Il gruppo che cura Vedanta.it inizia ad incontrarsi sul web a metà degli anni 90. Dopo aver dialogato su mailing list e forum per vent'anni, ha optato per questo forum semplificato e indirizzato alla visione di Shankara.
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Auto-indagine

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latriplice
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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 14/03/2017, 19:42

Se non sbaglio la respirazione corrisponde al prana, l'assimilazione a samana, l'evacuazione ad apana, la circolazione a vyana e l'ultima che inverte le funzioni a udana?

Mauro
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Re: Auto-indagine

Messaggio da Mauro » 15/03/2017, 4:37

Non è che stai andando un pò troppo sul nozionistico, latriplice?
Ci sono parecchi testi (oltre a quello che ti ho menzionato), che in maniera più o meno verbosa, trattano di questi argomenti.

Io preferirei leggere farina del tuo sacco.
Magari non è bella bianca e raffinata come quella che esce dalle parole di Shankara, magari ha un pò di pula e qualche vermetto, ma almeno è roba tua

cielo
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Re: Auto-indagine

Messaggio da cielo » 15/03/2017, 12:55

Se auto - indago, scopro in me tante immagini tramite cui inseguo il riflesso dello Specchio stesso che si fa immagine per essere visto nel relativo.

Qualcuno chiese a Ramana:

"Cos'è questo "Io"? Da dove sorge? Come può esistere in tutte le cose?"
Sri Bhagavan rispose: "Cos'è l'io e dove sorge, lo devi chiedere all'io stesso. Affermare che "Io-sono" è in tutte le cose, è come dire che lo specchio è dentro l'immagine. E' vero il contrario: come l'immagine è dentro lo specchio, così tutte le cose sono dentro l'Io Reale".
(tratto da Ricordi vol . 2, Associazione italiana Rāmaṇa Mahārṣi. Edizioni I Pitagorici)


Un insegnamento altissimo, ma mi domando quanto sia difficile da praticare, visto che ognuno rinforza l'io, oppure lo osserva giudicandolo "non adeguato" all'apparenza del divenire, perfezionabile, corpo su corpo, come gli strati della cipolla. E' comunque un modo per trattenerlo, quell'io sono tanto caro.

Il processo dell'atmavicara pare di ricordare che sia raffigurato come il chiodo che penetra tutti gli strati della cipolla fino al cuore che "salta" a quel punto insieme a tutti i suoi strati e resta il vuoto (l'incavo dell cuore della cipolla ha dello spazio interno "vivibile")

Vivere in uno stato di fluidità, indossando l'ego alla bisogna, me lo immagino come essere una lima che non ha più nulla da sfregare.
Si adegua alle circostanze, ha ceduto la volontà, il sankalpa al Divino. Vive finchè vive, poi lascia la spoglia.
Inferisco che subentri quella compassione, quel guardare il mondo con ogni paia d'occhi, che riconosce in ogni riflesso, in ogni immagine, la propria.
La dualità è trascesa.

latriplice
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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 15/03/2017, 14:15

LA GUAINA MENTALE

Che cos’è la guaina mentale? È la mente assieme ai cinque organi di percezione.

La guaina mentale è il luogo dove la percezione, l’emozione ed il dubbio si manifestano. L’identificazione con la guaina mentale si denota da pensieri come “io vedo, sento, gusto, io sono felice, triste, io non so cosa fare, che cosa sta succedendo” e così via.

LA GUAINA DELL’INTELLETTO


Che cos’è la guaina dell’intelletto? È l’intelletto assieme ai cinque organi di percezione.

L’intelletto è la facoltà della ragione e lo strumento utilizzato per giungere a conclusioni. È la sede dell’ego, la nozione del tuo sé apparente è l’idea di essere l’artefice dell’azione. Gli organi di percezione sono inclusi anche in questa guaina perché la percezione viene spesso richiesta nel fare determinazioni. L’identificazione con la guaina dell’intelletto si denota da pensieri come “io sto pensando, io so questo e quest’altro, io sono l’autore delle azioni ed il fruitore dei risultati. Io sono una buona persona, una persona cattiva, padre, figlia, marito, zia. Io sono un vigile del fuoco, un impiegato delle poste, un simpatizzante politico” e così via.


LA GUAINA DELLA BEATITUDINE


Che cos’è la guaina della beatitudine? È l’auto-ignoranza e l’esperienza dell’illimitatezza. È la fonte dei vari gradi di piacere.


Dal momento che la guaina della beatitudine è il corpo causale, la causa dell’esperienza stessa, non può essere sperimentata direttamente, solo i suoi effetti. Il piacere è uno di questi effetti. Ma perché menzionare il piacere in particolare e non un’altra esperienza come il dispiacere, che anch’essa deve provenire dal corpo causale?

Perché quando analizzi il dispiacere che cosa trovi? Ci sei tu, il soggetto, che esperisci un oggetto che non ti piace e c’è il desiderio nei confronti di tale oggetto di andarsene o di mutare in un oggetto che ti piace. In altre parole, c’è una divisione tra colui che vuole ed il voluto e c’è la tensione esercitata dal desiderio che ti rende inquieto, perché essere separati da qualcosa che vuoi ti mette a disagio. Ma per quanto riguarda il piacere?

In una esperienza di piacere ottieni ciò che vuoi e la divisione tra colui che vuole ed il voluto scompare, assieme al disagio del desiderio che lo ha causato. Quando non c’è alcuna divisione nella mente, essa si è essenzialmente risolta nel corpo causale indiviso. E senza alcun desiderio irrequieto presente, la mente indivisa è capace di “riflettere” o “apprezzare” accuratamente la natura del Sé, che è illimitata ed intera, e questa si traduce in una esperienza di piacere o beatitudine. Questo è il motivo per cui viene menzionato l’esperienza del piacere e non del dispiacere.

Un’altra esperienza che è un effetto della guaina della beatitudine è l’ignoranza, perché è la causa dell’ignoranza stessa. L’identificazione con la guaina della beatitudine è indicata da affermazioni come “mi sento bene, mi sento completo, non so o non sapevo”, e così via.

