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KaaRa
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E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 04/01/2017, 23:09

Questo è un post enorme, soprattutto per essere un primo post, ma è sorto grazie ad una recente piccola rivelazione interiore che per me è stata molto importante; e purtroppo temo che più una rivelazione è completa e perfetta, più ci vogliano molte parole per spiegarla, nonostante esse siano inadeguate a far comprendere. Ma, nel caso qualcuno abbia avuto le mie stesse difficoltà, o che sia “pronto” a valutarle, le espongo per quel che posso, potrebbero essere di aiuto (e cosa, in fondo, non lo è?).

Un tempo mi stupivo, fin quasi all’ira, per il fatto che NESSUNO, né i più potenti avataara né i più semplicistici ricercatori, sembra aver mai voluto rispondere approfonditamente alla domanda: PERCHE’?
Perché questo mondo e non un altro? Un altro migliore, per la precisione? Non semplicemente un’era, un pianeta, o un piano di esistenza migliori, ma migliore in generale.
Di solito, si sentono alcune risposte, per me insoddisfacenti:
1) Alcune domande non hanno risposta.
2) Alcune domande è prematuro porsele.
3) La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile (non potremmo mai avere un mondo perfettamente bello, perché il concetto di bene assoluto, come quello di male assoluto, è solo una tendenza mentale che non può mai essere soddisfatta in un mondo relativo), quindi in ogni mondo ci porremmo la stessa domanda.
4) Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando pian piano da ciò che sta “creando”.
5) La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo.
6) Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, quindi (anche) negativamente.
7) Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”.

Diciamocelo apertamente, senza fare troppo gli intellettuali disillusi, gli asceti distaccati, o gli uomini di mondo smaliziati saturi di esperienza: il mondo potrebbe essere migliore. Se riesco ad immaginarlo meglio con la mente individuale, vuol dire che la mente universale può farlo meglio, e anche di molto.
Chiariamo che con “mondo” non intendo semplicemente il risultato delle nostre azioni: infatti, anche se (come dicono i Veda) “tutti i mondi sono solo karma (quindi azioni) accumulato”, è anche vero che non sono le volontà individuali a volere che le azioni siano come sono: le volontà individuali sono apparenze che nascono dal karma, e non viceversa. L’unica vera volontà è quella divina, nonostante essa non faccia capo a nessuna reale individualità, neanche, appunto, ad una “individualità divina”.
Né voglio negare che ogni mondo debba basarsi sulla dicotomia duale Principiale. Infatti, per immaginare un mondo, ho bisogno di una dualità di base, e in più se, in esso, faccio brutte azioni che portano a brutte conseguenze, avrò ovviamente un mondo spiacevole. Ma perché mai, dall’Onnipotenza Causale, c’è stato bisogno di manifestare per forza un mondo dove la componente negativa sia così evidente? Cioè dove di sicuro gli enti individuali compiranno azioni altamente stupide-ignoranti-malvage?
Perché un universo come il nostro? Un luogo in cui, se anche avesse luoghi idilliaci in altri pianeti e/o in altri piani di esistenza, o in altre Ere-Yuga, poi inevitabilmente ci fa vivere vite come le nostre, su di un pianeta e in un Era come la nostra, in un piano di esistenza come il nostro? (E, personalmente, non ho neanche da lamentarmi troppo; qui parlo in generale.)
Come già detto, persino noi, con la nostra immaginazione limitata, possiamo sicuramente immaginare mondi migliori (lo facciamo continuamente), nonostante anche questi nostri mondi immaginari partano da una base duale (dove quindi un po’ di negatività di base deve esserci, anche solo per poter aver presente il concetto di positività).

Tra l’altro, non importerebbe neanche che il mondo sia migliore: basterebbe che l’Ignoranza metafisica Principiale non fosse stata così radicale, così “addormentante”: non è infatti bello comunque sperimentare un mondo orribile, quando si sa che è finto? Non è ciò che facciamo nei nostri giochi, nei film, nei romanzi?
Di solito, ci facciamo bastare la spiegazione più logica ma anche più superficiale: le ere negative fanno parte di equilibri universali… il piano materiale è la conseguenza naturale, cioè il “precipitato finale” dell’architettura di tutti i piani d’esistenza sottili… il pianeta Terra, in quanto luogo di “uscita dal samsara”, è per forza di cose un luogo non ideale, proprio per spingere ad uscire dal samsara… ecc.
Ma ciò non toglie che poi, vivendo quasi totalmente identificati ad una individualità, tutto questo lo subiamo negativamente: era davvero necessario tale assopimento totale con relativo attaccamento al samsara e alle individualità che di volta in volta né emergono? Era inevitabile questo teatrino, o, per lo meno, era inevitabile che lo vivessimo credendolo totalmente reale? PERCHE’? Nessuno, a quanto mi risulta, risponde veramente.

Personalmente, questa domanda mi ha “ossessionato” per anni. Quando la ponevo nel centro “iniziatico” che frequentavo, dove eravamo ben abituati a porci domande e risposte ardite, questa lasciava tutti silenziosi, praticamente imbarazzati. Con tale domanda ero quasi sicuro di essere diventato, agli occhi degli altri, abbastanza destabilizzante per il proseguimento del nostro lavoro spirituale: anche perché, a tale domanda, seguiva una domanda ancora più scomoda: se l’Essere genera (per quanto apparentemente) questo mondo, dove nel “mondo” dobbiamo includere la nostra condizione (che non è consapevole della natura apparente e quindi innocua di tale generazione), prima o poi l’Essere potrà o dovrà generare di nuovo qualcosa di simile, anche dopo che sarà stato risolto questo samsara: in fondo, se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo di nuovo? Estinto il fuoco della Conoscenza dopo che il combustibile dell’Ignoranza è stato tutto consumato (per usare un’immagine Vedantica), cosa impedirà il sorgere, di nuovo, dell’Ignoranza dal puro Essere? In fondo, ciò è successo almeno una volta, ovvero all’inizio di questo samsara (per quanto tale inizio non sia rintracciabile, nel samsara stesso).

Per capire la gravità di ciò, dobbiamo partire dal punto di vista più Reale nei riguardi di ciò che siamo: noi siamo Quello, l’Assoluto, addormentato nella sua possibilità di Ignoranza Principiale, attraverso la quale stiamo sognando un Universo, nel quale ci si è identificati in un particolare stato di cose, vissute come se fossero un evento individuale, evento reiterato lungo percorsi basati sul ciclo di causa-effetto.
Noi possiamo risolvere questa condizione ciclica fin nelle fondamenta Principiali, come suggeriscono tutte le tradizioni metafisiche più profonde. Lasciando così che rimanga “solo” l’Assoluto. La questione è che, a quel punto, niente, NIENTE impedirà che un nuovo samsara si ripeta in qualche forma, magari peggiore. Così come niente ha impedito che questo samsara sia avvenuto.

