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Avātara: discesa nella carne

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cielo
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Avātara: discesa nella carne

Messaggio da cielo » 27/10/2018, 11:02

Riporto alcuni brani e dialoghi sul concetto di avātara che letteralmente significa discesa del Divino, incarnazione di un Principio per ristabilire il Dharma e riorientare l'umanità che "sbanda".

Comincio con due brani tratti dal forum i Pitagorici, originariamente scritti (dopo il 2011 anno in cui Sai Baba se ne andò) in un forum privato che poi si è deciso di condividere.

Uno è di Premadharma, l'altro è mio, si tratta di appunti personali con alcune citazioni di Sai Baba di cui non tutte riportano la fonte, me ne scuso.

A seguire, in altro post, riporterò brani di discorsi di Sai Baba sempre sul tema.

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Il Dharma protegge chi lo coltiva e distrugge chi lo viola


Premadharma.
Il concetto di avātara lo vedo venire fuori codificato nell'ambito dei vaisnava, meno invece fra i śaiva.

Temo che sia un concetto così vario e variegato, di difficile definizione, considerate le diverse accezioni di avātara parziali e completi (purna), Krishna sembra di ricordare fosse un purnavātara solo insieme a suo fratello Balarama, Sai Baba lo è considerando insieme Shirdi, Sathya e Prema.

E dove mettiamo Ramakrishna?
Ci fu un intero consesso di Pandit riunito appositamente dalla Yogini a dichiararlo avātara secondo le scritture.

Poi abbiamo gli avātara degli avātara.

Swami Veetamohananda sosteneva che la differenza fra un avātara e un qualsiasi altro realizzato è la differente ampiezza del suo dharma, i pochi e i molti.
Se la sua discesa è a beneficio dell'umanità o parte di essa, è un avātara, altrimenti no.

Kabir, Caitanya, Patanjali, Śankara, Buddha... erano avātara o no?

Ci sono poi comportamenti estremamente irrazionali in certi esseri...

Ramakrishna mi ha sempre lasciato sconcertato per la sua "incosciente follia", così diversa dalla razionalità di Sai Baba o Śankara o Ramana o Raphael.

Ma non è che il Rama o il Krishna che ci tramandano fossero da meno.

Personalmente osservo se in loro si sia incarnato o meno il dharma come principio.


Sky.
Dal punto di vista etimologico, secondo Panini, il famoso grammatico, la parola avātar significa "discesa", in particolare la discesa di una divinità dal cielo alla terra, la discesa di Dio sulla terra, in qualche forma incarnata.

L'Avātar, come spiega anche Krishna nella Baghavatgītā, scende sulla terra in forma umana per ristabilire il Dharma e per mostrare i mezzi all'uomo per l'osservanza delle leggi, della rettitudine.

È l'incarnazione del principio non formale in una forma per risollevare il mondo.
La discesa dell'avātar risponde a un preciso stato di necessità dell'uomo, non è l'espressione di un desiderio o di un capriccio di un dio.

Dice Krishna:
O Bharata, ogni volta che il dharma decade e l'adharma tende a trionfare, Io mi manifesto. Per la protezione dei giusti, per la rimozione dei malvagi, per ristabilire su ferme basi la rettitudine, Io mi svelo di era in era."

Secondo la visione vishnuita, che è quella più articolata rispetto agli avātar, gli avātar sono classificati in tre forme:

1) avātar pieno e completo (purnavātar) che contiene in sè tutta la potenza della forma divina.
Per esempio abbiamo Krishna, nel gruppo degli avatār "canonici", che è l'unico che si presenta dotato di tutta la pienezza della divinità.

Non a caso, nei sistemi vishnuiti Krishna è quasi sempre la forma divina che sostituisce Vishnu, più rarefatto, più lontano e difficile ad essere avvicinato con il culto.

Vishnu letteralmente significa "Ombelico di loto", perchè dal suo ombelico, secondo la mitologia hindu, nacque il loto cosmico, padma, simbolo dell'inizio di una nuova era.

2) Avesha: Avātar "pro tempore", che ricevono la potenza della Forma divina generalmente in modo parziale e la conservano per un certo periodo trasferendola poi ad altri. Per esempio Parashurama (Rama con la scure) che fa anche parte degli avātar canonici. Rama con la scure è un avātar parziale di Vishnu, fino al giorno in cui incontra Ramacandra, Rama, in cui trasfonde la potenza di Vishnu.

3) Amśavātara (=avātar di una parte della divinità dove amśa=particella piccolissima, irraggiamento).