CONCLUSIONE: IL SE’ NON E’ NESSUNA DI QUESTE GUAINE


Sebbene tu faccia riferimento ai tuoi possessi in quanto “mio” in affermazioni come “i miei vestiti, la mia casa, la mia famiglia e così via”, essi sono diversi da te stesso. Allo stesso modo, sebbene tu ti riferisca ai tre corpi o alle cinque guaine come “mio” in affermazioni come “il mio corpo, le mie funzioni fisiologiche, la mia mente, il mio intelletto e la mia ignoranza”, essi sono diversi da te stesso. Essi sono non-sé. Tu sei il Sé, mai toccato o influenzato dai tre corpi o dalle cinque guaine, proprio come un veggente non è toccato da ciò che vede o semplicemente come una spada non è influenzata dal suo fodero.


Non scambi i tuoi beni per te stesso, anche se li consideri “tuoi”. Se non ti confondi con la tua casa per esempio, allora perché lo faresti con il tuo corpo e la tua mente? Il tuo corpo e la tua mente sono oggetti inconsci che sono conosciuti da te nello stesso modo che conosci la tua casa, la tua macchina ed i membri della tua famiglia.

Discriminare tra te stesso ed il corpo e la mente richiede di monitorare costantemente i tuoi pensieri. Quando ti trovi a dire “io”, fermati e chiediti: a quale “io” mi sto riferendo? Per esempio, diciamo che pensi “sono arrabbiato”. A quel punto puoi fermarti ed osservare che l’ “io” con il quale ti stai identificando, è la guaina mentale e puoi respingerlo come un non-sé. Ma se riconoscere l’identificazione da solo non è sufficiente per negarlo, segui passo passo la logica stringente esposta in seguito. Dopotutto siamo qui per comprendere, non negare.

Primo, l’emozione è un oggetto inconscio da te conosciuto, il soggetto cosciente. Secondo, l’emozione non era precedentemente presente alla sua comparsa ed infine se ne andrà, ma tu sei sempre presente. Terzo, l’emozione dipende dalla materia per esistere, che a sua volta dipende dalla coscienza per esistere. Ma tu sei l’indipendente coscienza esistente stessa. Per tutte queste ragioni non puoi essere la guaina mentale.

Questa linea d’indagine può e deve essere applicata ad ogni caso di identificazione con le cinque guaine o i tre corpi. E una volta che l’identificazione con il non-sé è stato riconosciuto e negato tramite la comprensione, è importante asserire la tua identità in quanto soggetto cosciente, il Sé, che non è influenzato dalle guaine e corpi. Infatti, questo è il punto centrale della discriminazione: nel ristabilire la tua vera identità che sembra tu abbia dimenticato. Di primo acchito può sembrare insincero o presuntuoso dire : “io sono l’illimitata coscienza non-duale”, ma fondamentalmente è la verità. Con il passare del tempo, nel negare il non-sé ed affermare te stesso in quanto il Sé, l’incantesimo dell’ignoranza verrà spezzato e chi sei veramente diventerà perfettamente chiaro. Questo è moksha, libertà o illuminazione.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 16/03/2017, 13:51

I TRE STATI DELL’ESPERIENZA

Quali sono I tre stati dell’esperienza? Essi sono lo stato di veglia, lo stato di sogno e lo stato di sonno profondo.

L’ultimo modo per oggettivare il non-sé, è quello di considerarlo come esperienza in generale, che è diviso in veglia, sogno e sonno profondo. La discriminazione tra te e l’esperienza è: “Io non posso essere quello che esperisco perché l’esperienza stessa è in continuo cambiamento, un oggetto inconscio da me conosciuto. Ogni esperienza richiede la coscienza, pertanto dipende da me, il Sé, per esistere. Io sono il testimone dell’esperienza, non l’esperienza stessa”.

LO STATO DI VEGLIA


Che cos’è lo stato di veglia? È lo stato di esperienza quando il corpo grossolano è presente e gli organi di senso percepiscono oggetti sensoriali come vista, udito, e così via. Quando il Sé sembra identificarsi con il corpo grossolano è chiamato il vegliante, vishwa.


A meno che tu non sappia che sei il Sé, lo stato di veglia sembra reale e la persona presente nello stato di veglia è colui che pensi di essere. Questo è un errore universale. Ma questo può essere vero? A parte i motivi precedentemente menzionati che non puoi essere ciò che esperisci, nella fattispecie la veglia in quanto esperienza, vale la pena approfondire ulteriormente l’analisi di questo stato.

Nello stato di veglia il mondo esterno è presente. E mentre non ti scambieresti mai nell’ essere alcune parti del mondo esterno come un albero, pensi di essere il corpo. Ma c’è una vera differenza tra i due? Chiediti: in che modo il corpo e l’albero vengono conosciuti? La risposta è che entrambi sono conosciuti dall’organo di senso dell’occhio. Sai della presenza dell’albero perché l’occhio lo vede e sai del tuo corpo perché l’occhio lo vede. È anche la stessa situazione per gli altri organi di senso. Tu percepisci le foglie dell’albero con lo stesso organo della pelle, cioè il tatto, con il quale percepisci i capelli sulla tua testa. Pertanto nell’osservare la tua esperienza in questo modo puoi vedere che il tuo corpo e l’albero condividono lo stesso livello di esistenza. Entrambi sono solo pensieri, oggetti di percezione.

E che cosa conosce le percezioni degli organi di senso? Deve essere la mente perché la percezione sensoriale è possibile solo quando la mente è in funzione. Se per qualche ragione non pensi di essere il corpo, quasi certamente pensi di essere la mente. Ma devi chiederti: in che modo viene conosciuta la mente? La risposta è che è conosciuta da te, coscienza o il Sé. Se la mente non fosse qualcosa conosciuta da te, non saresti in grado di dire che era lì. Ciò significa che sia la mente che i suoi pensieri/percezioni sono oggetti da te conosciuti e quindi, non possono essere te stesso. Se riesci a seguire questa logica, puoi negare la tua identificazione con l’intero stato di veglia.

Ma ci può essere ancora un dubbio. Potresti chiedere: chi conosce il Sé? La risposta è che non c’è alcun conoscitore del Sé perché si rivela da solo. Non richiede niente altro per essere conosciuto perché è la pura coscienza auto-evidente, la conoscenza stessa. Osserva la tua esistenza. Hai bisogno di qualcosa per sapere che sei cosciente oltre al fatto che sei cosciente? Assolutamente no. Pertanto la coscienza non ha bisogno di un’altra coscienza per essere conscia di se stessa.

