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Auto-indagine

La via della conoscenza: la discriminazione della realtà di ogni contenuto o inferenza, nel distacco della presenza.
latriplice
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Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 26/02/2017, 11:02

Il Vedanta, nota anche come auto-indagine, è uno strumento per acquisire la conoscenza di sé, la chiave per la libertà permanente. Dal momento che tutti indistintamente valorizzano la libertà, vale la pena di capire come l’auto-indagine funziona. Il primo passo è quello di analizzare i tuoi obbiettivi nella vita che generalmente rientrano in quattro categorie, dei quali i primi tre sono artha, kama e dharma.

Artha, ricchezza, è il perseguimento della sicurezza materiale attraverso l’acquisizione di denaro, cibo, alloggio, vestiario, famiglia, occupazione, condizione sociale, reputazione o potere. Kama, piacere, è la ricerca di godere delle cose, siano esse sottili come le relazioni, arte, musica e conoscenza, oppure grossolane come il cibo, droga e sesso. Dharma, virtù, significa agire in modo appropriato evitando le trasgressioni. Per alcuni questo perseguimento assume la forma della religione. Per altri invece, assume la forma di yoga o psicologia, per cui si sforzano di rimuovere le tendenze inutili e dannose dalle loro menti. E per tutti gli altri che personalmente non si sentono mancanti della virtù, possono cambiare il mondo portando il loro contributo dharmico al resto della società.

Ma indipendentemente da ciò che persegui, sia essa sicurezza, piacere o virtù, o qualsiasi altra cosa concernente, devi chiederti: “Perché voglio queste cose in primo luogo? Solo per soddisfare un desiderio fine a se stesso?”. Se ci pensiamo attentamente scopriamo che è nel nome della libertà che desideriamo queste cose, libertà dalla sensazione che sei limitato dalla tua mancanza di sicurezza, piacere e virtù. La libertà si traduce in una sensazione di felicità e la limitazione si traduce in una sensazione di infelicità. Ed essere infelice non è accettabile per chiunque. Pertanto, dal momento che la vita spesso consiste, se non sempre, nella ricerca della felicità/libertà attraverso il guadagno di sicurezza, piacere e virtù, è lecito chiedersi: “Quello che sto facendo sta funzionando veramente?”.

Diciamo che ti senti finanziariamente insicuro ed esci di casa alla ricerca di un buon lavoro. Una volta che hai racimolato un po’ di soldi ti senti libero dall’insicurezza. Ma quanto dura questa sensazione? Cosa succede quando devi spendere i soldi per pagare le bollette? La sensazione di insicurezza ricompare. Anche se si fanno più soldi il desiderio stesso non cessa. Semplicemente si manifesta in una forma diversa, probabilmente come desiderio di un po’ di piacere, e disturba il tuo senso di libertà nuovamente. E come se non bastasse, indulgere quel desiderio potrebbe anche aumentarlo. Cibo, droghe e sesso sono buoni esempi perché avendone usufruito per una volta di solito non è sufficiente. Per molti sono una ossessione, ed il comportamento compulsivo si impadronisce della tua libertà come nessun’altro.

Generalmente quando si ottiene ciò che si vuole, è possibile in seguito rendersi conto di non volerlo veramente e desideri sbarazzartene. Oppure ti piace quello che hai ma col passare del tempo cambia e non ti fa sentire felice. O forse rimane lo stesso, ma i tuoi desideri cambiano.

Non importa quale sia il caso, tutto ciò che insegui in nome della libertà/felicità non dura. E la libertà temporanea non è per nulla libertà. Dal momento che nessuno vuole essere felice per un tempo limitato, vale la pena riconoscere un semplice fatto. Se quello che hai fatto finora per ottenere la libertà avesse funzionato, la libertà così ottenuta sarebbe definitiva. Continuare a credere che funzionerà è la causa di una forte sofferenza.

Nonostante il fatto che la libertà che sperimenti nella forma di felicità, è solo temporanea, senza saperlo stai esperendo la libertà. Considerando l’esperienza per quello che è, sembra che la sensazione di libertà provenga dalla tua interazione con gli oggetti. Per “oggetti” si intende assolutamente tutto ciò che puoi sperimentare o conoscere, da oggetti fisici come le persone, la natura, i beni, le situazioni o il tuo corpo fino a oggetti interni come le emozioni, i pensieri, i ricordi o sogni. L’esperienza è di per sé un oggetto, e sebbene la felicità sembra provenire dagli oggetti, non è così. Se così fosse, allora un oggetto di felicità darebbe la felicità a tutti allo stesso modo ed in ogni momento.

La tranquilla musica devozionale è piacevole per il tipo spirituale pacifico, ma è terribilmente noiosa per il suo giovane vicino di casa. La musica metallara è eccitante per il giovane vicino di casa mentre è irritante per il tipo spirituale pacifico. Una bistecca fiorentina sanguinolenta è attrattiva per un cultore della carne ma ripugnante per un vegano. Un frullato di vegetali esotici potrebbe essere una prelibatezza per un vegano ma un intruglio verde nauseabondo per il cultore di carne. Un marito potrebbe odiare la moglie mentre il loro figlio la ama moltissimo. Fare della carità è fonte di gioia per un filantropo, ma atroce per un avaro. Un nuovo videogioco è interessante per un bambino ma una perdita di tempo per il nonno che glielo ha regalato.

Forse questo non ha importanza. Finché qualcosa ti rende felice, questo è ciò che conta, giusto? Ma se ci fosse qualcosa che veramente contenga la felicità, ti darebbe la stessa felicità per tutto il tempo. Magari la torta al cioccolato ti rende felice. Ma la quinta fetta di torta al cioccolato ti renderà altrettanto felice come la prima? E ti renderà felice quella stessa fetta di torta che ti viene offerta subito dopo che hai scoperto che uno dei tuoi amici è stato coinvolto in un terribile incidente? Anche qualcosa che inizialmente ti rendeva molto felice può successivamente farti molto infelice. Qualsiasi persona con la quale hai avuto una precedente relazione è un buon esempio. Come può esserci felicità nel signor o nella signora Giusto, se in seguito diventano il signor o la signora Sbagliato?

Vedere che lo stesso oggetto può dare diverse esperienze a diverse persone o che lo stesso oggetto può dare alla stessa persona esperienze diverse in momenti diversi, appare chiaro che la felicità non risiede nell’oggetto. Pertanto la prossima domanda è: se la felicità non si trova nell’oggetto, da dove proviene?

Dal momento che gli oggetti includono qualsiasi cosa possibile che tu puoi esperire o conoscere fisicamente o mentalmente, allora c’è una sola altra opzione. La felicità deve provenire da te, il soggetto cosciente, quello che conosce gli oggetti. Ma perché sembra come se provenisse dagli oggetti? La ragione è che quando si ha un desiderio o una paura, che è soltanto un desiderio di evitare qualcosa, crea agitazione nella tua mente che blocca l’apprezzamento della tua vera natura, che è la libertà. Ti senti limitato da ciò che non hai o dalla presenza di qualcosa che non vuoi. Ma quando ottieni l’oggetto che vuoi o eviti l’oggetto che non vuoi, il desiderio o la paura se ne va e conseguentemente l’apprezzamento della tua natura libera inonda la tua mente come una esperienza di felicità. Pertanto, mentre sembra che siano gli oggetti la sorgente della felicità, in realtà sono solo dei catalizzatori che rimuovono desideri e paure. Se segui questa logica chiediti: “Se ciò che sto cercando è la libertà, e la libertà è già la mia natura, ho quindi una idea sbagliata riguardo chi sono io?”.

La risposta è sì. Non per colpa tua pensi di essere limitato, incompleto ed inadeguato, costretto a cercare la felicità nell’inseguimento degli oggetti. Ma in verità, tu sei illimitato, completo e sempre libero, mai dipendente da alcun oggetto di esperienza per la tua felicità. Quando vedi chiaramente che soltanto la felicità temporanea è possibile nell’acquisizione degli oggetti, e che la felicità non proviene dagli oggetti ma da te stesso, sei pronto per il quarto e finale perseguimento, moksha. Essa non ricade nelle altre tre categorie di ricerca, perché non è un oggetto. Moksha si dirige alla libertà direttamente, che significa che è una indagine nella tua vera natura. Tu vuoi la libertà che è propria di te stesso.