L'Avātar parziale dura per tutto il periodo di tempo della sua vita che può anche essere lunghissimo. Come esempi abbiamo Narada, un rishi, maestro della musica indiana che si vede sempre raffigurato nell'iconografia con la vina tra le mani, che erra tra i mondi ed è figlio di Brahma e Vyasa o Krishna Dvaipayana che è il redattore dei veda e del Mahabharata.

Non deve stupire di vedere anche figli di divinità, che a stretto rigore sono divinità loro stessi, classificati come avātar parziali. Non dimentichiamo che una divinità può scendere non nel mondo umano, ma anche in quello animale e divino.

Sai Baba, che è purna avātar, ha affermato di essere Dattā deva, ovvero Dattātreya, ossia la Trimurti in Uno.
Dattā deva è Dattātreya che è un avadhūta ossia un "rinunciante", un vestito di cielo, ma il termine significa letteralmente "scrollato via", "rimosso", ossia uno che è uscito dal mondo, che si è ribaltato dal fenomenico e ne è completamente affrancato.

Sai Baba nel parlare di sua Madre, chiamata Iśvaramma (madre di Iśvara come Maria che in latino viene chiamata Deipara, genitrice di Dio) la chiamava spesso māyā: "Ecco che arriva Māyā!" e anche Krishna nella Gita parla di māyā come "la Mia Māyā".
Anche la madre del Buddha si chiamava Māyā.

Come sappiamo la parola māyā sta ad indicare diversi concetti:
- il principio creativo che sprigiona il desiderio primordiale di "essere i molti", una miscela di reale e irreale, di fatti e finzione, ove il fatto è il l'Uno e la finzione è la varietà dei molti;

- le astuzie affascinanti ed illusorie della Natura, realmente irreale, impermanente, nella sua attraente molteplicità (il serpente dell'eden)

Māyā è illusione primaria, l'ignoranza di base, l'illusione cosmica che vela la verità, illusione che appartiene al Divino e non alla nostra azione, ombra inseparabile del Divino, velo che costituisce la sua veste, principio dell'apparenza che illude nella molteplicità della manifestazione; potere di illudere del divino.

Sai Baba che chiama māyā colei che contribuì alla sua discesa, alla sua nascita fisica, ribadisce l'illusorietà di ogni relazione di parentela, riproponendo le parole di Gesù: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?"

La madre per l'avātar è una realtà illusoria inseparabile e indispensabile alla sua manifestazione.


"Io non ho terre che possa dire di mia proprietà per coltivarvi il mio cibo, ogni pezzetto è stato ormai registrato a nome di qualcun'altro! Perciò, proprio come i nullatenenti aspettano che il bacino del villaggio si prosciughi per raschiarne il fondo con un aratro e coltivarvi in fretta qualcosa per se stessi, anch'io coltivo il mio nutrimento, cioè la gioia, nei bacini riarsi dei cuori afflitti".

(Sai Baba, citazione riportata da Kasturi, in "La vita di Sai Baba", vol. I).

Ancora Sai Baba sul mistero della sua venuta:

"A voi non è dato capire la natura della mia Realtà, nè adesso, nè tra migliaia d'anni, quand'anche li trascorreste in austerità o zelante ricerca, e neppure se a tale sforzo si unisse l'umanità intera."

"Come potrebbe un pesce comprendere il Cielo?"


"Giacchè mi muovo come voi, mangio come voi e parlo come voi, vi illudete che non si tratti d'altro di un esempio di ordinaria umanità".

"Questa è la forma umana nella quale ogni entità divina, ogni aspetto del Principio divino, e cioè, ogni nome e ogni forma attribuiti dall'uomo a Dio, vengono a manifestarsi."

A Kasturi, afflitto per la morte di un parente, dice:

"E che? Kasturi! Se non ci fosse nè morte nè nascita, come potrei passare il tempo Io?"

Iśvara, il Signore, deve venire in forma umana per essere capito dagli uomini e parlare il loro stesso linguaggio, proprio come una persona che, desiderando di salvare un uomo che sta annegando, deve necessariamente saltare nella stessa cisterna o pozzo.
Nessuno potrebbe beneficiare di un avātar se discendesse con il suo inalterato splendore.




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cielo
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da cielo » 26/01/2019, 18:35

Mentre Sai Baba era in vita, ogni giorno a Puttaparhi veniva scritto dai devoti incaricati un breve pensiero, in inglese, su una lavagnetta in un punto "strategico" dove tutti passavano per raggiungere il Mandir, l'ampio luogo, prima all'aperto e poi al chiuso, dove Sai Baba camminava tra i visitatori seduti in ordinate file: maschi da una parte, femmine dall'altra.
Penso che ancora sia usanza, anche se Sai Baba non è più nel corpo, continuare a scrivere un breve pensiero del giorno sulla lavagnetta, che poi viene tradotto e spedito via mail per il mondo tramite le mailing list.