Ma se ancora pensi che ci sia qualcosa che conosce il Sé, ti imbatti nel problema della regressione infinita. In altre parole, se tu dici che c’è qualcosa che conosce il Sé, si può quindi chiedere che cosa conosce il qualcosa che conosce il Sé. E poi, si può quindi chiedere che cosa conosce la cosa che conosce il qualcosa che conosce il Sé, all’infinito. Il punto è che si tratta di una indagine irrisolvibile senza alcuna risposta logica. Pertanto la conoscenza termina con la coscienza perché conosce se stessa. Il Vedanta all'opera, la conoscenza che pone fine alla sete di conoscenza.

Inoltre, se ci fosse qualcosa che conosceva il Sé, il Sé diventerebbe un oggetto conosciuto da essa e cesserebbe quindi, di essere il soggetto cosciente. Questo non è possibile perché il Sé non cambia. Per di più, non c’è alcun modo per qualcosa di possedere due nature contraddittorie. Allo stesso modo che il sole non può essere sia la luce che il buio, caldo e freddo, il Sé non può essere allo stesso tempo sia il soggetto che l’oggetto, conscio ed inconscio. Pertanto è sempre il soggetto cosciente e mai l’oggetto inconscio.

Ma tornando alla nostra analisi dello stato di veglia, se il fatto che il vegliante e la sua esperienza è un oggetto inerte ed in continua evoluzione conosciuto da te non ti libera dalla tua identificazione con esso, chiediti: come posso essere il vegliante se scompare ogni volta che vado a dormire?

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 17/03/2017, 12:22

LO STATO DI SOGNO


Che cos’è lo stato di sogno? È lo stato di esperienza quando il corpo grossolano non è presente e gli organi di senso non stanno percependo oggetti esterni. Le impressioni lasciate sul corpo causale da esperienze precedenti dello stato di veglia sono proiettate nel corpo sottile, creando il mondo dei sogni. Quando il Sé sembra identificarsi con questa esperienza nel corpo sottile, è chiamato il sognante, taijaisa.


Il vegliante non esiste nello stato di sogno perché sia il corpo che le percezioni del mondo esterno non sono presenti. Nello stato di sogno, solo il corpo sottile (mente) ed il corpo causale sono attivi. Il corpo causale proietta pensieri, basate su esperienze pregresse della veglia, nella mente creando il sogno. Simile al modo in cui tu pensi che la veglia sia reale quando sei sveglio, pensi che il sogno sia reale quando stai sognando. E in questo caso l’ “Io”, il Sé, è scambiato erroneamente nell’essere il sognante. Proprio come lo stato di veglia, alcun aspetto dello stato di sogno può essere te perché è in continua evoluzione e da te conosciuto.

Ma trascurando questo aspetto, considera quest’altro: se in precedenza eri il vegliante, come puoi essere ora il sognante? L’uno si è trasformato nell’altro? Anche se fosse possibile, nessuno dei due può essere te perché tu sei il Sé ed il Sé non cambia. La prova risiede nel fatto che sei consapevole dell’alternanza di entrambi, del loro andare e venire. Devi essere presente prima che il vegliante faccia la sua comparsa per poter dire che è comparso. E poi devi essere ancora presente per dire che è scomparso e che il sognante apparve. Se tu fossi effettivamente il vegliante, scompariresti quando il sognante fa la sua comparsa e non saresti in grado di dire che il sognante era lì e viceversa. Pertanto tu sei lì prima, durante e dopo il vegliante ed il sognante come la coscienza che li rivela.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 18/03/2017, 13:36

LO STATO DI SONNO PROFONDO


Che cos’è lo stato di sonno profondo? È lo stato quando sia il corpo grossolano che quello sottile non sono presenti e solo il corpo causale rimane. Poiché non c’è alcun corpo sottile disponibile per facilitare il pensiero o la percezione, in tal caso tutti gli oggetti, incluso il tempo e lo spazio, sono assenti. Pertanto, non esistono problemi nel sonno profondo. Perciò al risveglio dirai, “mi ricordo di non aver percepito nulla, ho sperimentato l’illimitatezza”. Quando il Sé sembra identificarsi con il corpo causale è chiamato il dormiente, pragnya.



La discussione sul sonno profondo è complicato perché quasi tutti pensano che non sono esistenti nel sonno profondo. Ma prima di addentrarci in una argomentazione logica che dimostri il contrario, chiediti: ho paura della morte? La risposta probabilmente è sì. Anche se non hai paura della morte, di sicuro non l’accogli. La prova è che sei ora seduto a leggere questo commentario e non stai pianificando il tuo suicidio.

Per quale motivo temi la morte o speri che rimanga lontano il più a lungo possibile? Perché la morte è la non esistenza del corpo e della mente, la persona che credi di essere. Pertanto, se per davvero non esisti nel sonno, allora è paragonabile alla morte che è essenzialmente la stessa cosa. Difatti si dice che il sonno è il cugino della morte. Dal momento che la tua non-esistenza non è desiderabile, come dimostra la tua avversione per la morte, allora per quale motivo ci corichiamo volentieri nel letto ogni notte?

La risposta è perché tu esisti veramente nel sonno profondo. Se così non fosse, non potresti svegliarti sentendoti riposato e rinvigorito perché una entità non-esistente non può essere modificato da una esperienza non-esistente. Pertanto non solo esisti nel sonno, ma anche esperisci. Ne discuteremo più in dettaglio tra breve.

Ma torniamo alla questione dell’esistenza. La ragione principale per cui le persone pensano che loro non esistono nel sonno profondo è dovuta all’assenza del corpo, della mente e del mondo, cioè degli oggetti. Potresti dire: “io non ricordo nulla, dal momento che nulla c’era, io non c’ero”. Questa linea di ragionamento è comprensibile ma incoerente con i fatti. Essa implica che la tua esistenza dipende dalla presenza degli oggetti. Se questo fosse vero, lo si potrebbe applicare ugualmente allo stato di veglia. Ma corrisponde al vero che la presenza di oggetti nello stato di veglia ti fanno esistere? La tua esistenza dipende dal vedere un albero, dal gustare del cibo, dall’annusare un fiore, dall’ascoltare la musica o nel sentire il proprio corpo? Assolutamente no. Tu esisti prima, durante e dopo l’esperienza dell’albero, del cibo, del fiore, della musica o del tuo corpo. Questo significa che l’apparenza di un oggetto non ti porta in esistenza. E la sua scomparsa non ti rende inesistente. Dal momento che questa è una constatazione di fatto, come potrebbe la scomparsa ti tutti gli oggetti nel sonno dimostrare che sei inesistente?