Non so se l’argomento interessa, ma secondo me è il più essenziale, nonostante sembri negare la radicalità del percorso spirituale e della realizzazione. Ma, se non mettiamo in dubbio tali concetti, rischiamo di prendere la Tradizione metafisica come una ulteriore religione, da vivere magari integralmente ma troppo pedissequamente.
Dico tutto questo sperando di parlare a persone che non dimenticano la sofferenza nei momenti migliori della loro vita, ma che, anzi, abbiano un minimo riflettuto profondamente sulle implicazioni del dolore dell’esistenza (e lo dico senza essere un pessimista, né uno che ha sofferto troppo, né un amante del dolore), e che quindi non si accontentino solo di cercare di uscire il più presto possibile dal dolore, senza riflettere almeno un minimo. Mi viene a mente il discorso della freccia del Buddha: è vero che non ci è utile sapere da dove è venuta la freccia, chi ce l’ha tirata e perché, ecc., per potercela togliere. Ma è anche vero che se, una volta tolta, ci poniamo nelle condizioni di farcela tirare di nuovo, forse è meglio spendere un attimo a riflettere su ciò.
Recentemente, ebbi una sorta di comprensione spontanea che mi risolse i dubbi e i problemi su questi argomenti. Fu talmente personale ed esplosiva, che riportarla per scritto non può che limitarla, senza contare che, come ogni altra esperienza e comprensione, è limitata e relativa comunque, ma ciò non significa che non possa essere utile, per chi vuole.

Avendo in mente tale personale “rivelazione”, provo a criticare le risposte sopra riportate, quelle che, come dicevo, di solito vedo dare da Maestri e Aspiranti.
1. Alcune domande non hanno risposta, dicono. Strano: si parla di tutto, di ogni argomento, si espongono le filosofie più ardite, e si insegnano, ormai pubblicamente sugli scaffali di enti commerciali o su pubbliche reti informatiche, i più ardui sentieri spirituali; ed in tutto ciò, tutto ha una risposta, per quanto relativa; tutto ha il suo giusto posto, anche se dipende dai particolari punti di vista da cui si guarda. Però, a non avere possibilità di risposta, sarebbe SOLO questa domanda: il “semplice” PERCHE’ dello stato di cose che viviamo: il mondo poteva benissimo essere relativo e temporaneo, come lo è ogni sogno o immaginazione, senza per questo essere vissuto, a volte, nel dolore più nero, nell’identificazione più esasperata. Lo trovo sospetto, stranamente superficiale, questa mancanza di risposte su questo argomento. Ritengo che ciò sia dovuto al fatto che la risposta è talmente radicale, da essere più destabilizzante di quanto non lo sia il fatto stesso (tranquillamente dichiarato dai Maestri più elevati) che persino la Tradizione unica Universale sia per forza di cose relativa ed inutile una volta che ha adempiuto al suo scopo.
2. Alcune domande è prematuro porsele, dicono. Sicuramente, ma spero non si sottintenda che certe domande sia lecito proporle solo dopo la realizzazione: tutte le domande è possibile porle solo in un contesto relativo, mai in uno assoluto. Quindi, prima o poi, tale domanda sul PERCHE’ andrà posta, durante la propria sadhana o percorso spirituale.
3. La domanda è inutile perché, se il mondo fosse migliore, potrebbe essere ulteriormente migliorabile, quindi in ogni mondo ci porremmo comunque la stessa domanda, dicono. Vero, ma è anche vero che certe condizioni (ovvero questo attuale mondo) sono molto più adatte di altre, per porre certe domande: approfittiamone per vedere se può venirne fuori qualche risposta utile.
4. Il mondo non è migliore perché la Sorgente che lo manifesta sta imparando da ciò che sta “creando”, dicono. Questo è per lo più una assurdità (e infatti i “veri Maestri” di solito non lo dicono, a meno che non si stiano rivolgendo ad un contesto religioso). La vera sorgente, l’Assoluto, non ha niente da imparare, niente da migliorare, niente da modificare. Però mi sono chiesto (come emerge da alcune considerazioni esposte in precedenza): ha senso parlare di una vera totale risoluzione del relativo? Se nel relativo niente è assoluto, anche la fine del samsara non può essere assoluta. Risolta una relatività ciclica individuale ed universale, risolti totalmente i semi causali manifestati in un contesto, ci saranno sempre (il Causale è senza tempo) potenzialità per “nuovi” contesti universali ed individuali, o per chissà cos’altro.
Ovvero: se mi sveglio da una serie di sogni, totalmente, a quel punto niente, NIENTE mi impedirà di addormentarmi e sognare di nuovo, visto che in tale risveglio (quello “nell’assoluto”), non ci sono cose-eventi-enti esterni o interni ad impedire o favorire qualche condizione particolare (quindi non ci sarà niente che “mi” dirà: “non sognare più, o almeno cerca di sognare un po’ più lucidamente, perché è stato così brutto la volta scorsa, in cui ti eri addormentato del tutto…”).
Questo potrebbe voler dire, anche se non lo troveremo tanto facilmente scritto su di un testo spirituale (mi viene a mente che forse è vagamente suggerito nelle note di Raphael alla Mandukya, e forse in qualche allusione di Shankara), che, anche se non è la “Sorgente” a dover imparare, i jiva forse qualcosa dovrebbero imparare a ricordare per indirizzare bene la propria sadhana: risolvere tutto, ma proprio tutto… OPPURE trovare un compromesso nella maayaa?
5. La Realtà genera, per quanto apparentemente, tutto, quindi prima o poi non poteva che generare anche questo mondo, dicono. Vero… e falso. L’Essere assoluto “genera” tutto, potenzialmente. Ma, effettivamente, proprio perché le possibilità sono numericamente indefinite, non ha senso dire che genera tutto. Genera ciò che genera, niente di più: l’indefinito non potrà mai esaurirsi, non potrà mai generare davvero “tutto”. Quindi niente toglie che possa essere un bene (per quanto ovviamente relativo) che si impedisca consapevolmente che qualcosa si generi in un modo particolare, e non in un altro, a certi livelli di realizzazione.
6. Il mondo è già perfetto, sei tu che lo vedi parzialmente, e quindi (anche) negativamente, dicono. Vero. Peccato però che il nostro punto di vista apparentemente relativo, che ci fa vedere le cose parzialmente-negativamente, non sia stato scelto da noi (da noi in quanto enti relativi): è sorto spontaneamente dal nostro Essere assoluto, che non ha parametri con cui fare scelte. Questa, per “Lui” (cioè per noi in quanto assoluto), E’ SOLO UN’OCCHIATA (è questa la “rivelazione” che ebbi poco tempo fa, inesprimibile a parole in tutta la sua chiarezza), un’occhiata sorta spontaneamente (e apparentemente) in Sé stesso: non c’erano parametri che potevano impedire o favorire una particolare serie di manifestazioni universali e individuali. All’interno di questa serie di manifestazioni, cioè ora, potrebbe essere consigliabile decidere sul da farsi (per lo meno adesso che siamo umani, quindi alle “soglie dell’uscita”): una sadhana che ci porti alla totale chiusura di questa “occhiata”, con il rischio che poi essa avvenga nuovamente (non c’è NIENTE, nell’assoluto, che impedisca alla Causa prima di “passare dalla potenza all’atto con una forza straordinaria”, per usare le parole di Raphael dell’Asram Vidya), e magari con modalità peggiori? Oppure c’è un qualche compromesso che possiamo fare con la maayaa?
7. Il mondo è come è in vista di un miglioramento/ricompensa che ne giustificherà la sua “bruttezza”, dicono. Questo è apparentemente una ingenuità religiosa, e di solito lo è davvero. Non è vera da un punto di vista “Naturale” (nel senso più pieno del termine), nel senso che la maayaa non tende a nessuno scopo, né è vera da un punto di vista metafisico, perché l’Assoluto non fa apparire niente che gli sia di vantaggio. Ma possiamo comunque prenderla in considerazione, tenendo presente quanto detto sin’ora: possiamo valutare che, essendo l’Assoluto il nostro vero essere, niente ci è di preferenza, ma che ciò comporta una cosa: prima o poi “qui”, in questa condizione universale-individuale, per quanto fondamentalmente apparente, ci siamo finiti, e non ci è piaciuto per niente. Se risolviamo TUTTO di questa condizione, NIENTE ci impedirà di finirci di nuovo in qualche forma, per quanto non legata caUSalmente all’attuale samsara.