L’azione, karma, può sicuramente assicurarti l’ottenimento degli oggetti. Ma c’è una particolare azione che può concederti la libertà che è te stesso, il soggetto cosciente? Il buon senso ti dirà che non puoi fare qualcosa per ottenere ciò che già hai o diventare ciò che già sei. Eppure ci sono molti che dicono che una particolare esperienza “spirituale” è necessaria per diventare te stesso o entrare in contatto con te stesso e che questa esperienza ti renderà permanentemente felice. Ma dal momento che l’esperienza stessa è un oggetto temporaneo, ne consegue che la ricerca di esperienze spirituali nel nome della felicità, corrisponde alla stessa ricerca mondana di sicurezza, piacere e virtù. Non funziona, né è logicamente realizzabile. Colui che compie le azioni per ottenere una esperienza permanente di felicità è limitato, dispone di risorse, capacità, conoscenza e desideri limitati. Pertanto come potrebbe una persona limitata che esegue azioni limitate, creare un risultato illimitato permanente?

La nozione che una particolare esperienza è necessaria per farti ottenere la libertà, è basata sulla credenza che tutto ciò che stai esperendo proprio adesso è qualcosa diverso da te. Questo si chiama dualità. Tuttavia, il Vedanta afferma che la realtà è non-duale, che nonostante appaia diversamente, ci sei solo tu, il soggetto cosciente.

Facciamo un esperimento per dimostrarlo. Chiediti dove esattamente stai sperimentando questo testo. Se credi a quello che i tuoi sensi ti stanno dicendo, probabilmente penserai di esperire questo testo “là fuori” sullo schermo del computer o su un pezzo di carta. Ma puoi davvero trovare questo testo da qualche parte là fuori? Assolutamente no. Puoi solo trovare il pensiero di esso nella tua mente, l’idea di “là fuori” essendo un pensiero stesso. Pertanto quanto è distante il pensiero del testo dalla tua mente? Essi non sono separati, si potrebbe dire che il pensiero è fatto di mente. Ma come fai a sapere che la mente è lì? Perché tu, il soggetto cosciente, sa che è lì. E quanto distante sei dalla tua mente? C’è un divario che ti separa da essa? Assolutamente no, la tua mente non è separata da te, è sostanziata da te. Questo significa che tutto ciò che andrai ad esperire in qualsiasi momento e luogo non è nient’altro che te stesso. Pertanto l’idea che l’azione è necessaria per guadagnare una particolare esperienza di te stesso è basata su una mal comprensione, il mancato riconoscimento della natura non-duale della realtà.

Tratto dalla prima parte del commentario di Vishnudeva Sanders, TATTVA BODHA: KNOWLEDGE OF TRUTH

Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 28/02/2017, 19:47

Non avevo letto con attenzione quando hai postato questo stralcio.
Stasera l' ho fatto e mi ha colpito questa parte:


La felicità deve provenire da te, il soggetto cosciente, quello che conosce gli oggetti. Ma perché sembra come se provenisse dagli oggetti? La ragione è che quando si ha un desiderio o una paura, che è soltanto un desiderio di evitare qualcosa, crea agitazione nella tua mente che blocca l’apprezzamento della tua vera natura, che è la libertà. Ti senti limitato da ciò che non hai o dalla presenza di qualcosa che non vuoi. Ma quando ottieni l’oggetto che vuoi o eviti l’oggetto che non vuoi, il desiderio o la paura se ne va e conseguentemente l’apprezzamento della tua natura libera inonda la tua mente come una esperienza di felicità. Pertanto, mentre sembra che siano gli oggetti la sorgente della felicità, in realtà sono solo dei catalizzatori che rimuovono desideri e paure.


Era qualcosa che avevo letto in passato altrove, e mi aveva molto colpito.
Ti ringrazio per aver fatto riaffiorare in me questa verità.

latriplice
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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 28/02/2017, 23:23

Fa piacere Mauro. A me ha colpito la frase che ho sottolineato parte dell'ultimo paragrafo che mi ha fatto riflettere su quanto incide il pensiero in generale nelle nostre vite:

Facciamo un esperimento per dimostrarlo. Chiediti dove esattamente stai sperimentando questo testo. Se credi a quello che i tuoi sensi ti stanno dicendo, probabilmente penserai di esperire questo testo “là fuori” sullo schermo del computer o su un pezzo di carta. Ma puoi davvero trovare questo testo da qualche parte là fuori? Assolutamente no. Puoi solo trovare il pensiero di esso nella tua mente, l’idea di “là fuori” essendo un pensiero stesso. Pertanto quanto è distante il pensiero del testo dalla tua mente? Essi non sono separati, si potrebbe dire che il pensiero è fatto di mente. Ma come fai a sapere che la mente è lì? Perché tu, il soggetto cosciente, sa che è lì. E quanto distante sei dalla tua mente? C’è un divario che ti separa da essa? Assolutamente no, la tua mente non è separata da te, è sostanziata da te. Questo significa che tutto ciò che andrai ad esperire in qualsiasi momento e luogo non è nient’altro che te stesso. Pertanto l’idea che l’azione è necessaria per guadagnare una particolare esperienza di te stesso è basata su una mal comprensione, il mancato riconoscimento della natura non-duale della realtà.

Nel senso che la sensazione di separazione, limitatezza, inadeguatezza e carenze varie siano alimentati dai pensieri che costantemente affollano la nostra mente più per abitudine che per altro. E che non bisogna fare nulla per raggiungere la pace o la libertà come per abitudine pensiamo. La pace e la libertà essendo la nostra natura è già lì nel suo immacolato candore, se sposti l'attenzione lo avverti nel sottofondo, anzi sei quel sottofondo. L'aspetto di tutta la faccenda è così sottile che non ce ne rendiamo conto presi come siamo a dar ascolto alle significanze che i pensieri esprimono. Quindi la soluzione non risiede tanto nell'avere una mente sgombra dai pensieri, ma all'importanza che attribuiamo agli stessi. In altre parole non devi conquistare l'unità, perché lo sei già, ma dare meno valenza ai pensieri che apparentemente infrangono questa unità, e ciò che sei veramente si rivela spontaneamente. Siamo uno (coscienza) ma pensiamo di essere due (mente).

In fondo i pensieri sono i nostri figli, ma possono se glielo permettiamo, divorare il padre.

Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 01/03/2017, 8:14

Su quello scritto sopra da te riportato, sono meno d'accordo.
Nel senso che è pur vero che ciò che leggo è una elaborazione del mio pensiero, ma non capisco perchè si possa affermare che sia qualcosa esclusivamente prodotto dal mio pensiero.
Dov'è la prova di ciò?
Nella percezione, il pensiero, prodotto dalla mente e nel caso specifico da citta, è il risultato di una elaborazione in cui interviene il dato sensoriale (l'informazione) e l'acquisizione pregressa tramite la memoria, di dati precedenti.
Questo consente l'intellegibilità dell'informazione stessa.
Nel caso del testo che leggo, ad esempio, se non intervenisse la memoria (ricordo) della forma e significato dei simboli che vedo allineati uno dopo l'altro su un libro o sullo smart, non potrei decodificarli e quindi "leggerli".
Quindi, due sono gli elementi che entrano in gioco: l'elemento esterno, rappresentato dai segni di inchiostro sulla carta o dai bytes sullo schermo, che percepisco tramite gli organi di senso (in questo caso la vista), e l'elemento interno, atto a rendere intellegibili tali segni in base alla nostra pregressa conoscenza, affinchè il testo letto possa essere compreso.

Bada, la mia non è una definizione "scientista" della percezione: tutti i darshana ortodossi parlano di questa modalità di acquisizione dell'ambiente esterno. Anche il Vedanta, nella opera da me sempre citata (e scarsamente valorizzata) del Panchikarana Varttika.

latriplice
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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 01/03/2017, 19:31

Dal momento che il successo nella ricerca della libertà dipende dalla comprensione di questa conclusione, ecco una storia tradizionale usata dal Vedanta per spiegare questo aspetto.

Un giorno un gruppo di viandanti giunsero alle sponde di un fiume in piena che aveva travolto l’unico ponte nei dintorni, pertanto furono costretti a lottare con forza per attraversarlo a nuoto e giungere sani e salvi sull’altra sponda. Una volta giunti a destinazione, al capo della spedizione venne in mente che sarebbe stata una buona idea mettersi a contare i presenti per assicurarsi che tutti avessero attraversato il fiume indenni. Chiese ai suoi compagni di disporsi in fila e si mise a contarli con cura. Alla fine della conta, sgomento, si accorse che c’erano solo nove persone. Mancava qualcuno! In preda al panico si mise a ricontarli e ancora una volta si fermò a nove. Sia lui che gli altri suoi compagni caddero a terra in disperazione, lamentandosi per il loro amico perduto.