Se questo non rimuove il tuo dubbio, ricorda che la parola “esistenza”, satya, è sinonimo di coscienza e la coscienza esiste indipendentemente dagli oggetti. Questo è auto-evidente, ma tutto quello che devi fare è di osservare la tua esperienza per la conferma. Gli oggetti vengono, vanno e cambiano, ma la coscienza è sempre lì. Ed invece della coscienza che dipende dagli oggetti per esistere, gli oggetti dipendono dalla coscienza per esistere perché non puoi avere un oggetto senza la coscienza. Tuttavia, in uno stato come il sonno profondo, puoi avere la coscienza senza oggetti.

Ora, potresti dire: “aspetta un minuto, non vedo in che modo io sia cosciente nel sonno profondo”. Se tu esisti nel sonno profondo, che comunque è vero, allora sei cosciente perché sono esattamente la stessa cosa. Ma può non sembrarlo perché non sei consapevole di nulla. Anche se abbiamo già visto che la coscienza non dipende dalla percezione degli oggetti, cerchiamo di analizzare la situazione ulteriormente.

In precedenza si era affermato che il sonno è una esperienza. Ma che tipo di esperienza? È l’esperienza dell’assenza degli oggetti. In che modo potresti dire che non ci sono oggetti nel sonno profondo, se tu non fossi lì per esperire la loro assenza? Per poter dire che non c’erano oggetti presenti, devi innanzitutto essere stato presente per sapere che ci fu una esperienza della loro assenza. E poiché c’è una esperienza nel sonno profondo, c’è la coscienza, perché non puoi avere l’esperienza senza la coscienza. Senza la presenza di eventuali oggetti limitanti, il sonno profondo è l’esperienza dell’illimitato.

È vero che il normale strumento dell’esperienza, il corpo e la mente, la persona che pensi di essere, non è lì nel sonno profondo. Ma c’è un pensiero molto sottile presente, chiamato nidra vritti o avidya vritti, che registra l’esperienza. E dal momento che un pensiero è inconscio, questo significa che il Sé cosciente, il vero te, deve essere lì per rendere l’esperienza possibile.

CONCLUSIONE: IL SE’ E’ PRESENTE ED IMMODIFICATO IN OGNI STATO


Come un uomo è chiamato fratello in relazione alla sua sorella, un figlio in relazione alla sua madre e un padre in relazione alla sua figlia, in verità egli rimane sempre lo stesso. Allo stesso modo il Sé è chiamato il vegliante, il sognante ed il dormiente in relazione ad ogni stato dell’esperienza. Il Sé, quello che è presente in tutti e tre gli stati, rimane immodificato.


Ci si riferisce al Sé come il vegliante, il sognante o il dormiente a seconda dello stato dell’esperienza in cui appare. Ma questo è un errore perché il Sé è presente ed immutabile rispetto ai stati di esperienza che si alternano e cambiano. Per poter dire che gli stati si alternano e cambiano, è solo possibile per via della presenza del Sé immutabile.

L’unico modo in cui puoi riportare la comparsa, presenza o l’assenza di un particolare stato di esperienza è perché tu, la coscienza, sei lì prima, durante, e dopo la presenza di ciascun stato di esperienza. Se tu te ne fossi andato via quando lo stato di veglia se ne andò, non saresti lì per poter dire che il sogno o il sonno profondo sono sopraggiunti e viceversa.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 18/03/2017, 21:10

IL SE’


Che cosa è il Sé? È la coscienza non-duale, immutabile, indivisibile, indipendentemente esistente, eterno, infinito ed l’impercettibile essenza di tutto, sempre libero da tutte le azioni ed esperienze. È distinto dai corpi grossolano, sottile ed causale. È al di là delle cinque guaine. È il testimone dei tre stati dell’esperienza. Sei tu.

Dopo aver accuratamente descritto quello che non sei, il testo fornisce una descrizione di ciò che sei. Mentre è vero che la coscienza illimitata non può essere in definitiva descritta o contenuta da parole limitate ed inconsce, esse sono tutto ciò di cui disponiamo per l’auto-indagine, dal momento che il Sé non è un oggetto di pensiero o di percezione. Ma grazie a Dio, l’uso corretto delle parole può rimuovere nozioni erronee circa il Sé e mostrarti che lo sei. Questo è tutto ciò che è necessario perché il Sé non ha bisogno di essere dimostrato come un oggetto. È auto-evidente perché la tua esistenza e coscienza è ovvia. Ma dal momento che non è completamente chiaro cosa il Sé non è e cosa significa essere il Sé, un insegnamento in forma di parole è necessario.

Per permettere a questo insegnamento di funzionare, le parole devono essere esatte perché la definizione di qualcosa che è imprecisa o che si applica a più di una cosa porta alla confusione. Per esempio, se stai cercando di descrivere qualcosa e dici che è “grande”, hai un problema perché la parola “grande” può riferirsi a più di una cosa ed il suo significato cambia a seconda di cosa ci si riferisce. Puoi avere sia un grande topo che una grande montagna. Pertanto parole come queste non sono adatte per l’insegnamento riguardo il Sé.

La traduzione del versetto di cui sopra usa molte parole precise per fornire una definizione esclusiva del Sé ma il testo originale in sanscrito ne utilizza solamente tre: sat-cit-ananda. Questi termini non rappresentano tre funzioni differenti o qualità che appartengono al Sé. Essi sono letteralmente ciò che il Sé è, la sua vera natura.

Il significato di sat (o sathya) è stato discusso in precedenza in questo commentario. È ciò che è senza inizio, senza fine, immutabile indipendentemente esistente. Cit significa Coscienza. Non per essere ridondante, ma il Sé, la coscienza, è cosciente. Non è ciò che il Sé fa, è ciò che il Sé è. E dal momento che questa coscienza è sathya, non è una parte, prodotto, proprietà o funzione del corpo o della mente o una combinazione di entrambi. Alcuni dicono che il cervello è la sorgente della coscienza, ma corrisponde al vero? Il tessuto cerebrale e la corrente elettrica, che sono entrambi solo materia, sono inconsci. Se presi singolarmente non hanno alcuna coscienza da dare, non è allora che nel metterli assieme puoi creare la coscienza. Il cervello, come un computer, svolge certe funzioni ma anche come un computer è inconscio. Così, simile al modo in cui una persona cosciente osserva le funzioni inconsce di un computer, il Sé cosciente testimonia le inconsce funzioni del cervello. Inoltre, la funzione del cervello viene descritta in due modi: in quanto attività elettrica, che abbiamo già stabilito che è inconscia, ed il flusso dei pensieri. Sono i pensieri coscienti? Assolutamente no, perché sono rivelati dalla coscienza. Pertanto la coscienza non può essere il flusso dei pensieri perché è indipendente da questi o dalla loro assenza, come nel sonno profondo. Se tu esisti nel sonno profondo allora sei consapevole perché esistenza, sathya, e coscienza, chit, sono la stessa cosa.