In definitiva: noi possiamo scegliere ora quale sia la direzione e la profondità a cui la nostra sadhana ci debba portare. Se diamo troppa attenzione alla maayaa (ad un qualunque suo “livello”: beatifico-potenziale, intellettivo-universale, sensoriale-individuale), rimarremo come siamo, per quante condizioni divine si possano vivere alle volte in certi luoghi, ere o stati di coscienza. Se invece diamo troppa poca attenzione alla maayaa, rischieremo di avere una Realizzazione perfetta, che non servirà, letteralmente (o meglio, metafisicamente), a nessuno (perché l’assoluto non è nessuno, non ha un senso del “me”, non è un io), e sarà giusto così, sarà perfetto… ma è esattamente la “condizione” che ci ha “portato qui”.

La maayaa è solo un’occhiata. Per quanto si possa guardare indietro individualmente e/o universalmente attraverso innumerevoli vite e/o manifestazioni cosmiche, non troveremo mai un inizio; possiamo solo trovare una Causa totale solo se guardiamo fuori del tempo, perché essa è senza tempo. Né troveremo mai un inizio, neanche cAUsale, nel nostro Essere vero, assoluto, perché, per quanto esso non sia staticità (è la fonte stessa del tempo-spazio, e anche della causalità), non è caratterizzato dal tempo (e dallo spazio), né da una causa. Questa che stiamo vivendo è solo un’occhiata, non importa quanto lunga (e ciclica, e vasta) ci appaia ora. Se chiudiamo tale occhiata del tutto, potremmo paradossalmente ritrovarci a guardarla di nuovo. Ora che sappiamo ciò, potremo cercare un compromesso: svegliarci abbastanza da sapere di sognare, ma non abbastanza da dissolvere il sogno con il rischio poi di addormentarci di nuovo. Apparirà meno dignitoso alla morale umana, soprattutto a quella codificata nella Tradizione (però, in fondo, è proprio nelle raffigurazioni tradizionali che ad esempio il Buddha non ha né gli occhi totalmente aperti, né totalmente chiusi). Ma, visto che qui si tratta di qualcosa che coinvolge la radice stessa del nostro essere, se facessimo un compromesso del genere, a CHI appariremo non dignitosi, visto che, in quanto assoluto, non c’è nessuno che ci giudica, neanche un “noi stessi”?

latriplice
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 04/01/2017, 23:26

KaaRa ha scritto:

Un tempo mi stupivo, fin quasi all’ira, per il fatto che NESSUNO, né i più potenti avataara né i più semplicistici ricercatori, sembra aver mai voluto rispondere approfonditamente alla domanda: PERCHE’?
Perché questo mondo e non un altro? Un altro migliore, per la precisione? Non semplicemente un’era, un pianeta, o un piano di esistenza migliori, ma migliore in generale.
Perché? E perché no?

Se riesci a trovare una risposta soddisfacente, anzi incontrovertibile al perché no, allora si potrà rispondere al "tuo" di perché.

KaaRa
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 04/01/2017, 23:36

Con "perché no?" intendi dire "perché non dovrebbe essere così come è, questo mondo?"?
E' esattamente quello che alla fine ho capito anche io: non c'è un motivo che possa impedire all'assoluto di far apparire in sé questo mondo. Non ci sono parametri, preferenze, spinte che lo porti a "fare" in un modo o in un altro.
Questo oramai mi è chiaro.
Ma è proprio questo che ci porta a quello che volevo dire: ovvero che sarebbe bene riflettere su ciò, ed integrare nella sadhana le conseguenze che ne emergono.

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 04/01/2017, 23:48

KaaRa ha scritto:

Non c'è un motivo che possa impedire all'assoluto di far apparire in sé questo mondo.
Appunto perché Brahman è illimitato. Se ci fosse un limite verrebbe meno la sua natura illimitata.

C'è chi vede l'oceano (Ishvara) e chi vede l'onda (Jiva). C'è chi va al di la delle apparenze e vede l'acqua (Brahman).

E poi parafrasando Nisirgadatta: "Perché il Brahman si concede il lusso di questo mondo? Perché per il Brahman il mondo non esiste". Può bastarti questa di risposta.

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 05/01/2017, 0:06

Certo, può bastarci. Ma può bastarci solo se ci va bene ignorare il fatto che possiamo "dimenticarlo", come infatti l'abbiamo dimenticato per tutta la vita o per tutte le vite. Ci va bene?

Mauro
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da Mauro » 05/01/2017, 0:10

latriplice ha scritto: "Perché il Brahman si concede il lusso di questo mondo?"
Per sovrabbondanza?