Il pensiero che ho scelto in un talquando è: "Gli Avatar vengono nel mondo per insegnare la via dell’Amore all’umanità."

Condivido le amare riflessioni di Arjuna, ricordando il tempo passato con Krshna. Si tende a ignorare e sottovalutare il tesoro immenso di poter stare a contatto con Lui. Spesso si fa la questua, si chiede e ci si lamenta, e basta.


"Il Signore, quando assume la forma umana illusoria, si muove con noi, si unisce e pranza con noi, si comporta proprio come un nostro parente, come uno che vuole il nostro bene, come un amico e una guida; inoltre Egli ci salva da molte calamità che minacciano di sopraffarci.

Egli ha riversato la misericordia Divina su di noi e ha risolto in modo sorprendentemente semplice i problemi più difficili resistenti alla soluzione.

Quando era affettuosamente vicino a noi, ci lasciavamo prendere dall’orgoglio di avere la Sua Grazia e non cercavamo di riempirci di quella gioia suprema, di immergerci profondamente nella corrente della Sua Grazia.

Da Lui abbiamo cercato la semplice vittoria esteriore e i benefici temporali ignorando il tesoro immenso che avrebbe potuto riempire i nostri cuori.

Noi non abbiamo mai meditato sulla Sua realtà. Potremo rinascere ancora molte volte: avremo ancora un amico e parente simile?”

Questo notò Arjuna ricordando il tempo passato con Krishna.

Bhagavata Vahini, cap. 10.

ortica
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da ortica » 28/01/2019, 0:38

"Il Signore, quando assume la forma umana illusoria, si muove con noi, si unisce e pranza con noi, si comporta proprio come un nostro parente, come uno che vuole il nostro bene, come un amico e una guida; inoltre Egli ci salva da molte calamità che minacciano di sopraffarci.

Egli ha riversato la misericordia Divina su di noi e ha risolto in modo sorprendentemente semplice i problemi più difficili resistenti alla soluzione.

Quando era affettuosamente vicino a noi, ci lasciavamo prendere dall’orgoglio di avere la Sua Grazia e non cercavamo di riempirci di quella gioia suprema, di immergerci profondamente nella corrente della Sua Grazia.

Da Lui abbiamo cercato la semplice vittoria esteriore e i benefici temporali ignorando il tesoro immenso che avrebbe potuto riempire i nostri cuori.

Noi non abbiamo mai meditato sulla Sua realtà. Potremo rinascere ancora molte volte: avremo ancora un amico e parente simile?”

Questo notò Arjuna ricordando il tempo passato con Krishna.

Bhagavata Vahini, cap. 10.


avevo tanto cercato questo passo.
grazie per averlo pubblicato.
purtroppo, almeno per me, è proprio così.

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Fedro
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da Fedro » 28/01/2019, 10:01

Ciascuno legge quello che vive, ovviamente.
Ad esempio, non leggo amarezza riguardo al passato, nella constatazione di Arjuna, quanto un riconoscimento nel presente.

ortica
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da ortica » 28/01/2019, 11:22

Fedro ha scritto:
28/01/2019, 10:01
Ciascuno legge quello che vive, ovviamente.
Ad esempio, non leggo amarezza riguardo al passato, nella constatazione di Arjuna, quanto un riconoscimento nel presente.

Neanche io leggo amarezza, né la percepisco in me.
C'è solo, per me e in me, la constatazione dell'umano e - forse - il rimpianto per un'irripetibile occasione perduta o comunque non vissuta pienamente nell'essenza.

Ma ricordo anche quel che disse il filo d'erba a Untenshu Chokaryoo

«Perché piangi stolto Untenshu Chokaryoo? Dove
esistono le possibilità altrove che nella tua mente? Pensare che il monte Fuji sarebbe potuto essere altrove, non sposta il monte Fuji da dove i kami hanno voluto che fosse».
Untenshu Chokaryoo allora aggiunse:«Ma poiché tutta la vita è nella possibilità, Gasusan, andiamo a bere del saké ben caldo».

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Fedro
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da Fedro » 28/01/2019, 11:32

Il sake è sempre caldo, sì

ortica
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da ortica » 28/01/2019, 11:33

Fedro ha scritto:
28/01/2019, 11:32
Il sake è sempre caldo, sì
eh, ma bisogna tener vivo il fuoco.