Proprio in quel momento un signore anziano dall’aspetto gentile e modi cortesi si avvicinò e chiese loro cosa fosse successo, e il capo spiegò la situazione. Il vecchio sorrise lievemente e disse: “Io so dove si trova la decima persona, ciascuno si rimetta in fila”. Felicissimi per l’annuncio i viaggiatori obbedirono con entusiasmo. Questa volta però il vecchio ordinò al capo di mettersi anche lui in fila come gli altri. Poi, lentamente, il vecchio si mise a contare fino a giungere al numero dieci. Il capo, alquanto imbarazzato, si rese conto che al primo conteggio aveva dimenticato di includere se stesso.

Ora in questa storia c’è da chiedersi se è vero che il vecchio, attraverso l’azione del conteggio, abbia improvvisamente trasformato il capo nel decimo uomo oppure abbia consegnato al capo il decimo uomo che stava cercando? Assolutamente no! Il vecchio ha soltanto rimosso l’ignoranza del capo del fatto che egli è, ed è sempre stato, la decima persona che stava cercando. Allo stesso modo, la tesi del Vedanta è che tu sei e che sei sempre stato libero, pertanto non c’è nulla che tu puoi fare per renderti libero.

Sapendo che non puoi fare alcuna azione per liberarti, la situazione può sembrare spaventosa. Se non viene considerata l’azione, come fai ad ottenere quello che vuoi? C’è un altro modo a disposizione? Se quello che vuoi è te stesso, allora sì. Dal momento che la libertà è la tua natura, tutto ciò che serve è la conoscenza. In altre parole hai bisogno di capire che sei già libero, simile al modo in cui il decimo uomo aveva bisogno di capire che egli era già il decimo uomo. Ma allo scopo di ottenere questa conoscenza, è richiesto un mezzo adeguato.

In genere, i tuoi mezzi di conoscenza sono la tua mente ed i sensi. Utilizzi la percezione e l’inferenza per raccogliere le informazioni e giungere a certe conclusioni. Per quale motivo questo non funziona quando sei interessato ad acquisire la conoscenza di te stesso? Il motivo è che non sei disponibile per l’oggettivazione. Non puoi essere visto, udito, gustato, toccato o annusato. Non puoi essere pensato dalla mente. Sei informe e privo di attributi, pertanto per rimuovere l’ignoranza della tua vera natura, un altro mezzo di conoscenza è necessario. Il Vedanta è quel mezzo. Essa non ti dà il Sé, non ti mette in contatto con il Sé o prova che il Sé esiste. È solo una metodologia d’insegnamento che utilizza le parole per “rivelare” il sempre presente e auto-evidente Sé che già sei.

È importante ricordare che il Vedanta non è stato inventato da una persona in particolare o da un gruppo di persone. Né è informazione che è stata convogliata attraverso una persona o gruppo di persone. Vedanta è chiamata apaurushayjnanam, “la conoscenza che non proviene dalla gente”. Invece di provenire dalla gente, il Vedanta è venuta alla gente. Ma questo non significa che sia una qualche forma di rivelazione mistica. La logica del Vedanta è semplicemente conoscenza che è insita nella creazione stessa, simile alla conoscenza concernente la gravità. Come la gravità ed il suo “scopritore”, Sir Isaac Newton, la conoscenza del Vedanta era già presente. Bastava il giusto tipo di persona per “scoprirla”.

Comparala alle onde radio. Ci sono onde radio che passano attraverso l’etere proprio in questo attimo. Ma per poter essere udite ci deve essere un ricevitore sintonizzato correttamente. Quando l’esistenza delle onde radio divenne nota, non si può dire che esse provengono dal ricevitore o che quest’ultimo li ha generati. Esse semplicemente vengono al ricevitore.

Allo stesso modo, quando le menti dei rishi originali, cioè i veggenti, erano adeguatamente sintonizzati, cioè preparati, essi scoprirono la già presente conoscenza del Sé. Ma siccome i rishi erano persone come te o me, la conoscenza che essi scoprirono doveva essere oggetto d’indagine per assicurarsi che non fosse contaminata dai loro pregiudizi personali. E nel tempo, attraverso questo processo di verifica, venne sviluppata una universale metodologia impersonale per comunicare la conoscenza ad altri. Questa è una caratteristica importante del Vedanta che mostra che è un mezzo di conoscenza che regge la prova del tempo ed è libera dalle credenze, opinioni e l’ignoranza dei singoli individui.

Se ancora questo non ha senso per te, allora prova a pensare alle leggi della fisica. Gli scienziati non li hanno personalmente creati, ma con la giusta attrezzatura sono stati in grado di studiare le leggi della fisica che erano già presenti in natura. Questa conoscenza non venne da loro o attraverso loro, ma venne a loro. Videro che erano già lì e poi misero insieme quello che trovarono in un corpo di conoscenza. Per fare questo, la conoscenza così ottenuta doveva essere verificata da altri. Durante questo processo se qualcuno giungeva ad una diversa conclusione contraria alle evidenze, quella conclusione veniva scartata. Perché? Per il semplice motivo che la verità è tale a prescindere dalle prospettive personali rivelatesi erronee riguardo essa.

Questo si applica al Vedanta nella misura in cui la verità che viene scoperto da una persona è la stessa verità scoperta da un’altra persona. Ciò è dovuto al fatto che la verità è della stessa natura del Sé e che il Sé non cambia mai, indipendentemente dal tempo, luogo, circostanza o le tue opinioni personali o le tue credenze riguardo essa. Nel caso dell’auto-conoscenza non c’è “la tua verità o la mia verità”. C’è solo la verità, la singolare, non-duale coscienza, ed il mezzo di conoscenza per “rivelarla”, il Vedanta, è purificata dalla distorsione dei pregiudizi dei punti di vista soggettivi.

In origine il Vedanta era una tradizione orale. Solo in seguito fu messa nero su bianco come un gruppo di scritture conosciute come le Upanishad. Sebbene il termine “scritture” può evocare idee di autoritarismo o di dogmatismo, il Vedanta essendo una tradizione scritta è positiva perché concede allo studente una fonte obiettiva da consultare come una terza parte, per verificare le parole dell’insegnante. Pertanto la scrittura è il tuo amico, protettore e guida.

Tuttavia, questo non significa che si dovrebbe leggere i testi con l’idea che si sta per insegnare a se stessi, non importa quanto intelligente sei. La materia di studio è estremamente sottile e contiene molte affermazioni apparentemente contraddittorie. Pertanto al fine di garantire la sua giusta comprensione, è fondamentale che il Vedanta venga insegnato da un maestro competente. Ma l’intenzione non è quella di renderti dipendente dall’insegnante perché una volta che il Vedanta ti è stato insegnato, puoi usare il suo mezzo di conoscenza su di te, consultando l’insegnante solo quando non è possibile risolvere i tuoi dubbi da solo.

Quindi, come funziona? L’auto-indagine, il Vedanta, ha tre fasi. Il primo si chiama shravana, ascolto. Questa fase consiste nel sospendere temporaneamente le idee che hai riguardo te stesso e ascoltare cosa ha da dire l’insegnante con una mente aperta. Solo dopo aver ascoltato attentamente senza critica o giudizio puoi riprendere le tue idee ed esaminarle alla luce del Vedanta, ma non viceversa. Se valuti il Vedanta sulla base di quello che pensi o senti, non funzionerà per il semplice motivo che se quello che pensi fosse stato totalmente in linea con il Vedanta, non saresti alla ricerca della libertà attraverso il Vedanta in primo luogo. Pertanto è importante esaminare le tue vedute secondo la logica del Vedanta, mantenere quelle che sono in armonia con la verità di ciò che sei, e scartare il resto. Questo processo è la seconda fase dell’auto-indagine denominata manana, riflessione.

Una volta che ti sei sbarazzato delle false idee che hai di te stesso dovute all’abitudine, i modelli di pensiero negativi che hai precedentemente sviluppato da loro possono continuare a sorgere. Quando ciò accade è necessario riportare la tua mente alla conoscenza di chi sei di continuo fino a che le tendenze negative cessano o perlomeno sono attenuate. Questa fase si chiama nididhyasana, assimilazione, che consiste nel conformare il tuo pensiero coerentemente con ciò che sei veramente.

E questo è tutto ciò che concerne in Vedanta, nulla di fantasioso o mistico. È solo un mezzo diretto e pratico di conoscenza che ti aiuta a rivalutare le supposizioni non esaminate che fai riguardo alla tua esperienza quotidiana, vale a dire, che sei una limitata mente che vive all’interno un corpo, una persona soggetta alla morte, decadimento e sofferenza. La tua esperienza quotidiana in realtà ti sta dicendo tutto quello che c’è da sapere riguardo il tuo vero Sé, solo che hai bisogno di un mezzo come il Vedanta per esaminare e comprendere quella informazione. Dal momento che è già stato detto che il Vedanta è un mezzo di conoscenza basato sui testi, il modo migliore per impararla è di studiare i testi stessi, cioè le Upanishad.

