latriplice ha scritto: ↑24/04/2018, 20:08
Dipende da quale paradigma osservi:
Se quella di maya, Brahman è il testimone non sperimentatore dei 5 involucri.
Se quella di Brahman, in assenza del potere mentale proiettivo-velante (che fa dire che io sono un jiva sognante), c'è soltanto il Brahman.
Per enti come te che si ritengono dei jiva sognanti, come raccomandato dalle scritture, è più utile un approccio dualistico della discriminazione (viveka) conoscitore-conosciuto. In un secondo tempo, superata questa fase, si può accedere ad una visione non duale, quella del paradigma del Brahman.
paradigma s. m. [dal lat. tardo paradigma, gr. παράδειγμα, der. di παραδείκνυμι «mostrare, presentare, confrontare», comp. di παρα- «para-2» e δείκνυμι «mostrare»] (pl. -i). – 1. Esempio, modello. I In partic., in grammatica,
modello di declinazione o di coniugazione dato dai manuali di studio (per es., in latino, la flessione di rosa, di rivus, ecc., per le declinazioni; di amare, monere, legĕre, audire per le quattro coniugazioni); anche, l’enunciazione delle forme fondamentali di un verbo, cioè dei temi del presente, perfetto, supino, infinito, da cui derivano tutti gli altri tempi del verbo stesso(...)
2. Nella linguistica moderna, l’insieme degli elementi della frase che contraggono tra loro una relazione virtuale di sostituibilità, potendo sostituirsi gli uni agli altri nello stesso contesto. 3. Nel linguaggio filos.,
termine usato da Platone per designare le realtà ideali concepite come eterni modelli delle transeunti realtà sensibili, e da Aristotele per indicare l’argomento, basato su un caso noto, a cui si ricorre per illustrare uno meno noto o del tutto ignoto. Con altro sign., il termine è stato recentemente introdotto nella sociologia e filosofia della scienza per indicare quel complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criterî di soluzione di problemi che caratterizza una comunità di scienziati in una fase determinata dell’evoluzione storica della loro disciplina: a mutamenti di paradigma sarebbero in tal senso riconducibili le cosiddette «rivoluzioni scientifiche». (Treccani)
Giusto per focalizzare meglio questa tua recente usanza di parlare di "paradigmi". Pare di capire, forse errando, che la visione debba essere declinata su un modello proposto dai manuali di studio. Ecco allora l'equivalenza del jiva sognante che tende alla fusione nel brahman, ricordandosi di ciò che non è, e del brahman (temporaneamente ancora nel vaso) che sogna di essere un jiva errante, ricordandosi ciò che è.
E ci sta, visto che la visione è un'opera personale di chi ha voluto contemplare (studiando la śruti, ad esempio).
Rispetto invece alla tua creazione funzionale di un insieme degli "enti che come me si ritengono dei jiva sognanti", ti invito a lasciare perdere le generalizzazioni e i giudizi, soprattutto per misericordia verso coloro che sono consapevoli di non avere accesso a una visione non duale, in quanto sull'altalena del samsara con un occhio mezzo aperto.
Rinchiudere il brahman in un paradigma necessita la comprensione che esso è ancora un simbolo che racchiude una verità che va realizzata, non descritta o dedotta dal confronto con altro da sè. Non esistendo l'altro nel paradigma del brahman.
Ti auguro una piena realizzazione della visione non duale, in questa vita o al termine dell'attuale viaggio nella carne.
Il problema è che vivendo nel mondo, in un corpo, ci si atteggia facilmente a soggetto-osservatore di quanto avviene, pertanto anche nella pura contemplazione dell'Essenza, si ha la tendenza a trascinare l'idea che esista un qualche centro di percezione e che si è lì assisi, come se mai esistesse un centro da una qualche parte che sia localizzabile nel tempo-spazio.