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L'azione equanime e senza aspettative

La via dell'azione comprende le pratiche ripetute: hatha yoga, mantra yoga, laya yoga, sabda yoga, tantra.
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cielo
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Iscritto il: 01/10/2016, 20:34

L'azione equanime e senza aspettative

Messaggio da cielo » 22/10/2016, 19:08

Premadharma
Fondamentale è confrontarsi con la propria sadhana, con il proprio dharma. E non con quello altrui.

Invece ci sono aspiranti che giungono a credere che ci sia la stessa misura per tutti.

E' vero se si considera l'Essere, non è vero se si considera la molteplicità fenomenica.

La traccia che ha lasciato Shankara, che ha lasciato Platone, è che è possibile creare un cortocircuito del molteplice, bypassare qualsiasi percorso ed essere già sulla vetta: si può essere direttamente la noce di cocco. Occorre costanza, attenzione, dedizione totali.

Concettualmente è facilissimo e per questo pericoloso.

La vita, la manifestazione è movimento che si autogenera (il potere della Madre Divina, della Shakti, Prakṛti che muove). Centrandosi sul Purusha, attraverso le Mahavakya, si smette la generazione (ajati vada) e si va oltre il molteplice.

Ovviamente, se si hanno altre priorità, ossia se c'è istanza di movimento, allora la Madre Divina ha disposto altro, o possiamo dire che ci sono ancora contenuti da risolvere/integrare/vivere attraverso azioni equanimi.

L'azione equanime è quella che produce meno effetti, risolvendo più contenuti possibili.

Ogni yoga mostra le varie modalità di possibile svolgimento delle azioni equanimi.

[tratto da Apeiron, stanza interna - forum pitagorico, 31-5-2014]

***
Premadharma
Ci sono momenti in cui l'anelito, l'istanza realizzativa, l'amore per il Divino, è tutto. Non c'è altro.

Momenti in cui la quotidianità, le piccolezze, le brutture, travolgono quel tutto, ottenebrando ogni chiarezza.
Necessità proprie, bisogni altrui, sopravvivenza, desideri, abitudini, paure. Dolore, depressione. Le miserie umane, l'adesione, la sovrapposizione... in questi momenti ogni velleità di aspirante discepolo svanisce, quella meta, così prossima secondo la nostra mente, è scomparsa, il percorso prima così importante sembra essere scomparso sotto i detriti di questa vita.
Prima la sadhana era tutto, riempiva ogni istante del giorno e della notte, oggi siamo persi dietro i bisogni di una madre inferma, di un figlio mentalmente e irrimediabilmente malato, di una vita da disoccupato o malamente o saltuariamente occupato.
Tutto non risponde più al cammino, anzi veniamo trascinati altrove: la necessità diviene sovrana.
Sono solo aspettative infrante. Abbiamo aderito alle aspettative dei frutti delle nostre azioni spirituali.
Non c'è attimo, non c'è evento, non c'è azione - interiore ed esteriore - che non sia parte e momento del percorso spirituale. Al di là di ogni aspettativa o codificazione del cammino, la nostra vita nella sua completezza è il cammino spirituale e la nostra libertà è essere consapevoli della nostra Essenza.
Noi siamo maschere, attori che rappresentano un'opera di cui non siamo artefici, ma semplici testimoni fino al momento in cui non vivremo la pienezza della Pura Realtà. Da quel momento vivremo la leggerezza del sogno consapevole, del bimbo non più identificato nella morte dei propri pupazzi di gioco.

Occorre interrompere la dispersione, ricondurre la mente su un seme o centrarla senza alcun seme, ricostruire la propria centralità osservante, placare i suoi moti ondosi, smettendo di soffiare con l'adesione all'artificiosità.
Si agisca, si operi, ci si impegni senza aspettative, dharma e karma sono così interconnessi che valicano la nostra individualità; per quanto ci impegneremo, se un altro ente ha un determinato karma, non starà a noi mutarlo. La causalità si dipana al di là di ogni nostra volontà, questa stessa essendo a sua volta un’altra causalità.