E per quanto riguarda ananda? Ananda significa beatitudine, ma la beatitudine non si applica al Sé in senso letterale. Perché? Per il semplice motivo che la beatitudine è esperienziale, e come hai potuto vedere, l’esperienza è il non-sé. Ma il termine ananda viene utilizzato qui perché analizzando l’esperienza della beatitudine che è familiare a tutti, è utile nel descrivere la natura del Sé tramite l’implicazione. In che modo? Quando ti trovi nello stato della beatitudine, non c’è alcuna separazione tra te e ciò che desideri. Sei felice perché sei temporaneamente libero da vincoli di limitazione. Pertanto il significato implicito di ananda è illimitatezza, ananta, ed il termine “illimitatezza” si applica al Sé perché non è influenzato dal tempo, dallo spazio e da tutti gli altri oggetti che appaiono in esso. È anche illimitato perché è non-duale e onnipervasivo, non c’è alcun luogo al mondo dove non sia presente e non soffre la mancanza di nulla.

Esistenza-coscienza-illimitatezza è una definizione precisa del Sé perché non è ambiguo e si applica solo al Sé. Per esempio, quale oggetto della tua esperienza corrisponde a sat? Non è possibile trovarne alcuno perché tutti gli oggetti sono limitati dal tempo, giungono ad essere, stanno per un po’ per poi scomparire. Inoltre non sono sat perché dipendono dalla coscienza per esistere. Che cosa nella tua esperienza corrisponde a cit? Nulla, perché tutti gli oggetti sono conosciuti da te pertanto sono inconsci. Che cosa nella tua esperienza corrisponde ad ananta? Anche in questo caso non vi è nulla perché tutti gli oggetti sono vincolati da tempo e spazio.

Puoi iniziare ad osservare come il corretto utilizzo delle parole del Vedanta è un valido strumento per conoscere il Sé. Le parole in se stesse non sono il Sé, ma nel contemplare i loro significati impliciti, la natura del Sé è resa chiara ed evidente. In che modo? Anzitutto la definizione di sat-cit-ananda nega la possibilità che il Sé venga frainteso nell’essere un qualsiasi tipo di oggetto. Dal momento che non è un oggetto, deve essere cit, coscienza, il conoscitore degli oggetti. E poiché è il conoscitore degli oggetti, non è influenzato da essi. Pertanto il Sé è conosciuto per essere ananta, senza limiti.

Attraverso queste parole, diventa chiaro ciò che non sei: un oggetto, l’entità sperimentatrice o qualsiasi forma di esperienza. E nel riflettere sui significati impliciti di queste parole diventa chiaro ciò che sei: la coscienza illimitata tramite la quale tutti gli oggetti sono conosciuti, e per oggetti si intende persone, cose, eventi, relazioni e situazioni. Quando giungi a questa conclusione non è come se tu diventassi il Sé. Semplicemente comprendi che cosa è il Sé, e in che modo tu già sei il Sé. È solo una questione di conoscenza (comprensione) e non un diventare (azione). E questo è il motivo per cui le parole funzionano. Le parole possono concedere la conoscenza, ma le azioni non possono perché l’azione e l’ignoranza non sono opposti l’uno all’altro. Una persona soggetta all’influenza dell’auto-ignoranza può eseguire tutti i tipi di azione per ottenere, cambiare o sbarazzarsi degli oggetti. Ma dal momento che il Sé non è un oggetto, non può ottenerlo attraverso una azione. Egli può “ottenere” il Sé tramite la conoscenza che “ha” già il Sé perché egli è il Sé.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 19/03/2017, 14:56

IL CREATORE E LA CREAZIONE


Come ci può essere una creazione, un non-sé, se il Sé è non-duale, immutabile e privo di azione?


Questa è una domanda logica perché una volta che hai utilizzato la discriminazione per infrangere la convinzione che gli oggetti sono reali e che tu ne sia in qualche misura associato, rimani ancora con la fondamentale dualità Sé e non-sé irrisolta. Dal momento che la realtà e non-duale, in ultima analisi i due devono essere riconciliati.

Per fare questo, il testo categorizza il non-sé un po’ diversamente rispetto a prima: come individuo, la creazione ed il creatore. Per prima cosa spiega la natura del creatore e come la creazione e l’individuo vennero in esistenza. In seguito dimostra che l’individuo non è differente dalla creazione in quanto materia, e procedendo con l’analisi dimostra che l’individuo ed il creatore non sono differenti in quanto il Sé, facilitando così la conoscenza della non-dualità.

È dovuto a maya, un potere che dipende dal Sé per la sua esistenza apparente.

La Maya rende possibile l’impossibile: essa fa in modo che il Sé non-duale sembri come fosse una moltitudine di oggetti differenti. Il testo mette in risalto questo punto nel dire che maya dipende dal Sé, che è sathya, per la sua apparente esistenza. Questo significa che maya, insieme con i suoi effetti, è mithya. Sebbene sathya e mithya sembrino una dualità, in verità non lo sono perché non ci può essere una vera e propria dualità tra il Sé e qualcosa che in realtà non esiste.

Ma dal momento che l’apparenza della dualità non può essere semplicemente respinta, la relazione tra sathya e mithya necessita di una spiegazione: mentre mithya (maya) è sempre sathya (il Sé), sathya non è mai mithya. Ciò che viene definito come mithya è solo il Sé che appare, ma che in effetti non diviene, mithya.

È come l’esempio summenzionato del vaso d’argilla. Mentre il nome “vaso” e la forma a cui si riferiscono sono sempre l’argilla, l’argilla non è mai il nome (nama) e la forma (rupa). L’argilla non diventa una sostanza chiamata vaso perché il vaso è solo una apparenza priva di effettiva esistenza. E prima, durante e dopo l’apparenza del vaso, l’argilla rimane sempre la stessa.

Potresti dire che c’è un vaso di argilla perché ne fai l’esperienza. Ma quando cerchi di dimostrare la sua esistenza, non puoi perché l’apparenza del vaso si risolve nella sua base, l’argilla. Allo stesso modo, sebbene mithya può essere esperita, procedendo con l’indagine essa si risolve in sathya, il Sé.