Chi sono io? Qual è il senso della vita? Il Tattva Bodha risponde a queste e ad altre domande. Esso è scritto in forma di dialogo fra allievo e insegnante e descrive il concetto dei tre corpi, i tre guna, qualità della natura, i tre stati della mente, la discriminazione tra ciò che è reale e ciò che è irreale e altri temi di questo genere. Dedicandosi intensamente a queste domande, l’aspirante spirituale raggiunge la realizzazione del Sé, ovvero la conoscenza dell'unità del Sé con l'Assoluto o Dio.

L’Atma Bodha o “la conoscenza del Sé” è un breve trattato sull’advaita vedanta, detta anche filosofia della non-dualità, e consiste di 68 versi scritti in sanscrito. Il termine non-dualità si riferisce alla convinzione che l'anima individuale, l’atman e l'anima universale e assoluta, Brahman, siano la stessa cosa. Secondo l’Atma Bodha, la falsa identificazione con gli oggetti fugaci del mondo materiale può essere superata soltanto quando la consapevolezza del Sé o dell’Eterno appaiono evidenti.

Tratto dalla seconda parte del commentario di Vishnudeva Sanders, TATTVA BODHA: KNOWLEDGE OF TRUTH

cielo
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Re: Auto-indagine

Messaggio da cielo » 01/03/2017, 20:32

Mauro ha scritto:
28/02/2017, 19:47
Non avevo letto con attenzione quando hai postato questo stralcio.
Stasera l' ho fatto e mi ha colpito questa parte:


La felicità deve provenire da te, il soggetto cosciente, quello che conosce gli oggetti. Ma perché sembra come se provenisse dagli oggetti? La ragione è che quando si ha un desiderio o una paura, che è soltanto un desiderio di evitare qualcosa, crea agitazione nella tua mente che blocca l’apprezzamento della tua vera natura, che è la libertà. Ti senti limitato da ciò che non hai o dalla presenza di qualcosa che non vuoi. Ma quando ottieni l’oggetto che vuoi o eviti l’oggetto che non vuoi, il desiderio o la paura se ne va e conseguentemente l’apprezzamento della tua natura libera inonda la tua mente come una esperienza di felicità. Pertanto, mentre sembra che siano gli oggetti la sorgente della felicità, in realtà sono solo dei catalizzatori che rimuovono desideri e paure.


Era qualcosa che avevo letto in passato altrove, e mi aveva molto colpito.
Ti ringrazio per aver fatto riaffiorare in me questa verità.

Mi frulla in testa una riflessione: la percezione dello stato naturale non è conseguente all'ottenimenti dell'oggetto che vuoi o all'aver evitato l’oggetto che non vuoi, è soltanto una pausa, un momento in cui la mente si crede libera.
Accade, ma c'è ancora una mente ad essere inondata di ciò che crede libertà, ma un nuovo pensiero presto sorge e ricomincia il gioco di questo e quello, del chiaro e dello scuro, paura e desiderio, proiettati nel relativo.
Soltanto se la mente è completamente dissolta si manifesta la felicità senza oggetto, o stato narurale.
E non è una percezione, non essendoci più il percettore.

Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 01/03/2017, 21:10

Interessante obiezione, anche se ti ricordo il "cittavrittinirodha" di Patanjali.
Una mente senza pensieri / desideri, "riposa nella sua propria natura": non si dissolve.

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Fedro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Fedro » 01/03/2017, 21:42

Cielo:
Mi frulla in testa una riflessione: la percezione dello stato naturale non è conseguente all'ottenimenti dell'oggetto che vuoi o all'aver evitato l’oggetto che non vuoi, è soltanto una pausa, un momento in cui la mente si crede libera.
Accade, ma c'è ancora una mente ad essere inondata di ciò che crede libertà, ma un nuovo pensiero presto sorge e ricomincia il gioco di questo e quello, del chiaro e dello scuro, paura e desiderio, proiettati nel relativo.
Soltanto se la mente è completamente dissolta si manifesta la felicità senza oggetto, o stato narurale.
E non è una percezione, non essendoci più il percettore.
Mi sembra che sia la differenza tra manolaya e manonasa

cielo
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Re: Auto-indagine

Messaggio da cielo » 02/03/2017, 11:20

Mauro ha scritto:
01/03/2017, 21:10
Interessante obiezione, anche se ti ricordo il "cittavrittinirodha" di Patanjali.
Una mente senza pensieri / desideri, "riposa nella sua propria natura": non si dissolve.
Fai bene a ricordare il cuore del raja yoga di Patanjali: yoga citta vritti nirodha, perchè ciò evidenzia che la cima della montagna (Shivo'ham) si può affrontare con la salita da diversi versanti o darshana, punti di vista sull'unico percorso: la ricerca della felicità "assoluta", per identità con l'Immutabile che nessuna mente può pensare.
Il percorso del raja yoga ha delle diversità con quello del vedanta e dello jnanayoga.

Patanjali esplicita un percorso preciso (otto anga) per il raggiungimento dell'obiettivo finale: il samadhi: "che distrugge la morte, permette di raggiungere la felicità e dà il Brahmamanda (la Beatitudine di Brahman)" (Hathayogapradipika, IV, 2.). L'obiettivo è lo stesso: l'Atma - Brahman,
Samadhi quale stato finale di coscienza, meta ultima e ineffabile dell'esperienza ascetica a cui vengono dati vari nomi, tutti sinonimi.

Patanjali codifica un percorso che, come viene approfondito nello Hathayogapradipika e nel Gheranda samhita, serve anche a comprendere l'interazione tra hatha yoga e raja yoga, perchè tiene conto dell'aspetto "grossolano" del corpo nel quale si è incarnati, il vedanta oserei dire che lo bypassa, per certi aspetti invitando da subito a comprendere la catena di ferro che lega: l'identificazione nel relativo, nel nama rupa, destinato a nascita e morte come ogni oggetto della percezione.
Punta subito alla scoperta della sorgente del "io sono", proponendo il viaggio a ritroso, all'interno, verso l'immutabile, il Non nato.
Patanjali invece codifica un persorso preciso, diretto anch'esso a focalizzare l'attenzione sul Sè fino a fondersi in Esso: brahmananda, ma che ha come prodromo il "riposo" della mente che dissolve lo "specchio della luce", ossia si ritira completamente dalle sollecitazioni che invece inevitabilmente riceve quando "illumina" il mondo esterno, il divenire.
Il raggio di sole che illumina il mondo torna alla sorgente della luce, il Sole.

Prendiamo qualche verso del sadhana pada (pada: piede-capitolo) degli Yoga sutra (la traduzione è di Raphael) dove viene ben codificato il percorso del raja yoga:

46. La posizione [deve essere] stabile e comoda

47. Mediante il rilassamento di [ogni] tensione e la meditazione su ananta [si ha una posizione comoda]

48. Da ciò [posizione giusta], nessun assalto dalle coppie di opposti.

49. Realizzanto questo, si ha il pranayama che è la cessazione del movimento d'inspirazione e d'espirazione.

50.[Esso] è interno, esterno o stabile; è regolato dallo spazio, dal tempo e dal numero, è prolungato o breve.

51. Un quarto [stadio] va al di là di quello interno ed esterno.

52. grazie ad esso si dissolve lo schermo della luce.

53. E [si ottiene] la possibilità della concentrazione.


Ricordiamo che Ananta (senza fine) è il nome del serpente cosmico che avvolge il mondo e che Patanjali è raffigurato come il serpente stesso, dunque Patanjali ci mostra che la concentrazione del calore ascetico (che disolve ogni traccia di senso dell'io, o mente) è imprescindibile dal dissolvimento dello schermo della luce (la proiezione della mente mahyanica che illumina la relatività).
Il percorso tracciato da Patanjali porta allo stato di quiete, sia nel corpo, sia nella mente.
Questo è lo yoga: yoga citti vritti nirodha.
Occorre osservare e imparare a sospendere e interrompere le tensioni e le modificazioni della mente, ma il vedanta va oltre e spiega che anche la spina che toglie la spina deve essere incenerita.

In sintesi il darshana yoga impegna a lavorare sia dall'esterno verso l'interno, sia dall'interno verso l'esterno, perchè prima di dissolvere lo specchio della luce bisogna vederlo e imparare a usarlo per sprigionare le scintille del fuoco, del tapas, (mumukṣu nel vedanta: l'anelito ardente alla liberazione) in modo da stabilizzarsi in uno stato di assorbimento privo di tensioni.