Quando era vivente su questo piano ogni tanto mi telefonava, quanta gioia ogni volta solo a sentire la sua voce.
Sapeva sempre quel che mi passava per la testa, ma ugualmente chiedeva: come stai? e dopo aver parlato di mille sciocchezze, importanti per me in quel momento, mi chiedeva gentilmente: come procede? intendeva il lavoro sui testi, per lui la sadhana più preziosa.
Io mi giustificavo, sono distratta, non trovo il tempo, non ... non... non...
Non mi ha mai rimproverato, neppure una volta, diceva semplicemente: come posso aiutarti?
E il fuoco brillava, vivo.

Adesso mi telefono da sola e troppo spesso trovo soltanto cenere.

cielo
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da cielo » 31/01/2019, 17:54

ortica ha scritto:
28/01/2019, 11:33
Fedro ha scritto:
28/01/2019, 11:32
Il sake è sempre caldo, sì
eh, ma bisogna tener vivo il fuoco.

Quando era vivente su questo piano ogni tanto mi telefonava, quanta gioia ogni volta solo a sentire la sua voce.
Sapeva sempre quel che mi passava per la testa, ma ugualmente chiedeva: come stai? e dopo aver parlato di mille sciocchezze, importanti per me in quel momento, mi chiedeva gentilmente: come procede? intendeva il lavoro sui testi, per lui la sadhana più preziosa.
Io mi giustificavo, sono distratta, non trovo il tempo, non ... non... non...
Non mi ha mai rimproverato, neppure una volta, diceva semplicemente: come posso aiutarti?
E il fuoco brillava, vivo.

Adesso mi telefono da sola e troppo spesso trovo soltanto cenere.
Anche io ricordo le telefonate, soprattutto una in cui indossò la maschera di una signora francese (probabilmente in quei giorni era a parigi ma l'avevo scordato) che mi salutava facendomi domande in un misto di lingue.
Chiaramente non lo riconobbi e per poco non mandai a stendere l'amabile signora francese urlandole in italiano con chi voleva parlare e che aveva sbagliato numero.
Mi bloccò un secondo prima che staccassi infastidita la telefonata.
Che sorpresa, che gioia, che ridere!
La parte dolente è che non ascoltavo davvero, velata dalla mia percezione, dentro il "mio" mondo chiuso come un'ostrica.
Lui era la perla da scoprire.

Da sola non mi telefono perchè non so che cosa dirmi di particolare, però mi viene in mente che Bo suggeriva, come metodo operativo per una persona che si trovasse in confusione interiore, di sedersi davanti a una sedia vuota e simulare un dialogo con un altro da sè. Necessita spostarsi da una sedia all'altra per dialogare.
Non mi sento in confusione più di tanto dunque non sperimento quel metodo. A volte mi sorprendo a piagnucolare un po' per la mancanza di tanti Amati, morti tutti oramai.
Sto abbandonando i rimpianti e le nostalgie. Tento di lasciarmi assorbire dal Silenzio di un "Maestro" che in questo divenire non sta compiendo azioni o offrendo parole, in incontri telefonici o dal vero. Una perla di Presenza costante in fondo al cuore.

Lasciare andare le forme amate non è facile, ma necessario per non crogiolarsi nell'emotività.

Di parole ci sono quelle dei libri e degli scritti, bastano e avanzano se servono ancora come sostegno.
Personalmente manca il dialogo nel sodalizio, ma qualche momento di scambio tra noi capita ancora, e sono grata a chi ci ha dato e a chi ci dà ancora questa opportunità.

E poi il Silenzio è la più potente forma di Amore che riesco ancora a percepire, se la mente non tormenta troppo con le sue idee su come dovrebbe girare il mondo.

Un silenzio che è Grazia, che è il Sè che non può essere acquisito, ci serve solo sapere che esiste, e lasciarci riassorbire.
Grazia che è come il sole che essendo pura luce non conosce l'oscurità.

E' lo sguardo senza tempo del Maestro che come il sole fa svanire il fantasma del buio, e quello del senso dell'io, chiuso in sè stesso, aggrappato al tempo, come un ragnetto alla sua ragnatela.

cielo
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Re: Avātara: discesa nella carne

Messaggio da cielo » 26/10/2019, 12:05

Sul concetto di avātar può essere utile uno sguardo a quanto scrive in merito Antonio Rigopoulos, professore associato di Lingua sanscrita e Religioni e filosofie dell'India nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
Si tratta di un punto di vista accademico, illuminato tuttavia dalla pratica.


