Liberazione.

D. Capita che la mente, pur comprendendone la necessità, si rifiuti di seguire una certa linea. Perché questo?

R. La mente è oberata dai ricordi, dal passato, da erudizioni, inibizioni, paura, dubbi e così via. I contenuti mentali costituiscono la nostra fatale
incompiutezza. Come ripulire la mente da questi detriti? Come spazzare i fantasmi subconsci che ci succhiano il sangue e ci impoveriscono giorno per giorno? Questo è il problema.

D. Può la mente riconoscere tutta questa incompiutezza se è essa stessa incompiutezza?

R. Deve scoprirlo da solo. Prenda l'invidia, per esempio. Cerchi di seguire dentro di sé questo moto energetico: quando nasce, perché nasce, come nasce, come si matura, come la spinge a determinare un certo tipo di comportamento.
Segua questo processo d'incompiutezza dalla nascita fino alla maturazione e conseguente estroversione. Deve fare, cioè, dell'invidia un oggetto di
conoscenza, ciò implica la presenza di un soggetto operandi. Se l'uomo fosse solo la mente non potrebbe mai realizzarsi, per fortuna la mente è solo uno strumento, il riflesso di qualche cosa che sta dietro a essa.

D. L'invidia nasce per un oggetto esterno.

R. Non credo. L'invidia nasce da una sua reazione interna, da una sua risposta all'oggetto esterno. Non le pare? Molte persone rispondono in modo differente a quello stesso oggetto. Ciò dimostra che l'oggetto non c'entra affatto; ciò che invece risulta fondamentale è la sua risposta o reazione a esso. Se vogliamo comprendere noi stessi dobbiamo distogliere l'occhio dal mondo esteriore e volgerlo alla fornace degli impulsi reattivi interni. I nostri nemici sono dentro, non fuori di noi.

D. Questo, veramente, mi apre nuovi orizzonti. Mi perdoni questa considerazione: in base a quello che abbiamo detto non è il comportamento di una persona che mi produce un certo tipo di irrequietezza, ma è la mia risposta o reazione interna? Vorrei afferrare sempre meglio, sono qui per comprendere.

R. Penso che questo processo dovrebbe essere chiaro. Noi non dipendiamo dagli oggetti-comportamenti esterni, ma dalle nostre reazioni a essi. Ciò che occorre è rieducare proprio queste reazioni, non gli oggetti-eventi esterni.

D. Allora l'attuale condanna a tutti i beni di consumo non è giusta, se c'è qualcosa da condannare è proprio la nostra particolare reazione?

R. Sì. Ogni bene di consumo è un innocente strumento di servizio, dipende da noi esserne più o meno schiavi.

D. Occorre, naturalmente, capovolgere tutta la morale corrente. Non pensa che l'uomo scarichi all'esterno la sua debolezza o incompiutezza, come lei la chiama?

R. Sono d'accordo. E' per questo che a volte è difficile la Realizzazione. L'io non vuole mai riconoscere di essere ciò che è. Per comprendere occorre una grande attenzione, una grande umiltà, un'accettazione intelligente, occorre fare tabula rasa di tutto il nostro passato e della nostra erudizione. L'io vuole nuove sensazioni, in meditazione e fuori della meditazione; l'io cerca il mistero, non la verità, questa può svelargli delle cose non troppo piacevoli.

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