La sadhana è finalizzata al ritorno della consapevolezza all'oceano senza onde, ma dopo aver percorso e solcato in lungo e in largo l'oceano increspato dalle onde, ma cavalcando le onde, senza aderirvi, come un surfista.

Tutto il nostro mondo deriva da verità e menzogna accoppiate, il serpente nella corda è reale finchè lo vediamo, e a poco serve dirci che non c'è.
Ogni volta che lo vediamo ci allontaniamo spaventati. Temiamo il suo veleno. Il samsara è irreale dal punto di vista assoluto, ma reale da quello relativo, il nostro.
L'occhio non può vedere se stesso, ed è inevitabile rendere noi stessi "oggetto" per conoscerci.

Se scambiamo una cosa per un'altra, prendiamo sempre per reale ciò che abbiamo davanti, e mai il non visto: è così che confondiamo l'oggetto con il soggetto. L'Atman non diventa mai oggetto, non può essere pensato o percepito.

Si parla della corda, ma se fosse vista e poi incenerita non ci sarebbe più alcun serpente, mai stato.
L'incenerimento della corda, per come l'ho capita io, implica la comprensione che nel "puro" soggetto resta una piccola traccia del potere di oggettivazione che lo mette in grado di conoscere l"Io sono", ma il soggetto è l'oggetto del suo stesso sè, non della mente e dei sensi.

Per questo si invita, tramite l'autoindagine: l'atma vicara, a distruggere completamente ogni traccia di mente che comunque tende a sovrapporre un'idea a un'altra, proprio come accade quando diciamo: "il cielo è blu", essendo il cielo stesso (lo spazio in cui anche il suono, il pranava Om si dissolve nel silenzio definitivo del Tutto, nell'unico punto) soltanto un'idea.

Nel Vedanta si insegna all'aspirante a "fondersi in quel blu" [lo Swami Veethamoananda propone questa meditazione che visualizza sia il sole interiore che sorge all'alba (nel cuore), che il dissolvimento della percezione nel blu che ci circonda e che percepiamo come il cielo - lo spazio luminoso in cui ci percepiamo collocati) oppure quella della mela di Bodhananda proposta nell'ambito del seminario sul karmayoga.

Personalmente le trovo istruzioni meravigliose e semplici. E questo tipo di istruzioni, secondo me, sono le migliori per tutti, qualsiasi darshana o punto di vista un ricercatore assuma nella propria personale ricerca e visione, più utili di tante letture che sono come dei minestroni, a volte, arrivi alla fine e dici: " E moh? che si fa?".

Approfondendo specificatamente il darshana vedanta, sono giunta alla conclusione, basata sull'esperienza personale di quasi 60 anni di permanenza nel relativo di questa esistenza, che le istruzioni migliori per qualsiasi aspirante alla conoscenza "assoluta" siano quelle che aiutano a liberarsi dall'illusione di essere il corpo, soggetto a nascita e morte che può subire, credendole vere, solo perchè riflesse nello schermo della luce.
Da spaccare in piccoli pezzi senza timore dei sette anni di guai. La mente inevitabilmente distorce, e noi percepiamo la realtà distorta dal mezzo stesso attraverso cui la percepiamo.

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Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 02/03/2017, 12:53

Questo è lo yoga: yoga citti vritti nirodha. Occorre osservare e imparare a sospendere e interrompere le tensioni e le modificazioni della mente, ma il vedanta va oltre e spiega che anche la spina che toglie la spina deve essere incenerita.
Ammettendo che sia così, anche se il vedanta va oltre, noi ci siamo andati?
Abbiamo interrotto il flusso dei pensieri in modo stabile?
Non credo.
Quando lo avremo fatto potremo impegnarci a dissolvere anche la vritti della mente che tali pensieri produce(va).

cielo
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Re: Auto-indagine

Messaggio da cielo » 02/03/2017, 14:41

Mauro ha scritto:
02/03/2017, 12:53
Questo è lo yoga: yoga citti vritti nirodha. Occorre osservare e imparare a sospendere e interrompere le tensioni e le modificazioni della mente, ma il vedanta va oltre e spiega che anche la spina che toglie la spina deve essere incenerita.
Ammettendo che sia così, anche se il vedanta va oltre, noi ci siamo andati?
Abbiamo interrotto il flusso dei pensieri in modo stabile?
Non credo.
Quando lo avremo fatto potremo impegnarci a dissolvere anche la vritti della mente che tali pensieri produce(va).
Vero, ma da qualche parte il ricercatore dovrà pur cominciare, in modo da ampliare il proprio punto di vista e liberare il senso dell'io che ondeggia tra gli opposti, tra attrazione e repulsione, desiderio e dolore.
Così inerpicandosi nella ricerca di quello stato naturale di cui si parlava, esercitarsi a dimorare nella pausa, prima che i pensieri sorgano per impregnare di sè la creazione e conoscerla, assorbirla, crearla, impulsarla, in modo da eliminare la madrice stessa dei pensieri: il "primo" pensiero: io.
Dal mio punto di vista la pratica trasversale, proposta e fondante in ogni darshana è di focalizzare l'attenzione su ciò che sono, nudo e crudo, sul senso di esistere: sono, percepisco, cado nelle emozioni, desidero, spero, immagino, parlo...senza giudizio, mera constatazione che discrimina tra relativo e assoluto.
In noi scintilla di assoluto, ma finchè siamo immersi "anima e corpo" nel relativo di quale assoluto e beatitudine del sè stiamo parlando? E' immaginaria.

Un'osservazione a 360° che tenti di tornare al perno della ruota che gira, la percezione pura, sganciata dal mutamento della vita sempre in essere, che poi lo si voglio chiamare il Sè, lo stato naturale, Dio o l'Immutabile direi che è lo stesso.
Autoindagine.

Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 02/03/2017, 16:42

Dal mio punto di vista la pratica trasversale, proposta e fondante in ogni darshana è di focalizzare l'attenzione su ciò che sono, nudo e crudo, sul senso di esistere: sono, percepisco, cado nelle emozioni, desidero, spero, immagino, parlo...senza giudizio, mera constatazione che discrimina tra relativo e assoluto.
Percorso rischioso, che può portare, se non condotto adeguatamente, ad una sorta di autoaffermazione solipsistica.

latriplice
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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 02/03/2017, 20:03

CONOSCENZA DELLA VERITA’
(TATTVA BODHA)

Bodha significa conoscenza. E in questo contesto, tattva significa verità. Ma che cos’è la verità? La verità è ciò che è eterno, esiste indipendentemente e non cambia. Solo il Sé si adatta a questa definizione pertanto la conoscenza della verità è auto-conoscenza.

INVOCAZIONE

L’insegnante dissipa le tenebre dell’auto-ignoranza con la luce dell’auto-conoscenza. Saluti a quel Sé in quella forma.


In una realtà non-duale ogni cosa è il Sé. Così, quando ti inchini al maestro, tu stai inchinandoti al Sé che rappresenta. Inoltre stai riconoscendo che l’insegnamento giunge a te per la grazia del maestro, il quale a sua volta ha ricevuto l’insegnamento dal suo maestro e così via. Pertanto con questa preghiera stai esprimendo gratitudine per il fatto che la tradizione ha preservato l’insegnamento da giungere a te, rendendo possibile lo studio del suo contenuto ora.



SCOPO DEL TESTO



Tattvabodha, la conoscenza della verità, viene presentato per coloro che cercano la libertà, moksha. Lo strumento diretto per raggiungere la libertà è la discriminazione tra il Sé, l’atma, e il non sé, anatma. Il metodo della discriminazione che verrà rivelato in questo testo, è per coloro dotati delle quattro qualifiche essenziali.


La libertà viene ottenuta attraverso la conoscenza soltanto che risulta dalla discriminazione. Ma la discriminazione è possibile solo per coloro che sono adeguatamente qualificati, vale a dire mentalmente preparati. Per questa ragione le qualificazioni sono elencate all’inizio del testo. Sono prerequisiti imprescindibili. Ognuno possiede queste qualità in una certa misura, ma al fine di ottenere l’auto-conoscenza, codeste qualità devono essere sviluppate correttamente. Se hai difficoltà nel comprendere l’insegnamento, è utile fare riferimento a questo elenco delle qualificazioni per vedere in che punto la tua pratica spirituale, la sadhana, necessita di attenzione. Il metodo per sviluppare le tue qualificazioni sono il karma yoga, cioè considerarsi degli strumenti nelle mani di Dio e di abbandonare a Dio i risultati delle nostre azioni, la meditazione, cioè l’indagine sistematica nella natura del Sé e della mente, e la stretta osservanza del dharma, comportamento etico.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 05/03/2017, 12:38

LE QUATTRO QUALIFICAZIONI



Le Quattro qualificazioni sono discriminazione, distacco, le sei realizzazioni e un desiderio bruciante per la libertà.

