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Vita di Vivekananda - abbandono

La via del cuore, della devozione. L'abbandono al Divino per trascendere il divenire.
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cielo
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Vita di Vivekananda - abbandono

Messaggio da cielo » 26/01/2017, 19:22

Scritto da Bhakta 26/04/2015, 9:42 [forum pitagorico]

Sto leggendo la Vita di Vivekananda scritta da Romain Rolland.

Non faccio altro che piangere dalla commozione.

Non tratta la sua biografia, ma gli ideali e i valori fluiti in Lui attraverso Sri Ramakrishna negli ultimi anni della sua vita, quelli che gli hanno permesso di avviare una trasformazione epocale dell'India, di quell''India di cui abbiamo visto appena i primi passi in appena poco più di un secolo.

La trasformazione di uno scolaro indolente e polemico, preso dai desideri del mondo, attratto da un Maestro che non era in grado di capire è stata completa. Si ha innanzi l'essere, il rishi cui il piccolo bambino di luce si rivolge chiedendo di accompagnarlo nella sua discesa nel mondo, incapace di avviare l'opera senza esseri ancora dediti all'azione.

Come è difficile per le menti occidentali poter gustare la sublime mistura di conoscenza e amore che ha rappresentato il Vedanta Advaita puramente incarnato.

I più ritengono che l'Advaita escluda la bhakti, mentre l'Advaita è proprio pura bhakti per la conoscenza della Realtà Assoluta.

Un amore che deve distruggere ogni altra distrazione per l'altro da Sé. Un amore totale, completo, ineluttabile, incondizionato e assoluto come assoluto è l'Amato. Un paradosso in cui crollano coloro che non riescono a vivere la piena identità fra amato, amante e amore.

L'Advaita è il corto circuito di tutto ciò, senza concettualismi, senza sentimentalismi, senza se e senza ma. Nessuno riflette mai come i più grandi rishi considerati Advaitin, abbiano dedicato l'intera vita al servizio degli altri, lasciando tracce o insegnando direzioni da seguire agli astanti e ai posteri, anche se distanti migliaia di anni o di chilometri.

L'incapacità di rinunciare ai piccoli egoismi dell'io, della quotidianità, del mio e del nostro, sociale ed etnico, non appena vista andrebbe abbandonata e posta ai piedi del Divino, quale che sia la forma che abbiamo eletto a nostro ideale di devozione, ricerca o adorazione.
Un aspirante alla conoscenza, al Divino, all'Ordine non può non bruciare nell'anelito di Sé, non c'è spazio per altro.

Qualunque desiderio non è altro che amore per il Sé celato dall'apparenza dei nomi e delle forme. Un'irrealtà che ci cela la nostra vera natura. La liberazione non è liberazione dal tangibile come certe anime desiderano, la vera liberazione è liberazione da tutto ciò che altro da ciò che siamo. Da ciò che ciascuno di noi è. E in questo non possiamo non volgere la nostra meditazione, la nostra apertura alla vita, la nostra divinità (sì, perché noi umani siamo essenzialmente divini) al mondo affinché sia uno con noi e attraverso l'identità si muova naturalmente verso la beatitudine del Divino unico, quale che sia il nome e i riti usati per adorarlo.


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