Per esempio, in ogni esperienza ci sono due fattori: oggetti, mithya, e coscienza, sathya. Il termine “fattore” viene qui utilizzato perché sebbene la coscienza è insita in ogni esperienza, essa stessa non è un oggetto esperibile. Ora, se entrambi la coscienza egli gli oggetti fossero reali, allora nessuno dei due sarebbe in grado di cambiare. Se così fosse, ci sarebbero due realtà indipendenti che non potrebbero influenzarsi a vicenda e tu saresti bloccato con la dualità.

Ma questo non corrisponde alla realtà dei fatti perché gli oggetti sono transitori ed in continua evoluzione; in altre parole non sono reali. E dal momento che gli oggetti non sono auto-rivelanti, che significa indipendentemente esistenti, devono dipendere da qualcos’altro per la loro apparente esistenza, nello stesso modo che il nome e la forma “vaso” dipende dall’argilla. L’unico altro fattore oltre gli oggetti è la coscienza, pertanto quello che appare essere degli oggetti deve essere per davvero la coscienza. Proviamo ad esaminare un oggetto come una sedia per vedere in che modo questo corrisponda alla verità. La logica di questo esempio può essere applicata non solo agli oggetti fisici, ma anche a quelli sottili come i pensieri perché entrambi sono materia.

Allora a cosa ti riferisci quando dici che c’è una sedia? Se osservi da vicino ti rendi conto che non c’è alcuna sedia, solo legno. Il legno è una realtà? Assolutamente no, perché è fatto di solo atomi. L’atomo è una realtà? Assolutamente no, perché è fatto di protoni, neutroni ed elettroni che a loro volta sono fatti di quark e altre varie particelle subatomiche che periodicamente appaiono dallo spazio e scompaiono nello spazio. Così alla fine dell’indagine sulla sedia, tutto ciò che si trova è lo spazio. Ma è lo spazio una realtà? Se lo fosse, esisterebbe in modo indipendente. Ma non è così perché dello spazio si può dire che esiste solo in presenza della coscienza. Dal momento che lo spazio non è conscio, non è logico concludere che la coscienza derivi dallo spazio. Pertanto lo spazio proviene dalla coscienza, ed infine non è altro che coscienza.

In questo modo tutti gli oggetti, mithya, si risolvono nella coscienza, sathya, il Sé. L’esperienza di mithya è solo una apparenza che in realtà è il Sé. È simile nel pensare che stai sperimentando un’onda dove c’è solo acqua, un anello dove c’è solo oro o una maglietta dove c’è solo cotone.

Prima di procedere, è una buona idea ribadire questi due fatti:

1. Maya è mithya, è irreale. Pertanto, qualsiasi dei suoi effetti sono ugualmente irreali.

2. Mithya dipende da sathya, il Sé, per la sua apparente esistenza. Pertanto, mithya si risolve in, e non è niente altro che, sathya, ma sathya non è mai mithya.

Ora, il testo spiegherà in che modo la maya si evolva nella creazione.

La maya è composta da tre guna (qualità): sattva, rajas e tamas. Da queste tre qualità evolvono i cinque elementi (spazio, aria, fuoco, acqua, terra) nelle loro forme sottili non-fisiche. Da questi elementi sottili a sua volta si sviluppa il corpo sottile. Quando i cinque elementi si dividono e si ricombinano, le forme grossolane degli elementi vengono create. Dagli elementi grossolani il corpo grossolano si sviluppa. Di conseguenza, vi è una identità tra l’individuo e l’intero universo. Essi sono entrambi composti dei cinque elementi (materia) e sono perciò essenzialmente non differenti.

Come precedentemente accennato, il corpo causale è il potenziale immanifesto per la mente ed il corpo individuale. Ma è solo parte del corpo causale totale, maya, il potenziale immanifesto di tutti i corpi, di tutte le menti e l’intera creazione. A questo proposito maya è il creatore ed è composta dai tre fattori necessari per creare: conoscenza (satva), potere (rajas) e sostanza (tamas).

Pensa a quello che serve per costruire una casa. In primo luogo bisogna avere la conoscenza per elaborare un progetto e l’abilità nella costruzione. Questo è satva. Ma la conoscenza e l’abilità non è sufficiente se non disponi del potere o dell’energia per attuare la costruzione stessa. Questo è rajas. Ma la conoscenza di come fare il lavoro ed il potere di realizzarlo non è di alcuna utilità se non ci sono i materiali per costruirla. Questo è tamas.

Inizialmente questi tre guna si manifestano come i cinque elementi, che sono un modo per descrivere la materia. Ma prima ancora, essi sono nella loro forma sottile, energia, materia nella sua forma non-fisica. Dagli elementi sottili, vengono formati i corpi sottili. Poi, quando gli elementi sottili si dividono e si ricombinano, diventano gli elementi grossolani, materia fisica, da cui il corpo ed il cosmo sono formate.

Questo processo complesso si articola in dettaglio nel testo originale, ma l’ho semplificato qui perché il punto dell’intera faccenda è questo: la creazione e l’individuo, entrambi nei loro aspetti sottili e grossolani sono solo materia, i cinque elementi. Perché questo è importante? Per il semplice motivo che abitualmente tu tracci un confine tra te stesso ed il mondo, e lo vedi come diverso da te stesso. Ma in verità, non c’è una distinzione tra la materia che compone il tuo corpo e la tua mente e la materia di cui è composto il mondo. Dal punto di vista della materia, la creazione e l’individuo sono la stessa cosa; essi sono essenzialmente indifferenziati e questo fatto risolve l’uno nell’altro.

Ora, poiché la materia è inerte ed inconscia, è inconcepibile che essa si sia organizzata in una creazione. Pertanto, l’esistenza di un creatore consapevole ed intelligente viene dedotto. Così, subito dopo aver determinato l’unicità della creazione e dell’individuo, si giunge ad un’altra dualità: il creatore e la creazione. Per riconciliare i due, il testo spiega la natura del creatore, Ishvara, e la creazione/individuo, il jiva.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 20/03/2017, 10:17

ISHVARA


Il Sé in associazione con maya è chiamato Ishvara.


Anche se maya contiene tutta la conoscenza e la potenza necessaria per creare, quella conoscenza e potenza è inutile senza la coscienza. Questo è il motivo per cui si dice che il creatore, Ishvara, è maya associata con il Sé. Pertanto il Sé non-duale e non-agente non può creare senza la maya, e la maya non può creare senza il Sé cosciente.