KaaRa
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 05/01/2017, 0:21

Mauro ha scritto:
latriplice ha scritto: "Perché il Brahman si concede il lusso di questo mondo?"
Per sovrabbondanza?
E' vero, l'avevo già sentita, questa; avrei dovuto inserirla nelle varie risposte.
Ma in fondo, è assimilabile al punto 5 del primo post: il Brahman genera tutto, quindi può generare anche questo. Valgono però le conclusioni che già ho esposto in tale punto, secondo me.

latriplice
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 05/01/2017, 0:44

Kaara ha scritto:

....il mondo potrebbe essere migliore. Se riesco ad immaginarlo meglio con la mente individuale, vuol dire che la mente universale può farlo meglio, e anche di molto.
Parli di immaginazione, pertanto di un mondo che hai in mente rispetto al quale sei alla ricerca di un senso.


Quale mondo?

Allen Hammond, Which World - Scenarios for 21st Century, Editor Island Press.

KaaRa
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 05/01/2017, 0:55

latriplice ha scritto:
Kaara ha scritto:

....il mondo potrebbe essere migliore. Se riesco ad immaginarlo meglio con la mente individuale, vuol dire che la mente universale può farlo meglio, e anche di molto.
Parli di immaginazione, pertanto di un mondo che hai in mente rispetto al quale sei alla ricerca di un senso.


Quale mondo?

Allen Hammond, Which World - Scenarios for 21st Century, Editor Island Press.
Non si tratta di essere alla ricerca di un senso, ma solo di ricordarci che un mondo lo abbiamo immaginato. La consapevolezza che ci fa dire "Quale mondo?" è il sollievo "finale". Bene. Siamo pronti a tale sollievo, pur sapendo che è temporaneo? Che è legato al tempo?
Perché, in caso di dubbi, nel caso cioè che ci si voglia affidare al senso (per me superficiale) con cui ci si affida di solito all'insegnamento tradizionale, che ci dice che la realizzazione (il sollievo) è "eterna", sarebbe meglio ricordarci che la realizzazione ci porterà ad uno "stato X" (per usare le parole di Raphael), che è proprio quello che si è "dimenticato" che non c'è nessun mondo.

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 05/01/2017, 1:12

KaaRa ha scritto:Certo, può bastarci. Ma può bastarci solo se ci va bene ignorare il fatto che possiamo "dimenticarlo", come infatti l'abbiamo dimenticato per tutta la vita o per tutte le vite. Ci va bene?

Intendi dire che il corpo sottile (jiva) ha dimenticato la propria sorgente (Brahman)? Com'è possibile? E' un oggetto inerte.

Le sensazioni, i pensieri, le emozioni che compongono il corpo sottile sono coscienti a tal punto da concedersi il lusso di dimenticarsi la luce della consapevolezza che li illumina?

Il pensiero è cosciente della tua presenza? O è un semplice oggetto che appare e vive per poi dissolversi nella luce della tua presenza?

Qui assistiamo alla potenza di maya di rendere possibile l'impossibile, cioè di invertire i termini della relazione soggetto-oggetto. Il Jiva semplice oggetto di conoscenza che si crede il soggetto, e il Brahman in quanto pura soggettività che può essere da una suo semplice riflesso dimenticato. Non c'è da meravigliarsi se da questo malinteso sorga la domanda "Perche?".

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 05/01/2017, 1:48

KaaRA ha scritto:

Personalmente, questa domanda mi ha “ossessionato” per anni. Quando la ponevo nel centro “iniziatico” che frequentavo, dove eravamo ben abituati a porci domande e risposte ardite, questa lasciava tutti silenziosi, praticamente imbarazzati. Con tale domanda ero quasi sicuro di essere diventato, agli occhi degli altri, abbastanza destabilizzante per il proseguimento del nostro lavoro spirituale: anche perché, a tale domanda, seguiva una domanda ancora più scomoda: se l’Essere genera (per quanto apparentemente) questo mondo, dove nel “mondo” dobbiamo includere la nostra condizione (che non è consapevole della natura apparente e quindi innocua di tale generazione), prima o poi l’Essere potrà o dovrà generare di nuovo qualcosa di simile, anche dopo che sarà stato risolto questo samsara: in fondo, se lo ha fatto una volta, cosa gli impedirà di farlo di nuovo? Estinto il fuoco della Conoscenza dopo che il combustibile dell’Ignoranza è stato tutto consumato (per usare un’immagine Vedantica), cosa impedirà il sorgere, di nuovo, dell’Ignoranza dal puro Essere? In fondo, ciò è successo almeno una volta, ovvero all’inizio di questo samsara (per quanto tale inizio non sia rintracciabile, nel samsara stesso).
Per usare un'altra immagine Vedantica, una volta riconosciuto di aver scambiato la corda per il serpente, dov'è il serpente? C'è mai stato un serpente?
Forse dovresti riflettere sulla natura ontologica di maya perché sembra che tu la ritenga qualcosa di reale.
Maya o bellissima intelligente ignoranza è senza inizio perché è un potere inerente a Brahman in conformità alla sua illimitatezza, quella di apparire diverso da ciò che è, ma può essere dissolta dalla conoscenza.

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da Mauro » 05/01/2017, 7:06

KaaRa ha scritto:
Mauro ha scritto:
latriplice ha scritto: "Perché il Brahman si concede il lusso di questo mondo?"
Per sovrabbondanza?
E' vero, l'avevo già sentita, questa; avrei dovuto inserirla nelle varie risposte.
Ma in fondo, è assimilabile al punto 5 del primo post: il Brahman genera tutto, quindi può generare anche questo. Valgono però le conclusioni che già ho esposto in tale punto, secondo me.
Se, come dice l'Aquinate "l'Essere è puro Atto", il problema che poni non esiste: non vi è un "prima" in cui si hanno "in potenza" tutte le possibilità e poi le si mette "in atto" una per una. La Realtà è dispiegata nella sua multitotalità qui, ora, sempre.

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da cannaminor » 05/01/2017, 8:43

Mauro ha scritto:
KaaRa ha scritto:
Mauro ha scritto:
Per sovrabbondanza?
E' vero, l'avevo già sentita, questa; avrei dovuto inserirla nelle varie risposte.
Ma in fondo, è assimilabile al punto 5 del primo post: il Brahman genera tutto, quindi può generare anche questo. Valgono però le conclusioni che già ho esposto in tale punto, secondo me.
Se, come dice l'Aquinate "l'Essere è puro Atto", il problema che poni non esiste: non vi è un "prima" in cui si hanno "in potenza" tutte le possibilità e poi le si mette "in atto" una per una. La Realtà è dispiegata nella sua multitotalità qui, ora, sempre.
La Realtà è dispiegata (in atto) nella sua multitotalità qui, ora, sempre....sì, tutto vero, ma tu La vedi? e sopratutto, La "vivi" ?