Discriminazione


Che cos’è la discriminazione? È la comprensione che solo il Sé è eterno ed immutabile. Pertanto, solo il Sé è reale. Tutto il resto, il non sé, è irreale. Distinguere tra il reale, il Sé, e l’irreale, il non sé, è discriminazione.



È importante qui esporre il significato tra “reale” e “irreale”. Nel Vedanta, il termine per “reale” è sathya, un termine usato per descrivere la natura del Sé. Sathya significa “esistenza” o “quello che esiste in modo indipendente”. Il termine per “irreale” invece è mithya che significa “quello che dipende dal Sé per la sua esistenza”. Un vaso di argilla è un esempio comune utilizzato per illustrare sathya, mithya e la relazione tra i due. Il nome e la forma a cui fai riferimento per “vaso” non esiste in modo indipendente. Esso dipende invece dall’argilla per la sua apparente esistenza perché senza argilla non c’è alcun vaso. Ma se elimini il nome e la forma “vaso”, l’argilla rimane. Essa non dipende dal nome e la forma “vaso” per esistere. Anche se l’argilla viene usata per creare una statuetta, essa continua ad esistere e rimane completamente inalterata nella sostanza. Pertanto in questo esempio, l’argilla è sathya ed il nome e la forma riconducibile al vaso di argilla è mithya.

Allo stesso modo, il Sé è sathya. Esiste indipendentemente prima, durante e dopo tutti i nomi e le forme. I nomi e le forme che appaiono nel Sé sono mithya, il non-sé. Come il vaso rispetto all’argilla, essi prendono in prestito la loro esistenza apparente dal Sé. Ma come il vaso rispetto all’argilla, puoi rimuovere tutti i nomi e le forme ed il Sé rimane inalterato. Questo è un fatto importante da ricordarsi riguardo il Sé perché qualcosa può essere reale, sathya, se non cambia mai. Se qualcosa è una cosa specifica in un certo momento, e qualcos’altro nel momento successivo, oppure che viene all’esistenza e poi cessa di esistere, si può dire solo che è mithya, irreale. Comprendere la distinzione e la relazione tra sathya e mithya è fondamentale per la discriminazione.

Approfondendo l’indagine, considera quando esperisci un albero, il tuo corpo o il pensiero, quello che è presente è la coscienza più un albero, la coscienza più un corpo, la coscienza più un pensiero. In ciascuna di queste esperienze gli oggetti, l’albero, il corpo e il pensiero, vengono in esistenza, rimangono un po’ per poi uscire dall’esistenza. E mentre gli oggetti esistono, essi sono soggetti a mutamento. Questo significa che sono mithya.

Ma per quanto riguarda la coscienza presente in ciascuna di queste esperienze? Essa esiste prima, durante e dopo l’apparizione degli oggetti. Ed in ogni fase dell’esperienza, la coscienza rimane invariata. Devi forse avere un altro tipo di coscienza per sperimentare un albero, il tuo corpo o un pensiero particolare? Assolutamente no. Questo significa che la coscienza è sathya. È il Sé.

Un altro modo di vedere quest’aspetto è di chiedersi come faccio a sapere che un oggetto esterno come un albero o uno interno come un pensiero esistono? Se ci pensi attentamente, la conclusione a cui giungi è che un oggetto si può dire che esiste solo quando viene visto nella luce della coscienza. L’oggetto in questione non può rivelare se stesso senza la coscienza, pertanto dipende dalla coscienza per la sua esistenza. E la coscienza invece, dipende dall’oggetto per la sua esistenza? Niente affatto, perché la coscienza è auto-evidente e indipendente dagli oggetti che nella sua luce rivela. Pertanto la coscienza è sathya, esistenza indipendente, e gli oggetti sono mithya, dipendenti da sathya per la loro apparente esistenza.

Nota che quando la parola “coscienza” viene usata in questo testo, non si riferisce ad una parte, proprietà, prodotto o funzione del corpo o della mente o ad una combinazione di entrambi. La “coscienza” è una parola che si riferisce alla natura del Sé. E la coscienza che è il Sé è quella che rivela le parti, le proprietà, i prodotti e le funzioni del corpo e della mente. Il corpo e la mente che sono in continua evoluzione e soggetti al cambiamento e che dipendono dal Sé per la loro esistenza, sono mithya.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 06/03/2017, 13:11

Distacco


Che cos’è il distacco? È la comprensione che i risultati di tutte le azioni sono temporanei perché sono condizionati dal tempo. Pertanto essi non possono concedere la libertà permanente dal senso di limitazione e carenza personale, che è quello che stai veramente cercando e non i risultati stessi. Quando questo viene compreso, l’obiettività e l’indifferenza sorgono naturalmente riguardo i risultati delle tue azioni. Mentre potresti ancora compiere azioni con l’intento di realizzare certi risultati, tu sei libero dall’eccessiva preoccupazione e bramosia nei loro confronti. Questo è il distacco.

Se desideri la libertà permanente devi capire che non puoi ottenerla con l’azione perché i risultati delle azioni sono sempre temporanei. Non ha senso pensare che un gran numero di azioni finite possono dare come somma un risultato infinito.

Tuttavia, il modo in cui ti accosti all’azione è molto importante per preparare la tua mente per la libertà. In che modo? Di solito la tua mente è preoccupata nell’ottenere quello che vuoi e nell’evitare quello che non vuoi. In altre parole, sei sempre inquieto e preoccupato riguardo i risultati che le tue azioni comporteranno. Questo provoca una notevole ansia per la mente, e una mente ansiosa non è adatta per cercare l’auto-conoscenza.

Ma è giustificata questa ansia? Dal momento che i risultati temporanei non ti daranno la libertà permanente che stai cercando, allora no. Che vantaggio c’è nell’essere agitato dal fatto che l’azione non può darti qualcosa che è incapace di concederti in primo luogo? Inoltre, se consideri l’azione stessa, noterai che l’unica parte del processo che è sotto il tuo controllo è quella di eseguire l’azione al meglio delle tue capacità. Ma avendola compiuta, non hai alcuna idea di ciò che potrebbe accadere. Potresti ottenere ciò che ti eri prefissato, oppure un esito indesiderabile. Nessuna delle due, oppure qualcosa di completamente inaspettato. Sapendo questo, preoccuparsi dei risultati delle tue azioni sembra irragionevole, non è vero?

Quindi, quando comprendi chiaramente che l’azione non può darti quello che vuoi veramente e che i risultati delle azioni non dipendono da te in ogni caso, allora puoi felicemente compiere azioni senza essere ansioso riguardo i risultati. Questo aiuta nel produrre una mente adatta per acquisire l’auto- conoscenza.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 07/03/2017, 15:34

Le sei realizzazioni


Quali sono le sei realizzazioni? La prima realizzazione è una mente composta, disponibile per la contemplazione.


La discriminazione, la chiave per la libertà permanente, richiede una costante contemplazione. Questo non è possibile in una mente disturbata piena di eccessive paure, desideri o emozioni negative. Ma non puoi semplicemente aspettarti che queste paure, desideri e emozioni negative si dissolvono a comando. Al contrario, essi devono essere esaminati alla luce delle affermazioni del Vedanta la quale dice che sei non-duale, illimitato, intero, completo e immutabile. Queste affermazioni verranno spiegate in dettaglio più avanti nel testo, ma per ora puoi prenderle in considerazione in chiave ipotetica e riflettere sulle loro implicazioni.
La prima implicazione è che in quanto Sé non-duale, non c’è nient’altro oltre a te e che sei immutabile. Se non c’è nient’altro oltre a te, allora non c’è nulla da temere, a meno che tu non abbia paura di te stesso. E se sei immutabile, il che significa non puoi essere danneggiato e nulla ti può essere sottratto, allora non c’è alcun motivo di avere paura. La seconda implicazione è che dal momento che sei intero e completo, nel senso che non manchi di nulla, che bisogno c’è per desiderare? La terza implicazione e morale della favola nell’essere non-duale, illimitato, intero, completo e immutabile, è che sei sempre a posto. Pertanto qual è la ragione di trattenere emozioni negative?