Aiutano amore e accettazione.
[tratto da Varnasrama - forum pitagorico, 26-12-2014]
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Dialogo con Premadharma
D. Come si fa a impegnarsi senza aspettativa?! Voglio dire: a volte è proprio l’aspettativa (la meta) che ci fa impegnare (agire) al massimo delle nostre possibilità. In che modo dunque, a livello pratico, far sì che l’accettazione non divenga rassegnazione?
E anche: a che pro impegnarsi se poi non si può ‘assaporare’ il frutto!? Grazie per il chiarimento.

R. Come si fa a impegnarsi senza aspettativa?
Seguendo il proprio dharma nel distacco dai frutti delle azioni, se ovviamente si ha come meta la Pura Realtà o la Realtà Assoluta. Se le proprie priorità appartengono al mondo sensibile allora è bene dedicarsi a quelle, ma l'aspettativa deve essere ben mirata. Vengono indicate quattro mete principali nella vita: benessere, dharma, desiderio e liberazione. Per queste mete, in generale, è normale avere aspettativa; altro oltre questo può non essere armonico. In ogni caso l'aspettativa deve essere armonica con la propria vita e quella altrui.
Smettendo di emulare i samnyasin e gli yogi se non lo si è. Le azioni già compiute o il proprio karma attuale ci mostrano chiaramente quali sono i nostri prossimi passi o le nostre potenzialità. E' bene non ascoltare le varie sirene che ci esaltano allontanandoci dal nostro quotidiano, dai nostri compiti, da ciò che risponde a quanto ci è dato da compiere per essere all'altezza di noi stessi.
Se ho una famiglia, dei figli piccoli, dei genitori anziani, certo non posso venire meno alle azioni che la vita e l'armonia mi ha messo di fronte: sono chiamato a rispondere e se non lo faccio adesso, dovrò risponderne ancor più dopo. Se aspiro a fare il samnyasin, l'amore per la via, per il Maestro, è più forte di qualsiasi altro desiderio o bisogno o aspettative, ma quale Maestro è colui che fa venire meno ai propri doveri e all'armonia? E quale yoga contrasterà mai lo yoga dell'amore?
Smettendo di fare i guitti e i saltimbanchi spirituali. Una via che vive di aspettative non conduce da nessuna parte, se non ad ingolfarsi nel mondo, lontano dalla risoluzione delle nostre vasana [desideri residui].
Nè saltellare qua e là da ogni pseudo Maestro che appaghi i nostri bisogni di grandezza, che soddisfi il nostro desiderio di sentirsi speciali, prediletti, migliori, superiori.
Né una vita di erudizione, di ragionamenti, di speculazioni, potrà mai essere superiore ad un istante di pratica, né mille vite di pratica potranno essere superiori ad un istante di consapevolezza.
Domandi: In che modo dunque, a livello pratico, far sì che l’accettazione non divenga rassegnazione
Smettendo di giudicare. Chi giudica chi? Chi dovrebbe distinguere fra accettazione e rassegnazione? E perché questa necessità? Le cose sono come sono. Chi potrà mai assurgere come artefice che le muta? Chi potrà mai credere di mutarle in una qualche maniera?

A che pro impegnarsi se poi non si può ‘assaporare’ il frutto!?
Una via do ut des, è una via di meretricio. Né è detto che il frutto, ove arrivi, non vada assaporato. Ma l'azione va compiuta perché equanime a ciò che siamo, a ciò che va fatto, non per ottenere i frutti.

Di cosa stiamo parlando? Non certo dello studente che si impegna per avere una buona conoscenza o dei buoni voti se ambisce ad una borsa di studio. Non certo al padre o alla madre che ambiscono al cibo e il benessere dei propri i figli.
Il benessere è uno degli scopi della vita cui ambire... ma non certo attraverso il crimine, si parla di ottenere il benessere attraverso il dharma.
[ tratto da Varnasrama - forum pitagorico, 26-12-2014]

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seva
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Re: L'azione equanime e senza aspettative

Messaggio da seva » 11/11/2017, 10:10

up!

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