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da Mauro » 05/01/2017, 9:04

Non nella pienezza e profondità del suo significato ma che avverto come vero.
Tu per cogliere certi messaggi di verità hai bisogno di vedere e/o vivere TUTTO quello che i saggi testimoniano?
Se fosse così probabilmente saresti già un realizzato... :)

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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da cannaminor » 05/01/2017, 9:29

Mauro ha scritto:Non nella pienezza e profondità del suo significato ma che avverto come vero.
Tu per cogliere certi messaggi di verità hai bisogno di vedere e/o vivere TUTTO quello che i saggi testimoniano?
Se fosse così probabilmente saresti già un realizzato... :)
Già, se fosse così probabilmente sì, ma così non è quindi non si pone il problema di "essere già realizzato".
No, certo che anch'io arranco tra barlumi e intuizioni (vaghe) come credo la maggioranza, tolte le solite eccezioni.

KaaRa
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 05/01/2017, 18:11

latriplice ha scritto:
KaaRa ha scritto:Certo, può bastarci. Ma può bastarci solo se ci va bene ignorare il fatto che possiamo "dimenticarlo", come infatti l'abbiamo dimenticato per tutta la vita o per tutte le vite. Ci va bene?

Intendi dire che il corpo sottile (jiva) ha dimenticato la propria sorgente (Brahman)? Com'è possibile? E' un oggetto inerte.

Le sensazioni, i pensieri, le emozioni che compongono il corpo sottile sono coscienti a tal punto da concedersi il lusso di dimenticarsi la luce della consapevolezza che li illumina?

Il pensiero è cosciente della tua presenza? O è un semplice oggetto che appare e vive per poi dissolversi nella luce della tua presenza?

Qui assistiamo alla potenza di maya di rendere possibile l'impossibile, cioè di invertire i termini della relazione soggetto-oggetto. Il Jiva semplice oggetto di conoscenza che si crede il soggetto, e il Brahman in quanto pura soggettività che può essere da una suo semplice riflesso dimenticato. Non c'è da meravigliarsi se da questo malinteso sorga la domanda "Perche?".
Certo, non c'è da meravigliarsi. Anzi, sto proprio dicendo che è un bene che tale domanda ci sia: è forse l'unica cosa che può evitare il ripetersi di una assoluta (?) dissoluzione del samsara, con conseguente possibilità che quindi ricominci (non ci sono, in assoluto, parametri per cui il samsara debba esserci o non esserci, o esserci in un modo o in un altro).
latriplice ha scritto:Per usare un'altra immagine Vedantica, una volta riconosciuto di aver scambiato la corda per il serpente, dov'è il serpente? C'è mai stato un serpente?
Forse dovresti riflettere sulla natura ontologica di maya perché sembra che tu la ritenga qualcosa di reale.
Maya o bellissima intelligente ignoranza è senza inizio perché è un potere inerente a Brahman in conformità alla sua illimitatezza, quella di apparire diverso da ciò che è, ma può essere dissolta dalla conoscenza.
Esatto: l'ignoranza può essere risolta con la conoscenza. Dopodiché, la conoscenza sparisce con tale ignoranza. E poi? Se (alle soglie della realizzazione, cioè durante tutta la sadhana) ci si risponde "e poi niente", suggerisco, soprattutto a me stesso, di rispondermi così anche nei momenti peggiori della vita, quando non appaiono per niente illusori. Vedremo se ci sembrerà altrettanto sensata. Temo che in quei casi ci verrà da rispondere invece "speriamo non capiti mai più tale dolore, per lo meno non dopo la realizzazione".
Mi spiego: se rispondo "e poi niente", getto le basi affinché "io" (che sono l'assoluto, ma che, paradossalmente, non ho un senso dell'io), esaurita del tutto questa ignoranza metafisica, non avrò più parametri che "mi" impediranno di far sorgere di nuovo l'ignoranza (con conseguenti jiva, universi, o chissà cos'altro), proprio come non ci sono parametri che hanno impedito all'Ignoranza di apparire "ora", con tutto il suo eventuale (apparente ma molto vivibile) dolore.
Se, invece, a quel "e poi?" si risponde: "e poi... sarà bene che ci sia qualcosa di meglio rispetto a prima", le cose andranno prima o poi appunto meglio (l'energia/materia segue il pensiero). Questo ovviamente non soddisferà la sete di assoluto. Nessun mondo o condizione ideale può soddisfarla. E allora? A soddisfarla basterà la realizzazione del fatto che l'assoluto lo siamo già, che non è un oggetto da acquisire. A quel punto, che ci sia pure la maya, ma che sia vissuta meglio (ad esempio, senza la quasi totale identificazione che abbiamo adesso): si eviterà così che, dal totale annullamento di ogni parametro, possano sorgere situazioni peggiori (apparenti, certo: ma andiamocelo a dire quando tale apparenza si manifesta nei modi peggiori, vissuti nel pieno dell'identificazione individuale).

Quello che sto dicendo non è in fondo quello che propone Shamkara? Lui accenna al fatto (mi piacerebbe ritrovare in quale testo) che i realizzati possono andare a rivivere i momenti migliori, ad esempio con le passate madri delle varie vite umane: di cosa mai se ne farebbe un realizzato di tali eventi, visto che non ha neanche più il senso dell'io?
Oppure Bodhananda, nei suoi due capitoli che sostituiscono le parti perdute dell'Advaita Bodha Dipika, dove dice che un jiva può scegliere se restare nell'immanifesto, oppure tornare a stabilizzarsi in qualche piano di esistenza. Per cosa la fa a fare una scelta del genere un jiva realizzato, che non ha più il senso reale dello spazio-tempo e delle distinzioni tra potenziale ed effettivo?
Oppure Raphael (in una nota alla Mandukya), quando dice che c'è la possibilità di una condizione ideale nella maya, cioè viverla senza identificarsi pienamente con le sue forme: a che servirebbe una possibilità del genere, dopo la realizzazione, in cui si è solo "acqua", senza più considerare mare e onde? (Per usare il tuo esempio di prima.)

Secondo me questi sono tutti suggerimenti per impedire un TOTALE annullamento degli effetti della maya: se ridurremo tale ignoranza mayahica in cenere totalmente, con conseguente spegnimento del fuoco della conoscenza, dalla cenere nascerebbe di nuovo una ignoranza completamente "resettata" (non dipendente dai semi causali precedenti), in cui può di nuovo avvenire di tutto. Ad esempio anche quello che siamo qui a subire (il credere reale l'irreale, con tutto il dolore che ne consegue, per quanto fondamentalmente apparente sia).