La maggior parte del tempo i termini maya ed Ishvara sono usati come sinonimi. Ma a volte Ishvara si riferisce al Sé in associazione con il satva soltanto. L’idea è che Ishvara è la conoscenza totale e l’abilità necessarie per creare, e rajas e tamas i due poteri che egli esercita, simile al mondo in cui un’artista esercita le sue abilità. E come un’artista che non è separato dalle sue abilità ma da queste non è influenzato, allo stesso modo Ishvara non è separato da rajas e tamas ma da queste non è assoggettato. Perché fare questa distinzione? Per il semplice motivo che rajas proietta e tamas nasconde. Essi sono responsabili dell’auto-ignoranza e di tutti i suoi effetti. E dal momento che l’auto-ignoranza regna sovrana nel jiva e non in Ishvara, questa distinzione deve essere fatta per dimostrare che Ishvara non è né auto-ignorante né responsabile per il comportamento negativo che deriva dall’auto-ignoranza.

Ma questa è una questione tecnica. In generale, si può pensare ad Ishvara come l’intelligenza che crea e sostiene la creazione e come la creazione stessa. Un esempio comune è quella del ragno, perché il ragno è sia l’intelligenza che crea la sua tela che la sostanza della tela stessa. Tuttavia, a differenza del ragno che può staccarsi dalla sua tela, Ishvara non è mai separato dalla sua creazione perché egli stesso è la creazione. Pertanto, un modo più ampio di pensare ad Ishvara è come il mondo esterno ed interno in cui ti trovi. In tal senso, Ishvara è solo ciò che stai sperimentando in un dato momento, così come il creatore ed il sostenitore di quella esperienza. E poiché questo Ishvara è maya, è sostanzialmente mithya.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da NowHere » 20/03/2017, 13:19

Ciao Latriplice, forse mi sono perso qualcosa. Da dove sono tratte queste cose che stai postando?
Namasté a tutti

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 20/03/2017, 13:44

Tratto dal commentario di Vishnudeva Sanders, TATTVA BODHA: KNOWLEDGE OF TRUTH, come riportato all'inizio.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 20/03/2017, 13:47

IL JIVA


Questo riflesso del Sé (nel corpo sottile) che ignorantemente si identifica con il corpo grossolano è chiamato jiva. Il jiva senza un’adeguata indagine, pensa di essere diverso da Ishvara.


Essenzialmente, il jiva è un essere incarnato cosciente. Ma dal momento che il corpo e la mente sono materia inconscia, viene da chiedersi come sia possibile l’aspetto cosciente? È possibile dal momento che il corpo sottile può “riflettere” la coscienza dal Sé, simile al modo in cui la luna, che non dispone di luce propria, rifletta la luce del sole. Il riflesso della coscienza rende possibile per l’ego, un pensiero inconscio di individualità e di proprietà, di rivendicare il corpo e la mente come se stesso, creando un individuo apparente. Il riflesso del Sé, l’ego, la mente ed il corpo - il jiva - sono mithya.

Ishvara è il Sé in associazione con maya. Il jiva è il Sé in associazione con l’ignoranza. A causa della differenza nelle loro appendici limitanti (rispettivamente maya ed ignoranza), viene erroneamente concluso che vi sia una effettiva differenza tra Ishvara ed il jiva.


Un’appendice limitante (upadhi) è qualcosa che sovrappone i suoi attributi sul Sé, il quale non ha attributi o qualità. Un buona illustrazione è l’acqua contenuta in un bicchiere dal colore verde, l’acqua corrispondente al Sé ed il bicchiere corrispondente all’appendice limitante. Quando l’acqua è associata con il bicchiere, assume l’aspetto di essere di colore verde e cilindrico, quando è effettivamente informe ed incolore.

Allo stesso modo, quando il Sé è associato con le appendici limitanti di maya e ignoranza, essa sembra essere Ishvara ed il jiva rispettivamente, nonostante sia in realtà coscienza senza forma. Ora, nell’esempio di cui sopra, l’acqua ed il bicchiere sono oggetti separati che esistono indipendentemente l’uno dall’altro, ma questo non si applica nel caso di Ishvara, il jiva ed il Sé. Entrambi Ishvara ed il jiva sono mithya, i quali non sono separati ed indipendenti da sathya, il Sé. E dal momento che Ishvara ed il jiva sono mithya, la loro “associazione” con il Sé è anch’essa mithya. Non vi è alcuna associazione reale, solo la sua apparenza.

Samsara, la continua sofferenza causata dalla identificazione con il corpo e la mente, persiste fintanto che questa erronea conclusione rimane. Pertanto, la conclusione della differenza tra il jiva ed Ishvara non può essere accettata.

La sofferenza persiste fino a che la non differenza tra il jiva ed Ishvara non viene compreso, o in altre parole, fino a quando la verità della non-dualità è chiara. Comprendere che cos’è il Sé, perché sei il Sé, e perché l’individuo, il creatore e la creazione sono te, ma tu nel contempo sei libero dalla loro influenza, è la libertà, moksha. Come lo si può realizzare? L’argomento conclusivo viene ora esposto.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 21/03/2017, 12:42

COME PUO’ NON ESSERCI ALCUNA DIFFERENZA TRA IL JIVA ED ISHVARA?

La grande affermazione “Tu sei quello” rivela l’identità tra il jiva ed Ishvara. Questa identità non è ovvia perché il jiva ha una conoscenza e potere limitati ed è posseduto da un ego, mentre Ishvara ha tutta la conoscenza e potere ed è privo di ego. Pertanto come può non esserci alcuna differenza tra i due quando hanno qualità diverse?

Questo è il modo in cui l’affermazione “Tu sei quello” si deve intendere: il significato letterale della parola “tu” è il jiva, che a causa dell’ignoranza è identificato con i corpi grossolano e sottile. Il significato implicito della parola “Tu” è il Sé, colui che è libero dall’appendice limitante dell’ignoranza. Similmente, il significato letterale della parola “quello” è Ishvara, colui che è dotato di tutta la conoscenza e potere. Il significato implicito della parola “quello” è il Sé che è libero dall’appendice limitante di maya.

Pertanto, il jiva ed Ishvara non differiscono in quanto il Sé.