La seconda realizzazione è il controllo dei sensi


Se i sensi non sono adeguatamente controllati, la mente sarà estroversa e preoccupata nel sperimentare oggetti. Con l’attenzione della mente legata agli oggetti, la costante auto-indagine richiesta per la libertà non è possibile. Pertanto i sensi devono essere frenati, e perché ciò avvenga è necessario riflettere sul fatto che la felicità non risiede negli oggetti dei sensi che vuoi esperire. Se così fosse, ogni oggetto darebbe la felicità indistintamente a tutti, e una volta ottenuto l’oggetto del tuo desiderio non avresti bisogno nuovamente di ricercare la felicità. Ma persone diverse reagiscono in modo diverso rispetto allo stesso oggetto. E un oggetto che ti concede la felicità inizialmente, può essere fonte di infelicità successivamente. Nel contemplare questo, i sensi possono essere gradualmente trattenuti dalla perseguire in modo compulsivo gli oggetti, liberando la mente nel cercare la vera sorgente della felicità, la libertà della tua natura illimitata.

La terza realizzazione è l’osservanza dei propri doveri, l’abilità di fare sistematicamente ciò che deve essere fatto e di evitare ciò che non deve essere fatto, a prescindere dalle preferenze personali.


La vita ti ha dato assolutamente tutto: il mondo intero, così come un corpo ed una mente per sperimentarla. In cambio, tutto quello che devi fare è di rispondere in modo adeguato alle situazioni che incontri. Questo si chiama seguire il dharma, che è dettata dal buon senso o, se ti manca il buon senso, fare riferimento ai testi. Se basi le tue scelte esclusivamente sulle tue simpatie ed antipatie senza prendere in considerazione il dharma, la tua mente diventa disturbata. Perché? Per il semplice motivo che rischi di agire in modo inappropriato per ottenere ciò che vuoi o trascurare ciò che deve essere fatto al fine di evitare ciò che non vuoi. Pertanto fare ciò che deve essere fatto, quando deve essere fatto, attenua le tue simpatie ed antipatie e contribuisce a calmare la mente così da favorire l’auto-indagine.

Questo include eseguire azioni che sono opportunamente adatte alla tua natura. Non è utile cercare di essere qualcuno o qualcosa che non sei, perché questo atteggiamento ti conduce al conflitto interiore. Apprezza te stesso per quello che sei e agisci di conseguenza, prendendoti sempre cura delle contingenze quotidiane al fine di assicurare una corretta crescita e maturazione.

La quarta realizzazione è la capacità di sopportare situazioni difficile e spiacevoli.


La quarta realizzazione può essere descritta come l’attitudine al confronto positivo. Con i suoi alti e bassi, la vita è già abbastanza difficile di per sé. Trattare la tua vita mentre si sta costantemente discriminando, è ancora più difficile e richiede molta determinazione. Ma quando il tuo obiettivo, la libertà , è chiaro, sarai incline a soffrire volentieri i piccoli inconvenienti della vita al fine di realizzarlo.

La quinta realizzazione è una mente aperta e fiduciosa nei confronti delle parole dell’insegnante e dell’insegnamento.


Essenzialmente tutto il Vedanta ti sta chiedendo di credere che sei a posto, finché hai fatto sufficiente indagine da sapere per certo che ciò è vero e corrisponde ad un fatto. Pensare che non sei a posto è solo una credenza, falsa per inciso. Pertanto perché non fidarsi dei testi e adottare la nuova credenza che “io sono a posto, sono integro e completo”? Questo atteggiamento rende l’indagine molto più facile. Avere dei dubbi va bene. Il Vedanta ti dà volentieri gli strumenti per risolverli. Ma essere innamorati dei propri dubbi e costantemente mettere in discussione l’insegnamento è improduttivo. Uno scettico rimane uno scettico se è incapace di diventare un onesto e serio cercatore della verità. In altre parole, un cercatore della verità non diventerà mai un trovatore della verità senza una mentalità aperta e la volontà di esaminare, alla luce della conoscenza, le stesse credenze e supposizioni che lo tiene nell’ignoranza.

La sesta realizzazione è una mente focalizzata che è in grado di concentrarsi su un determinato argomento.


La discriminazione richiede una vigilanza costante. Pertanto l’auto-indagine non funziona a meno che la tua mente sia capace di concentrarsi su di essa per lunghi periodi di tempo.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 08/03/2017, 14:54

Desiderio bruciante per la libertà


Che cos’è un desiderio bruciante per la libertà? È quando la libertà è il tuo desiderio primario e la principale priorità. Quando comprendi appieno che non puoi ottenere la libertà permanente dal perseguire gli oggetti, puoi rinunciare nell’inseguirli e perseguire la libertà direttamente attraverso l’auto-conoscenza. Tutti i tuoi desideri che erano in precedenza rivolti agli oggetti ora sono diretti alla libertà.
È importante ricordare che questo non significa che devi lasciare il tuo lavoro e scappare dalla tua famiglia e responsabilità; tieni in mente che la terza realizzazione è fare il proprio dovere personale. Pertanto, nel capire che non otterrai la libertà permanente dalle tue attività quotidiane, non significa che smetterai di farle o di gioirne. Semplicemente eseguirai le azioni con la giusta attitudine e nel modo corretto, al fine di preparare la tua mente per l’auto-conoscenza. Ed è l’auto-conoscenza, non l’abbandono delle tue responsabilità, che ti conduce alla libertà permanente.

Queste sono le quattro qualificazioni che sono richieste per realizzare la discriminazione tra il Sé ed il non-sé. Questa discriminazione è necessaria dovuta al fatto che il Sé, che è sempre libero, illimitato ed immutabile è scambiato per il non-sé: il corpo, la mente e tutte le forme dell’esperienza. A causa di questa ignoranza, avidya, il Sé viene falsamente creduto di essere soggetto alla schiavitù, limitazione e cambiamento. Così, la sofferenza sorge e un mezzo è necessario per rimuoverla. Quel mezzo è la conoscenza della verità a cui si giunge tramite la discriminazione.

Qual è la conoscenza della verità? È la stabile comprensione che solo il Sé è reale, e che tutto il resto, il non-sé, è irreale e, che “Io sono quel Sé, sempre libero dal corpo, mente ed esperienza. Io sono esistenza, coscienza e illimitatezza”.



La realtà è non-duale ma l’esperienza sembra dirti il contrario. Pertanto, ai fini della discriminazione, il Vedanta postula con riserva due categorie in esistenza: “Io”, il Sé, il soggetto cosciente e “quello”, il non sé, gli oggetti inconsci. A causa dell’ignoranza, tu scambi l’ “Io”, il Sé, nell’essere “quello”, il non-sé, e soffri. Poiché c’è una confusione tra le due, hai bisogno di capire ciò che sei e ciò che non sei allo scopo di risolvere la faccenda. Pertanto la prossima sezione del testo ti indica ciò che non sei, il non-sé. Oggettivare e comprendere il non-sé è il primo passo nel distruggere la convinzione nella sua realtà e, soprattutto, la tua identificazione con esso.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 10/03/2017, 13:03

IL NON-SE



Dal momento che la realtà è non-duale, non vi è effettivamente alcun non-sé. Ma nonostante questo fatto, sembra che tu stia esperendo un non-sé. Pertanto, negare semplicemente la tua esperienza perché non è in effetti reale è del tutto improduttivo. Invece, l’apparente non-sé ha bisogno di essere ben compreso assieme alla sua “relazione” con il Sé. Per questo motivo il testo introduce i concetti dei tre corpi, le cinque guaine e i tre stati. L’intenzione non è quella di dimostrare la loro effettiva esistenza. Invece, ti vengono presentati allo scopo di darti diversi modi di oggettivare la tua esperienza quotidiana e così facendo, comprendi come tu non ne sia né coinvolto né influenzata da essa. Nel negare ogni aspetto della tua esperienza in quanto irreale, non sé, è possibile attraverso l’implicazione comprendere te stesso, il Sé. Ecco un criterio fondato sull’osservazione per la discriminazione:

1. Tutte le forme di esperienza, sia mentali che fisiche, sono oggetti conosciuti da te, il Sé. Ma gli oggetti non sanno della tua presenza perché non sono coscienti. Tu, il Sé, sei consapevole, pertanto non puoi essere gli oggetti inconsapevoli.

2. Tu, il Sé, sei eterno, sempre presente ed immutabile, tu sei reale. Tutti gli oggetti da te conosciuti sono temporanei, vanno, vengono e si modificano costantemente, essi sono irreali. Tu, il Sé, sei reale, pertanto non puoi essere gli oggetti irreali.