Mauro ha scritto:Se, come dice l'Aquinate "l'Essere è puro Atto", il problema che poni non esiste: non vi è un "prima" in cui si hanno "in potenza" tutte le possibilità e poi le si mette "in atto" una per una. La Realtà è dispiegata nella sua multitotalità qui, ora, sempre.
Una situazione del genere annullerebbe il tempo non solo come realtà assoluta (il che va bene), ma anche come apparenza (il che genera un po' di problemi, visto che lo stiamo vivendo, per quanto apparentemente). Potremmo affermare che il tempo non è neanche apparenza solo comprendendo che esso è l'assoluto stesso, esattamente come la maya è l'assoluto stesso: ogni distinzione non è neanche apparente, ma solo nominale. Sono sottigliezze sensate (che approfondirei volentieri in un altro argomento) ma che non inficiano, anzi, se mai confermano, tutto ciò che ho detto nel primo post.

latriplice
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 06/01/2017, 1:37

latriplice ha scritto:

Per usare un'altra immagine Vedantica, una volta riconosciuto di aver scambiato la corda per il serpente, dov'è il serpente? C'è mai stato un serpente?
Forse dovresti riflettere sulla natura ontologica di maya perché sembra che tu la ritenga qualcosa di reale.
Maya o bellissima intelligente ignoranza è senza inizio perché è un potere inerente a Brahman in conformità alla sua illimitatezza, quella di apparire diverso da ciò che è, ma può essere dissolta dalla conoscenza.

KaRaa ha scritto

Esatto: l'ignoranza può essere risolta con la conoscenza. Dopodiché, la conoscenza sparisce con tale ignoranza. E poi? Se (alle soglie della realizzazione, cioè durante tutta la sadhana) ci si risponde "e poi niente", suggerisco, soprattutto a me stesso, di rispondermi così anche nei momenti peggiori della vita, quando non appaiono per niente illusori. Vedremo se ci sembrerà altrettanto sensata. Temo che in quei casi ci verrà da rispondere invece "speriamo non capiti mai più tale dolore, per lo meno non dopo la realizzazione".
Mi spiego: se rispondo "e poi niente", getto le basi affinché "io" (che sono l'assoluto, ma che, paradossalmente, non ho un senso dell'io), esaurita del tutto questa ignoranza metafisica, non avrò più parametri che "mi" impediranno di far sorgere di nuovo l'ignoranza (con conseguenti jiva, universi, o chissà cos'altro), proprio come non ci sono parametri che hanno impedito all'Ignoranza di apparire "ora", con tutto il suo eventuale (apparente ma molto vivibile) dolore.
Se, invece, a quel "e poi?" si risponde: "e poi... sarà bene che ci sia qualcosa di meglio rispetto a prima", le cose andranno prima o poi appunto meglio (l'energia/materia segue il pensiero). Questo ovviamente non soddisferà la sete di assoluto. Nessun mondo o condizione ideale può soddisfarla. E allora? A soddisfarla basterà la realizzazione del fatto che l'assoluto lo siamo già, che non è un oggetto da acquisire. A quel punto, che ci sia pure la maya, ma che sia vissuta meglio (ad esempio, senza la quasi totale identificazione che abbiamo adesso): si eviterà così che, dal totale annullamento di ogni parametro, possano sorgere situazioni peggiori (apparenti, certo: ma andiamocelo a dire quando tale apparenza si manifesta nei modi peggiori, vissuti nel pieno dell'identificazione individuale).
Tutto dipende da quale prospettiva ti concedi:

Concessione al Brahman:

Ignorare la natura del Sé si chiama Maya. Il mancato apprezzamento di sé in quanto ordinaria, imperturbabile, illimitata consapevolezza non-nata, non-agente e non duale comporta di conseguenza un campo d'azione (samsara) in cui la personificazione (jiva) di questo mancato apprezzamento si cimenta a rincorrere gli oggetti (sicurezza, piacere e virtu') allo scopo di sopperire alla propria intrinseca carenza.
Infatti dalla prospettiva del Brahman, essendo il Brahman, il problema di Maya neanche si pone. Questo potrebbe essere la tua soluzione esistenziale. Definitiva. Potremmo limitarci a questa descrizione sintetica e logica di tutta la faccenda e fermarci qui. Questo perché andare oltre significa entrare nel paese delle meraviglie rischiando di sparare qualche castroneria. Ma già che ci siamo, con tutte le castronerie che si sentono in giro.

Concessione ad Ishvara:

Qui la questione si complica notevolmente perché siamo nel regno di Maya, in cui le cose non sono come appaiono essere. Sai, quando parli del Brahman c'è poco da dire, è senza attributi, senza storia e se ne sta li' a farsi i cazzi suoi tutto il tempo, per non dire dall'eternità.

Per quanto riguarda Maya (ignoranza macrocosmica) possiamo dire che si manifesta sia come l'attore-creatore Ishvara (la personificazione del Corpo causale macrocosmico) che il palcoscenico-creazione stesso in cui avviene la rappresentazione scenica (campo dharmico).

L'avidya dell'individuo apparente (ignoranza personale o microcosmica) è quello che proietta le intepretazioni basate sulle vasane sulla "creazione" che fondamentalmente costituisce la propria esperienza. La proiezione-creazione di Ishvara è completamente sattvica, ed essendo tale ha valore neutro. Le vasane dell'apparente individuo (jiva) sono composte da diversi gradi di combinazione dei tre guna e così sovrappone rajas e tamas sul palcoscenisco puramente sattvico della realtà apparente, che la colora in conformità ai valori con cui l'apparente individuo è programmato e nel modo in cui è stato condizionato.

Sia la proiezione della realtà di Ishvara e l'interpretazione e conseguente esperienza di quella "creazione" da parte dell'individuo sono gli effetti di maya (macrocosmica ignoranza) e sono soltanto apparenti nel senso che entrambi non sono permanenti. L'interpretazione della realtà apparente basate sulle vasane dell'individuo, nonostante sia radicata fondamentalmente nell'ignoranza macrocosmica, è un secondo strato di ignoranza microcosmica o personale (avidya) che viene proiettata.

Tamas, che è una forma di energia velante, nasconde all'individuo la vera natura della realtà apparente, e rajas, che è una forma di energia proiettiva, costringe l'individuo a sovrapporre le sue interpretazioni basate sulle vasane sul mondo oggettivo. Il punto è quando si è soggetti all'incantesimo dell'ignoranza (maya) nulla della comprensione (jnana) e dell'esperienza (karma) del mondo è reale. E' soltanto una elaborata rappresentazione teatrale, perfino estravagante nelle sue sfumature, che sta avvenendo nel teatrino del corpo sottile.