La conclusione è semplice: sia il jiva che Ishvara, o l’ignoranza e maya, sono mithya, che non è reale. E non ci può essere una differenza sostanziale tra due oggetti irreali. Un’altra prospettiva è questa: se entrambi il jiva ed Ishvara sono mithya, e mithya dipende dal Sé per apparentemente esistere, mithya può essere soltanto sathya, il Sé, simile al modo in cui un vaso può essere solo l’argilla. Dal momento che un singolo vaso e la totalità di tutti vasi non sono altro che argilla, il jiva ed Ishvara sono completamente indifferenziati in quanto il Sé.

Dal momento che sei il Sé, il jiva ed Ishvara sono te. Ma proprio come l’argilla che non è mai influenzata e libera dal vaso che appare essere, tu sei sempre non influenzato e libero dal jiva ed Ishvara che appari essere. Essi sono mithya e possono essere solo che te, ma tu non puoi mai essere loro perché tu sei sathya: coscienza illimitata non-duale, indipendentemente esistente, immutabile, ed eterna. Quando questa conoscenza è chiara ed indubitabile, è moksha, liberazione.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 22/03/2017, 12:43

LIBERATO IN VITA

Coloro che, attraverso gli insegnamenti del Vedanta e l’istruzione del maestro, comprendono che sono il Sé sono resi liberi, qui e ora, dal ciclo del samsara.

Prima dell’auto-conoscenza c’era la tenace conclusione che, “Io sono soltanto il corpo e la mente. Io sono inadeguato, limitato, soggetto alla sofferenza e morte”. Ma dopo l’auto-conoscenza colui che è liberato in vita (jivanmukta) ha la stabile, costante, comprensione immediata (non dipendente dalla percezione sensoriale) che, “Io non sono il corpo e la mente. Piuttosto, la mia natura è esistenza, coscienza ed illimitatezza. Io sono eterno, immutabile, intero e completo. Io sono non-duale, così sebbene sembra esserci un mondo, in realtà c'è solo me stesso”.

L’auto-conoscenza è una soluzione permanente, disponibile in questa vita al problema della sofferenza. Nel mostrare che tu sei affrancato dal corpo, dalla mente e da tutte le sue esperienze, sei liberato da tutti i problemi del corpo e della mente, come il cambiamento, la sofferenza e la morte.

Nel dire che l’auto-conoscenza è immediata, il testo fa notare che non dipende dalla percezione o il pensiero. In altre parole, non hai bisogno di vedere, gustare, toccare, odorare, sentire o pensare al Sé per sapere che esiste e che tu lo sei. La natura del Sé è la coscienza e la coscienza è auto-evidente, che non richiede alcun supporto esterno per essere conosciuto. Se l’auto-conoscenza dipendesse dalla percezione, dal pensiero o anche dal mantenimento di una azione particolare, sarebbe temporaneo e pertanto non corrispondente alla libertà.

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 22/03/2017, 15:48

TRE TIPI DI KARMA


Dalla comprensione immediata, “Io sono il Sé”, si è totalmente liberi dai tre tipi di karma: agami, sanchita e prarabdha. Così colui che ha l’auto-conoscenza, attraversa l’oceano del samsara e apprezza l’illimitatezza della propria natura in questa stessa vita.

Il karma è qualsiasi azione, mentale o fisica, come pure i risultati di tali azioni. Esso può essere positivo o negativo. Il karma compiuto con la nozione erronea, “Io sono l’agente”, si chiama agami e contribuisce al sancita karma, il tuo deposito karmico totale. Il sancita karma rimane immanifesto fino a quando giunge il momento opportuno perché esso fruttifichi. Il karma che è stato prelevato da questo deposito al fine di creare il tuo corpo attuale, circostanze e vita, è chiamato prarabdha karma.

La stabile conoscenza, “Io sono il Sé”, nega la falsa nozione che tu sia l’agente del karma o di colui che raccoglie i suoi risultati. Privo della nozione di essere l’artefice per rivendicare l’esecuzione del karma e della nozione di essere il fruitore per ricevere i risultati, il tuo sancita ed agami karma è distrutto. Poiché quando non c’è un proprietario del deposito karmico, che significa che tu non ti identifichi più con esso, non vi è alcun modo di accumulare depositi (agami) o ricevere gli effetti pregressi del prarabdha karma.

Tuttavia il prarabdha karma, che è già stato messo in moto dalla nascita, deve ancora manifestarsi completamente fino a quando il corpo muore. Ma questo non è un problema per coloro che hanno l’auto-conoscenza perché capiscono che sono sempre liberi in quanto il Sé incontaminato, e che non sono il corpo e la mente. Pertanto, i dettagli della vita del corpo e della mente e le circostanze della loro morte non hanno più alcun significato in particolare. In questo modo, coloro con l’auto-conoscenza attraversano l’oceano del samsara.

Così finisce il Tattvabodha, la conoscenza della verità.
OM TAT SAT

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Re: Auto-indagine

Messaggio da latriplice » 22/03/2017, 19:39

Manca la ciliegina sulla torta:

"Il Supremo non è divisibile né indivisibile. Il Supremo è privo di attività e di mutamento. Se il Supremo è uno, indivisibile e onnicomprensivo, come può esserci adorazione, come può esserci ascesi?"

Dattatreya espone un punto cruciale per gli aspiranti nella metafisica tradizionale: nega la possibilità di ascesi, mostrando nei sutra successivi le ragioni della negazione. E' una negazione che cozza con millenni di affermazioni contrarie, con le aspirazioni di ogni ricercatore spirituale, con le preghiere di ogni devoto. Una negazione che troviamo anche in altri realizzati non duali e che, per molti, rappresenta un ostacolo invalicabile poiché conduce alla definitiva negazione del libero arbitrio. Viene negata la possibilità all'essere individuato di accedere allo stato ultimo attraverso un qualsiasi processo o attraverso l'uso di uno strumento, perché viene negata l'esistenza stessa dell'individuazione da superare, in quanto, non essendo l'essere individuabile, non esiste alcun essere individuato; quindi, esistendo solo l'essere, non esiste alcun processo per giungere a ciò che già si è. Negazione dell'ascesi che è conseguenza della negazione del movimento e del libero arbitrio.

Dattatreya. Avadhutagita
Commento di Bodhananda. (Capitolo VI - Liberazione, 2.) Edizioni I Pitagorici



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Re: Auto-indagine

Messaggio da Fedro » 22/03/2017, 20:41

Nell' incipit del commento, andrebbe sostituito Bodhananda con Dattatreya (suppongo una tua svista)
Si può invece, aggiungere sotto, alla fine del commento:
"( commento di Bodhananda)"

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