L'avatara è, alla lettera, una "discesa" divina nel mondo sotto forma di creatura animale o umana. Questa credenza si sviluppa in ambito teologico vishnuiti e trova il suo locus classico nella Bhagavad Gita.
...
Il Signore, per sua libera iniziativa e quindi per grazia, è detto discendere nel mondo al fine di ristabilirvi/mantenervi l'ordine, la giustizia, il Dharma. Ogniqualvolta la legge, il kòsmos, sia in pericolo e le forze del male minacciano di prevalere, egli emette se stesso al fine di ripristinare l'armonia e il bene, attuando la difesa dei buoni e la punizione degli empi; qui si rivela in tutta evidenza la funzione di Vishnu che è appunto quella di mantenitore/conservatore.
Nel mito, il male è rappresentato da un demone e l'avatara discende nel mondo col preciso compito di sconfiggerlo e ucciderlo. Il 'contatto' col dio e l'immolazione del demone quale vittima sacrificale compie la trasfigurazione del demone stesso, che 'ricompare' quale un devoto del dio o una sua divinità guardiana. Nei Purana si trovano molti elenchi, diseguali e anche assai lunghi, di figure divine venerate quali manifestazioni, parziali o plenarie, di Visnu.
Il Bhagavata Purana (X-XI secolo) riporta una lista di ventidue avatara. Rama e Krishna sono a tutt'oggi gli avatara più popolari e amati e, con Narasimha, sono venerati quali manifestazioni plenarie per antonomasia. Rama, nella pronuncia hindi Ram, è il nome più frequentemente impiegato a indicare genericamente Dio.
...
La teologia dell'avatara si è rapidamente popolarizzata e diffusa, tanto che di essa si sono 'appropriate' tutte le altre tradizioni religiose. Di conseguenza anche i sampradaya shivaiti e quelli shakta degli adoratori della Dea conoscono i loro/le loro discese divine: lo stesso Shankara, per esempio, è universalmente ritenuto una manifestazione di Shiva (Shankara significa 'benefattore' ed è fra i nomi più sacri del dio Shiva).
In forza della sua magica potenza d'illusione (la maya), l'avatara é immaginato auto-occultare la propria divinità apparendo in forma animale o umana. Anche in questo caso [se ne era parlato in relazione alla differenza fra Trinità e Trimurti] é importante distinguere la teologia dell'avatara plenario hindu dalla teologia dell'incarnazione cristiana, in modo tale da evitare superficiali fraintendimenti ed erronee equivalenze (che, peraltro, si ripresentano periodicamente). Mentre per il credo cristiano Gesù é al tempo stesso vero uomo e vero Dio, ed è qui il cuore del mistero cristologico, per il mondo hindu l'avatara é, strictu sensu, solo e soltanto divino, giacchè la sua creaturalità è soltanto apparente, non reale. L'umanità di Krsna, per esempio, é pura maschera, una veste esteriore ed illusoria. Egli non é preda della paura, del dolore o della morte. Ciò é tanto vero che a occhi indiani l'idea che Gesù - da essi sì tipicamente assimilato a un avatara! - abbia sofferto e sia morto in croce é qualcosa di ripugnante, giacché Dio non può morire.
Anche per molti cristiani indiani è difficile accettare l'umanità di Gesù. Come già rilevato, ciò dipende soprattutto da una tendenza gnosticizzante spesso implicita in molte (ma non tutte!) elaborazioni teologiche Hindu svalutanti la creaturalità. Oggi come in passato accade che s'insinui l'eresia docetista di matrice gnostica, secondo cui l'umanità di Gesù sarebbe solo apparente e non reale: Gesù avrebbe finto la propria umanità, avrebbe finto ciòe di patire e morire e sarebbe stato sostituito sulla croce da una sorta di 'vicario/fantoccio' o da una fantasmatico 'corpo d'illusione' creato ad hoc.
Nella visione indiana è scandalo e follia anche solo il pensare che l'essere divino soffra e muoia. Di qui discende l'imperturbabilità dell'asceta hindu, il quale, anche nel momento dell'agonia e della morte, tende a disidentificarsi dal complesso mente-corpo , dimostrandosi esemplarmente sereno e lontano da ogni pensiero di umanità. Il santo, essendosi definitivamente affrancato dal ciclo fenomenico, 'lascia il corpo' (=muore) come si abbandona una pelle vecchia, una 'muta' che non s'indosserà mai più.

da Hinduismo. Antonio Rigopoulos. Editrice Queriniana

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