3. Tu, il Sé, esisti indipendentemente. Che tu sia esistente e consapevole è auto-evidente, che non richiede strumenti esterni perché tu ne venga a conoscenza di questo fatto. Ma gli oggetti dipendono da te, il Sé o consapevolezza per la loro esistenza, perché nulla può essere manifestato o rivelato in tua assenza. Pertanto tu, l’indipendente Sé esistente non puoi essere i dipendenti oggetti esistenti.

Sommario: Tu sei cosciente, reale ed indipendentemente esistente. Pertanto non puoi essere gli inconsci oggetti irreali che dipendono da te per la loro apparente esistenza. È possibile applicare questa discriminazione ad ciascuna parte del non-sé, a partire dai tre corpi.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 10/03/2017, 19:44

I TRE CORPI


IL CORPO GROSSOLANO


Che cos’è il corpo grossolano? È materia inerte ed inconsapevole, una combinazione delle forme fisicamente manifeste dei cinque elementi (spazio, aria, fuoco, acqua, terra). Nasce a causa di buone azioni del passato ed è lo strumento attraverso il quale l’esperienza del mondo viene raccolta. Dopo che viene all’esistenza nasce, cresce, subisce cambiamenti, degenera e muore.


Il corpo non è altro che una combinazione dei cinque elementi, materia, e la materia non è cosciente. Eppure tu, il Sé, sei cosciente. Il corpo è costantemente soggetto a mutamenti, ma il Sé è immutabile. Il Sé è sempre presente ma il corpo non lo è perché scompare negli stati di sogno e sonno profondo. Inoltre, se il corpo fosse sempre presente, allora il tuo corpo da infante, da adolescente o anche il tuo corpo della scorsa settimana sarebbero ancora qui, ma non lo sono. Essi sono tutti scomparsi ma tu, il Sé, sei rimasto. In più c’è da dire che, mentre il corpo precedentemente al concepimento non esisteva nel passato e non esisterà successivamente alla morte nel futuro, il Sé da sempre esiste e per sempre esisterà. Questa esistenza è indipendente a differenza del corpo. Il corpo dipende dalla materia per la sua esistenza apparente, e la materia dipende dalla coscienza per la sua esistenza. Per tutte queste ragioni tu, il Sé, non puoi essere il corpo grossolano.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 11/03/2017, 13:35

IL CORPO SOTTILE



Che cos’è il corpo sottile? Il corpo sottile è fatto dei cinque elementi nelle loro forme non fisiche. Nasce a causa di buone azioni del passato ed è lo strumento di fruizione del piacere e del dolore. Il corpo sottile è composto dai cinque organi di percezioni, i cinque organi di azione e le cinque funzioni fisiologiche. Inoltre, contiene lo strumento interno costituito da mente, intelletto, ego e memoria.



A causa di precedenti buone azioni, disponi di un corpo sottile umano. Questo aspetto è attinente solo per l’auto-indagine in quanto la discriminazione richiede le capacità di un intelletto umano. Un cane per esempio, non può fare l’auto-indagine perché è sprovvisto della facoltà dell’auto-riflessione. Quindi, di che cos’è fatto il corpo sottile? È composto di energia, materia nella sua forma non fisica. L’energia non è cosciente e tu, il Sé, sei cosciente. Su questa base soltanto tu puoi negare la possibilità a te stesso di essere il corpo sottile. Tuttavia, possiamo guardare ad ogni parte del corpo sottile più dettagliatamente al fine di comprenderlo e oggettivarlo meglio.

Gli organi di percezione

I cinque organi di percezione sono: l’orecchio per la percezione del suono; la pelle per la percezione del tatto; l’occhio per la percezione della vista; la lingua per la percezione del gusto; il naso per la percezione dell’olfatto.


Ciascun organo di percezione corrisponde alla sua controparte fisica nel corpo grossolano. Ad esempio, l’organo dell’orecchio nel corpo sottile è ciò che permette all’orecchio fisico del corpo grossolano di udire. Puoi dedurre l’esistenza dell’organo dell’orecchio perché qualcuno può avere un orecchio fisico ma non essere in grado di udire. Lo stesso vale per tutti gli altri organi di percezione.

Per quale motivo questi organi di percezione sono il non-sé? Perché la percezione è un oggetto inconscio conosciuto da te. Inoltre, la percezione è in continua evoluzione. In un dato momento l’occhio vede una cosa, il momento successivo un’altra. Oppure in un dato momento l’orecchio ode qualcosa, il momento successivo la pelle sente qualcos’altro e così via. Se tu ti modificassi con le percezioni, il tu che era presente un momento fa se ne sarebbe andato e rimpiazzato da un nuovo tu. Ma il nuovo tu non sarebbe in grado di riportare il resoconto di una differente percezione perché era precedentemente assente, e pertanto inabile nel testimoniare il cambiamento nella percezione. Per poter dire che la percezione sta cambiando tu, il Sé immutabile, devi essere presente per rivelarlo.

Per di più, gli oggetti della percezione dipendono da te, il Sé, per esistere. Non si può dire che un oggetto esista senza essere rivelato dalla luce del Sé, la coscienza. Se tu potessi togliere il Sé, che in realtà non è possibile, non ci sarebbero oggetti. Ma se tu eliminassi gli oggetti, c’è ancora il Sé. Per esempio, quando la percezione dell’occhio non è presente, tu sei ancora lì. Tu esisti prima, durante e dopo tutte le percezioni. Per tutte queste ragioni tu non puoi essere gli organi della percezione.

Gli organi di azione


I cinque organi di azione, il linguaggio, le mani, le gambe, l’escrezione e la procreazione, animano le loro controparti fisiche nel corpo grossolano. l’organo del linguaggio permette alle corde vocali di parlare; l’organo delle mani permette la funzione delle mani e delle braccia fisiche; l’organo delle gambe rende il movimento delle gambe fisiche possibile; l’organo dell’escrezione permette all’ano di espellere i rifiuti; l’organo della procreazione anima i genitali.


Ancora una volta, deduciamo la presenza degli organi di azione perché qualcuno può per esempio, avere le corde vocali ma non essere in grado di parlare, avere le gambe ma non essere in grado di muoverle, e così via. Gli organi di azione sono materia inconscia, nella forma di energia, pertanto non possono essere te, il Sé cosciente. Gli organi di azione cambiano costantemente e addirittura scompaiono nel sonno profondo, pertanto non possono essere te, l’immutabile e sempre presente Sé. Gli organi di azione dipendono dall’energia per esistere. A sua volta, l’energia dipende da te, il Sé, per dire che esiste. Per queste ragioni tu non puoi essere gli organi di azione.

Gli strumenti interni


Gli strumenti interni, antahkarana, sono la mente, manas, l’intelletto, buddhi, l’ego, ahamkara, e la memoria, chitta. La mente riceve le informazioni da ogni singolo organo di senso e li aggrega in una esperienza unificata e coerente. La mente inoltre, è la sede delle emozioni che svolge la funzione di trasformare i pensieri in azione. Il dubbio, l’oscillazione tra due pensieri o idee, è un’altra funzione della mente. Discriminare tra due pensieri o idee, analizzarli ed in seguito deliberare, è la funzione dell’intelletto. L’ego è la nozione dell’intelletto che si manifesta con il pensiero: “io sono l’autore delle azioni e sono il fruitore dei risultati delle azioni”. Inoltre, è la nozione di possesso che si manifesta con il pensiero: “questa è la mia mente, questa è il mio corpo, e così via.” In generale, è qualsiasi nozione che l’individuo ha riguardo se stesso che si manifesta con il pensiero: “sono basso di statura, sono intelligente, sono generoso, sono povero, appartengo ad un gruppo particolare, partito, famiglia e così via”. Il ricordo delle passate esperienze è la memoria.


Nella vita quotidiana, l’insieme degli strumenti interni viene genericamente indicata come “mente”, e la mente si crede che sia la sorgente della coscienza. Ma questo non è vero. Dalla prospettiva della coscienza, l’ego, gli strumenti interni e le loro funzioni sono oggetti conosciuti e pertanto inconsci. È estremamente importante ricordare questo aspetto quando si fa l’auto-indagine. Gli strumenti interni sono semplicemente una raccolta di pensieri: percezioni, dubbi, determinazioni, idee di possesso e di paternità delle azioni, identità o ruoli e la memoria di esperienze passate. Questi pensieri non costituiscono la coscienza perché sono rivelati dalla luce della coscienza. Questo significa che gli strumenti interni dipendono dalla coscienza per la loro apparente esistenza e non possono essere te, il Sé immutabile. Infine, gli strumenti interni non sono sempre presenti, come nel sonno profondo, pertanto non possono essere te, il sempre presente Sé.

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