E' importante notare che le vasane dell'individuo non sono di sua creazione. In altre parole, l'individuo apparente non ha creato o scelto le sue vasane. Le vasane immagazzinate nel corpo Causale dell'individuo sono in effetti proprietà di Ishvara. Infatti c'è soltanto un Corpo Causale, che è un gigantesco magazzino di tutte le vasane che comprende l'apparente creazione e che costringe gli esseri che la abitano di agire esattamente nel modo in cui agiscono. Le vasane che uno considera sue sono solo le vasane che esistono nel Corpo Causale con cui il corpo sottile (jiva) si identifica. E chi ha causato questa identificazione? Ishvara.

Concessione al Jiva

E' vero che l'apparente individuo è impregnato di apparente libero arbitrio attraverso il quale può eseguire azioni che rafforzano o indeboliscono le proprie vasane, ma in definitiva il senso di volontà personale e le scelte che uno pensa di esercitare liberamente, sono essenzialmente determinate da Ishvara. Questa comprensione non nega la propria responsabilità riguardo l'esercizio dell'apparente libero arbitrio, altrimenti se non esercitata saggiamente l'individuo non diventerà mai libero dall'ignoranza, ma allevia il fardello della responsabilità personale di come le cose al livello microcosmico e macrocosmico si trovano. Sapendo che non sono personalmente in carica e responsabile di ciascun aspetto della realtà apparente, agisco in ogni data situazione nel modo più appropriato e lascio i risultati delle azioni ad Ishvara. Inoltre sapendo che Ishvara si sta prendendo cura di tutti nell'interesse della totalità (il campo dharmico dell'esistenza assorbe e si riconfigura accogliendo qualunque azione eseguita in essa per mantenere l'equilibrio, armonia ed il benessere globale), accetto qualsiasi risultato manifesto come un dono da Dio.

Adesso disponi dal mio personale punto di vista di tre versioni dell'intera faccenda, ti consiglio la prima perché è semplicissima. Le altre due....beh... mi girava la testa ber buttarle giù.

KaaRa
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da KaaRa » 06/01/2017, 21:18

Ancora prima di leggere questo ultimo post, mi è piaciuto subito molto questa tripartizione. Vediamola (ho scritto di nuovo molto: puoi concentrarti anche solo sulle parti finali in neretto, soprattutto sulle domande, il resto è un riepilogo dove credo di mostrare che siamo fondamentalmente d'accordo sulle varie "concessioni"):

1) Concessione al Brahman.
Allora... dici che, in quanto Brahman, noi possiamo non porre neanche il problema della maya. Perfetto.
Trasportando il discorso su di un piano temporale, potremmo dire che questa era ovviamente la "condizione di partenza".
Ma... eppure... eccoci nella maya. E' inesistente, eppure esperibile. Esiste solo il Brahman, eppure ci troviamo a crederla reale. E' successo, per quanto sia un'apparenza. E' successo nonostante noi si sia sempre stati il Brahman.
E' questo il punto, che forse non riesco ad esplicitare bene a quanto pare: con una realizzazione (ipoteticamente?) totale, noi stiamo per porci nelle condizioni di "partenza", proprio quelle da cui è nato tutto questo "orrore" (apparente, certo. Proprio oggi - devo essermela attirata dicendo che in generale le cose mi vanno bene - ho passato un momento di orrore; in questi casi, sapere che tutto è maya aiuta; e riuscire a non trovare (anche se tramite la sadhana e non spontaneamente) un autentico "io" nel proprio campo di coscienza, aiuta (l'orrore, la paura, si rivelano così vacui nomi non applicabili a... nessuno). Ma, in generale, nella ancor poca equanimità stabile e totale, tutto appare ancora un orrore, alla faccia dell'apparenza).

2) Concessione ad Ishvara.
Spiegazione esemplare, la tua. Sottolineiamo che Tutto è di Ishvara: MA Ishvara non è un individuo. Non sente di esserlo. Solo quando gli individui riescono ad evocarlo (nella Natura, prakriti, cioè quando riescono a sentirlo ovunque) o invocarlo (nella Coscienza, purusha, cioè quando riescono a sentirlo in sé), può eventualmente presentarsi con un "io" ("io sono colui che sono", o, con una più efficace traduzione dall'ebraico, "io sarò ciò che sarò", cioè "io, ishvara, dipendo dal relativo, pur essendo il relativo dipendente da me"). Ma tale io è solo potenziale. Si manifesta a pieno solo attraverso un jiva (pienamente individuato, altrimenti, come nel caso degli animali, rimane poco strutturato). In pratica, i jiva, più che essere un qualcosa che appartiene a lui, sono essi stessi Ishvara che si pone in una particolare interpretazione. In pratica, comunque, questo lo hai detto anche tu. Ma da questo capiamo come noi, in quanto Ishvara, possiamo uscire dalla maya solo quando lui si pone come jiva. Come demiurgo, o come cosmo (altre sue interpretazioni), lui (quindi noi) non usciremmo mai da questo teatrino. Quindi, Ishvara è un punto di passaggio che adesso ci interessa poco. Noi potremmo essere stati pienamente Ishvara per tanti di quei cicli cosmici da non riuscire neanche ad immaginare tale numero. Divertendoci così a manifestare mondi. Il problema, ma anche il bello, si pone "ora" (al di là di quanto tempo è che si protrae tale "ora"), cioè adesso che siamo individui, cioè l'atto finale di questa messinscena. L'altra alternativa, cioè tornare ad essere pienamente Ishvara (o come minimo uno dei suoi aspetti universali, cioè un Deva) ci riporterebbe prima o poi a tornare individui, perché a quanto pare l'equilibrio spontaneo di Ishvara ha in sé i semi della propria distruzione (cioè, appunto, questa interpretazione individuale, che è ciò che può risolvere la maya, o che comunque ne rappresenta l'atto finale), e quindi prima o poi si torna ad essere pienamente jiva individuali per poter porre termine a tutto questo gioco.

3) Concessione al Jiva.
Altra esposizione perfetta. Il Jiva quindi non è altro che un'apparente particolare risultato delle configurazioni universali, e quindi un'espressione dei semi di Ishvara. Tale jiva, nella sua forma più compiuta (al di là che attualmente, in media, non esplichi tutte le sue potenzialità), ovvero l'essere umano (non sono antropocentrico, ma ci dicono tutti che solo gli umani possono realizzare la loro piena natura, ovvero risolvere l'avidya...), il jiva si trova alle soglie della propria risoluzione, che comporterà anche il compimento dei cicli universali (che, visti nella loro totalità, altrimenti, non avrebbero mai fine), ovvero l'esaurimento dei semi di Ishvara (o, meglio, dei semi che hanno germogliato questi particolati cicli di spettacoli).

E poi? Risolto tutto, l'unica concessione che può rimanere è la prima, come auspicavi tu. Tu la consideri anche come la più semplice. Concordo. E' talmente semplice che ha dato il via alle altre due senza neanche pensarci su. Ho sfogliato per caso oggi un libro sulla Qabbalah in una libreria: Dio fa pensieri oziosi nella sua eternità, e questi generano il mondo (più specificatamente, il libro parlava del male del mondo, ma in pratica è la stessa cosa, visto che al male segue il bene - e viceversa - e insieme fanno appunto un mondo).

E' così strano pensare che tutto si ripeterà con altrettanta facilità?
E' così strano, quindi, pensare di porre i semi di una alternativa, ovvero che ci possa essere una CONCESSIONE AD UN COMPROMESSO?

4) Concessione ad un compromesso.
Per fare una analogia, il compromesso proposto (secondo me, più o meno esplicitamente, anche dai Maestri) è svegliarsi da questo sonno ishvarico, perdendo l'identificazione verso il jiva, ma...
...ma continuando ad immaginare, o al massimo a sognare lucidamente.
Nessun rischio di rimanere in questo sogno totalizzante, e neanche nessun rischio di nuovi addormentamenti totali dopo un eventuale risveglio totale.

L'ho spiegato bene, al di là che non si sia d'accordo? E, nel caso, in che modo non ci accordiamo? Voglio dire, l'iter Ishvara-mondo-jiva, con il Brahman quale unica "sostanza" di tale iter, è chiaro per entrambi. Forse neghi il fatto che la nostra condizione sia descrivibile come "Brahman addormentato"? Oppure neghi che sia possibile un nuovo addormentamento?

latriplice
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 07/01/2017, 1:06

KaRaa ha scritto:

E' così strano pensare che tutto si ripeterà con altrettanta facilità?
E' così strano, quindi, pensare di porre i semi di una alternativa, ovvero che ci possa essere una CONCESSIONE AD UN COMPROMESSO?

4) Concessione ad un compromesso.
Per fare una analogia, il compromesso proposto (secondo me, più o meno esplicitamente, anche dai Maestri) è svegliarsi da questo sonno ishvarico, perdendo l'identificazione verso il jiva, ma...
...ma continuando ad immaginare, o al massimo a sognare lucidamente.
Nessun rischio di rimanere in questo sogno totalizzante, e neanche nessun rischio di nuovi addormentamenti totali dopo un eventuale risveglio totale.

L'ho spiegato bene, al di là che non si sia d'accordo? E, nel caso, in che modo non ci accordiamo? Voglio dire, l'iter Ishvara-mondo-jiva, con il Brahman quale unica "sostanza" di tale iter, è chiaro per entrambi. Forse neghi il fatto che la nostra condizione sia descrivibile come "Brahman addormentato"? Oppure neghi che sia possibile un nuovo addormentamento?
A quanto vedo stiamo esaminando la maya dalla prospettiva della maya pertanto è naturale che sorgano dei problemi semantici nel tentativo di inquadrarla razionalmente e trovare un compromesso sul suo significato. Della maya dispongo di questo dato: è irreale eppure è sperimentabile. Come è possibile che ciò avvenga? A meno che non prenda in considerazione quello che la tradizione afferma: la realtà è fondamentalmente non-duale.
Cosa significa? Che ogni e qualsiasi esperienza può essere solo il Sé che sperimenta il Sé. Quando per esempio mi lavo i denti, è il Sé (apparentemente) che spazzola il Sé. Dico "apparentemente" perché ogni esperienza è apparente, la collusione tra un apparente soggetto ed un apparente oggetto. Può essere solo apparente perché il Sé è coscienza non-duale e senza nascita e ogni cosa lo è ..... pertanto non c'è nulla in realtà che stia accadendo.

Lo so che come tesi non è intellettualmente soddisfacente, ma possiamo ovviare a questa impasse dicendo che c'è un unico principio che appare duale. In effetti le varie tradizioni indicano due principi coesistenti che sono alla base della dualità, ma questa distinzione è solo come dicevo, apparente:

Brahman e Maya, Zolfo e Mercurio, Ain Soph Aur e Kether.....in sostanza consapevolezza e mente che sono la fondamentale dualità.

Una è ciò che è, l'altra è ciò che appare essere. In altre parole una è la realtà, l'altra è una sua rappresentazione. Per esempio la più ardita rappresentazione della mente ad emulare la consapevolezza è il nivirkalpa samadhi, che per quanto sia considerato il più elevato raggiungimento spirituale, ciononostante è un oggetto della mente per quanto sottile. Può sembrare una castroneria, ma segui la logica. Una è la realtà e l'altra una sua rappresentazione, e visto che hai nominato la Qabbalah prendiamo l'Albero Sephirotico come modello.

L'Ain Soph è il nostro corrispondente del Brahman, l'assoluto, mentre Kether che racchiude le varie sephirot è sinonimo di maya.
La colonna centrale che collega kether a Malkuth indica vari stati di coscienza o per essere più precisi punti di vista o rappresentazioni sulla realtà Ain soph. Possiamo definirle anche "occhiate" che filtrano l'infinito in riferimento alla tua intuizione.

Malkuth è rappresentarsi in termini di corpo-istinto

Yesod è rappresentarsi in termini di ragione-sentimento

Typhereth è rappresentarsi in termini di coscienza universale non influenzata dal nome e limitata dalla forma

Daath è la presa di coscienza che tra l'essere ed il rappresentarsi corre l'abisso (moksha)

Kether è l'assenza di modificazioni o rappresentazioni mentali (nivirkalpa)


In conformità a "Si diventa ciò che si pensa", in Malkuth abbiamo l'Ain soph che intrattiene il punto di vista di un corpo governato dagli istinti, e la visione che si palesa sarà conforme a quel punto di vista e così via.

In altre parole vediamo la realtà per ciò che è attraverso i filtri della mente ed il risultato è una apparenza.

Tu in quanto Brahman stai osservando te stesso in quanto Brahman, ma non lo sai e vedi qualcos'altro. Maya appunto.

Questo è il succo dell'intera faccenda.

latriplice
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Re: E' solo un'occhiata

Messaggio da latriplice » 07/01/2017, 3:39

KaaRa ha scritto:

".....sapere che tutto è maya aiuta....."

E sapere che tutto è Brahman no?

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